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mercoledì 26 marzo 2014

Cassazione:Giusta causa anche senza recidiva: va licenziato chi "taglia la corda" senza finire il turno




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Giusta causa anche senza recidiva: va licenziato chi "taglia la corda" senza finire il turno
LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, 24-07-2008, n. 20376

Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 2633/03 rigettava l'appello proposto da P.D.D. avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Roma che aveva respinto la sua domanda avanzata nei confronti della società la Passeggiata avente ad oggetto: il riconoscimento della illegittimità del recesso intimatogli per giusta causa nel corso di un contratto di formazione in essere tra le parti; il pagamento della retribuzione sino alla scadenza del rapporto; il risarcimento del danno pari a 10 milioni per mancata formazione; il pagamento del preavviso e del TFR. Il giudice di appello, premesso che l'addebito dell'abbandono del posto di lavoro in occasione dei turni di servizio pomeridiano del lunedì, mercoledì e venerdì almeno due ore prima della fine del turno e dell'indicazione sul registro delle presenze dell'ora di uscita come se avesse ultimato il turno nella sua materialità era incontroverso, poneva a base della decisione rispettivamente i rilievi: che l'illecita della condotta del superiore gerarchico, posta in essere con la complicità del lavoratore non scriminava la condotta di quest'ultimo; che il licenziamento non era tardivo in quanto il fatto era emerso a seguito delle dichiarazioni dei lavoratori; che non potevano ritenersi esistenti comportamenti aziendali di tolleranza o acquiescenti; che le esemplificazioni collettive di comportamenti non implicavano che la recidiva assurgesse ad elemento costitutivo della giusta causa; che sussisteva la proporzionalità della sanzione tenuto conto dell'arbitrarietà e del carattere illecito del comportamento.
Avverso tale sentenza il P. proponeva ricorso per cassazione sostenuto da tre motivi di censura.
Parte intimata resisteva al gravame eccependo la tardività della notifica del ricorso in quanto avvenuta in data 1/3/04 a fronte di sentenza di appello notificata in data 2/10/03.
Entrambe le parti presentavano ex art. 378 c.p.c., memoria.

Motivi della decisione


Pregiudizialmente va disattesa l'eccezione, sollevata dal resistente, di tardività della notifica del ricorso per essere questa avvenuta oltre il termine breve dalla notifica della sentenza di appello avvenuta in data 2/10/03.
Invero, la sentenza risulta notificata presso l'avv.to Gennaro Leone in Viale Angelico, 97 di Roma quale domiciliatario del P., tuttavia tale avv.to non risulta essere, come desuntesi dall'appello, e domiciliatario, e difensore del P., in quanto detto P. era, nel giudizio dinanzi alla Corte di Appello di Roma, rapp.to e difeso dagli avv.ti Aurelio Leone e Roberta Maiorano presso i quali elett.te domiciliava in Roma al Viale Angelico, 97. La notifica della sentenza impugnata presso l'avv.to Gennaro Leone, quindi, non è idonea, in quanto eseguita presso un soggetto del tutto estraneo alla parte interessata, a far decorrere il termine di cui all'art. 325 c.p.c..
Con il primo mezzo di gravame il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omessa motivazione su punto decisivo in relazione al disposto di cui agli artt. 414 e 421 c.p.c., lamenta la mancata ammissione della prova testimoniale ritualmente articolata in primo grado e ribadita in appello.
Il gravame è infondato.
La prova di cui il ricorrente lamenta il mancato espletamento, infatti, verte su circostanze, alla stregua di quanto riportato nel ricorso per cassazione, non decisive atteso che la motivazione della sentenza impugnata, circa l'apprezzamento dei fatti posti a base del licenziamento, non si fonda su elementi attinenti ai capitoli di prova di cui trattasi. Conseguentemente l'esito eventualmente favorevole al P. della prova testimoniale non avrebbe portato ad un diversa decisione.
Con la seconda censura il P., denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto e contraddittorietà della motivazione assume che il licenziamento è illegittimo per tardività della contestazione in quanto il datore di lavoro era già a conoscenza dal mese di gennaio delle sue uscite fuori orario, per mancanza di recidiva e per difetto di proporzionalità della sanzione.
La censura è infondata.
Invero la sentenza impugnata fornisce adeguata motivazione sui punti investiti dalla censura in esame.
La tardività è difatti esclusa coerentemente dal rilievo che i fatti oggetto dell'addebito sono emersi a seguito "delle dichiarazione dei colleghi versate in atti" e che comunque la non tempestività non può desumersi dalla annotazione nelle buste paga di alcune ore di assenza "non potendosi in alcun modo affermare che trattasi delle stesse assenze poi oggetto della contestazione". Si tratta del resto, di apprezzamento di fatti) che in quanto congruamente argomentata sfugge al sindacato di legittimità.
Quanto alla rilevanza della mancata contestazione della recidiva ed al conseguente apprezzamento della proporzionalità della sanzione è assorbente il rilevo che il giudice di appello ha ritenuto, in proposito, che nessuna norma eleva la recidiva ad elemento costitutivo o requisito della ricorrenza di una giusta causa del recesso "men che meno le esemplificazioni collettive dei comportamenti che possono giustificare sul piano astratto la lesione del vincolo". Nè al riguardo il ricorrente svolge un adeguata censura in ordine all'interpretazione della contrattazione collettiva fornita dal giudice di secondo grado.
La censura è altresì infondata per quanto attiene la dedotta violazione di legge.
In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge, infatti, consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l'uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall'art. 65 ord. giud.); viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Lo scrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 15499/04, 16312/05, 10127/06 e 4178/07).
Ebbene, nelle specie, la dedotta violazione di legge risolvendosi nell'erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge.
Con il terzo mezzo di gravame il ricorrente, allegando violazione e falsa applicazione di norme di diritto e contraddittoria motivazione,assume che in base ai documenti ed alle dichiarazioni della Sig.ra V. e del legale rappresentante non può ritenersi giusta causa di recesso la irregolare scritturazione del libro presenze, che non competeva ad esso ricorrente, ed il tentativo di lucrare la retribuzione per le ore non lavorate.
Il mezzo è infondato.
Invero, per quanto attiene l'assunta omessa e insufficiente motivazione in ordine ai vari punti dedotti, mette conto rilevare che costituisce principio del tutto pacifico (ex plurimis: Cass., sez. un., n. 13045/97) che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).
Nel giudizio di cassazione,ha infatti ribadito questa Suprema Corte, anche di recente, che la deduzione del vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (Cass. 7972/07).
Nè, si è ulteriormente precisato, il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5); in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. 9233/06).
Ora avuto riguardo la caso di specie il ricorrente, lamentando la non corretta valutazione delle risultanze istruttorie prospettando al riguardo un apprrezzamento delle stesse diverso da quello coerente ed adeguato fornito dal giudice in appello, sostanzialmente chiede a questa Corte una nuova pronuncia sul fatto,come tale estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.
La dedotta violazione di legge,poi, analogamente a quanto rilevato in relazione al secondo mezzo di gravame, impinge nel fatto basandosi su di una erronea ricostruzione, a mezzo delle risultanze istruttorie, della fattispecie concreta e come tale è esterna alla allegata violazione.
Sulla base delle esposte considerazioni pertanto il ricorso va rigettato.
Avuto riguardo ai profili sostanziali della controversia stimasi compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2008

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