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mercoledì 26 marzo 2014

Cassazione: Tempo per indossare la divisa da parte del lavoratore: quando va retribuito




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La Corte, chiamata in causa dalla società soccombente, richiamando un consolidato indirizzo giurisprudenziale, (Cass. 21 ottobre 2003 n. 15374, 8 settembre 2006 n. 19273), ha affermato che per valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento alla disciplina contrattuale specifica: in particolare, “ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa stessa (anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attività lavorativa, e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito”.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 22.07.2008, n. 20179

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:....
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
@@@@@@@@ S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA ... presso lo studio dell'avvocato ..., che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato ...., giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
...
- controricorrenti -
e contro
...
- intimata -
avverso la sentenza n. 488/04 della Corte d'Appello di MILANO, depositata il 22/06/04 R.G.N. 432/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/03/08 dal Consigliere Dott. ...
udito l'Avvocato ...
udito l'Avvocato ...
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale ..

Svolgimento del processo


A.R. e litisconsorti, dipendenti della S.p.a. @@@@@@@@, hanno chiesto il riconoscimento del diritto alla retribuzione per il tempo occorrente ad indossare e dismettere la divisa aziendale, con la condanna della societa' datrice di lavoro al pagamento di determinate somme per differenze retributive.
Il primo giudice ha accolto le domande con decisione che la Corte di Appello di Milano ha confermato con la sentenza oggi impugnata. Il giudice dell'appello ha affermato che il tempo impiegato per la vestizione e svestizione della divisa aziendale corrispondeva alla esecuzione di un obbligo imposto dal datore di lavoro; ha ritenuto congruo il tempo di venti minuti complessivi per le operazioni in questione, senza la detrazione dei cinque minuti di tolleranza previsti contrattualmente con la funzione di coprire i ritardi episodici.
La S.p.a. @@@@@@@@ propone ricorso per cassazione con tre motivi.
A. e litisconsorti resistono con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione


1.1. Con il primo motivo si denunciano i vizi di violazione e falsa applicazione del D.P.R. 28 marzo 1980, n. 327, art. 42 e D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 155, all. 8, art. 1362 ss. cod. civ., in relazione agli artt. 124 e 117 del CCNL Turismo Pubblici Esercizi, nonche' difetto di motivazione.
Si osserva che i dipendenti della societa' sono diretti destinatali delle disposizioni del D.P.R. n. 327 del 1980, art. 42 (regolamento di esecuzione della L. 30 aprile 1962, n. 283), secondo cui il personale deve indossare tute o sopravvesti di colore chiaro nonche' idonei copricapi che contengano la capigliatura; il personale addetto alla preparazione, manipolazione e confezionamento di sostanza alimentare deve indossare adeguata giacca o sopravveste di colore chiaro nonche' idoneo copricapo; il D.Lgs. n. 155 del 1957, all. 8, fa obbligo di indossare indumenti adeguati, puliti e se del caso protettivi.
L'art. 124 del CCNL applicabile stabilisce poi che la divisa deve essere indossata solo sul lavoro.
Dunque i dipendenti per obbligo di legge possono prendere servizio solo dopo aver indossato copricapo e divisa; questa puo' essere utilizzata solo in servizio. Il giudice dell'appello ha riferito erroneamente tali obblighi a prescrizioni della societa' in ordine al tempo e luogo del vestire la divisa.
In ogni caso, l'esistenza di disposizioni concernenti il luogo dove indossare la divisa non puo' costituire elemento essenziale e decisivo della eterodirezione del datore di lavoro. Si rileva che prima e dopo la timbratura presso lo spogliatoio il dipendente e' libero di comportarsi come crede; il tempo per vestire e svestire la divisa, sia nello spogliatoio sia nell'abitazione del lavoratore, va comunque sottratto al tempo libero.
1.2. Il motivo e' infondato. Non e' contestato che i lavoratori sono tenuti ad indossare la divisa aziendale, con pantaloni o gonna, maglietta polo, grembiule, cappellino e in inverno maglione. Si tratta dunque, come rilevato dal giudice di appello (con apprezzamento non censurato dalla parte), di un obbligo imposto dal datore di lavoro eccedente quello legale, connesso all'uso degli indumenti prescritti dalla richiamata normativa di legge, che richiederebbe per la vestizione e svestizione un tempo minore.
L'adempimento di tale obbligo deve necessariamente avvenire presso l'unita' produttiva, ed e' collegato in sequenza con la timbratura del cartellino marcatempo (la vestizione deve avvenire prima della timbratura in ingresso e la svestizione e' successiva alla timbratura in uscita).
La giurisprudenza di questa Corte ha gia' avuto occasione di affermare che ai fini di valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento alla disciplina contrattuale specifica: in particolare, ove sia data facolta' al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa stessa (anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attivita' fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attivita' lavorativa, e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione e' diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito (Cass. 21 ottobre 2003 n. 15374, 8 settembre 2006 n. 19273).
La sentenza impugnata ha correttamente applicato questo principio, perche' ha riferito la determinazione del tempo e del luogo di esecuzione delle operazioni in questione a precisi obblighi imposti dal datore di lavoro; ne' rileva, in relazione alla accertata sottoposizione al potere direttivo dell'imprenditore per tale attivita', il mancato controllo dei tempi impiegati dai lavoratori per queste operazioni precedenti e successive alla timbratura.
2.1. Con il secondo motivo si denunciano i vizi di violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1955 del 1923, artt. 5 e 4, anche con riguardo alla portata interpretativa del D.Lgs. n. 66 del 2003, nonche' difetto di motivazione.
La parte contesta che i tempi di vestizione possano ritenersi inclusi nell'orario di lavoro, in relazione alla nozione di lavoro effettivo fissata dalla citata normativa del R.D. n. 1955 del 1923 (applicabile ratione temporis; afferma poi che alla successiva disciplina introdotta dal D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66 deve essere attribuito valore interpretativo dell'assetto precedente, nel senso di escludere dall'orario di lavoro i periodi in cui non ricorrono tutti i requisiti previsti dall'art. 1 di tale provvedimento (presenza al lavoro, a disposizione del datore di lavoro ed esercizio dell'attivita' o delle funzioni).
2.2. Anche questo motivo e' infondato. L'enunciazione del principio di diritto richiamato al punto precedente presuppone una nozione di lavoro effettivo da cui restano esclusi soltanto gli intervalli di tempo dei quali il lavoratore abbia la piena disponibilita'; tale criterio consente, come si e' visto, di comprendere nell'ambito considerato i tempi impiegati per attivita' soggette alla direzione dell'imprenditore.
La disciplina dettata dal D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, di attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34 CE, per il suo carattere innovativo, non puo' fornire criteri interpretativi in senso restrittivo della definizione del concetto di lavoro effettivo fissata della normativa precedente applicabile ratione temporis.
3.1. Con il terzo motivo, mediante la denuncia di violazione e falsa applicazione dell'art. 432 cod. proc. civ. e difetto di motivazione, si censura la determinazione in venti minuti complessivi del tempo impiegato nelle operazioni di vestizione e svestizione. Si deduce che la Corte di Appello, in violazione della norma invocata, ha valutato equitativamente l'entita' della prestazione lavorativa, e non ha motivato tale commisurazione della durata dell'attivita'; ha poi erroneamente escluso la computabilita' in detrazione dei cinque minuti di tolleranza previsti contrattualmente.
3.2. Il motivo e' infondato. La determinazione della durata della prestazione non costituisce oggetto di valutazione equitativa, ma di uno specifico apprezzamento di fatto sorretto da congrua motivazione, non adeguatamente censurata (la parte si limita a prospettare una diversa indicazione dei tempi necessari).
Quanto alla compatibilita' dei cinque minuti di tolleranza, nessuna critica specifica viene mossa alla interpretazione della relativa norma contrattuale, alla quale la sentenza impugnata attribuisce la funzione di coprire i ritardi episodici.
4. Il ricorso deve essere quindi respinto, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate in Euro 35,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali.
Così  deciso in Roma, il 27 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2008

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