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La Corte, chiamata in causa dalla società
soccombente, richiamando un consolidato indirizzo giurisprudenziale,
(Cass. 21 ottobre 2003 n. 15374, 8 settembre 2006 n. 19273), ha
affermato che per valutare se il tempo occorrente per indossare la
divisa aziendale debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento
alla disciplina contrattuale specifica: in particolare, “ove
sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove
indossare la divisa stessa (anche presso la propria abitazione, prima di
recarsi al lavoro) la relativa attività fa parte degli atti di
diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attività lavorativa, e come
tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è diretta
dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di
esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad
essa necessario deve essere retribuito”.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 22.07.2008, n. 20179
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:....
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
@@@@@@@@
S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA ... presso lo studio dell'avvocato ..., che la
rappresenta e difende unitamente all'avvocato ...., giusta delega in
atti;
- ricorrente -
contro
...
- controricorrenti -
e contro
...
- intimata -
avverso la sentenza n. 488/04 della Corte d'Appello di MILANO, depositata il 22/06/04 R.G.N. 432/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/03/08 dal Consigliere Dott. ...
udito l'Avvocato ...
udito l'Avvocato ...
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale ..
Svolgimento del processo
A.R.
e litisconsorti, dipendenti della S.p.a. @@@@@@@@, hanno chiesto il
riconoscimento del diritto alla retribuzione per il tempo occorrente ad
indossare e dismettere la divisa aziendale, con la condanna della
societa' datrice di lavoro al pagamento di determinate somme per
differenze retributive.
Il
primo giudice ha accolto le domande con decisione che la Corte di
Appello di Milano ha confermato con la sentenza oggi impugnata. Il
giudice dell'appello ha affermato che il tempo impiegato per la
vestizione e svestizione della divisa aziendale corrispondeva alla
esecuzione di un obbligo imposto dal datore di lavoro; ha ritenuto
congruo il tempo di venti minuti complessivi per le operazioni in
questione, senza la detrazione dei cinque minuti di tolleranza previsti
contrattualmente con la funzione di coprire i ritardi episodici.
La S.p.a. @@@@@@@@ propone ricorso per cassazione con tre motivi.
A. e litisconsorti resistono con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1.1.
Con il primo motivo si denunciano i vizi di violazione e falsa
applicazione del D.P.R. 28 marzo 1980, n. 327, art. 42 e D.Lgs. 26
maggio 1997, n. 155, all. 8, art. 1362 ss. cod. civ., in relazione agli
artt. 124 e 117 del CCNL Turismo Pubblici Esercizi, nonche' difetto di
motivazione.
Si
osserva che i dipendenti della societa' sono diretti destinatali delle
disposizioni del D.P.R. n. 327 del 1980, art. 42 (regolamento di
esecuzione della L. 30 aprile 1962, n. 283), secondo cui il personale
deve indossare tute o sopravvesti di colore chiaro nonche' idonei
copricapi che contengano la capigliatura; il personale addetto alla
preparazione, manipolazione e confezionamento di sostanza alimentare
deve indossare adeguata giacca o sopravveste di colore chiaro nonche'
idoneo copricapo; il D.Lgs. n. 155 del 1957, all. 8, fa obbligo di
indossare indumenti adeguati, puliti e se del caso protettivi.
L'art. 124 del CCNL applicabile stabilisce poi che la divisa deve essere indossata solo sul lavoro.
Dunque
i dipendenti per obbligo di legge possono prendere servizio solo dopo
aver indossato copricapo e divisa; questa puo' essere utilizzata solo in
servizio. Il giudice dell'appello ha riferito erroneamente tali
obblighi a prescrizioni della societa' in ordine al tempo e luogo del
vestire la divisa.
In
ogni caso, l'esistenza di disposizioni concernenti il luogo dove
indossare la divisa non puo' costituire elemento essenziale e decisivo
della eterodirezione del datore di lavoro. Si rileva che prima e dopo la
timbratura presso lo spogliatoio il dipendente e' libero di comportarsi
come crede; il tempo per vestire e svestire la divisa, sia nello
spogliatoio sia nell'abitazione del lavoratore, va comunque sottratto al
tempo libero.
1.2.
Il motivo e' infondato. Non e' contestato che i lavoratori sono tenuti
ad indossare la divisa aziendale, con pantaloni o gonna, maglietta polo,
grembiule, cappellino e in inverno maglione. Si tratta dunque, come
rilevato dal giudice di appello (con apprezzamento non censurato dalla
parte), di un obbligo imposto dal datore di lavoro eccedente quello
legale, connesso all'uso degli indumenti prescritti dalla richiamata
normativa di legge, che richiederebbe per la vestizione e svestizione un
tempo minore.
L'adempimento
di tale obbligo deve necessariamente avvenire presso l'unita'
produttiva, ed e' collegato in sequenza con la timbratura del cartellino
marcatempo (la vestizione deve avvenire prima della timbratura in
ingresso e la svestizione e' successiva alla timbratura in uscita).
La
giurisprudenza di questa Corte ha gia' avuto occasione di affermare che
ai fini di valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa
aziendale debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento alla
disciplina contrattuale specifica: in particolare, ove sia data facolta'
al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa
stessa (anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro)
la relativa attivita' fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo
svolgimento dell'attivita' lavorativa, e come tale non deve essere
retribuita, mentre se tale operazione e' diretta dal datore di lavoro,
che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro
effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere
retribuito (Cass. 21 ottobre 2003 n. 15374, 8 settembre 2006 n. 19273).
La
sentenza impugnata ha correttamente applicato questo principio, perche'
ha riferito la determinazione del tempo e del luogo di esecuzione delle
operazioni in questione a precisi obblighi imposti dal datore di
lavoro; ne' rileva, in relazione alla accertata sottoposizione al potere
direttivo dell'imprenditore per tale attivita', il mancato controllo
dei tempi impiegati dai lavoratori per queste operazioni precedenti e
successive alla timbratura.
2.1.
Con il secondo motivo si denunciano i vizi di violazione e falsa
applicazione del R.D. n. 1955 del 1923, artt. 5 e 4, anche con riguardo
alla portata interpretativa del D.Lgs. n. 66 del 2003, nonche' difetto
di motivazione.
La
parte contesta che i tempi di vestizione possano ritenersi inclusi
nell'orario di lavoro, in relazione alla nozione di lavoro effettivo
fissata dalla citata normativa del R.D. n. 1955 del 1923 (applicabile
ratione temporis; afferma poi che alla successiva disciplina introdotta
dal D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66 deve essere attribuito valore
interpretativo dell'assetto precedente, nel senso di escludere
dall'orario di lavoro i periodi in cui non ricorrono tutti i requisiti
previsti dall'art. 1 di tale provvedimento (presenza al lavoro, a
disposizione del datore di lavoro ed esercizio dell'attivita' o delle
funzioni).
2.2.
Anche questo motivo e' infondato. L'enunciazione del principio di
diritto richiamato al punto precedente presuppone una nozione di lavoro
effettivo da cui restano esclusi soltanto gli intervalli di tempo dei
quali il lavoratore abbia la piena disponibilita'; tale criterio
consente, come si e' visto, di comprendere nell'ambito considerato i
tempi impiegati per attivita' soggette alla direzione dell'imprenditore.
La
disciplina dettata dal D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, di attuazione delle
direttive 93/104/CE e 2000/34 CE, per il suo carattere innovativo, non
puo' fornire criteri interpretativi in senso restrittivo della
definizione del concetto di lavoro effettivo fissata della normativa
precedente applicabile ratione temporis.
3.1.
Con il terzo motivo, mediante la denuncia di violazione e falsa
applicazione dell'art. 432 cod. proc. civ. e difetto di motivazione, si
censura la determinazione in venti minuti complessivi del tempo
impiegato nelle operazioni di vestizione e svestizione. Si deduce che la
Corte di Appello, in violazione della norma invocata, ha valutato
equitativamente l'entita' della prestazione lavorativa, e non ha
motivato tale commisurazione della durata dell'attivita'; ha poi
erroneamente escluso la computabilita' in detrazione dei cinque minuti
di tolleranza previsti contrattualmente.
3.2.
Il motivo e' infondato. La determinazione della durata della
prestazione non costituisce oggetto di valutazione equitativa, ma di uno
specifico apprezzamento di fatto sorretto da congrua motivazione, non
adeguatamente censurata (la parte si limita a prospettare una diversa
indicazione dei tempi necessari).
Quanto
alla compatibilita' dei cinque minuti di tolleranza, nessuna critica
specifica viene mossa alla interpretazione della relativa norma
contrattuale, alla quale la sentenza impugnata attribuisce la funzione
di coprire i ritardi episodici.
4.
Il ricorso deve essere quindi respinto, con la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come
in dispositivo.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio liquidate in Euro 35,00 per esborsi, Euro 2.500,00
per onorari, oltre spese generali.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2008
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