TAR 2018: “afferma
che lo stress cui sono sottoposti i soggetti impiegati nelle Forze
dell’Ordine sarebbe sufficiente a scatenare l’insorgenza di
malattie autoimmuni.”
Pubblicato il
21/05/2018
N. 05600/2018
REG.PROV.COLL.
N. 06954/2007
REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
sul ricorso numero
di registro generale 6954 del 2007, proposto da
-OMISSIS-, in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dall'avvocato Antonino Galletti, con domicilio eletto presso lo
studio Studio Legale Galletti in Roma, Piazzale Don Giovanni Minzoni,
9;
contro
Ministero della
Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato,
domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero
dell'Economia e delle Finanze, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
del decreto
ministeriale n. XXX/N, datato 11.05.2007, del parere-delibera n. XXX
del 15.12.2006 del Comitato di verifica per le cause di servizio del
Ministero dell'Economia e delle Finanze; nonché, ove necessario, dei
verbali n. 1161 del 26.10.2004 e n. 362 del 14.3.2006 della CMO di
Milano;
Visti il ricorso e i
relativi allegati;
Visto l'atto di
costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti
della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2018 la dott.ssa Floriana
Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel
verbale;
Con il ricorso in
esame, il Vice Brigadiere dell’Arma dei Carabinieri ricorrente
impugna il Decreto n. XXX/N del 11.05.2007, del parere-delibera n.
XXX del 15.12.2006 con cui l’istanza di concessione dell’equo
indennizzo e di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio
per l’infermità “-OMISSIS-” è stata rigettata, sulla base del
parere espresso dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio,
anch’esso oggetto di impugnativa.
Il ricorso è
affidato ai seguenti motivi: 1) Eccesso di potere per travisamento
dei fatti ed illlogicità; difetto d’istruttoria e difetto di
motivazione; violazione degli artt. 3, 4, 6, 7, 8 della legge n. 241
del 1990; violazione del principio di buona amministrazione e del
contraddittorio; ingiustizia manifesta; mancata indicazione del
responsabile del procedimento; mancata considerazione del parere
della CMO; 2) contraddittorietà tra provvedimento con cui viene
dichiarato inabile a svolgere servizi esterni ed incarichi stressanti
e negazione dell’influenza patogena dello stress.;
In sostanza, il
ricorrente sostiene che il Comitato di Verifica non avrebbe tenuto
conto che il servizio da lui svolto, fuori dalle ordinarie condizioni
di lavoro ed in situazioni di particolare stress, avrebbe inciso come
concausale sull'insorgenza della patologia; di cui l’interessato
contesta decisamente l’etiologia genetica asserendo che nessun
membro della sua famiglia ne è affetto.
Si è costituito in
giudizio il Ministero intimato chiedendo il rigetto del ricorso.
Con Ordinanza
Presidenziale n. 43/2010 con cui sono stati disposti incombenti
istruttori volti ad acquisire una documentata relazione di
chiarimenti sulle censure contenute nel ricorso.
Con Ordinanza
Collegiale n. 8851/2017 con cui sono stati reiterati i suddetti
incombenti istruttori, chiedendo, in particolare, di relazionare
sulla natura ereditaria o meno del -OMISSIS- di cui il ricorrente
nega la familiarità e di essere portatore.
Con Ordinanza
Collegiale n. 12489/2017, ritenuta insufficiente la relazione
depositata dalla resistente relativamente ai chiarimenti richiesti in
merito alla questione sopraindicata, è stata disposta un’apposita
verificazione finalizzata a valutare l’attendibilità
dell’esclusione del nesso di causalità sulla base dell’asserita
natura ereditaria della patologia predetta.
Il ricorrente, in
data 20.3.2018, ha depositato il parere di una specialista
endocrinologa che da un lato contesta che si tratti di malattia
autoimmune, nella documentazione visionata dalla stessa, non era
rilevata la presenza di anticorpi anti THS, dall’altro lato,
afferma che lo stress cui sono sottoposti i soggetti impiegati nelle
Forze dell’Ordine sarebbe sufficiente a scatenare l’insorgenza di
malattie autoimmuni.
In data 21.3.2018, è
stata depositata la relazione dell’organo incaricato della
verificazione con cui si chiarisce che si tratta di una patologia a
base autoimmune, d’origine genetica/ereditaria, precisando,
altresì, che la circostanza che, al momento, non vi siano altri
familiari affetti dalla medesima patologia risulta ininfluente,
trattandosi di evenienza comune ad altre patologie simili.
Con memoria
depositata in vista della trattazione del merito, il ricorrente ha
insistito nelle proprie deduzioni.
All’udienza
pubblica del 21.3.2018 la causa è trattenuta in decisione.
Il ricorso è
infondato.
Sull’origine
genetico-ereditaria della patologia in contestazione non residuano
dubbi, alla luce della letteratura scientifica richiamata dal
Collegio verificatore, nel caso in esame, nonché in numerosi
precedenti analoghi (vedi, per tutte, di recente, Consiglio di Stato,
Sez. IV, n. 1435/2017, che ritiene legittimo il parere del Comitato
di Verifica che, nel motivare il provvedimento negativo adottato, ha
evidenziato le cause che, secondo le attuali conoscenze scientifiche
e gli elementi statistici disponibili, sono ritenute alla base della
patologia denunciata”).
L’asserita
influenza scatenante dello stress subito dal ricorrente nello
svolgimento attività di servizio svolte è stata dedotta in modo
generico, facendo riferimento a modalità di svolgimento
dell'attività lavorativa che sono quelle tipiche che caratterizzano
le funzioni nelle Forze dell’Ordine, con impiego anche in missioni
operative.
Ne consegue che la
generica asserzione da parte del ricorrente e della specialista
dell’esposizione a stress non è sufficiente ad inficiare
l’attendibilità del giudizio eziologico espressa dal Comitato di
Verifica: secondo l’orientamento più recente, al fine del
riconoscimento del nesso di causalità-concausalità, il ruolo
concausale del fattore "stress mentale e fisico", non è
sufficiente che l'attore si limiti ad enunciare genericamente di aver
operato in condizioni lavorative stressanti, ma egli ha l’onere di
dimostrare l'efficacia causale di fattore di rischio nel caso
concreto, evidenziando il nesso con riferimento alla diversa
tipologia dell'attività lavorativa nelle specifiche circostanze che
ne caratterizzano lo svolgimento; escludendo che il rapporto
causa/effetto possa essere basato su valutazioni probabilistiche,
dovendo invece essere individuato con un grado di consistente
certezza sul piano tecnico-amministrativo e medico -legale (Cons.
Stato, sez. IV, n. 2239/2008); affinché lo "stress" possa
aver svolto un ruolo concausale nell'evenienza dell'evento lesivo,
occorre dimostrare che esso abbia rappresentato un elemento di
"rischio specifico" (quello che assume forma propria per
determinate professioni: es. folgorazione per l'elettricista) o
"generico aggravato" (quello che consiste nell'esposizione
a cause lesive le quali, pur potendo investire qualsiasi persona, si
dimostrano più frequentemente attive rispetto a certe categorie: es.
insolazione nei lavoratori all'aperto) e non meramente generico, qual
è la comune circostanza di essere stato adibito a mansioni
comportanti turni, continuità dell’attività, salto dei pasti etc.
(T.A.R. Lombardia n. 424/2014 cit.). In tale prospettiva è stato
ritenuto che non è sufficiente la prova di essere stato sottoposto a
lavori particolarmente stressanti e protratti per lungo tempo, ma
occorre dare la dimostrazione specifica dell’efficacia causale di
tale fattore rischio (stress) nel caso concreto con riferimento alla
diversa tipologia dell’attività lavorativa nelle specifiche
circostanze che ne caratterizzano svolgimento (sicché non si tratta
di causalità "di" servizio” genericamente inteso, ma
"del" servizio in concreto prestato) (Tar Lazio, Roma, sez.
III n. 309/201 su un caso di infarto del miocardio). Occorre cioè
provare che si tratta “di condizioni di lavoro particolarmente
gravose eccezionali ed esorbitanti rispetto alle ordinarie mansioni”,
cioè di fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro,
gravosi per intensità e durata, che vanno necessariamente
documentati con esclusione, quindi, delle circostanze e condizioni
del tutto generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di
stress, che costituiscono fattore di rischio ordinario in relazione
alla singola tipologia di prestazione lavorativa (TAR Lazio, I, 3
aprile 2008 n. 2828; sez. I, 3 dicembre 2010, n.35286; sez. I, 1
gennaio 2010, n. 192; sez. II, 5 gennaio 2011, n. 27; TAR Lazio, sez.
II, 5 gennaio 2011, n. 27; T.A.R. Lecce sez. II 12 settembre 2012 n.
1522; Cons. Stato, 11 maggio 2007, n. 2274).
Ugualmente
sottoposto allo stesso onere della prova il fatto della positività
degli esami relativi degli anticorpi attestanti la natura autoimmune
della patologia in questione, ventilata dalla specialista consultata
privatamente dal ricorrente, la quale, peraltro, si limita solo ad
asserire di non averne rilevato la presenza nella documentazione
prodotta, ma non si spinge ad affermare che tali analisi siano state
effettuate ed abbiano dato esito negativo, né tantomeno contesta la
sufficienza degli altri esami strumentali effettuati a formulare la
diagnosi della malattia in contestazione.
Per quanto riguarda
le doglianze relative al diniego della riconducibilità a causa di
servizio all’ulteriore infermità – -OMISSIS-– risultano
anch’esse infondate.
Anche in questo
caso, il Comitato di Verifica ha escluso la riconducibilità di tale
patologia all’attività lavorativa in quanto, in assenza di
comprovati traumi o microtraumi continuativi, deve essere ricondotta
a fattori d’origine costituzionale.
Non sono perciò
ravvisabili i vizi di legittimità dedotti: il competente organo
tecnico della PA ha escluso il nesso anche solo concausale con
l’attività di servizio sull’insorgenza della patologia
artrosica, riconducibile alla degenerazione compatibile con l’età,
osservando che non si erano verificati incidenti di natura traumatica
e escludendo che l’ordinario servizio di istituto presentasse
quelle caratteristiche di impegno fisico tale da provocare
micro-traumi continuativi atti a determinare l’insorgenza o
l’aggravamento dell’artrosi.
Valgono pertanto le
stesse considerazioni sopra svolte: il giudizio eziologico non è
stato adeguatamente confutato dal ricorrente, come sarebbe stato suo
onere, dimostrando, sulla base della documentazione di servizio, di
aver riportato infortuni o essere stato impiegato in condizioni tali
da aver provocato continuativamente microtraumi.
In conclusione, con
riferimento ad entrambe le patologie il Comitato di verifica ha
ritenuto che le mansioni ordinarie svolte dal ricorrente non fossero
sufficienti a contribuire a scatenare la patologia autoimmune o a
determinare l’artrosi cervicale, secondo una valutazione che è
sindacabile in questa sede di giudizio di legittimità solo sotto il
profilo dell’errore manifesto di apprezzamento, non ravvisabile nel
caso in esame; valutazione che risulta invece plausibile e che non è
stata adeguatamente confutata dal ricorrente comprovando la
straordinarietà degli impieghi e delle condizioni lavorative - che
invece richiama situazioni di impiego tipiche del personale impegnato
nell’Arma, le quali, secondo un criterio di giudizio che non
risulta illogico o in palese contrasto con l’evidenza, non sono
state considerate atte a determinare gli effetti patogeni in
questione – com’era invece suo compito, dato che l’onere della
prova dell’eccezionalità di tali circostanze e della loro
efficienza causale incombe sull’attore secondo la regola generale
posta dall’art. 2697 cod. civ.
Per tali ragioni
detta prova, come chiarito da ormai pacifico orientamento
giurisprudenziale, non può nemmeno essere raggiunta facendo
riferimento alla diversa opinione espressa da un medico di parte o da
un consulente tecnico nominato dal Tribunale, non essendo possibile
un utilizzo in funzione sostitutiva del giudizio eziologico espresso
dal competente collegio di esperti appositamente chiamato a
pronunciarsi sul nesso causale.
Come chiarito dalla
giurisprudenza in materia, la CTU è utilizzabile esclusivamente,
nell’ottica del sindacato “debole” o di ragionevolezza - al
fine di verificare l’esistenza di profili di inattendibilità della
pronuncia, che non sono, nella specie, revocati in dubbio –
considerato peraltro che in seno al Comitato per la verifica delle
cause di servizio “sono presenti soggetti di diversa estrazione e
dotati di diverse competenze tecniche, scelti tra esperti della
materia, provenienti dalle diverse magistrature, dall'Avvocatura
dello Stato e dal ruolo unico dei dirigenti dello Stato, nonché tra
ufficiali medici superiori e qualifiche equiparate della Polizia di
Stato e tra funzionari medici delle amministrazioni dello Stato. Per
l'esame delle domande relative a militari o appartenenti a corpi di
polizia anche ad ordinamento civile il Comitato è inoltre integrato
da ufficiali o funzionari del corpo o dell’amministrazione di
appartenenza” per cui, anche ove il CTU si esprime nel senso della
possibile dipendenza di una patologia da causa di servizio, comunque
“l’accertamento in concreto di tale dipendenza con il servizio
svolto dall’interessato non può tuttavia che essere effettuato
dalla apposita Commissione, le cui competenze, come si è detto,
anche per la variegata e qualificata estrazione tecnica dei suoi
componenti, sono diverse e non possono essere sostituite da una
valutazione di natura tecnica ( per sua natura parziale e quindi
limitata) compiuta da un soggetto estraneo all’amministrazione (il
C.T.U.), che tutte quelle competenze non può assommare” (sent.
3621/2011 cit.). In conclusione la CTU può essere disposta solo al
fine di verificare l`attendibilità tecnico-scientifica delle
valutazioni espresse dal suddetto Collegio, ma non per sostituire il
giudizio a questo riservato (vedi, tra tante, Cons. St., Sez. IV, n.
31/2013).
Infine, per
completezza, va osservato che non è nemmeno ravvisabile un contrasto
tra le conclusioni espresse dalla CMO e dal Comitato di verifica,
sicchè la denunciata illogicità della motivazione del provvedimento
impugnato non sarebbe prospettabile neppure solo tale profilo, dato
che il parere espresso dal predetto Comitato, proprio in ragione
della sua competenza e composizione - quale organo imparziale in
ragione della sua composizione, e pertanto idoneo a garantire il buon
andamento della P.A. –ha una rilevanza maggiore rispetto ai pareri
forniti dagli altri organi tecnici - quali le Commissioni Medico
Ospedaliere – e costituisce il momento finale dell'istruttoria
prevista all'uopo dalla normativa di settore, in cui confluiscono,
per essere assorbite, tutte la fasi preliminari del procedimento, che
in detta sede vengono definitivamente composte, ove in ipotesi
confliggenti; sicché non è configurabile alcuna contraddittorietà
nel caso di contrasto fra le valutazioni espresse dal Comitato e
quelle precedenti di altri organi. In tali termini il rapporto tra i
due organi è stato chiarito dal D.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, che
all’art. 11 espressamente prevede che compito della Commissione è
solo la diagnosi sull'infermità, sulla sua effettiva esistenza e
gravità, l'indicazione della categoria, il giudizio di idoneità al
servizio, mentre il Comitato di verifica ha competenza esclusiva ad
accertare la riconducibilità ad attività lavorativa delle cause
produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio
ed al rapporto causale tra i fatti e l'infermità o lesione, e
pronunciarsi con parere motivato sulla dipendenza dell'infermità o
lesione da causa di servizio.
Va infine disatteso
anche il secondo mezzo di gravame - con cui il ricorrente sostiene
che la PA incorre in contraddittorietà, laddove esclude che il
ricorrente possa essere adibito ad incarichi stressanti o a svolgere
servizi esterni, in tal modo implicitamente riconoscendo l’influenza
patogena dello stress – dato che, in tal modo, la PA si limita
semplicemente a disporre l’impiego in attività compatibili del
ricorrente, preso atto delle sue attuali condizioni, che
costituiscono la conseguenza della patologia in contestazione (che ne
limita le capacità) e non l’origine della stessa.
Alla luce delle
considerazioni sopra svolte il ricorso deve essere respinto.
Sussistono,
tuttavia, giusti motivi, viste le condizioni personali del
ricorrente, per disporre l’integrale compensazione tra le parti
delle spese di giudizio, escluso le spese per il compenso
dell’organismo verificatore, come da nota spese prodotta e non
contestata dalle parti, che restano a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Condanna il
ricorrente al pagamento delle spese per la verificazione in favore
del Ministero dell’Interno-Dipartimento della Pubblica
Sicurezza-Direzione Centrale di Sanità-Servizio Affari generali
Sanità, liquidate in euro 500,00 (cinquecento/00).
Compensa
integralmente tra le parti le altre spese di giudizio.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che
sussistano i presupposti di cui all’art.22, comma 8 D.lg.s.
196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di
diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle
generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di
salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Roma
nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2018 con l'intervento
dei magistrati:
Concetta Anastasi,
Presidente
Floriana Rizzetto,
Consigliere, Estensore
Paola Patatini,
Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Floriana Rizzetto
Concetta Anastasi
IL SEGRETARIO
In caso di
diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi
dei soggetti interessati nei termini indicati.
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