N. 46 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 gennaio 2020
Ordinanza del 20 gennaio 2020 del Tribunale di Milano nel
procedimento civile promosso da Imbert Federico contro Istituto
Nazionale della Previdenza Sociale - Inps, Ministero dell'economia e
delle finanze e Presidenza del Consiglio dei ministri..
Pensioni - Legge di bilancio 2019 - Rivalutazione automatica dei
trattamenti pensionistici per il periodo 2019-2021 - Meccanismo di
rivalutazione - Intervento di riduzione della rivalutazione
automatica delle pensioni di elevato importo.
Pensioni - Legge di bilancio 2019 - Trattamenti pensionistici diretti
a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, delle gestioni
speciali dei lavoratori autonomi, delle forme sostitutive,
esclusive ed esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria e
della gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della
legge 8 agosto 1995, n. 335, i cui importi complessivamente
considerati superano 100.000 euro lordi su base annua - Intervento
di decurtazione percentuale, per la durata di cinque anni,
dell'ammontare lordo annuo.
- Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato
per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio
2019-2021), art. 1, commi 260 e 261.
(GU n.22 del 27-5-2020 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
Sezione lavoro
Il Giudice dott. Tullio Perillo letti gli atti e i documenti
della causa iscritta al n. 9609/2019 RGL pendente tra Imbert Federico
(c.f: MBRFRC51H19F839N), con gli avvocati Vincenzo Fortunato e
Francesco Saverio Marini, con domicilio eletto in Milano, via
Fretelli Gabba n. 6 - ricorrente;
contro INPS (02121151001), con l'avvocato Carla Maria Omodei
Zorini, con domicilio eletto in Milano, via Savare' n. 1 e,
contro Ministero dell'Economia e delle Finanze (80415740580) e
Presidenza del Consiglio dei ministri (80188230587), con l'Avvocatura
dello Stato di Milano, con domicilio legale in Milano, via Carlo
Freguglia n. 1 - resistenti - sciogliendo la riserva assunta in data
16 gennaio 2020, svolge le seguenti considerazioni.
Con ricorso al Tribunale di Milano, quale Giudice del Lavoro,
depositato in data 11 ottobre 2019, Imbert Federico ha convenuto in
giudizio le resistenti in epigrafe indicate chiedendo - previo
promovimento della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
1, commi 260, 261, 262, 263, 265, 267 e 268 della legge n. 145 del
2008 - l'accertamento: i) del diritto al riconoscimento del
trattamento pensionistico senza la decurtazione di cui all'art. 1,
commi 261-268, legge n. 145/2008; ii) del diritto alla corresponsione
del trattamento pensionistico rivalutato, senza il blocco di cui
all'art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2008 e iii)
dell'illegittimita' delle ritenute operate da INPS; per l'effetto ne
ha chiesto la condanna a corrispondere il trattamento pensionistico
integrale senza decurtazioni e alla restituzione delle somme gia'
trattenute.
Si sono ritualmente costituiti in giudizio INPS, Ministero
dell'Economia e delle Finanze e Presidenza del Consiglio dei ministri
contestando in fatto e in diritto l'avversario ricorso.
Per quanto di interesse il ricorrente, con decorrenza 1° marzo
2010, e' titolare di pensione categoria VDAI (ex INPDAI, liquidata
con sistema retributivo) n. 06144585 a carico di INPS e nel presente
giudizio si duole che, per effetto delle previsioni della legge n.
145/18, sia stata effettuata una riduzione sul trattamento
pensionistico nella misura mensile di euro 20.644,25 destinata a
valere per il periodo 2019/2023, oltre che una limitazione della
perequazione del trattamento disposta dalla medesima legge per il
periodo 2019/2021, per una riduzione mensile complessiva del
trattamento pari a circa euro 21.000.
Parte ricorrente ha quindi eccepito preliminarmente
l'incostituzionalita' di tali disposizioni.
Tanto premesso si osserva quanto segue.
A mente dell'art. 1, legge n. 145/18, per quanto di rilievo, e'
stato previsto che:
260. Per il periodo 2019/2021 la rivalutazione automatica dei
trattamenti pensionistica; secondo il meccanismo stabilito dall'art.
34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta:
a) per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o
inferiori a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del
100 per cento;
b) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a
tre volte il trattamento minimo INPS e con riferimento all'importo
complessivo dei trattamenti medesimi:
1) nella misura del 97 per cento per i trattamenti
pensionistici complessivamente pari o inferiori a quattro volte il
trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a tre
volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite
incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla
base di quanto previsto dalla lettera a), l'aumento di rivalutazione
e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite
maggiorato.
Per le pensioni di importo superiore a quattro volte il
predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato
della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di
quanto previsto dal presente numero, l'aumento di rivalutazione e'
comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite
maggiorato;
2) nella misura del 77 per cento per i trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il
trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il
trattamento minimo INPS.
Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto
trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota
di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto
dal presente numero, l'aumento di rivalutazione e' comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;
3) nella misura del 52 per cento peri trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il
trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento
minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il
predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato
della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di
quanto previsto dal presente numero, l'aumento di rivalutazione e'
comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite
maggiorato;
4) nella misura del 47 per cento per i trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento
minimo INPS e pari o inferiori a otto volte il trattamento minimo
INPS. Per le pensioni di importo superiore a otto volle il predetto
trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota
di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto
dal presente numero, l'aumento di rivalutazione e' comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;
5) nella misura del 45 per cento per i trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a otto volte il trattamento
minimo INPS e pari o inferiori a nove volte il trattamento minimo
INPS. Per le pensioni di importo superiore a nove volte il predetto
trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota
di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto
dal presente numero, l'aumento di rivalutazione i comunque attribuito
fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;
6) nella misura del 40 per cento per i trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a nove volte il trattamento
minimo INPS.
261. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente
legge e per la durata di cinque anni, i trattamenti pensionistici
diretti a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, delle
gestioni speciali dei lavoratori autonomi, delle forme sostitutive,
esclusive ed esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria e
della Gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8
agosto 1995, n. 335, i ari importi complessivamente considerali
superino 100.000 euro lordi su base annua, sono ridotti di
un'aliquota di riduzione pari al 15 per cento per la parte eccedente
il predetto importo fino a 130.000 euro, pari al 25 per cento per la
parte eccedente 130.000 euro fino a 200.000 euro, pari al 30 per
cento per la parte eccedente 200.000 euro fino a 350.000 euro, pari
al 35 per cento per la parte eccedente 350.000 euro fino a 500.000
euro e pari al 40 per cento per la parte eccedente 500.000 euro.
262. Gli imporli di cui al comma 261 sono soggetti alla
rivalutazione automatica secondo il meccanismo stabilito dall'art.
34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448.
263. La riduzione di cui al comma 261 si applica in proporzione
agli importi dei trattamenti pensionistici, ferma restando la
clausola di salvaguardia di cui al comma 267. La riduzione di cui al
comma 261 non si applica comunque alle pensioni interamente liquidate
con il sistema contributivo.
264. Gli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale,
nell'ambito della loro autonomia, si adeguano alle disposizioni di
cui ai commi da 261 a 263 e 265 dalla data di entrata in vigore della
presente legge.
265. Presso l'INPS e gli altri enti previdenziali interessati
sono istituiti appositi fondi denominati «Fondo risparmio sui
trattamenti pensionistici di importo elevato» in cui confluiscono i
risparmi derivati dai sommi da 261 a 263. Le somme ivi confluite
restano accantonate.
266. Nel Fondo di cui al somma 265 affluiscono le risorse
rivenienti dalla riduzione di cui ai sommi da 261 a 263, accertate
sulla base del procedimento di cui all'art. 14 della legge 7 agosto
1990, n. 241.
267. Per effetto dell'applicazione dei commi da 261 a 263,
l'importo complessivo dei trattamenti pensionistici diretti non puo'
comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi su base annua.
268. Sono esclusi dall'applicazione delle disposizioni di cui ai
commi da 261 a 263 le pensioni di invalidita', trattamenti
pensionistici di invalidita' di cui alla legge 12 giugno 1984, n.
222, i trattamenti pensionistici riconosciuti ai superstiti e i
trattamenti riconosciuti a favore delle vittime del dovere o di adoni
terroristiche, di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466, e alla legge
3 agosto 2004, n. 206.
L'interpretazione delle disposizioni sopra richiamate e'
inequivoca e non lascia margine di dubbio alcuno circa l'intenzione
del legislatore di operare una riduzione sui trattamenti
pensionistici dei lavoratori dipendenti (con esclusione delle
pensioni liquidate con sistema contributivo) secondo un sistema di
riduzione per aliquote progressive a seconda di determinati
scaglioni, meccanismo cui si aggiunge altresi' la limitazione della
perequazione prevista secondo aliquote decrescenti.
Cio' rende vano ogni tentativo di interpretazione adeguatrice e
necessario l'incidente di costituzionalita'.
Nel caso di specie il ricorrente, titolare di una pensione
dell'importo annuo di euro 872.795,04, e' soggetto alla riduzione del
trattamento per una aliquota iniziale del 15% fino a euro 130.000,
una successiva aliquota del 25% per la parte eccedente fino a euro
200.000, un'aliquota del 30% per la parte eccedente fino a euro
350.000, un'aliquota del 35% per la parte eccedente fino a euro
500.000 ed infine del 40% per la parte eccedente; inoltre sul
trattamento pensionistico opera la limitazione della perequazione
prevista, nel caso di specie (pensione superiore a 9 volte il
trattamento minimo), nella misura del 40%.
Di conseguenza, e' evidente la rilevanza della questione di
costituzionalita' di cui ai paragrafi successivi, atteso che le
disposizioni sopra richiamate vincolano innanzitutto l'ente
previdenziale ad applicare le riduzioni ivi previste e non consentono
una interpretazione costituzionalmente conforme dal che deriverebbe,
ove mai venisse ritenuta manifestamente infondata la questione di
costituzionalita', il rigetto delle domande attoree.
Ebbene, ritiene il giudicante che le disposizioni in commento
presentino plurimi profili di incostituzionalita'.
Occorre sin d'ora premettere che non e' e non puo' essere in
discussione in questa sede la discrezionalita' del legislatore nel
predisporre interventi che possano anche incidere sui trattamenti
pensionistici in essere, sia nell'eventuale ottica di garantire
l'equilibrio di bilancio secondo le previsioni dell'art. 81 Cost. sia
per fronteggiare situazioni di squilibri finanziari ovvero garantire
l'adempimento di obiettivi concordati in sede europea.
Nondimeno, ove anche nel caso di specie tali fossero le finalita'
del legislatore, resterebbe pur sempre il vincolo di intervenire
rispettando il limite della ragionevolezza affinche' l'esercizio
della sua discrezionalita' porti all'adozione di soluzioni coerenti
con i parametri costituzionali (cosi' Corte cost., n. 70 del 2015).
Violazione articoli 3 e 53 Costituzione.
Tanto premesso, ad avviso del giudicante un primo profilo di
incostituzionalita' delle disposizioni in commento e' da ravvisare
nella natura di tributo attribuibile al prelievo.
La giurisprudenza costituzionale, in fattispecie analoghe, ha.
gia' avuto modo di individuare i presupposti necessari in presenza
dei quali una misura, a prescindere dal nomen iuris, possa essere
ricondotta nella categoria delle imposte.
Cio' si verifica allorquando gli importi trattenuti vengano
acquisiti allo Stato, destinati alla fiscalita' generale (rispetto
alla quale Inps assumerebbe al piu' la veste di sostituto di imposta)
e non gia' trattenuti all'interno delle gestioni previdenziali
nell'ambito delle specifiche finalita' solidaristiche
endo-previdenziali (cosi' Corte cost., sentenza n. 173 del 2016, par.
9), comportando una definitiva decurtazione patrimoniale del soggetto
passivo (Corte cost., sentenza n. 70 del 2015).
In particolare si e' osservato che: La giurisprudenza di questa
Corte ha costantemente precisato che gli elementi indefinibili della
fattispecie tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere
diretta, in via prevalente, a procurare una (definitiva) decurtazione
patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve
integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico (nella specie,
di una voce retributiva di un rapporto di lavoro ascrivibile ad un
dipendente di lavoro pubblico statale «non contrattualizzato»); le
risorse connesse ad un presupposto economicamente rilevante e
derivanti dalla suddetta decurtazione sono destinate a sovvenire
pubbliche spese (Corte cost. n. 23/12 par 12.3).
Ebbene, non vi sono dubbi circa la definitivita' della misura in
commento, atteso che non sono previsti, da, parte del legislatore,
alla scadenza del quinquennio di durata della trattenuta, meccanismi
che, in tutto o in parte, ne consentano il recupero al pensionato.
E' poi ravvisabile quantomeno una potenziale acquisizione di tali
risorse al bilancio dello Stato, tenuto conto che l'art. 1, comma
265, legge n. 145/18, prevede che gli importi risparmiati per effetto
del prelievo vengano depositati presso un Fondo di risparmio sui
trattamenti pensionistici di importo elevato istituito (ma non
necessariamente gestito e acquisito) presso Inps.
Il successivo comma 266 affida alla procedura della conferenza di
servizi ogni determinazione sulla destinazione di tali fondi
accantonati, lasciando chiaramente intendere che questi ultimi non
sono necessariamente vincolati ad essere utilizzati in favore
dell'ente previdenziale (eventualmente per garantire la tenuta del
sistema previdenziale) ben potendo essere destinati ad altri fini
anche esterni.
La circostanza non e' certamente secondaria e, anzi, era
percepita di tale rilevanza da essere richiamata come elemento di
criticita' nel Dossier del Servizio studi del Senato, ove si
rappresentava l'opportunita' di chiarire in modo piu' puntuale le
modalita' di funzionamento della conferenza di servizi.
Nel medesimo dossier, inoltre, veniva ripercorsa la
giurisprudenza costituzionale sul tema, con specifico riferimento
allo casistica relativa alla natura tributaria o meno del prelievo,
dandosi rilievo proprio anche a quanto deciso nella citata sentenza
n. 173 del 2016 ed in particolar modo al fatto che il contributo di
solidarieta', per essere legittimo, dovesse essere interno al sistema
previdenziale e giustificato in via eccezionale dallo crisi
contingente e grave del sistema medesimo.
Il fatto che il legislatore, nonostante tali profili fossero
stati rappresentanti gia' in fase di studio dell'intervento, non
abbia inteso ne' dare conto di ragioni eccezionali che
giustificassero il prelievo ne' prevederne una destinazione vincolata
in favore dell'ente previdenziale, lascia chiaramente intendere che
la destinazione al Fondo sia stata volutamente e scientemente
svincolata ad un fine precipuo, ben potendo quindi, come detto,
essere acquisita anche al bilancio dello Stato.
Sul punto, la stessa giurisprudenza costituzionale ha avuto modo
di evidenziare che: l'assenza di una espressa indicazione della
destinazione delle maggiori risorse conseguite dallo Stato non
esclude che siano destinate a sovvenire pubbliche spese, e, in
particolare, a stabilizzare la finanza pubblica, trattandosi di un
usuale comportamento del legislatore quello di non prevedere, per i
proventi delle imposte, una destinazione diversa dal generico
«concorso alle pubbliche spese» (cfr. Corte cost., sentenza n.
223/2012, par. 12.3).
Ne' la misura appare finalizzata a garantire la stabilita' del
sistema previdenziale ovvero a tutelare particolari categorie di
pensionati.
Tale profilo era stato invece chiaramente valorizzato dalla
stessa Corte costituzionale allorquando era stata chiamata a valutare
la legittimita' del prelievo disposto dall'art. 1, comma 486, legge
n. 147/2013, atteso che la natura non tributaria della disposizione
veniva individuata anche per il fatto di essere specificamente
destinata ad assolvere a finalita' solidaristiche, in quel caso
individuate nella tutela dei soggetti c.d. esodati, come noto
categoria pregiudicata dalle riforme previdenziali introdotte dalla
legge n. 92/12 (cfr. Corte cost. sentenza n. 173 del 2016).
Anche in occasione dello scrutinio delle previsioni dell'art. 24,
commi 25 e 25-bis, decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, era stata comunque valorizzata
(al fine di escludere la natura tributaria del prelievo oggetto di
sindacato di costituzionalita') la circostanza che la misura fosse
finalizzata a tutelare in via prioritaria le categorie di pensionati
con trattamenti pensionistici piu' bassi (Corte cost., sentenza n.
250 del 2017).
Ebbene, ad avviso del remittente nessuno di tali elementi e'
ravvisabile nel caso di specie.
L'intervento sulle pensioni, difatti, e' espressamente
finalizzato a garantire allo Stato un maggior gettito (espressione
tipicamente utilizzata per qualificare un tributo statale o locale),
come risulta evidente dalla lettura della Nota di lettura del
Servizio del bilancio della Camera dei Deputati, che cosi' si esprime
nel qualificarlo, e cio' all'esito della interlocuzione con le
autorita' europee allorquando, come noto, erano state inizialmente
manifestati dubbi e perplessita' sul rispetto dei vincoli europei
della manovra finanziaria.
Cio' trova ulteriore conferma dalla lettura del Dossier alla
manovra di bilancio 2019/2021. Effetti sui saldi e colto risorse e
impieghi redatto dal Servizio Bilancio del Senato e dal Servizio
Bilancio dello Stato nel gennaio 2019 che - nella allegata Tabella 8,
individua le misure sulle pensioni piu' elevate quali mezzi di
copertura degli interventi della manovra finanziaria, nessuno dei
quali destinato a sostenere il sistema previdenziale (al piu'
l'ampliamento della platea con i pensionamenti anticipati) dandosi
quindi ancor maggiore evidenza della natura di tributo della misura
in commento.
Anzi, proprio nel dossier da ultimo richiamato si evince
chiaramente che l'intervento sulle pensioni piu' elevate e' da
ritenersi non gia' finalizzato a fronteggiare situazioni di crisi
finanziaria o ispirato a principi solidaristici quanto ad evitare una
procedura per disavanzo eccessivo, in quanto l'originaria
programmazione di bilancio dello Stato italiano non risultava
rispettosa della regola del debito.
In forza di cio' l'Italia, nell'ottica di garantire il rispetto
del Patto di stabilita' e crescita, interveniva su talune misure
della manovra modificando i saldi.
Vero che il Governo italiano dava atto di un quadro
macroeconomico che comportava una rivisitazione al ribasso della
stima di crescita del PIL, del perdurante elevato livello dei
rendimenti sui titoli di Stato e del peggioramento delle aspettative
sulla crescita.
Tuttavia, il quadro delineato non assume alcun carattere di
urgenza o criticita' finanziaria da giustificare l'intervento sulle
pensioni anche in un'ottica di finalita' solidaristica (interna al
sistema o in generale per giustificare sacrifici in capo alla
collettivita' ivi compresi i pensionati).
Significativo evidenziare che, dal lato delle misure relative
alle spese, gli unici interventi che dopo l'interlocuzione con le
autorita' europee venivano introdotte per consentire un maggior
gettito riguardino proprio le pensioni piu' elevate insieme ad un
programma straordinario di dismissioni immobiliari, giacche' per il
resto si tratta di revisioni di stime o recupero di risorse
diversamente allocate; nessun ulteriore sacrificio viene previsto per
la collettivita' salvo quello imposto ad una (assolutamente
ristretta) categoria di pensionati.
D'altra patte, come appena visto, la legge di bilancio, ben lungi
dal prevedere la necessita' di interventi sulle pensioni di importo
piu' elevato al fine di garantire il mantenimento del sistema
previdenziale ed eventualmente tutelare le fasce piu' deboli,
introduce invece disposizioni per un anticipato accesso alla pensione
(c.d. quota 100, al chiaro fine di ampliare la platea dei soggetti
che possano accedere al trattamento di quiescenza) che all'evidenza
mal si coniugherebbero ove disposte nell'ambito di un sistema
previdenziale in crisi.
Infine, anche nel caso di specie, la decurtazione non comporta la
modifica di un rapporto sinallagmatico nemmeno ravvisabile atteso che
il sistema previdenziale poggia sulle previsioni dell'art. 38, comma
2, Cost. per garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita.
Di conseguenza, le disposizioni oggetto della presente ordinanza
di rimessione, essendo per quanto detto qualificabili come prelievo
tributario, violano gli articoli 3 e 53 Costituzione.
Cio' in quanto risulta evidente la violazione dei principi di
uguaglianza a parita' di reddito, atteso che la disposizione in
questa sede censurata colpisce una sola categoria di soggetti passivi
determinando cosi' una disparita' di trattamento, tanto piu' grave in
quanto la platea dei destinatari sono i pensionati, seppur con
redditi piu' elevati.
Violazione articoli 3, 23, 36 e 38 Costituzione.
Ove anche il prelievo in commento fosse inquadrato nell'alveo
delle prestazioni patrimoniali imposte per legge ai sensi dell'art.
23 Cost., ad avviso del giudicante sarebbe comunque irrispettoso dei
principi di ragionevolezza e proporzionalita' desumibili dal
combinato disposto degli articoli 3, 36 e 38 Cost.
La stessa Corte costituzionale, in piu' occasioni chiamata a
vagliare disposizioni analoghe, ha precisato che: In linea di
principio, il contributo di solidarieta' sulle pensioni puo'
ritenersi misura consentita al legislatore ove la stessa non eccedei
i limiti entro i quali e' necessariamente costretta in forza del
combinato operare dei principi, appunto, di ragionevolezza, di
affidamento e della tutela previdenziale (articoli 3 e 38 Cost.), il
cui rispetto e' oggetto di uno scrutinio «stretto» di
costituzionalita', che impone un grado di ragionevolezza complessiva
ben piu' elevato di quello che, di norma, e' affidato alla mancanza
di arbitrarieta' (sentenza n. 173 del 2016).
Cio' impone che il contributo, dunque, deve operare all'interno
dell'ordinamento presidenziale, come misura di solidarieta' «forte»,
mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno
previdenziale ai piu' deboli, anche in un'ottica di mutualita'
intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave crisi
del sistema stesso, indotta da vari fattori - endogeni ed esogeni (il
piu' delle volte tra loro intrecciati: crisi economica
internazionale, impatto sulla economia nazionale, disoccupazione,
mancata alimentazione della previdenza, riforme strutturali del
sistema pensionistico) - che devono essere oggetto di attenta
ponderazione da parte del legislatore, in modo da conferire
all'intervento quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della
quale soltanto puo' consentirsi di derogare (in termini accettabili)
al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento
pensionistico gia' maturato (sentenze n. 69 del 2014, n. 166 del
2012, n. 302 del 2010, n. 446 del 2002, ex plurimis) - (sentenza n.
173 cit., par. 11.1).
Ne deriva che il legislatore e' chiamato ad un bilanciamento tra
i valori e gli interessi costituzionali coinvolti ovvero, da un lato,
quello dei pensionati e, dall'altro lato, le esigenze finanziarie e
di equilibrio di bilancio dello Stato (cosi' Corte cost., sentenza n.
250 del 2017).
Significativo in tale contesto che nella citata sentenza della
Corte costituzionale n. 173 del 2016 sia stata ritenuta conforme a
Costituzione la previsione di un contributo di solidarieta' sia pur
al limite (cosi espressamente nel provvedimento), venendo in quella
occasione valorizzato il fatto che la misura operasse all'interno del
sistema previdenziale incidendo sulle pensioni di importo piu'
elevato con aliquote crescenti (in quel caso 6, 12 e 18 per cento)
soprattutto al fine di salvaguardare la posizione dei gia' citati
lavoratori esodati trattavasi peraltro di una misura contenuta in un
triennio (2014/2016).
Non senza considerare che, per quanto vero sia che nel nostro
sistema costituzionale non e' interdetto al legislatore di emanare
disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei
rapporti di durata, anche se il loro oggetto sia costituito da
diritti soggettivi perfetti, dette disposizioni non possono
trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere
sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti,
frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza
giuridica che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile
dello Stato di diritto; pertanto non potrebbe dirsi consentita una
modificazione legislativa che, intervenendo in una fase avanzata del
rapporto di lavoro, ovvero quando addirittura e' subentrato lo stato
di quiescenza, peggiorasse senza una inderogabile esigenza, in misura
notevole e in maniera definitiva un trattamento pensionistico in
precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vanificazione
delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo
successivo alla cessazione della propria attivita' (Corte cost.,
sentenza n. 349 del 1985).
Ebbene, ad avviso del giudicante tutte le condizioni sopra
indicate e scolpite dalla stessa giurisprudenza costituzionale non
sono ravvisabili in relazione al prelievo disposto dai commi 261 ss,
dell'art. 1, legge n. 145/18.
Si e' gia' accennato al paragrafo precedente al fatto che in
nessuno degli atti parlamentari tale misura venga in qualche modo
giustificata dalla necessita' di garantire la stabilita' del sistema
previdenziale ovvero tutelare le fasce piu' deboli dei pensionati,
come reso evidente dalla destinazione degli importi trattenuti ad un
Fondo che, pur essendo gestito presso Inps, non e' vincolato nei fini
e, all'esito della conferenza di servizi, ben potrebbe essere
acquisito al bilancio dello Stato.
La misura, inoltre, seppur incida sulle pensioni piu' elevate
(fissando inoltre una soglia minima del trattamento ridotto a 100.000
euro) e preservi quelle liquidate con il solo sistema contributivo,
presenta un sistema di aliquote all'interno di determinati scaglioni,
innegabilmente elevate ed idonee ad incidere in misura rilevante e
significativa sui trattamenti pensionistici.
Inoltre, sproporzionata, irragionevole e al limite della
abnormita' appare la durata fissata in cinque anni, benche'
l'ordinaria programmazione del bilancio sia fissata in un periodo di
tre anni (articoli 10 e 21, legge n. 196/2009), senza che legislatore
abbia minimamente dato conto delle ragioni che giustificherebbero una
misura temporale tanto afflittiva, senza dubbio idonea a divenire
definitiva per quei pensionati in eta' avanzata e con minor
aspettativa di vita.
Infine, risulta altresi' violato il principio di proporzionalita'
di cui all'art. 36 Cost.
In proposito e' noto che tale ultima disposizione si aggancia
all'art. 38 Cost. ma non in modo indefettibile e strettamente
proporzionale (Corte cost. n. 173/2016); salvo che resta pur sempre
la necessita' che il legislatore tenga conto della quantita' e
qualita' del lavoro svolto nella vita attiva dal pensionato,
assumendo pur sempre il trattamento pensionistico funzione
sostitutiva del cessato reddito da lavoro.
Ebbene, non e' francamente dato comprendere in forza di quale
criterio il legislatore abbia individuato le elevatissime aliquote di
riduzione delle pensioni liquidate con il metodo retributivo o misto.
Cio' soprattutto se si considera che anche per tali trattamenti
di quiescenza il pensionato ha versato durante la propria vita
lavorativa la relativa contribuzione, in relazione alla quale sarebbe
stato ragionevole pretendere che venisse giustificata la scelta di
individuare cosi' elevate aliquote di riduzione quantomeno avendo
riguardo a quale sarebbe stato il trattamento pensionistico ove mai
liquidato con il solo metodo contributivo, tanto piu' in relazione al
fatto che le pensioni liquidate con il sistema retributivo e in parte
quelle liquidate con il sistema misto non soggiacciono o soggiacciono
solo parzialmente alla limitazione del massimale contributivo.
Per contro, e' stata unicamente disposta una clausola di
salvaguardia con la previsione di un limite fissato in euro 100.000
al di sotto dei quali non e' consentita la riduzione della pensione.
La misura in commento, quindi, si palesa come irragionevole sia
internamente considerata sia in relazione alla disposta esenzione
dalla riduzione per i titolari di trattamento liquidato con il solo
sistema contributivo, in quanto la scelta legislativa non consente di
comprendere se e in che misura il fatto di essere titolari di
pensione liquidata con il solo trattamento contributivo giustificasse
la disparita' di trattamento.
Pertanto, appare palese la violazione dei canoni costituzionali
in commento.
Violazione articoli 117 Costituzione e 1 Protocollo n. 1 CEDU.
Ad avviso del remittente nel caso di specie e' altresi'
ravvisabile la violazione degli articoli 117 Cost. e 1 Protocollo 1
CEDU.
In proposito si osserva innanzitutto che e' ormai pacifico che:
il parametro costituito dall'art. 117, primo comma, Cost.
diventa concretamente operativo solo se vengono determinati quali
siano gli «obblighi internazionali» che vincolano la potesta'
legislativa dello Stato e delle Regioni. Nel casa specifico
sottoposto alla valutazione di questa Corte, il parametro viene
integrato e reso operativo dalle norme della CEDU, la cui finzione e'
quindi di concretizzare nella fattispecie la consistenza degli
obblighi internazionali dello Stato;
la CEDU presenta, rispetto agli altri trattati internazionali,
la caratteristica peculiare di aver previsto la competenza di un
organo giurisdizionale, la Corte europea per i diritti dell'ironia,
cui e' affidata la funzione di interpretare le norme della
Convenzione stessa. Difatti l'art. 32, paragrafo 1, stabilisce: «La
competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti
l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi
protocolli che siano sottoposte ad essa alle condizioni previste
negli articoli 33, 34 e 47». Poiche' le norme giuridiche vivono
nell'interpretazione che ne danna gli operatori del diritto, i
giudici in primo luogo, la naturale conseguenza che deriva dall'art.
32, paragrafo 1, della Convenzione e' che tra gli obblighi
internazionali assunti dall'Italia con la sottoscrizione e la
ratifica della CEDU vi e' quello di adeguare la propria legislazione
alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte
specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed
applicazione. Non si puo' parlare quindi di una competenza
giurisdizionale che si sovrappone a quella degli organi giudiziari
dello Stato italiano, ma di una funzione interpretativa eminente che
gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea,
contribuendo con cio' a precisare i loro obblighi internazionali
nella specifica materia;
anche le norme CEDU devono essere rispettose delle disposizioni
costituzionali per la necessaria tutela degli interessi
costituzionalmente protetti contenuta in altri articoli della
Costituzione (Corte cost., sentenza n. 348/2007).
Tanto premesso, ai sensi dell'art. 1 del Protocollo n. «Ogni
persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni.
Nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa di
pubblica utilita' e nelle condizioni previste dalla legge e dai
principi generali del diritta internazionale. Le disposizioni
precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in
vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso
dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il
pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»
Nell'interpretare tale disposizione la Corte EDU ha statuito che:
54. La Corte ribadisce che, secondo la propria giurisprudenza,
un ricorrente puo' lamentare una violazione dell'art. 1 del
Protocollo n. 1 solo se le decisioni da lui contestate si riferiscono
ai suoi «beni» cosi' come definiti in tale disposizione. Il concetto
di «beni» puo' comprendere tanto i «beni attuali» quanto i valori
patrimoniali, ivi inclusi, in alcune situazioni ben definite, i
crediti. Perche' un credito possa essere considerato un «valore
patrimoniale», rientrante nel campo di applicazione dell'art. 1 del
Protocollo n. 1, il titolare del credito deve dimostrare che esso ha
sufficiente fondamento nel diritto interno, ad esempio che e'
confermato da una consolidata giurisprudenza dei tribunali nazionali.
Una volta dimostrato cio', puo' entrare in gioco il concetto di
«legittima aspettativa» (si veda Maurice c. Francia [GC], n.
11810/03, § 63, CEDU 2005 IX).
55. L'art. 1 del Protocollo n. 1 non garantisce, di per se',
alcun diritto di diventare proprietario di un bene (si vedano Van der
Mussele c. Belgio, 23 novembre 7983, § 48, Serie A n. 70; Slivenko e.
Lettonia (dec.) [GC], n. 48321 /99, § 121, CEDU 2002-II; e Kopeckỳ c.
Slovacchia [GC], n. 44912/98, j 35 (b), CEDU 2004-IX). Ne'
garantisce, in quanto tale, il diritto a una pensione di un
determinato importo (si vedano, a titolo esemplificativo, Kjartan
Asmundsson e. Islanda, n. 60669/00, § 39, CEDU 2004-IX; Domalewski c.
Polonia (dec.), n. 34610/97, CEDU 1999-V; e Janković e. Croazia
(dec.), n. 43440/98, CEDU 2000-X). Parimenti, non garantisce neppure
il diritta di ricevere una pensione per le attivita' prestate in uno
Stato diverso dallo Stato convenuto (si veda L.B. c. Austria (dec.),
n. 39802/98, 18 aprile 2002). Tuttavia, un «credito» relativo ad una
pensione pero' costituire un «valore patrimoniale» ai sensi dell'art.
1 del Protocollo n. 1, laddove esso abbia sufficiente fondamento nel
diritto interno, ad esempio sia stato confermato da una sentenza
definitiva (si vedano Pravednaya c. Russia, n. 69529/01, §§ 37-39, 18
novembre 2004; e Bulgakova, sopra citata, § 31).
56. La Corte ricorda che l'art. 1 del Protocollo n. 1 contiene
l'enunciazione di tre norme distinte: «la prima, espressa nella prima
frase del primo comma, riveste un carattere generale ed enuncia il
principio del pieno godimento della proprieta'; la seconda, che
figura nella seconda frase dello stesso comma, concerne la privazione
della proprieta' e la assoggetta a determinate condizioni; la terza,
espressa nel secondo colma, riconosce agli Stati contraenti il
diritto, tra gli altri, di disciplinare l'uso dei beni in modo
conforme all'interesse generale. Le tre norme, tuttavia, non sono
«distinte» nel senso che non sono in rapporto tra loro. La seconda e
la terza riguardano casi particolari di violazione del diritto al
pieno godimento della proprieta', e dovrebbero pertanto interpretarsi
alla luce del principio generale enunciato nella prima» (si vedano,
tra le altre, James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 37,
Serie A n. 98; Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 55, CEDU
1999-II; e Beyeler c. Italia [GC], 11. 33202/96, § 98, CEDU 2000-I).
57. Condizione essenziale affinche' un'ingerenza sia considerata
compatibile con l'art. 1 del Protocollo n. 1 e' che essa sia
legittima. Qualsiasi ingerenza di un'autorita' pubblica nel pieno
godimento della proprieta' puo' essere giustificata unicamente se
risponde ad un interesse pubblico (o generale). In linea di massima
le autorita' nazionali, grazie ad una conoscenza diretta della loro
societa' e dei bisogni della stessa, possono stabilire cosa rientri
«nel pubblico interesse» meglio del giudice internazionale. Di
conseguenza, nel sistema di tutela creato dalla Convenzione, spetta
ad esse pronunciarsi per prime sull'esistenza di un problema di
interesse generale, che giustifichi l'adozione di misure che
interferiscono con il pieno godimento della proprieta' (si vedano
Terazzi S.r.l. c. Italia, n. 27265/95, § 85, 17 ottobre 2002, e
Wieczorek c. Polonia, n. 18176/05, § 59, 8 dicembre 2009). L'art. 1
del Protocollo n. 1 richiede altresi' che ogni ingerenza debba essere
ragionevolmente proporzionata al fine perseguito (si veda Jahn e
altri c. Germania [GC], nn. 46720/99, 72203/01 e 72552/01, §§ 81-94,
CEDU 2005-VI). Il requisito del giusto equilibrio non e' rispettato
se la persona interessata deve sostenere un onere individuale
eccessivo (si veda Sporrong e Lӧnnroth c. Svezia, 23 settembre 1982,
§§ 69-74, Sede A n. 52).
58. Laddove l'importo di un beneficio sia ridotto o sospeso, cio'
puo' costituire un'ingerenza nella proprieta', che deve essere
giustificata (si vedano Kjartan Asmundsson, sopra citata, § 40, e
Rasmussen c. Polonia, n. 38886/05, § 71, 28 aprile 2009) - (Corte
Edu, causa Maggio e altri c. Italia, ricorsi nn. 46286/09, 5285/08,
53727/08, 54486/08 e 56001/08) - (causa Causa Maggio e altri c.
Italia (ricorsi nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e
56001/08)).
Di conseguenza anche un «credito» relativo ad una pensione puo'
costituire un «valore patrimoniale», la cui riduzione (e la correlata
interferenza nei suo pieno godimento da parte dello Stato nazionale)
puo' essere giustificata nella misura in cui sussista un interesse
pubblico e a fronte di un intervento ragionevolmente proporzionato al
fine perseguito.
Occorre pertanto verificare se il legislatore abbia
effettivamente garantito il giusto equilibrio tra l'interesse
generale e quello di salvaguardia dei diritti dell'individuo.
In proposito la Corte EDU ha precisato che tale valutazione e'
innanzitutto di pertinenza del legislatore nazionale, cui spetta
l'esame della pubblica utilita' di una disposizione alla luce di
questioni di ordine politico, economico e sociale; ove l'intervento
sia finalizzato a garantire un equilibrio di bilancio, preservare i
livelli minimi delle prestazioni sociali e la sopravvivenza del
sistema previdenziale, eventualmente dell'ambito di una situazione
finanziaria critica ed esposta anche a procedure di infrazione della
Commissione Europea, puo' ritenersi legittimo (sentenza resa nelle
cause nn. 27166/18 e 27167/18, Aielli e altri contro Italia e Arboit
e altri contro Italia, paragrafi 26-29).
Tale ultimo provvedimento (reso su ricorso di pensionati a
seguito delle note vicende determinatesi in forza della sentenza n.
70/15 della Corte costituzionale che dichiarava incostituzionale
l'art. 24, comma 25, DL 201/11 cui seguiva l'adozione del
decreto-legge n. 65/15) richiama poi - quanto al requisito della
proporzionalita' dell'intervento necessariamente finalizzato a
garantire il giusto equilibrio tra le esigenze di interesse generale
e la salvaguardia dei diritti fondamentali dei singoli - la
necessita' che l'intervento non abbia comunque un impatto
significativo sulle pensioni (tanto da evidenziare che nel caso
all'epoca oggetto di esame non incidesse sul trattamento
pensionistico ma solo sul meccanismo di adeguamento al costo della
vita) (paragrafi 32-36).
Ed allora, risulta evidente, ad avviso del giudicante, che nel
caso di specie difettino tutti i requisiti per ritenere che la
disposizione oggetto di censura sia rispettosa dell'art. 1 del
Protocollo 1 CEDU per come interpretata dalla Corte EDU.
A tale riguardo, si richiamano innanzitutto le ampie motivazioni
di cui ai paragrafi precedenti circa l'assenza, anche negli atti
preparatori, di ragioni di interesse pubblico e generale ovvero di
salvaguardia del sistema previdenziale poste alla base
dell'intervento legislativo oggetto di scrutinio di
costituzionalita'.
L'intervento, poi, non e' rispettoso del principio di
proporzionalita' dell'ingerenza per come sopra individuata.
Da un lato, in quanto incide direttamente sul trattamento
pensionistico e non solo su una misura ad esso accessoria e,
dall'altro lato, come gia' detto in precedenza, per l'elevata misura
delle aliquote applicate e l'abnorme durata quinquennale,
all'evidenza lesive del pieno godimento della proprieta' per come
definita dalla Corte EDU.
Violazione articoli 3, 36 e 38 Cost. in relazione all'art. 1, comma
260, legge n. 145/18.
Un altro profilo di incostituzionalita' rilevante del presente
giudizio concerne la previsione della limitazione della perequazione
disposta dall'art. 1, comma 260, legge n. 145/18, che, per il periodo
2019/2021, ha espressamente previsto che la rivalutazione automatica
dei trattamenti pensionistici disciplinata dall'art. 34, comma 1,
della legge 23 dicembre 1998, n. 448, sia riconosciuta, per quanto di
interesse, nella misura del 40 per cento per i trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a nove volte il trattamento
minimo INPS.
I profili di criticita' di tale disposizione devono essere
necessariamente considerati sia per l'impatto che di per se'
comportano sul trattamento pensionistico sia in relazione al prelievo
di cui si e' gia' discusso ai paragrafi precedenti.
Cio' in quanto, a tale ultimo proposito, appare evidente che se
gia' il prelievo sui trattamenti pensionistici e' da ritenersi
irrispettoso dei canoni costituzionali di ragionevolezza, adeguatezza
e proporzione, anche alla luce della sua significativa durata, a
maggior ragione tali profili di censura devono ritenersi ravvisabili
ove considerati alla luce dell'ulteriore pregiudizio comportato dal
parziale blocco della perequazione.
Il sacrificio richiesto dal legislatore, difatti, considerati
altresi' i blocchi o le limitazioni della perequazione di cui anche
l'odierno ricorrente e' stato destinatario (ci si riferisce alla
previsione di cui all'art. 1, comma 25, D.L. 201/2011 come modificato
dalla legge n. 65/15 e ritenuto costituzionalmente legittimo dalla
nota sentenza 250/17) non appare giustificato e ragionevole.
Senza voler ripetere le ampie argomentazioni di cui ai paragrafi
precedenti cui si rimanda, sia sufficiente evidenziare che un
pensionato quale il ricorrente si trova ad aver subito un blocco
totale della perequazione per il biennio 2012/2013, oltre che una
misura limitata al 40% per quanto previsto dall'art. 1, comma 483,
legge n. 14/2013 per il triennio 2014/2016, poi estesa anche per il
biennio 2017/2018 dall'articolo 1, comma 286, legge n. 208/15.
Ebbene, e' difficilmente revocabile in dubbio che tutte le
disposizioni in commento, rispetto alle quali e' necessario ribadite
l'assenza di ragioni che ne giustifichino l'adozione da parte del
legislatore (tanto negli atti parlamentari di cui si e' sopra dato
conto che nella stessa previsione normativa), comportano un evidente
pregiudizio per l'affidamento dei pensionati, senza che lo stesso
risulti giustificato da situazioni di emergenza, di tutela della
tenuta del sistema previdenziale o delle fasce piu' deboli di
pensionati.
La limitazione della perequazione e' comunque da ritenersi
costituzionalmente illegittima anche da sola considerata.
E' noto, anche in forza dell'ampio contenzioso che negli ultimi
anni si e' venuto a creare, che la rivalutazione automatica dei
trattamenti pensionistici costituisce uno strumento tecnico teso a
salvaguardare le pensioni dall'erosione del potere di acquisto
causata dall'inflazione, anche dopo il collocamento a riposo con il
fine di assicurare il rispetto nel tempo dei principi di adeguatezza
e di proporzionalita' dei trattamenti di quiescenza (Corte cost., n.
70/2015).
Trattasi nel dettaglio di disposizione ispirata al principio di
solidarieta' sotteso alla previsione dell'art. 38 Cost. rispetto alla
quale il legislatore, nell'esercizio della propria discrezionalita',
ove intenda bloccare o comunque limitare la perequazione, e' comunque
chiamato a bilanciare secondo criteri non irragionevoli, i valori
egli interessi costituzionali coinvolti, che ben potrebbero anche
riguardare necessita' di contenimento della spesa sempre nel rispetto
del divieto di comprimere le esigenze di vita cui precedentemente era
commisurata la prestazione previdenziale (cosi' Corte cost. n. 240
del 1994).
In tutte le pronunce della Consulta e' sempre stata valorizzata
la necessita' che il pregiudizio all'interesse dei pensionati a
preservare il potere di acquisto dei trattamenti previdenziali possa
essere sacrificato sull'altare delle esigenze finanziarie e di
equilibrio di bilancio dello Stato nel rispetto del principio di
ragionevolezza, declinato anche sotto il profilo della necessaria
trasparenza della scelta legislativa che dia adeguatamente conto
delle ragioni dell'intervento.
In tal senso il principio di ragionevolezza rappresenta il
cardine intorno a cui devono ruotare le scelte del legislatore della
materia pensionistica e assurge, per questa sua centralita', a
principio di sistema e allorquando l'intervento del legislatore sia
finalizzato a risparmi di spesa questi ultimi devono essere
accuratamente motivati, il che significa sostenuti da valutazioni
della situazione finanziaria basale su dati oggettivi (cosi' da
ultimo Corte cost., n. 250/2017).
Tanto piu' se si considera che, come noto, il blocco o comunque
la limitazione della perequazione hanno comunque natura definitiva,
atteso che, ove anche successivamente ripristinata la rivalutazione
nella sua pienezza, lo sarebbe solo sull'importo nominale del
trattamento pensionistico eroso dal mancato adeguamento.
Ebbene, gli atti parlamentari di cui si e' gia' dato ampiamente
conto ai paragrafi precedenti (ovvero la Nota di lettura del serio
del bilancio della Camera dei Deputati e il Dossier del servizio
studi su modifiche del Senato) non consentono all'interprete di
comprendere quale sia la motivazione alla base dell'intervento in
commento.
Nella Nota di lettura del servizio del bilancio della Camera dei
Deputati, difatti, tutti gli interventi in ambito pensionistico sono
unicamente valorizzati al fine di evidenziare il previsto maggior
gettito per il bilancio dello Stato.
Nella sezione del Dossier del servizio studi su modifiche del
Senato specificamente dedicata alla tematica della perequazione
automatica e' possibile rinvenire unicamente una ricostruzione della
normativa e giurisprudenza costituzionale in materia senza che
vengano minimamente declamate le ragioni poste alla base
dell'intervento.
Il legislatore e' quindi venuto meno al rispetto dei canoni
fissati dalla giurisprudenza costituzionale, senza quindi rendere
evidenti e comprensibili le ragioni delle scelte adottate e qui
censurate, che risultano quindi non rispettose dei criteri di
ragionevolezza e proporzionalita' a fondamento degli artt. 3, 36 e 38
Cost.
Per quanto detto va sollevata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 260 e 261, della legge n. 145/2018
attesa, da un lato, la evidente rilevanza della questione al fine del
decidere nonche' la non manifesta infondatezza della questione stessa
(per violazione dei parametri costituzionali sopra indicati) e
l'impossibilita' di una interpretazione costituzionalmente conforme.
Visto l'art. 23, legge n. 87/1953.
P. Q. M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale:
1) dell'art. 1, comma 260, legge n. 145/2018, per contrasto con
gli articoli 3, 36 e 38 Cost., nella parte in cui per il periodo
2019/2021 riconosce la rivalutazione automatica delle pensioni
superiori a nove volte il trattamento minimo nella misura del 40%;
2) dell'art. 1, comma 261, legge n. 145/2018, per contrasto con
gli articoli 3, 23, 36, 38, 53 Cost. e con l'art. 117 Cost. in
relazione all'art. 1 Protocollo n. 1 CEDU, nella parte in cui dispone
un'aliquota di riduzione del trattamento pensionistico pari al
quindici per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a
130.000 euro, pari al 25 per cento per la parte eccedente 130.000
euro fino a 200.000 euro, pari al 30 per cento per la parte eccedente
200.000 euro fino a 350.000 euro, pari al 35 per cento per la parte
eccedente 350.000 euro fino a 500.000 euro e pari al 40 per cento per
la parte eccedente 500.000 euro;
dispone la sospensione del presente giudizio;
ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale, con gli atti e con la prova delle notificazioni e
delle comunicazioni di cui all'art. 23, legge n. 87 dell'11 marzo
1953 (come prescritto dagli articoli 1 e 2 del regolamento della
Corte costituzionale 16 marzo 1956);
ordina alla Cancelleria che la presente ordinanza venga
notificata alle parti del presente giudizio, al Presidente del
Consiglio dei ministri nonche' al Presidente del Senato della
Repubblica e al Presidente della Camera dei Deputati.
Milano, 20 gennaio 2020
Il Giudice: Perillo
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