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mercoledì 27 maggio 2020

N. 46 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 gennaio 2020 Ordinanza del 20 gennaio 2020 del Tribunale di Milano nel procedimento civile promosso da Imbert Federico contro Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - Inps, Ministero dell'economia e delle finanze e Presidenza del Consiglio dei ministri..



N. 46 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 gennaio 2020

Ordinanza  del  20  gennaio  2020  del  Tribunale   di   Milano   nel
procedimento civile  promosso  da  Imbert  Federico  contro  Istituto
Nazionale della Previdenza Sociale - Inps, Ministero dell'economia  e
delle finanze e Presidenza del Consiglio dei ministri.. 
 
Pensioni - Legge di bilancio  2019  -  Rivalutazione  automatica  dei
  trattamenti pensionistici per il periodo 2019-2021 - Meccanismo  di
  rivalutazione  -  Intervento  di  riduzione   della   rivalutazione
  automatica delle pensioni di elevato importo. 
Pensioni - Legge di bilancio 2019 - Trattamenti pensionistici diretti
  a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti,  delle  gestioni
  speciali  dei  lavoratori  autonomi,   delle   forme   sostitutive,
  esclusive ed esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria e
  della gestione separata di cui  all'articolo  2,  comma  26,  della
  legge 8  agosto  1995,  n.  335,  i  cui  importi  complessivamente
  considerati superano 100.000 euro lordi su base annua -  Intervento
  di  decurtazione  percentuale,  per  la  durata  di  cinque   anni,
  dell'ammontare lordo annuo. 
- Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello  Stato
  per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il  triennio
  2019-2021), art. 1, commi 260 e 261. 
(GU n.22 del 27-5-2020 )
 
                    TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO 
                           Sezione lavoro 
 
    Il Giudice dott. Tullio Perillo letti  gli  atti  e  i  documenti
della causa iscritta al n. 9609/2019 RGL pendente tra Imbert Federico
(c.f:  MBRFRC51H19F839N),  con  gli  avvocati  Vincenzo  Fortunato  e
Francesco  Saverio  Marini,  con  domicilio  eletto  in  Milano,  via
Fretelli Gabba n. 6 - ricorrente; 
    contro INPS (02121151001),  con  l'avvocato  Carla  Maria  Omodei
Zorini, con domicilio eletto in Milano, via Savare' n. 1 e, 
    contro Ministero dell'Economia e delle  Finanze  (80415740580)  e
Presidenza del Consiglio dei ministri (80188230587), con l'Avvocatura
dello Stato di Milano, con domicilio  legale  in  Milano,  via  Carlo
Freguglia n. 1 - resistenti - sciogliendo la riserva assunta in  data
16 gennaio 2020, svolge le seguenti considerazioni. 
    Con ricorso al Tribunale di Milano,  quale  Giudice  del  Lavoro,
depositato in data 11 ottobre 2019, Imbert Federico ha  convenuto  in
giudizio le  resistenti  in  epigrafe  indicate  chiedendo  -  previo
promovimento della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
1, commi 260, 261, 262, 263, 265, 267 e 268 della legge  n.  145  del
2008  -  l'accertamento:  i)  del  diritto  al   riconoscimento   del
trattamento pensionistico senza la decurtazione di  cui  all'art.  1,
commi 261-268, legge n. 145/2008; ii) del diritto alla corresponsione
del trattamento pensionistico rivalutato,  senza  il  blocco  di  cui
all'art.  1,  comma  260,  della  legge  n.  145  del  2008  e   iii)
dell'illegittimita' delle ritenute operate da INPS; per l'effetto  ne
ha chiesto la condanna a corrispondere il  trattamento  pensionistico
integrale senza decurtazioni e alla  restituzione  delle  somme  gia'
trattenute. 
    Si  sono  ritualmente  costituiti  in  giudizio  INPS,  Ministero
dell'Economia e delle Finanze e Presidenza del Consiglio dei ministri
contestando in fatto e in diritto l'avversario ricorso. 
    Per quanto di interesse il ricorrente, con  decorrenza  1°  marzo
2010, e' titolare di pensione categoria VDAI  (ex  INPDAI,  liquidata
con sistema retributivo) n. 06144585 a carico di INPS e nel  presente
giudizio si duole che, per effetto delle previsioni  della  legge  n.
145/18,  sia  stata  effettuata   una   riduzione   sul   trattamento
pensionistico nella misura mensile  di  euro  20.644,25  destinata  a
valere per il periodo 2019/2023,  oltre  che  una  limitazione  della
perequazione del trattamento disposta dalla  medesima  legge  per  il
periodo  2019/2021,  per  una  riduzione  mensile   complessiva   del
trattamento pari a circa euro 21.000. 
    Parte   ricorrente    ha    quindi    eccepito    preliminarmente
l'incostituzionalita' di tali disposizioni. 
    Tanto premesso si osserva quanto segue. 
    A mente dell'art. 1, legge n. 145/18, per quanto di  rilievo,  e'
stato previsto che: 
    260. Per il periodo 2019/2021  la  rivalutazione  automatica  dei
trattamenti pensionistica; secondo il meccanismo stabilito  dall'art.
34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta: 
      a) per i  trattamenti  pensionistici  complessivamente  pari  o
inferiori a tre volte il trattamento minimo INPS,  nella  misura  del
100 per cento; 
      b) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a
tre volte il trattamento minimo INPS e  con  riferimento  all'importo
complessivo dei trattamenti medesimi: 
        1)  nella  misura  del  97  per  cento  per   i   trattamenti
pensionistici complessivamente pari o inferiori a  quattro  volte  il
trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore  a  tre
volte il predetto  trattamento  minimo  e  inferiore  a  tale  limite
incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante  sulla
base di quanto previsto dalla lettera a), l'aumento di  rivalutazione
e'  comunque  attribuito  fino  a  concorrenza  del  predetto  limite
maggiorato. 
      Per le  pensioni  di  importo  superiore  a  quattro  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dal presente numero, l'aumento  di  rivalutazione  e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; 
        2)  nella  misura  del  77  per  cento  per   i   trattamenti
pensionistici  complessivamente  superiori   a   quattro   volte   il
trattamento minimo  INPS  e  pari  o  inferiori  a  cinque  volte  il
trattamento minimo INPS. 
      Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto
trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota
di rivalutazione automatica spettante sulla base di  quanto  previsto
dal  presente  numero,  l'aumento  di   rivalutazione   e'   comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
        3)  nella  misura  del  52   per   cento   peri   trattamenti
pensionistici  complessivamente   superiori   a   cinque   volte   il
trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento
minimo INPS. Per le pensioni di importo  superiore  a  sei  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dal presente numero, l'aumento  di  rivalutazione  e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; 
        4)  nella  misura  del  47  per  cento  per   i   trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a sei volte  il  trattamento
minimo INPS e pari o inferiori a otto  volte  il  trattamento  minimo
INPS. Per le pensioni di importo superiore a otto volle  il  predetto
trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota
di rivalutazione automatica spettante sulla base di  quanto  previsto
dal  presente  numero,  l'aumento  di   rivalutazione   e'   comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
        5)  nella  misura  del  45  per  cento  per   i   trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a otto volte il  trattamento
minimo INPS e pari o inferiori a nove  volte  il  trattamento  minimo
INPS. Per le pensioni di importo superiore a nove volte  il  predetto
trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota
di rivalutazione automatica spettante sulla base di  quanto  previsto
dal presente numero, l'aumento di rivalutazione i comunque attribuito
fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
        6)  nella  misura  del  40  per  cento  per   i   trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a nove volte il  trattamento
minimo INPS. 
    261. A decorrere dalla data di entrata in vigore  della  presente
legge e per la durata di cinque  anni,  i  trattamenti  pensionistici
diretti a carico del  Fondo  pensioni  lavoratori  dipendenti,  delle
gestioni speciali dei lavoratori autonomi, delle  forme  sostitutive,
esclusive ed esonerative dell'assicurazione generale  obbligatoria  e
della Gestione separata di cui all'art. 2, comma 26,  della  legge  8
agosto 1995, n.  335,  i  ari  importi  complessivamente  considerali
superino  100.000  euro  lordi  su  base  annua,  sono   ridotti   di
un'aliquota di riduzione pari al 15 per cento per la parte  eccedente
il predetto importo fino a 130.000 euro, pari al 25 per cento per  la
parte eccedente 130.000 euro fino a 200.000  euro,  pari  al  30  per
cento per la parte eccedente 200.000 euro fino a 350.000  euro,  pari
al 35 per cento per la parte eccedente 350.000 euro  fino  a  500.000
euro e pari al 40 per cento per la parte eccedente 500.000 euro. 
    262.  Gli  imporli  di  cui  al  comma  261  sono  soggetti  alla
rivalutazione automatica secondo il  meccanismo  stabilito  dall'art.
34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448. 
    263. La riduzione di cui al comma 261 si applica  in  proporzione
agli  importi  dei  trattamenti  pensionistici,  ferma  restando   la
clausola di salvaguardia di cui al comma 267. La riduzione di cui  al
comma 261 non si applica comunque alle pensioni interamente liquidate
con il sistema contributivo. 
    264. Gli organi costituzionali  e  di  rilevanza  costituzionale,
nell'ambito della loro autonomia, si adeguano  alle  disposizioni  di
cui ai commi da 261 a 263 e 265 dalla data di entrata in vigore della
presente legge. 
    265. Presso l'INPS e gli  altri  enti  previdenziali  interessati
sono  istituiti  appositi  fondi  denominati  «Fondo  risparmio   sui
trattamenti pensionistici di importo elevato» in cui  confluiscono  i
risparmi derivati dai sommi da 261 a  263.  Le  somme  ivi  confluite
restano accantonate. 
    266. Nel Fondo  di  cui  al  somma  265  affluiscono  le  risorse
rivenienti dalla riduzione di cui ai sommi da 261  a  263,  accertate
sulla base del procedimento di cui all'art. 14 della legge  7  agosto
1990, n. 241. 
    267. Per effetto  dell'applicazione  dei  commi  da  261  a  263,
l'importo complessivo dei trattamenti pensionistici diretti non  puo'
comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi su base annua. 
    268. Sono esclusi dall'applicazione delle disposizioni di cui  ai
commi  da  261  a  263  le  pensioni  di   invalidita',   trattamenti
pensionistici di invalidita' di cui alla legge  12  giugno  1984,  n.
222, i trattamenti  pensionistici  riconosciuti  ai  superstiti  e  i
trattamenti riconosciuti a favore delle vittime del dovere o di adoni
terroristiche, di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466, e alla legge
3 agosto 2004, n. 206. 
    L'interpretazione  delle   disposizioni   sopra   richiamate   e'
inequivoca e non lascia margine di dubbio alcuno  circa  l'intenzione
del  legislatore   di   operare   una   riduzione   sui   trattamenti
pensionistici  dei  lavoratori  dipendenti  (con   esclusione   delle
pensioni liquidate con sistema contributivo) secondo  un  sistema  di
riduzione  per  aliquote  progressive  a   seconda   di   determinati
scaglioni, meccanismo cui si aggiunge altresi' la  limitazione  della
perequazione prevista secondo aliquote decrescenti. 
    Cio' rende vano ogni tentativo di interpretazione  adeguatrice  e
necessario l'incidente di costituzionalita'. 
    Nel caso di  specie  il  ricorrente,  titolare  di  una  pensione
dell'importo annuo di euro 872.795,04, e' soggetto alla riduzione del
trattamento per una aliquota iniziale del 15% fino  a  euro  130.000,
una successiva aliquota del 25% per la parte eccedente  fino  a  euro
200.000, un'aliquota del 30% per  la  parte  eccedente  fino  a  euro
350.000, un'aliquota del 35% per  la  parte  eccedente  fino  a  euro
500.000 ed infine  del  40%  per  la  parte  eccedente;  inoltre  sul
trattamento pensionistico opera  la  limitazione  della  perequazione
prevista, nel caso  di  specie  (pensione  superiore  a  9  volte  il
trattamento minimo), nella misura del 40%. 
    Di conseguenza, e'  evidente  la  rilevanza  della  questione  di
costituzionalita' di cui  ai  paragrafi  successivi,  atteso  che  le
disposizioni   sopra   richiamate   vincolano   innanzitutto   l'ente
previdenziale ad applicare le riduzioni ivi previste e non consentono
una interpretazione costituzionalmente conforme dal che  deriverebbe,
ove mai venisse ritenuta manifestamente  infondata  la  questione  di
costituzionalita', il rigetto delle domande attoree. 
    Ebbene, ritiene il giudicante che  le  disposizioni  in  commento
presentino plurimi profili di incostituzionalita'. 
    Occorre sin d'ora premettere che non e'  e  non  puo'  essere  in
discussione in questa sede la discrezionalita'  del  legislatore  nel
predisporre interventi che possano  anche  incidere  sui  trattamenti
pensionistici in  essere,  sia  nell'eventuale  ottica  di  garantire
l'equilibrio di bilancio secondo le previsioni dell'art. 81 Cost. sia
per fronteggiare situazioni di squilibri finanziari ovvero  garantire
l'adempimento di obiettivi concordati in sede europea. 
    Nondimeno, ove anche nel caso di specie tali fossero le finalita'
del legislatore, resterebbe pur  sempre  il  vincolo  di  intervenire
rispettando il  limite  della  ragionevolezza  affinche'  l'esercizio
della sua discrezionalita' porti all'adozione di  soluzioni  coerenti
con i parametri costituzionali (cosi' Corte cost., n. 70 del 2015). 
Violazione articoli 3 e 53 Costituzione. 
    Tanto premesso, ad avviso del  giudicante  un  primo  profilo  di
incostituzionalita' delle disposizioni in commento  e'  da  ravvisare
nella natura di tributo attribuibile al prelievo. 
    La giurisprudenza costituzionale, in  fattispecie  analoghe,  ha.
gia' avuto modo di individuare i presupposti  necessari  in  presenza
dei quali una misura, a prescindere dal  nomen  iuris,  possa  essere
ricondotta nella categoria delle imposte. 
    Cio' si  verifica  allorquando  gli  importi  trattenuti  vengano
acquisiti allo Stato, destinati alla  fiscalita'  generale  (rispetto
alla quale Inps assumerebbe al piu' la veste di sostituto di imposta)
e  non  gia'  trattenuti  all'interno  delle  gestioni  previdenziali
nell'ambito     delle     specifiche     finalita'     solidaristiche
endo-previdenziali (cosi' Corte cost., sentenza n. 173 del 2016, par.
9), comportando una definitiva decurtazione patrimoniale del soggetto
passivo (Corte cost., sentenza n. 70 del 2015). 
    In particolare si e' osservato che: La giurisprudenza  di  questa
Corte ha costantemente precisato che gli elementi indefinibili  della
fattispecie tributaria sono tre: la  disciplina  legale  deve  essere
diretta, in via prevalente, a procurare una (definitiva) decurtazione
patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non  deve
integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico  (nella  specie,
di una voce retributiva di un rapporto di lavoro  ascrivibile  ad  un
dipendente di lavoro pubblico statale  «non  contrattualizzato»);  le
risorse  connesse  ad  un  presupposto  economicamente  rilevante   e
derivanti dalla suddetta  decurtazione  sono  destinate  a  sovvenire
pubbliche spese (Corte cost. n. 23/12 par 12.3). 
    Ebbene, non vi sono dubbi circa la definitivita' della misura  in
commento, atteso che non sono previsti, da,  parte  del  legislatore,
alla scadenza del quinquennio di durata della trattenuta,  meccanismi
che, in tutto o in parte, ne consentano il recupero al pensionato. 
    E' poi ravvisabile quantomeno una potenziale acquisizione di tali
risorse al bilancio dello Stato, tenuto conto  che  l'art.  1,  comma
265, legge n. 145/18, prevede che gli importi risparmiati per effetto
del prelievo vengano depositati presso  un  Fondo  di  risparmio  sui
trattamenti  pensionistici  di  importo  elevato  istituito  (ma  non
necessariamente gestito e acquisito) presso Inps. 
    Il successivo comma 266 affida alla procedura della conferenza di
servizi  ogni  determinazione  sulla  destinazione  di   tali   fondi
accantonati, lasciando chiaramente intendere che  questi  ultimi  non
sono  necessariamente  vincolati  ad  essere  utilizzati  in   favore
dell'ente previdenziale (eventualmente per garantire  la  tenuta  del
sistema previdenziale) ben potendo essere  destinati  ad  altri  fini
anche esterni. 
    La  circostanza  non  e'  certamente  secondaria  e,  anzi,   era
percepita di tale rilevanza da essere  richiamata  come  elemento  di
criticita'  nel  Dossier  del  Servizio  studi  del  Senato,  ove  si
rappresentava l'opportunita' di chiarire in  modo  piu'  puntuale  le
modalita' di funzionamento della conferenza di servizi. 
    Nel   medesimo   dossier,   inoltre,   veniva    ripercorsa    la
giurisprudenza costituzionale sul  tema,  con  specifico  riferimento
allo casistica relativa alla natura tributaria o meno  del  prelievo,
dandosi rilievo proprio anche a quanto deciso nella  citata  sentenza
n. 173 del 2016 ed in particolar modo al fatto che il  contributo  di
solidarieta', per essere legittimo, dovesse essere interno al sistema
previdenziale  e  giustificato  in  via   eccezionale   dallo   crisi
contingente e grave del sistema medesimo. 
    Il fatto che il  legislatore,  nonostante  tali  profili  fossero
stati rappresentanti gia' in  fase  di  studio  dell'intervento,  non
abbia  inteso   ne'   dare   conto   di   ragioni   eccezionali   che
giustificassero il prelievo ne' prevederne una destinazione vincolata
in favore dell'ente previdenziale, lascia chiaramente  intendere  che
la  destinazione  al  Fondo  sia  stata  volutamente  e  scientemente
svincolata ad un fine  precipuo,  ben  potendo  quindi,  come  detto,
essere acquisita anche al bilancio dello Stato. 
    Sul punto, la stessa giurisprudenza costituzionale ha avuto  modo
di evidenziare che:  l'assenza  di  una  espressa  indicazione  della
destinazione  delle  maggiori  risorse  conseguite  dallo  Stato  non
esclude che siano  destinate  a  sovvenire  pubbliche  spese,  e,  in
particolare, a stabilizzare la finanza pubblica,  trattandosi  di  un
usuale comportamento del legislatore quello di non prevedere,  per  i
proventi  delle  imposte,  una  destinazione  diversa  dal   generico
«concorso alle  pubbliche  spese»  (cfr.  Corte  cost.,  sentenza  n.
223/2012, par. 12.3). 
    Ne' la misura appare finalizzata a garantire  la  stabilita'  del
sistema previdenziale ovvero  a  tutelare  particolari  categorie  di
pensionati. 
    Tale profilo  era  stato  invece  chiaramente  valorizzato  dalla
stessa Corte costituzionale allorquando era stata chiamata a valutare
la legittimita' del prelievo disposto dall'art. 1, comma  486,  legge
n. 147/2013, atteso che la natura non tributaria  della  disposizione
veniva individuata  anche  per  il  fatto  di  essere  specificamente
destinata ad assolvere  a  finalita'  solidaristiche,  in  quel  caso
individuate  nella  tutela  dei  soggetti  c.d.  esodati,  come  noto
categoria pregiudicata dalle riforme previdenziali  introdotte  dalla
legge n. 92/12 (cfr. Corte cost. sentenza n. 173 del 2016). 
    Anche in occasione dello scrutinio delle previsioni dell'art. 24,
commi 25 e 25-bis, decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201  convertito
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, era stata comunque  valorizzata
(al fine di escludere la natura tributaria del  prelievo  oggetto  di
sindacato di costituzionalita') la circostanza che  la  misura  fosse
finalizzata a tutelare in via prioritaria le categorie di  pensionati
con trattamenti pensionistici piu' bassi (Corte  cost.,  sentenza  n.
250 del 2017). 
    Ebbene, ad avviso del remittente  nessuno  di  tali  elementi  e'
ravvisabile nel caso di specie. 
    L'intervento   sulle   pensioni,   difatti,   e'    espressamente
finalizzato a garantire allo Stato un  maggior  gettito  (espressione
tipicamente utilizzata per qualificare un tributo statale o  locale),
come risulta  evidente  dalla  lettura  della  Nota  di  lettura  del
Servizio del bilancio della Camera dei Deputati, che cosi' si esprime
nel qualificarlo,  e  cio'  all'esito  della  interlocuzione  con  le
autorita' europee allorquando, come noto,  erano  state  inizialmente
manifestati dubbi e perplessita' sul  rispetto  dei  vincoli  europei
della manovra finanziaria. 
    Cio' trova ulteriore conferma  dalla  lettura  del  Dossier  alla
manovra di bilancio 2019/2021. Effetti sui saldi e  colto  risorse  e
impieghi redatto dal Servizio Bilancio  del  Senato  e  dal  Servizio
Bilancio dello Stato nel gennaio 2019 che - nella allegata Tabella 8,
individua le misure  sulle  pensioni  piu'  elevate  quali  mezzi  di
copertura degli interventi della  manovra  finanziaria,  nessuno  dei
quali  destinato  a  sostenere  il  sistema  previdenziale  (al  piu'
l'ampliamento della platea con i  pensionamenti  anticipati)  dandosi
quindi ancor maggiore evidenza della natura di tributo  della  misura
in commento. 
    Anzi,  proprio  nel  dossier  da  ultimo  richiamato  si   evince
chiaramente che  l'intervento  sulle  pensioni  piu'  elevate  e'  da
ritenersi non gia' finalizzato a  fronteggiare  situazioni  di  crisi
finanziaria o ispirato a principi solidaristici quanto ad evitare una
procedura   per   disavanzo   eccessivo,   in   quanto   l'originaria
programmazione  di  bilancio  dello  Stato  italiano  non   risultava
rispettosa della regola del debito. 
    In forza di cio' l'Italia, nell'ottica di garantire  il  rispetto
del Patto di stabilita' e  crescita,  interveniva  su  talune  misure
della manovra modificando i saldi. 
    Vero  che  il  Governo  italiano   dava   atto   di   un   quadro
macroeconomico che comportava  una  rivisitazione  al  ribasso  della
stima di  crescita  del  PIL,  del  perdurante  elevato  livello  dei
rendimenti sui titoli di Stato e del peggioramento delle  aspettative
sulla crescita. 
    Tuttavia, il quadro  delineato  non  assume  alcun  carattere  di
urgenza o criticita' finanziaria da giustificare  l'intervento  sulle
pensioni anche in un'ottica di finalita'  solidaristica  (interna  al
sistema o  in  generale  per  giustificare  sacrifici  in  capo  alla
collettivita' ivi compresi i pensionati). 
    Significativo evidenziare che, dal  lato  delle  misure  relative
alle spese, gli unici interventi che  dopo  l'interlocuzione  con  le
autorita' europee  venivano  introdotte  per  consentire  un  maggior
gettito riguardino proprio le pensioni piu'  elevate  insieme  ad  un
programma straordinario di dismissioni immobiliari, giacche'  per  il
resto  si  tratta  di  revisioni  di  stime  o  recupero  di  risorse
diversamente allocate; nessun ulteriore sacrificio viene previsto per
la  collettivita'  salvo  quello  imposto   ad   una   (assolutamente
ristretta) categoria di pensionati. 
    D'altra patte, come appena visto, la legge di bilancio, ben lungi
dal prevedere la necessita' di interventi sulle pensioni  di  importo
piu' elevato  al  fine  di  garantire  il  mantenimento  del  sistema
previdenziale  ed  eventualmente  tutelare  le  fasce  piu'   deboli,
introduce invece disposizioni per un anticipato accesso alla pensione
(c.d. quota 100, al chiaro fine di ampliare la  platea  dei  soggetti
che possano accedere al trattamento di quiescenza)  che  all'evidenza
mal  si  coniugherebbero  ove  disposte  nell'ambito  di  un  sistema
previdenziale in crisi. 
    Infine, anche nel caso di specie, la decurtazione non comporta la
modifica di un rapporto sinallagmatico nemmeno ravvisabile atteso che
il sistema previdenziale poggia sulle previsioni dell'art. 38,  comma
2, Cost. per garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita. 
    Di conseguenza, le disposizioni oggetto della presente  ordinanza
di rimessione, essendo per quanto detto qualificabili  come  prelievo
tributario, violano gli articoli 3 e 53 Costituzione. 
    Cio' in quanto risulta evidente la  violazione  dei  principi  di
uguaglianza a parita' di  reddito,  atteso  che  la  disposizione  in
questa sede censurata colpisce una sola categoria di soggetti passivi
determinando cosi' una disparita' di trattamento, tanto piu' grave in
quanto la platea  dei  destinatari  sono  i  pensionati,  seppur  con
redditi piu' elevati. 
Violazione articoli 3, 23, 36 e 38 Costituzione. 
    Ove anche il prelievo in  commento  fosse  inquadrato  nell'alveo
delle prestazioni patrimoniali imposte per legge ai  sensi  dell'art.
23 Cost., ad avviso del giudicante sarebbe comunque irrispettoso  dei
principi  di  ragionevolezza  e   proporzionalita'   desumibili   dal
combinato disposto degli articoli 3, 36 e 38 Cost. 
    La stessa Corte costituzionale,  in  piu'  occasioni  chiamata  a
vagliare  disposizioni  analoghe,  ha  precisato  che:  In  linea  di
principio,  il  contributo  di  solidarieta'  sulle   pensioni   puo'
ritenersi misura consentita al legislatore ove la stessa non  eccedei
i limiti entro i quali e'  necessariamente  costretta  in  forza  del
combinato  operare  dei  principi,  appunto,  di  ragionevolezza,  di
affidamento e della tutela previdenziale (articoli 3 e 38 Cost.),  il
cui   rispetto   e'   oggetto   di   uno   scrutinio   «stretto»   di
costituzionalita', che impone un grado di ragionevolezza  complessiva
ben piu' elevato di quello che, di norma, e' affidato  alla  mancanza
di arbitrarieta' (sentenza n. 173 del 2016). 
    Cio' impone che il contributo, dunque, deve  operare  all'interno
dell'ordinamento presidenziale, come misura di solidarieta'  «forte»,
mirata  a  puntellare  il  sistema  pensionistico,  e   di   sostegno
previdenziale ai  piu'  deboli,  anche  in  un'ottica  di  mutualita'
intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave  crisi
del sistema stesso, indotta da vari fattori - endogeni ed esogeni (il
piu'   delle   volte   tra   loro   intrecciati:   crisi    economica
internazionale, impatto  sulla  economia  nazionale,  disoccupazione,
mancata  alimentazione  della  previdenza,  riforme  strutturali  del
sistema  pensionistico)  -  che  devono  essere  oggetto  di  attenta
ponderazione  da  parte  del  legislatore,  in  modo   da   conferire
all'intervento quella incontestabile ragionevolezza, a  fronte  della
quale soltanto puo' consentirsi di derogare (in termini  accettabili)
al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento
pensionistico gia' maturato (sentenze n. 69  del  2014,  n.  166  del
2012, n. 302 del 2010, n. 446 del 2002, ex plurimis) -  (sentenza  n.
173 cit., par. 11.1). 
    Ne deriva che il legislatore e' chiamato ad un bilanciamento  tra
i valori e gli interessi costituzionali coinvolti ovvero, da un lato,
quello dei pensionati e, dall'altro lato, le esigenze  finanziarie  e
di equilibrio di bilancio dello Stato (cosi' Corte cost., sentenza n.
250 del 2017). 
    Significativo in tale contesto che nella  citata  sentenza  della
Corte costituzionale n. 173 del 2016 sia stata  ritenuta  conforme  a
Costituzione la previsione di un contributo di solidarieta'  sia  pur
al limite (cosi espressamente nel provvedimento), venendo  in  quella
occasione valorizzato il fatto che la misura operasse all'interno del
sistema  previdenziale  incidendo  sulle  pensioni  di  importo  piu'
elevato con aliquote crescenti (in quel caso 6, 12 e  18  per  cento)
soprattutto al fine di salvaguardare la  posizione  dei  gia'  citati
lavoratori esodati trattavasi peraltro di una misura contenuta in  un
triennio (2014/2016). 
    Non senza considerare che, per quanto vero  sia  che  nel  nostro
sistema costituzionale non e' interdetto al  legislatore  di  emanare
disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la  disciplina  dei
rapporti di durata, anche  se  il  loro  oggetto  sia  costituito  da
diritti  soggettivi  perfetti,   dette   disposizioni   non   possono
trasmodare in un regolamento irrazionale e  arbitrariamente  incidere
sulle situazioni sostanziali poste in  essere  da  leggi  precedenti,
frustrando cosi' anche l'affidamento del  cittadino  nella  sicurezza
giuridica che costituisce  elemento  fondamentale  ed  indispensabile
dello Stato di diritto; pertanto non potrebbe  dirsi  consentita  una
modificazione legislativa che, intervenendo in una fase avanzata  del
rapporto di lavoro, ovvero quando addirittura e' subentrato lo  stato
di quiescenza, peggiorasse senza una inderogabile esigenza, in misura
notevole e in maniera  definitiva  un  trattamento  pensionistico  in
precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vanificazione
delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo
successivo alla cessazione  della  propria  attivita'  (Corte  cost.,
sentenza n. 349 del 1985). 
    Ebbene, ad  avviso  del  giudicante  tutte  le  condizioni  sopra
indicate e scolpite dalla stessa  giurisprudenza  costituzionale  non
sono ravvisabili in relazione al prelievo disposto dai commi 261  ss,
dell'art. 1, legge n. 145/18. 
    Si e' gia' accennato al paragrafo  precedente  al  fatto  che  in
nessuno degli atti parlamentari tale misura  venga  in  qualche  modo
giustificata dalla necessita' di garantire la stabilita' del  sistema
previdenziale ovvero tutelare le fasce piu'  deboli  dei  pensionati,
come reso evidente dalla destinazione degli importi trattenuti ad  un
Fondo che, pur essendo gestito presso Inps, non e' vincolato nei fini
e,  all'esito  della  conferenza  di  servizi,  ben  potrebbe  essere
acquisito al bilancio dello Stato. 
    La misura, inoltre, seppur incida  sulle  pensioni  piu'  elevate
(fissando inoltre una soglia minima del trattamento ridotto a 100.000
euro) e preservi quelle liquidate con il solo  sistema  contributivo,
presenta un sistema di aliquote all'interno di determinati scaglioni,
innegabilmente elevate ed idonee ad incidere in  misura  rilevante  e
significativa sui trattamenti pensionistici. 
    Inoltre,  sproporzionata,  irragionevole  e   al   limite   della
abnormita'  appare  la  durata  fissata  in  cinque   anni,   benche'
l'ordinaria programmazione del bilancio sia fissata in un periodo  di
tre anni (articoli 10 e 21, legge n. 196/2009), senza che legislatore
abbia minimamente dato conto delle ragioni che giustificherebbero una
misura temporale tanto afflittiva, senza  dubbio  idonea  a  divenire
definitiva  per  quei  pensionati  in  eta'  avanzata  e  con   minor
aspettativa di vita. 
    Infine, risulta altresi' violato il principio di proporzionalita'
di cui all'art. 36 Cost. 
    In proposito e' noto che tale  ultima  disposizione  si  aggancia
all'art. 38  Cost.  ma  non  in  modo  indefettibile  e  strettamente
proporzionale (Corte cost. n. 173/2016); salvo che resta  pur  sempre
la necessita' che  il  legislatore  tenga  conto  della  quantita'  e
qualita'  del  lavoro  svolto  nella  vita  attiva  dal   pensionato,
assumendo  pur   sempre   il   trattamento   pensionistico   funzione
sostitutiva del cessato reddito da lavoro. 
    Ebbene, non e' francamente dato comprendere  in  forza  di  quale
criterio il legislatore abbia individuato le elevatissime aliquote di
riduzione delle pensioni liquidate con il metodo retributivo o misto. 
    Cio' soprattutto se si considera che anche per  tali  trattamenti
di quiescenza il  pensionato  ha  versato  durante  la  propria  vita
lavorativa la relativa contribuzione, in relazione alla quale sarebbe
stato ragionevole pretendere che venisse giustificata  la  scelta  di
individuare cosi' elevate aliquote  di  riduzione  quantomeno  avendo
riguardo a quale sarebbe stato il trattamento pensionistico  ove  mai
liquidato con il solo metodo contributivo, tanto piu' in relazione al
fatto che le pensioni liquidate con il sistema retributivo e in parte
quelle liquidate con il sistema misto non soggiacciono o soggiacciono
solo parzialmente alla limitazione del massimale contributivo. 
    Per  contro,  e'  stata  unicamente  disposta  una  clausola   di
salvaguardia con la previsione di un limite fissato in  euro  100.000
al di sotto dei quali non e' consentita la riduzione della pensione. 
    La misura in commento, quindi, si palesa come  irragionevole  sia
internamente considerata sia in  relazione  alla  disposta  esenzione
dalla riduzione per i titolari di trattamento liquidato con  il  solo
sistema contributivo, in quanto la scelta legislativa non consente di
comprendere se e in  che  misura  il  fatto  di  essere  titolari  di
pensione liquidata con il solo trattamento contributivo giustificasse
la disparita' di trattamento. 
    Pertanto, appare palese la violazione dei  canoni  costituzionali
in commento. 
Violazione articoli 117 Costituzione e 1 Protocollo n. 1 CEDU. 
    Ad  avviso  del  remittente  nel  caso  di  specie  e'   altresi'
ravvisabile la violazione degli articoli 117 Cost. e 1  Protocollo  1
CEDU. 
    In proposito si osserva innanzitutto che e' ormai pacifico che: 
      il parametro  costituito  dall'art.  117,  primo  comma,  Cost.
diventa concretamente operativo solo  se  vengono  determinati  quali
siano  gli  «obblighi  internazionali»  che  vincolano  la   potesta'
legislativa  dello  Stato  e  delle  Regioni.  Nel   casa   specifico
sottoposto alla valutazione  di  questa  Corte,  il  parametro  viene
integrato e reso operativo dalle norme della CEDU, la cui finzione e'
quindi  di  concretizzare  nella  fattispecie  la  consistenza  degli
obblighi internazionali dello Stato; 
      la CEDU presenta, rispetto agli altri trattati  internazionali,
la caratteristica peculiare di aver  previsto  la  competenza  di  un
organo giurisdizionale, la Corte europea per i  diritti  dell'ironia,
cui  e'  affidata  la  funzione  di  interpretare  le   norme   della
Convenzione stessa. Difatti l'art. 32, paragrafo 1,  stabilisce:  «La
competenza della Corte si estende a tutte  le  questioni  concernenti
l'interpretazione e  l'applicazione  della  Convenzione  e  dei  suoi
protocolli che siano sottoposte  ad  essa  alle  condizioni  previste
negli articoli 33, 34 e  47».  Poiche'  le  norme  giuridiche  vivono
nell'interpretazione che  ne  danna  gli  operatori  del  diritto,  i
giudici in primo luogo, la naturale conseguenza che deriva  dall'art.
32,  paragrafo  1,  della  Convenzione  e'  che  tra   gli   obblighi
internazionali  assunti  dall'Italia  con  la  sottoscrizione  e   la
ratifica della CEDU vi e' quello di adeguare la propria  legislazione
alle norme di tale trattato, nel significato attribuito  dalla  Corte
specificamente  istituita  per  dare  ad  esse   interpretazione   ed
applicazione.  Non  si  puo'  parlare  quindi   di   una   competenza
giurisdizionale che si sovrappone a quella  degli  organi  giudiziari
dello Stato italiano, ma di una funzione interpretativa eminente  che
gli  Stati  contraenti  hanno  riconosciuto   alla   Corte   europea,
contribuendo con cio' a  precisare  i  loro  obblighi  internazionali
nella specifica materia; 
      anche le norme CEDU devono essere rispettose delle disposizioni
costituzionali   per   la   necessaria   tutela    degli    interessi
costituzionalmente  protetti  contenuta  in  altri   articoli   della
Costituzione (Corte cost., sentenza n. 348/2007). 
    Tanto premesso, ai sensi dell'art.  1  del  Protocollo  n.  «Ogni
persona fisica o giuridica ha diritto  al  rispetto  dei  suoi  beni.
Nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa  di
pubblica utilita' e nelle  condizioni  previste  dalla  legge  e  dai
principi  generali  del  diritta  internazionale.   Le   disposizioni
precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in
vigore le leggi da essi ritenute necessarie  per  disciplinare  l'uso
dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare  il
pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.» 
    Nell'interpretare tale disposizione la Corte EDU ha statuito che: 
      54. La Corte ribadisce che, secondo la propria  giurisprudenza,
un  ricorrente  puo'  lamentare  una  violazione  dell'art.   1   del
Protocollo n. 1 solo se le decisioni da lui contestate si riferiscono
ai suoi «beni» cosi' come definiti in tale disposizione. Il  concetto
di «beni» puo' comprendere tanto i «beni  attuali»  quanto  i  valori
patrimoniali, ivi inclusi,  in  alcune  situazioni  ben  definite,  i
crediti. Perche' un  credito  possa  essere  considerato  un  «valore
patrimoniale», rientrante nel campo di applicazione dell'art.  1  del
Protocollo n. 1, il titolare del credito deve dimostrare che esso  ha
sufficiente  fondamento  nel  diritto  interno,  ad  esempio  che  e'
confermato da una consolidata giurisprudenza dei tribunali nazionali.
Una volta dimostrato cio', puo'  entrare  in  gioco  il  concetto  di
«legittima  aspettativa»  (si  veda  Maurice  c.  Francia  [GC],   n.
11810/03, § 63, CEDU 2005 IX). 
    55. L'art. 1 del Protocollo n. 1  non  garantisce,  di  per  se',
alcun diritto di diventare proprietario di un bene (si vedano Van der
Mussele c. Belgio, 23 novembre 7983, § 48, Serie A n. 70; Slivenko e.
Lettonia (dec.) [GC], n. 48321 /99, § 121, CEDU 2002-II; e Kopeckỳ c.
Slovacchia  [GC],  n.  44912/98,  j  35  (b),  CEDU   2004-IX).   Ne'
garantisce,  in  quanto  tale,  il  diritto  a  una  pensione  di  un
determinato importo (si vedano,  a  titolo  esemplificativo,  Kjartan
Asmundsson e. Islanda, n. 60669/00, § 39, CEDU 2004-IX; Domalewski c.
Polonia (dec.), n. 34610/97,  CEDU  1999-V;  e  Janković  e.  Croazia
(dec.), n. 43440/98, CEDU 2000-X). Parimenti, non garantisce  neppure
il diritta di ricevere una pensione per le attivita' prestate in  uno
Stato diverso dallo Stato convenuto (si veda L.B. c. Austria  (dec.),
n. 39802/98, 18 aprile 2002). Tuttavia, un «credito» relativo ad  una
pensione pero' costituire un «valore patrimoniale» ai sensi dell'art.
1 del Protocollo n. 1, laddove esso abbia sufficiente fondamento  nel
diritto interno, ad esempio sia  stato  confermato  da  una  sentenza
definitiva (si vedano Pravednaya c. Russia, n. 69529/01, §§ 37-39, 18
novembre 2004; e Bulgakova, sopra citata, § 31). 
    56. La Corte ricorda che l'art. 1 del Protocollo  n.  1  contiene
l'enunciazione di tre norme distinte: «la prima, espressa nella prima
frase del primo comma, riveste un carattere generale  ed  enuncia  il
principio del pieno  godimento  della  proprieta';  la  seconda,  che
figura nella seconda frase dello stesso comma, concerne la privazione
della proprieta' e la assoggetta a determinate condizioni; la  terza,
espressa nel  secondo  colma,  riconosce  agli  Stati  contraenti  il
diritto, tra gli altri,  di  disciplinare  l'uso  dei  beni  in  modo
conforme all'interesse generale. Le tre  norme,  tuttavia,  non  sono
«distinte» nel senso che non sono in rapporto tra loro. La seconda  e
la terza riguardano casi particolari di  violazione  del  diritto  al
pieno godimento della proprieta', e dovrebbero pertanto interpretarsi
alla luce del principio generale enunciato nella prima»  (si  vedano,
tra le altre, James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986,  §  37,
Serie A n. 98; Iatridis c. Grecia  [GC],  n.  31107/96,  §  55,  CEDU
1999-II; e Beyeler c. Italia [GC], 11. 33202/96, § 98, CEDU 2000-I). 
    57. Condizione essenziale affinche' un'ingerenza sia  considerata
compatibile con l'art.  1  del  Protocollo  n.  1  e'  che  essa  sia
legittima. Qualsiasi ingerenza di  un'autorita'  pubblica  nel  pieno
godimento della proprieta' puo'  essere  giustificata  unicamente  se
risponde ad un interesse pubblico (o generale). In linea  di  massima
le autorita' nazionali, grazie ad una conoscenza diretta  della  loro
societa' e dei bisogni della stessa, possono stabilire  cosa  rientri
«nel  pubblico  interesse»  meglio  del  giudice  internazionale.  Di
conseguenza, nel sistema di tutela creato dalla  Convenzione,  spetta
ad esse pronunciarsi per  prime  sull'esistenza  di  un  problema  di
interesse  generale,  che  giustifichi  l'adozione  di   misure   che
interferiscono con il pieno godimento  della  proprieta'  (si  vedano
Terazzi S.r.l. c. Italia, n. 27265/95,  §  85,  17  ottobre  2002,  e
Wieczorek c. Polonia, n. 18176/05, § 59, 8 dicembre 2009).  L'art.  1
del Protocollo n. 1 richiede altresi' che ogni ingerenza debba essere
ragionevolmente proporzionata al fine  perseguito  (si  veda  Jahn  e
altri c. Germania [GC], nn. 46720/99, 72203/01 e 72552/01, §§  81-94,
CEDU 2005-VI). Il requisito del giusto equilibrio non  e'  rispettato
se  la  persona  interessata  deve  sostenere  un  onere  individuale
eccessivo (si veda Sporrong e Lӧnnroth c. Svezia, 23 settembre  1982,
§§ 69-74, Sede A n. 52). 
    58. Laddove l'importo di un beneficio sia ridotto o sospeso, cio'
puo'  costituire  un'ingerenza  nella  proprieta',  che  deve  essere
giustificata (si vedano Kjartan Asmundsson, sopra  citata,  §  40,  e
Rasmussen c. Polonia, n. 38886/05, § 71, 28  aprile  2009)  -  (Corte
Edu, causa Maggio e altri c. Italia, ricorsi nn.  46286/09,  5285/08,
53727/08, 54486/08 e 56001/08) -  (causa  Causa  Maggio  e  altri  c.
Italia  (ricorsi  nn.  46286/09,  52851/08,  53727/08,   54486/08   e
56001/08)). 
    Di conseguenza anche un «credito» relativo ad una  pensione  puo'
costituire un «valore patrimoniale», la cui riduzione (e la correlata
interferenza nei suo pieno godimento da parte dello Stato  nazionale)
puo' essere giustificata nella misura in cui  sussista  un  interesse
pubblico e a fronte di un intervento ragionevolmente proporzionato al
fine perseguito. 
    Occorre   pertanto   verificare   se   il    legislatore    abbia
effettivamente  garantito  il  giusto  equilibrio   tra   l'interesse
generale e quello di salvaguardia dei diritti dell'individuo. 
    In proposito la Corte EDU ha precisato che  tale  valutazione  e'
innanzitutto di pertinenza  del  legislatore  nazionale,  cui  spetta
l'esame della pubblica utilita' di  una  disposizione  alla  luce  di
questioni di ordine politico, economico e sociale;  ove  l'intervento
sia finalizzato a garantire un equilibrio di bilancio,  preservare  i
livelli minimi delle  prestazioni  sociali  e  la  sopravvivenza  del
sistema previdenziale, eventualmente dell'ambito  di  una  situazione
finanziaria critica ed esposta anche a procedure di infrazione  della
Commissione Europea, puo' ritenersi legittimo  (sentenza  resa  nelle
cause nn. 27166/18 e 27167/18, Aielli e altri contro Italia e  Arboit
e altri contro Italia, paragrafi 26-29). 
    Tale ultimo  provvedimento  (reso  su  ricorso  di  pensionati  a
seguito delle note vicende determinatesi in forza della  sentenza  n.
70/15 della  Corte  costituzionale  che  dichiarava  incostituzionale
l'art.  24,  comma  25,  DL  201/11  cui   seguiva   l'adozione   del
decreto-legge n. 65/15) richiama poi  -  quanto  al  requisito  della
proporzionalita'  dell'intervento   necessariamente   finalizzato   a
garantire il giusto equilibrio tra le esigenze di interesse  generale
e  la  salvaguardia  dei  diritti  fondamentali  dei  singoli  -   la
necessita'  che  l'intervento   non   abbia   comunque   un   impatto
significativo sulle pensioni  (tanto  da  evidenziare  che  nel  caso
all'epoca  oggetto   di   esame   non   incidesse   sul   trattamento
pensionistico ma solo sul meccanismo di adeguamento  al  costo  della
vita) (paragrafi 32-36). 
    Ed allora, risulta evidente, ad avviso del  giudicante,  che  nel
caso di specie difettino  tutti  i  requisiti  per  ritenere  che  la
disposizione oggetto  di  censura  sia  rispettosa  dell'art.  1  del
Protocollo 1 CEDU per come interpretata dalla Corte EDU. 
    A tale riguardo, si richiamano innanzitutto le ampie  motivazioni
di cui ai paragrafi precedenti  circa  l'assenza,  anche  negli  atti
preparatori, di ragioni di interesse pubblico e  generale  ovvero  di
salvaguardia   del   sistema   previdenziale    poste    alla    base
dell'intervento    legislativo    oggetto     di     scrutinio     di
costituzionalita'. 
    L'intervento,  poi,  non   e'   rispettoso   del   principio   di
proporzionalita' dell'ingerenza per come sopra individuata. 
    Da  un  lato,  in  quanto  incide  direttamente  sul  trattamento
pensionistico e  non  solo  su  una  misura  ad  esso  accessoria  e,
dall'altro lato, come gia' detto in precedenza, per l'elevata  misura
delle   aliquote   applicate   e   l'abnorme   durata   quinquennale,
all'evidenza lesive del pieno godimento  della  proprieta'  per  come
definita dalla Corte EDU. 
Violazione articoli 3, 36 e 38 Cost. in relazione all'art.  1,  comma
260, legge n. 145/18. 
    Un altro profilo di incostituzionalita'  rilevante  del  presente
giudizio concerne la previsione della limitazione della  perequazione
disposta dall'art. 1, comma 260, legge n. 145/18, che, per il periodo
2019/2021, ha espressamente previsto che la rivalutazione  automatica
dei trattamenti pensionistici disciplinata  dall'art.  34,  comma  1,
della legge 23 dicembre 1998, n. 448, sia riconosciuta, per quanto di
interesse,  nella  misura  del  40  per  cento  per   i   trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a nove volte il  trattamento
minimo INPS. 
    I profili  di  criticita'  di  tale  disposizione  devono  essere
necessariamente  considerati  sia  per  l'impatto  che  di  per   se'
comportano sul trattamento pensionistico sia in relazione al prelievo
di cui si e' gia' discusso ai paragrafi precedenti. 
    Cio' in quanto, a tale ultimo proposito, appare evidente  che  se
gia' il  prelievo  sui  trattamenti  pensionistici  e'  da  ritenersi
irrispettoso dei canoni costituzionali di ragionevolezza, adeguatezza
e proporzione, anche alla luce  della  sua  significativa  durata,  a
maggior ragione tali profili di censura devono ritenersi  ravvisabili
ove considerati alla luce dell'ulteriore pregiudizio  comportato  dal
parziale blocco della perequazione. 
    Il sacrificio richiesto  dal  legislatore,  difatti,  considerati
altresi' i blocchi o le limitazioni della perequazione di  cui  anche
l'odierno ricorrente e' stato  destinatario  (ci  si  riferisce  alla
previsione di cui all'art. 1, comma 25, D.L. 201/2011 come modificato
dalla legge n. 65/15 e ritenuto  costituzionalmente  legittimo  dalla
nota sentenza 250/17) non appare giustificato e ragionevole. 
    Senza voler ripetere le ampie argomentazioni di cui ai  paragrafi
precedenti  cui  si  rimanda,  sia  sufficiente  evidenziare  che  un
pensionato quale il ricorrente si trova  ad  aver  subito  un  blocco
totale della perequazione per il biennio  2012/2013,  oltre  che  una
misura limitata al 40% per quanto previsto dall'art.  1,  comma  483,
legge n. 14/2013 per il triennio 2014/2016, poi estesa anche  per  il
biennio 2017/2018 dall'articolo 1, comma 286, legge n. 208/15. 
    Ebbene, e'  difficilmente  revocabile  in  dubbio  che  tutte  le
disposizioni in commento, rispetto alle quali e' necessario  ribadite
l'assenza di ragioni che ne giustifichino  l'adozione  da  parte  del
legislatore (tanto negli atti parlamentari di cui si  e'  sopra  dato
conto che nella stessa previsione normativa), comportano un  evidente
pregiudizio per l'affidamento dei pensionati,  senza  che  lo  stesso
risulti giustificato da situazioni  di  emergenza,  di  tutela  della
tenuta del  sistema  previdenziale  o  delle  fasce  piu'  deboli  di
pensionati. 
    La  limitazione  della  perequazione  e'  comunque  da  ritenersi
costituzionalmente illegittima anche da sola considerata. 
    E' noto, anche in forza dell'ampio contenzioso che  negli  ultimi
anni si e' venuto a  creare,  che  la  rivalutazione  automatica  dei
trattamenti pensionistici costituisce uno strumento  tecnico  teso  a
salvaguardare  le  pensioni  dall'erosione  del  potere  di  acquisto
causata dall'inflazione, anche dopo il collocamento a riposo  con  il
fine di assicurare il rispetto nel tempo dei principi di  adeguatezza
e di proporzionalita' dei trattamenti di quiescenza (Corte cost.,  n.
70/2015). 
    Trattasi nel dettaglio di disposizione ispirata al  principio  di
solidarieta' sotteso alla previsione dell'art. 38 Cost. rispetto alla
quale il legislatore, nell'esercizio della propria  discrezionalita',
ove intenda bloccare o comunque limitare la perequazione, e' comunque
chiamato a bilanciare secondo criteri  non  irragionevoli,  i  valori
egli interessi costituzionali coinvolti,  che  ben  potrebbero  anche
riguardare necessita' di contenimento della spesa sempre nel rispetto
del divieto di comprimere le esigenze di vita cui precedentemente era
commisurata la prestazione previdenziale (cosi' Corte  cost.  n.  240
del 1994). 
    In tutte le pronunce della Consulta e' sempre  stata  valorizzata
la necessita' che  il  pregiudizio  all'interesse  dei  pensionati  a
preservare il potere di acquisto dei trattamenti previdenziali  possa
essere  sacrificato  sull'altare  delle  esigenze  finanziarie  e  di
equilibrio di bilancio dello Stato  nel  rispetto  del  principio  di
ragionevolezza, declinato anche sotto  il  profilo  della  necessaria
trasparenza della scelta  legislativa  che  dia  adeguatamente  conto
delle ragioni dell'intervento. 
    In tal  senso  il  principio  di  ragionevolezza  rappresenta  il
cardine intorno a cui devono ruotare le scelte del legislatore  della
materia pensionistica  e  assurge,  per  questa  sua  centralita',  a
principio di sistema e allorquando l'intervento del  legislatore  sia
finalizzato  a  risparmi  di  spesa  questi  ultimi   devono   essere
accuratamente motivati, il che  significa  sostenuti  da  valutazioni
della situazione finanziaria  basale  su  dati  oggettivi  (cosi'  da
ultimo Corte cost., n. 250/2017). 
    Tanto piu' se si considera che, come noto, il blocco  o  comunque
la limitazione della perequazione hanno comunque  natura  definitiva,
atteso che, ove anche successivamente ripristinata  la  rivalutazione
nella  sua  pienezza,  lo  sarebbe  solo  sull'importo  nominale  del
trattamento pensionistico eroso dal mancato adeguamento. 
    Ebbene, gli atti parlamentari di cui si e' gia'  dato  ampiamente
conto ai paragrafi precedenti (ovvero la Nota di  lettura  del  serio
del bilancio della Camera dei Deputati  e  il  Dossier  del  servizio
studi su modifiche  del  Senato)  non  consentono  all'interprete  di
comprendere quale sia la motivazione  alla  base  dell'intervento  in
commento. 
    Nella Nota di lettura del servizio del bilancio della Camera  dei
Deputati, difatti, tutti gli interventi in ambito pensionistico  sono
unicamente valorizzati al fine di  evidenziare  il  previsto  maggior
gettito per il bilancio dello Stato. 
    Nella sezione del Dossier del servizio  studi  su  modifiche  del
Senato  specificamente  dedicata  alla  tematica  della  perequazione
automatica e' possibile rinvenire unicamente una ricostruzione  della
normativa  e  giurisprudenza  costituzionale  in  materia  senza  che
vengano  minimamente   declamate   le   ragioni   poste   alla   base
dell'intervento. 
    Il legislatore e' quindi  venuto  meno  al  rispetto  dei  canoni
fissati dalla giurisprudenza  costituzionale,  senza  quindi  rendere
evidenti e comprensibili le  ragioni  delle  scelte  adottate  e  qui
censurate,  che  risultano  quindi  non  rispettose  dei  criteri  di
ragionevolezza e proporzionalita' a fondamento degli artt. 3, 36 e 38
Cost. 
    Per quanto  detto  va  sollevata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 260 e 261, della legge n.  145/2018
attesa, da un lato, la evidente rilevanza della questione al fine del
decidere nonche' la non manifesta infondatezza della questione stessa
(per  violazione  dei  parametri  costituzionali  sopra  indicati)  e
l'impossibilita' di una interpretazione costituzionalmente conforme. 
    Visto l'art. 23, legge n. 87/1953. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale: 
      1) dell'art. 1, comma 260, legge n. 145/2018, per contrasto con
gli articoli 3, 36 e 38 Cost., nella parte  in  cui  per  il  periodo
2019/2021  riconosce  la  rivalutazione  automatica  delle   pensioni
superiori a nove volte il trattamento minimo nella misura del 40%; 
      2) dell'art. 1, comma 261, legge n. 145/2018, per contrasto con
gli articoli 3, 23, 36, 38, 53  Cost.  e  con  l'art.  117  Cost.  in
relazione all'art. 1 Protocollo n. 1 CEDU, nella parte in cui dispone
un'aliquota  di  riduzione  del  trattamento  pensionistico  pari  al
quindici per cento per la parte eccedente il predetto importo fino  a
130.000 euro, pari al 25 per cento per  la  parte  eccedente  130.000
euro fino a 200.000 euro, pari al 30 per cento per la parte eccedente
200.000 euro fino a 350.000 euro, pari al 35 per cento per  la  parte
eccedente 350.000 euro fino a 500.000 euro e pari al 40 per cento per
la parte eccedente 500.000 euro; 
      dispone la sospensione del presente giudizio; 
      ordina  l'immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, con gli atti e con la  prova  delle  notificazioni  e
delle comunicazioni di cui all'art. 23, legge  n.  87  dell'11  marzo
1953 (come prescritto dagli articoli 1  e  2  del  regolamento  della
Corte costituzionale 16 marzo 1956); 
      ordina  alla  Cancelleria  che  la  presente  ordinanza   venga
notificata alle  parti  del  presente  giudizio,  al  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  nonche'  al  Presidente  del  Senato  della
Repubblica e al Presidente della Camera dei Deputati. 
        Milano, 20 gennaio 2020 
 
                         Il Giudice: Perillo 

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