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mercoledì 27 maggio 2020

N. 95 SENTENZA 30 gennaio - 20 maggio 2020 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Esecuzione penale - Pene pecuniarie inflitte dal Giudice di pace - Conversione per insolvibilita' del debitore - Giudice competente - Magistrato di sorveglianza - Denunciata irragionevolezza, violazione della ragionevole durata del processo nonche' del buon andamento dell'amministrazione della giustizia - Non fondatezza delle questioni. - Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, aggiunto dall'art. 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2017, n. 205; decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 299, nella parte in cui abroga il decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, art. 42; decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, art. 299, "trasfuso" nel d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui abroga l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000. - Costituzione, artt. 3, 76, 97, secondo comma, e 111, secondo comma. (GU n.22 del 27-5-2020 )



N. 95 SENTENZA 30 gennaio - 20 maggio 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Esecuzione penale - Pene pecuniarie inflitte dal Giudice  di  pace  -
  Conversione per insolvibilita' del debitore - Giudice competente  -
  Magistrato   di   sorveglianza   -   Denunciata   irragionevolezza,
  violazione della ragionevole durata del processo nonche'  del  buon
  andamento dell'amministrazione della  giustizia  -  Non  fondatezza
  delle questioni.
- Decreto del Presidente della Repubblica 30  maggio  2002,  n.  115,
  art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, aggiunto dall'art. 1,  comma  473,
  della legge 27 dicembre 2017, n. 205; decreto del Presidente  della
  Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 299,  nella  parte  in  cui
  abroga il decreto legislativo 28 agosto  2000,  n.  274,  art.  42;
  decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113,  art.  299,  "trasfuso"
  nel d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui abroga l'art. 42 del
  d.lgs. n. 274 del 2000.
- Costituzione, artt. 3, 76, 97, secondo comma, e 111, secondo comma.
(GU n.22 del 27-5-2020 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,
  Augusto Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',  Luca
  ANTONINI, Stefano PETITTI,
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  299  del
decreto legislativo 30 maggio 2002,  n.  113,  recante  «Testo  unico
delle disposizioni legislative  in  materia  di  spese  di  giustizia
(Testo B)», trasfuso nell'art. 299 del decreto del  Presidente  della
Repubblica 30  maggio  2002,  n.  115,  recante  «Testo  unico  delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l'art. 42 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla  competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della  legge  24
novembre 1999, n. 468), e dell'art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e  7,  del
d.P.R. n. 115 del 2002, come introdotti dall'art. 1, comma 473, della
legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2018-2020), promossi complessivamente dal Magistrato di  sorveglianza
di Pisa con ordinanza  del  15  gennaio  2019  e  dal  Magistrato  di
sorveglianza  di  Alessandria  con  ordinanza  del  16  aprile  2019,
rispettivamente iscritte ai numeri 63 e 117  del  registro  ordinanze
2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica,  numeri
18 e 35, prima serie speciale, dell'anno 2019.
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nella camera di consiglio del 15 gennaio  2020  il  Giudice
relatore Franco Modugno;
    deliberato nella camera di consiglio del 30 gennaio 2020.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza depositata il 15 gennaio 2019 (r. o. n. 63  del
2019), il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Pisa  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 76 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  299  del  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 30  maggio  2002,  n.  115,  recante  «Testo  unico  delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l'art. 42 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla  competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della  legge  24
novembre 1999, n. 468).
    1.1.- In fatto, il giudice a quo premette  che  F.  T.  e'  stato
condannato dal Giudice di pace di Asti con  sentenza  del  21  maggio
2013, divenuta irrevocabile il 24 giugno 2013,  alla  pena  di  5.000
euro di ammenda. La Procura  della  Repubblica  presso  il  Tribunale
ordinario di Asti, avendo rilevato l'impossibilita' di esazione della
somma, ha richiesto la conversione della pena pecuniaria in  liberta'
controllata al Magistrato di sorveglianza  di  Genova,  il  quale  ha
trasmesso gli atti al Magistrato di sorveglianza di Pisa, essendo  F.
T. detenuto presso la casa circondariale di Pisa.  Il  Magistrato  di
sorveglianza di Pisa ha ritenuto la propria incompetenza per  materia
e trasmesso gli atti al Giudice di pace di  Asti,  il  quale,  a  sua
volta, ha sollevato conflitto negativo  di  competenza,  trasmettendo
gli atti alla Corte di cassazione.  Con  pronuncia  del  15  novembre
2018,  la  Corte  di  cassazione  ha  dichiarato  la  competenza  del
Magistrato  di  sorveglianza  di  Pisa,   rimettendo   gli   atti   a
quest'ultimo per la decisione di merito.
    All'esito  del  conflitto  di  competenza,   il   Magistrato   di
sorveglianza di Pisa ritiene che il  sistema  normativo  vigente,  in
forza del quale e' stata riconosciuta la competenza del magistrato di
sorveglianza a decidere in ordine a una richiesta di conversione  per
insolvibilita' della pena pecuniaria irrogata dal  giudice  di  pace,
sia il frutto di un intervento del legislatore  delegato  affetto  da
eccesso di delega e, dunque, contrastante con l'art. 76 Cost.
    1.2.- In punto di diritto, il rimettente osserva come, in sede di
risoluzione del conflitto di competenza, la Corte di cassazione abbia
ricostruito puntualmente la genesi dell'attuale assetto normativo.
    L'esecuzione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice  di  pace
era originariamente disciplinata dall'art. 42 del d.lgs. n.  274  del
2000, il quale stabiliva che essa aveva luogo ai sensi dell'art.  660
del  codice  di  procedura  penale.  Nell'ottica  di  concentrare  le
competenze in executivis, si prevedeva, tuttavia, che  l'accertamento
dell'effettiva insolvibilita' del condannato fosse svolto -  anziche'
dal magistrato di sorveglianza, come stabilito  in  termini  generali
dal citato art. 660 cod. proc. pen. - dallo stesso  giudice  di  pace
competente per l'esecuzione, che adottava anche  i  provvedimenti  in
ordine alla rateizzazione o alla conversione della pena pecuniaria.
    L'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000 e' stato, peraltro, abrogato
dall'art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002, il quale  ha  accorpato  le
disposizioni legislative di cui  al  decreto  legislativo  30  maggio
2002, n. 113, recante «Testo unico delle disposizioni legislative  in
materia  di  spese  di  giustizia  (Testo  B)»,  e  le   disposizioni
regolamentari di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 114, recante «Testo
unico  delle  disposizioni  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia (Testo C)». Tale intervento abrogativo si inseriva nel piu'
ampio disegno volto ad attribuire in via generale, con l'art. 238 del
testo unico, al giudice dell'esecuzione i procedimenti di conversione
delle pene pecuniarie: prospettiva nella quale  lo  stesso  art.  299
abrogava  anche  l'art.   660   cod.   proc.   pen.,   che   affidava
originariamente,  come  detto,  al  magistrato  di   sorveglianza   i
procedimenti in questione.
    Con la sentenza n. 212  del  2003,  la  Corte  costituzionale  ha
dichiarato, tuttavia, illegittimi, per eccesso di delega,  gli  artt.
238 e 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, quest'ultimo nella parte in cui
aveva  abrogato  l'art.  660  cod.  proc.  pen.  A  seguito  di  tale
pronuncia, l'intera materia della conversione delle  pene  pecuniarie
era confluita - secondo la Corte di cassazione, chiamata a  risolvere
il conflitto negativo di competenza sopra indicato - nelle competenze
del  magistrato  di  sorveglianza.  Avendo  la  Corte  costituzionale
dichiarato illegittimo l'art. 299 del testo unico solo  parzialmente,
restava infatti salvo l'effetto abrogativo di tale norma sull'art. 42
del d.lgs. n. 274 del 2000, che  prevedeva  precedentemente,  in  via
derogatoria, la competenza del giudice di pace.
    Di qui la conclusione che in  tutti  i  casi  in  cui  sorga  una
questione di conversione per  insolvibilita'  della  pena  pecuniaria
irrogata da un giudice di pace  debba  provvedere  il  magistrato  di
sorveglianza territorialmente competente.
    1.3.- Ad avviso del giudice a quo, la «lucida esposizione»  della
Corte di cassazione avrebbe dovuto condurre, in realta', a un diverso
approdo: ossia a ritenere che l'art. 299 del d.P.R. n. 115  del  2002
sia costituzionalmente  illegittimo  anche  nella  parte  in  cui  ha
abrogato l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000;  norma,  quest'ultima,
che dovrebbe «essere restituita a piena vigenza (ex tunc) esattamente
come l'art. 660 c.p.p.», ripristinando, in tal  modo,  la  competenza
del giudice di pace in materia di conversione delle  pene  pecuniarie
dallo stesso irrogate.
    Le ragioni dell'incostituzionalita' sarebbero gia' state espresse
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 212  del  2003,  con  la
quale si  e'  affermato  che,  «indipendentemente  dall'ampiezza  dei
contorni  che  vogliano  attribuirsi  alla  materia  delle  spese  di
giustizia» - alla quale risultava circoscritta la delega  legislativa
conferita dalla legge 8 marzo 1999, n. 50  (Delegificazione  e  testi
unici di norme concernenti procedimenti  amministrativi  -  Legge  di
semplificazione 1998),  esercitata  nella  specie  -  il  legislatore
delegato era «sicuramente privo del potere di dettare una  disciplina
del procedimento  di  conversione  delle  pene  pecuniarie»,  tesa  a
modificare  radicalmente  le  regole  di   competenza.   Quest'ultima
affermazione sarebbe  riferibile  all'intervento  normativo  nel  suo
complesso e quindi, sebbene la  declaratoria  di  incostituzionalita'
sia stata limitata all'art. 299 nella parte in  cui  abrogava  l'art.
660 cod. proc. pen.,  anche  all'art.  299  nella  parte  in  cui  ha
abrogato l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000.
    Di qui, dunque, la non manifesta infondatezza della questione.
    Quanto alla rilevanza,  l'accoglimento  della  questione  sarebbe
«decisiv[o]» nel  procedimento  di  sorveglianza  in  corso,  poiche'
costituirebbe  un  elemento  nuovo  e  risolutivo  per  affermare  la
competenza del Giudice di pace di Asti.
    2.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o,  in
subordine, infondata.
    2.1.- La difesa dello Stato  reputa  la  questione  inammissibile
sotto plurimi profili.
    2.1.1.- In primo luogo, il rimettente  avrebbe  omesso  qualsiasi
tentativo di interpretazione conforme a  Costituzione:  mancanza  che
connoterebbe la questione alla  stregua  di  una  mera  richiesta  di
avallo  interpretativo  «rispetto  ad  una  tra   le   varie   scelte
ermeneutiche possibili».
    2.1.2- In secondo luogo, la questione sarebbe  inammissibile  per
carenza del requisito della rilevanza nel giudizio a quo.
    L'Avvocatura generale  dello  Stato  ricorda,  infatti,  che  dal
combinato disposto degli  artt.  32  e  25  cod.  proc.  pen.  deriva
l'impossibilita', una volta che il conflitto di competenza sia  stato
deciso dalla Corte di cassazione,  di  rimettere  in  discussione  il
merito della questione di competenza, salvo che risultino nuovi fatti
che comportino una diversa definizione giuridica  da  cui  derivi  la
competenza di un giudice  superiore.  Secondo  la  giurisprudenza  di
legittimita', per nuovi fatti dovrebbero intendersi nuovi accadimenti
storici e non anche situazioni o qualificazioni giuridiche e, d'altra
parte, l'efficacia vincolante della decisione sulla competenza  opera
anche con riferimento al giudizio di esecuzione.
    Alla luce di tale orientamento, il rimettente non  dovrebbe  piu'
occuparsi della questione di competenza, sicche' le norme  contestate
non potrebbero trovare applicazione nel giudizio a quo.  Cio',  senza
considerare che il Magistrato di sorveglianza di Pisa nel giudizio di
rinvio dovrebbe uniformarsi, comunque sia, al  principio  di  diritto
espresso dalla Corte di cassazione, essendosi sul  punto  formato  il
giudicato interno.
    2.1.3.- Da ultimo, la questione sarebbe inammissibile  anche  per
difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza. Il giudice a
quo si sarebbe, infatti, limitato a richiamare quanto affermato dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 212 del 2003, senza  chiarire
in  alcun  modo  in  cosa  sia   consistito   l'eccesso   di   delega
relativamente alla competenza penale del giudice di pace: indicazione
da ritenere necessaria a fronte del fatto che tale  sentenza  si  era
limitata a censurare, per violazione  dell'art.  76  Cost.,  solo  la
radicale  modifica  della  competenza  generale  del  magistrato   di
sorveglianza.
    2.2.- L'Avvocatura generale dello Stato ritiene, in subordine, la
questione infondata.
    La difesa statale rileva, infatti, che l'art. 238 del  d.P.R.  n.
115   del   2002,   colpito   anch'esso   dalla    declaratoria    di
incostituzionalita', attribuiva in via generale la competenza per  la
conversione al giudice dell'esecuzione e,  dunque,  sostituiva  anche
l'abrogato art. 42  del  d.lgs.  n.  274  del  2000,  che  attribuiva
parziali competenze al giudice di pace.  Di  conseguenza,  una  volta
rimosso l'art. 238 del testo unico, la reviviscenza del  citato  art.
42 non sarebbe piu' possibile.
    La declaratoria di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  238
del d.P.R. n. 115  del  2002  avrebbe  fatto  si'  che  il  principio
generale della competenza del giudice  dell'esecuzione  (compreso  il
giudice di pace) non trovi piu' applicazione in rapporto all'istituto
della conversione della pena  pecuniaria,  rispetto  al  quale  unica
norma residuata e con portata generale sarebbe l'art. 660 cod.  proc.
pen.
    3.- Con ordinanza depositata il 16 aprile del 2019 (r. o. n.  117
del 2019), il Magistrato di sorveglianza di Alessandria ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale:
    a) dell'art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, trasfuso nel  d.P.R.
n. 115 del 2002, nella parte in cui abroga l'art. 42  del  d.lgs.  n.
274 del 2000, in riferimento all'art. 76 Cost.;
    b) nonche', «in via "indotta" dall'eventuale accoglimento»  della
prima questione, dell'art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R.  n.
115 del 2002,  aggiunto  dall'art.  1,  comma  473,  della  legge  27
dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il  triennio  2018-2020),
nella parte in cui, facendo riferimento al giudice competente per  il
procedimento di conversione delle pene pecuniarie per  insolvibilita'
del debitore, «parla specificamente di  "magistrato  di  sorveglianza
competente", anziche'  genericamente  di  "giudice  competente"»,  in
relazione agli artt. 3, 97, secondo  comma,  e  111,  secondo  comma,
Cost.
    3.1.- Il giudice a quo premette di  essere  stato  investito  dal
Procuratore  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  ordinario   di
Alessandria della richiesta  di  conversione  della  pena  pecuniaria
inflitta a  R.  Q.  con  sentenza  emessa  dal  Giudice  di  pace  di
Alessandria il 17 novembre 2010, divenuta irrevocabile il 17  gennaio
2011.  La  richiesta,  formulata  l'11  dicembre  2018,   era   stata
presentata al giudice rimettente in quanto la Corte di cassazione, in
sede di risoluzione di un conflitto di  competenza  tra  il  medesimo
giudice e il Giudice di pace di Alessandria, insorto in un diverso  e
precedente  procedimento,  aveva  dichiarato  la   competenza   della
magistratura di sorveglianza in materia.
    3.2.-  In  punto  di   diritto,   il   rimettente   si   diffonde
preliminarmente nell'analitica ricostruzione del quadro normativo  di
riferimento.
    Il giudice a quo rileva che l'art. 660 cod. proc. pen.  del  1988
aveva  trasferito  al  magistrato   di   sorveglianza   il   compito,
precedentemente attribuito al pubblico ministero  o  al  pretore,  di
accertare  l'effettiva   insolvibilita'   del   condannato   a   pena
pecuniaria, nonche' di disporre la rateizzazione di quest'ultima e la
sua  eventuale  conversione   in   sanzione   sostitutiva   (liberta'
controllata o lavoro sostitutivo, ai sensi dell'art. 102 della  legge
24 novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale»).  Il
procedimento di conversione - regolato, oltre che dal citato art. 660
cod. proc. pen., dagli artt. 181 e 182  del  decreto  legislativo  28
luglio  1989,  n.  271  (Norme  di  attuazione,  di  coordinamento  e
transitorie del codice di procedura penale) e dall'art. 30  del  d.m.
30 settembre 1989, n. 334 (Regolamento per l'esecuzione del codice di
procedura penale) - si caratterizzava, peraltro, per  una  accentuata
frammentazione di competenze (vedendo coinvolti  la  cancelleria  del
giudice dell'esecuzione, il pubblico ministero  e  il  magistrato  di
sorveglianza),  con  ripetuti  e  inutili  passaggi  da  un   ufficio
all'altro.
    Nell'affiancare al modello ordinario di  procedimento  penale  un
procedimento specifico per  i  reati  devoluti  alla  competenza  del
giudice di pace, il d.lgs. n. 274 del 2000 aveva  inteso  valorizzare
il ruolo di quest'ultimo anche nell'esecuzione delle pene pecuniarie,
attribuendo allo stesso giudice onorario le  competenze  in  tema  di
conversione demandate dall'art. 660 cod. proc. pen. al magistrato  di
sorveglianza (art. 42). Cio', in correlazione  alle  peculiarita'  di
tale nuovo modello - nel  quale,  tra  l'altro,  la  pena  pecuniaria
ineseguita si  converte  in  sanzioni  sostitutive  di  diverso  tipo
(permanenza domiciliare o  lavoro  di  pubblica  utilita',  ai  sensi
dell'art. 55 del d.lgs. n. 274 del 2000) - e al  dichiarato  fine  di
evitare  gli  inconvenienti   derivanti   dalla   frammentazione   di
competenze determinata dalla norma generale del codice di rito.
    I due "sistemi" di conversione venivano  sostituiti  e  unificati
dal d.P.R. n. 115 del 2002, il quale, nel Titolo IV della  Parte  VII
(artt. 235-239) regolava l'intera materia relativa  alla  riscossione
delle  pene  pecuniarie  in  tutte  le  sue   fasi,   demandando   il
procedimento di conversione al «giudice  dell'esecuzione  competente»
(artt. 237 e 238): ossia al giudice individuato  dall'art.  665  cod.
proc. pen., quanto alle pene inflitte dal  giudice  professionale,  e
dall'art. 40, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, quanto  alle  pene
irrogate dal giudice onorario (di regola, il giudice di pace  che  ha
emesso il provvedimento di condanna).
    Per evitare problemi di coordinamento o di sovrapposizione tra la
nuova normativa e quella preesistente, venivano quindi  espressamente
abrogati tanto l'art. 660 cod. proc. pen. e gli artt. 181 e 182 norme
att. cod. proc. pen., quanto l'art. 42 del d.lgs.  n.  274  del  2000
(art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, trasfuso nel d.P.R. n. 115  del
2002).
    Le norme sulla competenza a disporre la  conversione  della  pena
pecuniaria in sanzione sostitutiva recate dal d.lgs. n. 113 del 2002,
e indi dal d.P.R. n. 115 del 2002, erano, dunque, innovative rispetto
alle pene pecuniarie applicate da  un  giudice  "ordinario",  perche'
trasferivano la competenza dal magistrato di sorveglianza al  giudice
dell'esecuzione: non, invece, rispetto  alle  pene  applicate  da  un
giudice  di  pace,  in  quanto  la  competenza  permaneva,  come   in
precedenza, in capo allo stesso  giudice  di  pace,  in  funzione  di
giudice dell'esecuzione.
    3.3.-  Questo  assetto   normativo   veniva,   peraltro,   subito
«sconvolto» dalla sentenza della  Corte  costituzionale  n.  212  del
2003, che dichiarava illegittimi gli artt. 237, 238 e 299 del  d.lgs.
n. 113 del 2002, quest'ultimo nella parte in cui abrogava l'art.  660
cod. proc. pen. La Corte riteneva non condivisibile il  convincimento
espresso dal legislatore delegato, secondo  il  quale  la  disciplina
considerata rientrava nell'oggetto della delega conferita dall'art. 7
della legge n. 50 del 1999, in ragione della sostanziale  «comunanza»
della materia  delle  pene  pecuniarie  con  quella  delle  spese  di
giustizia. Specie nelle materie coperte da riserva assoluta di  legge
- quale quella della competenza del giudice, ai  sensi  dell'art.  25
Cost. - l'esistenza della delega non poteva essere, infatti,  desunta
dalla  mera  «connessione»  con  l'oggetto   della   delega   stessa:
prospettiva nella quale  il  legislatore  delegato  doveva  ritenersi
senz'altro  privo  del  potere  di   dettare   una   disciplina   del
procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse una
radicale modifica delle regole di competenza.
    Ad avviso del rimettente la  Corte  avrebbe  dichiarato,  dunque,
l'incostituzionalita'  non  sulla  base   di   una   «ipotetica   (ed
inesistente)  competenza  "naturale"  ed  inderogabile  in   subiecta
materia della magistratura di sorveglianza,  ma  solo  per  vizio  di
eccesso di delega». Nell'occasione - secondo il rimettente - la Corte
non si sarebbe posta il problema  dell'incostituzionalita'  dell'art.
299 del d.lgs n. 113 del 2002, nella  parte  in  cui  abrogava  anche
l'art. 42  del  d.lgs.  n.  274  del  2000,  solo  perche'  tenuta  a
conformarsi al principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato,
ma «la logica interna» della sentenza n. 212 del 2003 era sicuramente
quella   di   ritenere   costituzionalmente   illegittima   qualsiasi
innovazione, da parte del  legislatore  delegato,  alle  preesistenti
regole di competenza in subiecta materia.
    Aggiunge il giudice a quo che con la medesima sentenza  la  Corte
costituzionale ha dichiarato, peraltro, illegittimi anche  gli  artt.
237 e 238 del d.lgs. n. 113 del 2002, i quali  non  si  limitavano  a
incidere sulle regole competenziali in questione,  ma  disciplinavano
anche ex  novo  l'attivazione  del  procedimento  giurisdizionale  di
conversione, gia' regolata dagli abrogati artt. 181 e 182 norme  att.
cod. proc. pen. Persistendo tale abrogazione, si e' venuto  quindi  a
determinare un vuoto normativo, quanto al momento di raccordo tra  la
fase amministrativa di riscossione della  pena  pecuniaria  e  quella
giurisdizionale di conversione.
    Al solo scopo - secondo il rimettente - di colmare tale vuoto, la
recente legge n. 205 del 2017 ha, quindi, aggiunto al d.P.R.  n.  115
del 2002  l'art.  238-bis,  inteso  appunto  a  disciplinare  -  come
indicato dalla sua rubrica  -  l'«[a]ttivazione  delle  procedure  di
conversione delle pene pecuniarie non pagate». La nuova disposizione,
nondimeno, ai commi 2, 5, 6 e 7, menziona ripetutamente, quale organo
giurisdizionale competente, il «magistrato di sorveglianza».
    3.4.- A fronte di tale quadro normativo, la Corte di  cassazione,
nel risolvere il conflitto di competenza insorto tra il giudice a quo
e il Giudice di pace di Asti nell'ambito di un distinto procedimento,
aveva  disatteso  l'interpretazione  "adeguatrice"  prospettata   dal
rimettente stesso, secondo la  quale  la  competenza  in  materia  di
conversione delle  pene  pecuniarie  inflitte  dal  giudice  di  pace
sarebbe rimasta radicata in capo a quest'ultimo, in base all'art. 40,
comma  1,  del  d.lgs.  n.  274  del  2000.  Secondo  la   Corte   di
legittimita', avendo la citata sentenza n. 212  del  2003  dichiarato
costituzionalmente illegittimo l'art. 299 del d.lgs. n. 113 del  2002
solo parzialmente, restava salva l'efficacia abrogativa di tale norma
sull'art. 42 del d.lgs. n. 274 del  2000:  con  la  conseguenza  che,
difettando una disposizione che attribuisca al  giudice  di  pace  la
competenza in materia di conversione delle pene pecuniarie,  l'intera
materia rimaneva regolata dal ripristinato art. 660 cod.  proc.  pen.
Conclusione, questa, che sarebbe  rimasta  avvalorata  dalla  recente
introduzione dell'art. 238-bis del d.P.R. n. 115  del  2002,  laddove
richiama la competenza unica del magistrato di sorveglianza (Corte di
cassazione, sezione prima penale, sentenza  15  novembre-18  dicembre
2018, n. 56967).
    Ad avviso del Magistrato di  sorveglianza  di  Alessandria,  tali
argomenti non sarebbero persuasivi. L'orientamento ora  ricordato  e'
stato, tuttavia, ribadito dalla  giurisprudenza  di  legittimita'  in
numerose altre pronunce, cosi' da poter essere qualificato come  vero
e  proprio  diritto  vivente:  il  che  renderebbe  «di  fatto  vana»
l'adozione  di  una  contraria  interpretazione   "costituzionalmente
orientata".
    Sarebbe,  di  conseguenza,  necessario  sollevare  questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 299 del d.lgs. n. 113 del  2002
(trasfuso nel d.P.R. n. 115 del 2002), nella parte in cui ha abrogato
l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del  2000,  e  -  «in  via  "indotta"»  -
dell'art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui,  ai
commi 2, 5, 6 e 7, facendo riferimento al giudice competente  per  il
procedimento di conversione, «parla specificamente di "magistrato  di
sorveglianza   competente"   anziche'   genericamente   di   "giudice
competente"».
    3.5.- Con riguardo a entrambe le norme,  le  questioni  sarebbero
rilevanti, in quanto e' stato attivato presso l'ufficio  del  giudice
rimettente il procedimento di  conversione  di  una  pena  pecuniaria
inflitta dal giudice di pace, con la conseguenza  che  il  rimettente
stesso dovrebbe disporre le  opportune  indagini  sull'insolvibilita'
del condannato, ai sensi dell'art. 238-bis, comma 6,  del  d.P.R.  n.
115 del 2002. Di contro, la declaratoria di incostituzionalita' delle
norme censurate comporterebbe  una  pronuncia  di  incompetenza,  con
restituzione degli atti al pubblico ministero per  l'attivazione  del
procedimento davanti al giudice di pace competente.
    3.6.-  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza   della   prima
questione, il giudice a quo ritiene che l'art. 299 del d.lgs. n.  113
del 2002, nella parte in cui abroga l'art. 42 del d.lgs. n.  274  del
2000, si ponga in contrasto con l'art. 76 Cost.
    Alla stregua  del  diritto  vivente  formatosi  a  seguito  della
sentenza n. 212 del 2003, infatti, l'abrogazione del citato art. 42 -
benche' finalizzata al mero coordinamento  con  la  nuova  disciplina
introdotta dallo stesso d.lgs. n. 113 del 2002 - avrebbe  determinato
una modifica sostanziale delle regole di competenza sulla conversione
delle pene pecuniarie inflitte da un giudice di pace, trasferendo  la
competenza stessa dal giudice onorario al magistrato di sorveglianza.
    In quest'ottica, la norma si rivelerebbe viziata  da  eccesso  di
delega per le medesime ragioni gia' poste in evidenza nella  sentenza
n. 212 del 2003, non avendo il legislatore delegato alcun  potere  di
intervento in materia.
    3.7.- Per quanto riguarda, invece, l'art. 238-bis del  d.P.R.  n.
115 del 2002, l'incostituzionalita'  di  tale  disposizione  verrebbe
«"[...]indotta"» - ossia  «"creata"»  -  dall'auspicato  accoglimento
della prima questione, il quale, determinando la caducazione  di  una
disposizione di  abrogazione  espressa  di  un'altra  norma,  avrebbe
l'effetto di ripristinare ex tunc la vigenza dell'art. 42 del  d.lgs.
del 274 del 2000.
    A  fronte  di  cio',  l'incostituzionalita'  denunciata   sarebbe
prospettabile sotto due profili tra loro alternativi, secondo come il
citato art. 238-bis venga interpretato.
    Ove si assegni  alla  norma  la  sola  funzione  di  disciplinare
l'attivazione del procedimento di conversione della  pena  pecuniaria
non pagata, essa sarebbe in contrasto con  l'art.  3  Cost.  Facendo,
infatti, riferimento al solo magistrato di sorveglianza, come  organo
competente per la conversione, la  disposizione  non  si  limiterebbe
soltanto a regolare il raccordo fra la fase di  esazione  delle  pene
pecuniarie  e  quella  della  loro  conversione,   ma   avrebbe   una
conseguenza  «non   prevista   e   (soprattutto)   non   voluta   dal
Legislatore»:  quella,  cioe',   di   escludere   implicitamente   la
«competenza del giudice di pace prevista dal "resuscitato"  art.  42»
del d.lgs. n. 274 del 2000. In tal modo, peraltro, il contenuto della
disposizione risulterebbe  intrinsecamente  contraddittorio  rispetto
alla  sua  ratio,  con  conseguente  violazione  del   canone   della
ragionevolezza.
    Ove, invece, si ritenga che con l'art. 238-bis del d.P.R. n.  115
del 2002 il legislatore abbia inteso anche disciplinare  ex  novo  la
competenza sulla conversione della  pena  pecuniaria,  concentrandola
«sempre  e   solo   nella   magistratura   di   sorveglianza»,   cio'
comporterebbe che l'antinomia fra il ripristinato art. 42 del  d.lgs.
n. 274 del 2000 e la norma censurata debba essere risolta  nel  senso
della prevalenza di quest'ultima, in quanto lex posterior.
    In questa lettura,  tuttavia,  la  disposizione  si  porrebbe  in
contrasto con gli artt. 3, 97, secondo comma, e 111,  secondo  comma,
Cost.
    Essa violerebbe l'art. 3 Cost., in quanto l'attribuzione  in  via
esclusiva della  competenza  al  magistrato  di  sorveglianza,  anche
quando si tratti di pene pecuniarie irrogate dal giudice di pace, non
troverebbe  alcuna  ragionevole   giustificazione.   Tale   soluzione
priverebbe il procedimento di conversione  delle  caratteristiche  di
snellezza e rapidita' gia' assicurate dall'art. 42 del d.lgs. n.  274
del 2000 con la concentrazione delle competenze in executivis in capo
al giudice di pace, facendo si' che nel procedimento  stesso  debbano
intervenire   plurimi   uffici   giudiziari,   con   un   irrazionale
«"pendolarismo" tra l'uno e l'altro». Il  procedimento  ha,  infatti,
inizio con la richiesta di attivazione della conversione da parte del
cosiddetto ufficio recupero crediti presso il giudice dell'esecuzione
(art. 238-bis, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002),  la  quale  deve
essere trasmessa al pubblico ministero, senza peraltro che sia chiaro
se si tratti del pubblico ministero presso il giudice dell'esecuzione
o presso il magistrato di sorveglianza (donde un «primo "pericolo  di
stasi" del procedimento»). Il pubblico ministero deve quindi attivare
la conversione presso il magistrato di  sorveglianza  competente,  il
quale va individuato in base a criteri diversi,  ai  sensi  dell'art.
677 cod. proc.  pen.,  secondo  che  il  condannato  sia  detenuto  o
internato, ovvero in stato di liberta': con un  «altro  "pericolo  di
stasi"»,  dovendo  il  pubblico  ministero  effettuare  ricerche  per
verificare se e dove l'interessato si trovi  ristretto,  ovvero  dove
abbia la residenza o il domicilio,  se  libero;  elementi  tutti  che
possono, d'altronde, subire variazioni nelle more della  trasmissione
degli atti al magistrato di sorveglianza. Nel caso, poi,  in  cui  si
accerti che il condannato e' solvibile, il magistrato di sorveglianza
deve restituire  gli  atti  al  pubblico  ministero,  perche'  chieda
all'ufficio recupero crediti presso  il  giudice  dell'esecuzione  di
riavviare le attivita' di riscossione (come  si  desume  dagli  artt.
238-bis, comma 7, e 239 del d.P.R. n. 115 del 2002); mentre, nel caso
in  cui  venga  disposta  la  conversione  della  pena   o   la   sua
rateizzazione, deve comunicare il provvedimento al  medesimo  ufficio
perche',  a  sua  volta,  provveda  a   comunicarlo   all'agente   di
riscossione (art. 238-bis, comma 8, del d.P.R. n. 115 del 2002).
    La norma censurata avrebbe, in questo modo,  «effetti  gravemente
dilatori»,  che  implicherebbero  una  lesione   del   principio   di
ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.), non
compensata  dall'esigenza  di  dare  attuazione  ad  altri   principi
costituzionali.
    Essa   stravolgerebbe,   inoltre,   «la   coerenza   interna   di
quell'autonomo "microsistema di tutela integrata"  rappresentato  dal
procedimento penale davanti al giudice  di  pace»,  determinando  una
immotivata «"intrusione" in quel procedimento  [...]  di  un  giudice
"professionale" o "togato" quale e' il magistrato  di  sorveglianza»,
che si troverebbe ad applicare,  in  sede  di  conversione,  sanzioni
facenti parte dell'armamentario sanzionatorio tipico ed esclusivo del
giudice onorario.
    Sul fronte opposto, la disposizione denunciata  provocherebbe  un
altrettanto ingiustificato incremento dei compiti della  magistratura
di sorveglianza, gia' gravata di sempre  piu'  numerose  attribuzioni
dalla recente «legislazione emergenziale» in tema di contenimento del
sovraffollamento  carcerario,  senza  un  corrispondente  adeguamento
delle risorse umane e materiali: con conseguente compromissione anche
del principio di buon andamento dell'amministrazione della  giustizia
(art. 97, secondo comma, Cost.).
    4.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile.
    La  difesa  statale  deduce  che  le  questioni   non   sarebbero
preordinate a risolvere il dubbio di legittimita' costituzionale,  ma
mirerebbero ad ottenere un «improprio avallo» interpretativo, teso  a
confutare il diverso orientamento espresso dalla Corte di cassazione,
tanto piu' che la richiesta  si  fonderebbe  «sull'esistenza  di  una
presunta volonta' storica del legislatore».
    Per  quanto  riguarda,  poi,  le  singole  censure,  l'Avvocatura
generale  dello  Stato  deduce,  per  un  verso,  che  i   dubbi   di
costituzionalita'  riferiti  all'art.   3   Cost.   sarebbero   stati
prospettati «senza peraltro individuare il tertium comparationis»  e,
per un altro verso, che le doglianze relative alla  violazione  degli
artt. 97, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., sarebbero state
formulate senza «minimamente giustificare  l'assunto  che  la  scelta
legislativa  [...]  pregiudicherebbe  celerita'  e   buon   andamento
dell'amministrazione della giustizia».

                       Considerato in diritto

    1.- Il Magistrato di sorveglianza di Pisa (ordinanza r. o. n.  63
del 2019) dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 299  del
decreto del Presidente della  Repubblica  30  maggio  2002,  n.  115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia di spese di giustizia  (Testo  A)»,  nella  parte  in  cui
abroga l'art. 42 del decreto  legislativo  28  agosto  2000,  n.  274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a  norma
dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468).
    Il giudice a quo rileva che  il  citato  art.  42  attribuiva  al
giudice  di  pace,  in  funzione  di  giudice   dell'esecuzione,   la
competenza in tema di conversione per insolvibilita'  del  condannato
delle pene pecuniarie inflitte dallo stesso giudice onorario. Cio' in
deroga alla generale competenza del  magistrato  di  sorveglianza  in
materia, prevista dall'art. 660 del codice di procedura penale.
    Tanto l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del  2000,  quanto  l'art.  660
cod. proc. pen.  erano  stati  abrogati  dall'art.  299  del  decreto
legislativo 30 maggio  2002,  n.  113,  recante  «Testo  unico  delle
disposizioni legislative in materia di spese di giustizia (Testo B)»,
confluito nel d.P.R. n. 115 del 2002, in correlazione  alla  generale
attribuzione al giudice dell'esecuzione delle competenze in  tema  di
conversione, disposta dall'art. 238 del medesimo d. lgs. n.  113  del
2002.
    I citati artt. 238 e 299 - quest'ultimo limitatamente alla  parte
in cui aveva abrogato  l'art.  660  cod.  proc.  pen.  -  sono  stati
dichiarati,  tuttavia,  costituzionalmente  illegittimi  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza  n.  212  del  2003,  per  eccesso  di
delega. Cio', in quanto la legge di delegazione sulla  cui  base  era
stato emanato il decreto legislativo non  consentiva  al  legislatore
delegato di apportare modifiche alle regole di competenza in materia.
    Secondo la giurisprudenza di legittimita', avendo la sentenza  n.
212 del 2003 ripristinato la vigenza della norma  generale  dell'art.
660 cod. proc. pen., ma non anche quella della norma  derogatoria  di
cui all'art. 42 del d.lgs. n.  274  del  2000,  la  competenza  sulla
conversione delle  pene  pecuniarie  inflitte  dal  giudice  di  pace
spetterebbe anch'essa, allo stato, al magistrato di sorveglianza.
    In quest'ottica, peraltro,  l'abrogazione  del  citato  art.  42,
disposta dalla norma  censurata,  dovrebbe  ritenersi  essa  pure  in
contrasto con l'art. 76 della Costituzione, per le  medesime  ragioni
poste in evidenza dalla citata sentenza n. 212  del  2003,  essendone
scaturita una modifica non consentita  del  pregresso  assetto  delle
competenze.
    2.- Analoga questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
299 del d.lgs. n. 113 del 2002, trasfuso nell'art. 299 del d.P.R.  n.
115 del 2002, nella parte in cui abroga l'art. 42 del d.lgs.  n.  274
del 2000, e' sollevata dal Magistrato di sorveglianza di  Alessandria
(ordinanza r. o. n. 117 del 2019).
    Quest'ultimo dubita, peraltro - «in via "indotta"  dall'eventuale
accoglimento» della  prima  questione  -,  anche  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7,  del  d.P.R.  n.
115 del 2002,  aggiunto  dall'art.  1,  comma  473,  della  legge  27
dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il  triennio  2018-2020),
nella parte in cui, facendo riferimento al giudice competente per  il
procedimento di conversione delle pene pecuniarie per  insolvibilita'
del debitore, «parla specificamente di  "magistrato  di  sorveglianza
competente", anziche' genericamente di "giudice competente"».
    Secondo il giudice a quo, ove a tale disposizione fosse assegnata
la  sola  funzione  di  disciplinare  la  fase  di  attivazione   del
procedimento di conversione, essa si porrebbe in contrasto con l'art.
3 Cost., per l'intrinseca contraddittorieta' tra il  contenuto  della
norma e la  sua  ratio.  Facendo  riferimento  in  via  esclusiva  al
magistrato di  sorveglianza,  il  censurato  art.  238-bis  verrebbe,
infatti,  a  produrre  un  effetto  non  previsto,  ne'  voluto   dal
legislatore:  quello,  cioe',   di   modificare   implicitamente   la
competenza sulla  conversione  delle  pene  pecuniarie  inflitte  dal
giudice di pace, che in base all'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000 -
ripristinato ex tunc per effetto  dell'auspicato  accoglimento  della
prima questione - dovrebbe spettare al giudice onorario.
    Ove,  invece,  si  ritenesse  che  con  la  norma  denunciata  il
legislatore abbia voluto disciplinare ex novo anche la competenza  in
subiecta materia, essa  violerebbe  egualmente  l'art.  3  Cost.,  in
quanto l'attribuzione della competenza al magistrato di sorveglianza,
anche quando si tratti di pene pecuniarie  irrogate  dal  giudice  di
pace,   risulterebbe   priva    di    ragionevole    giustificazione,
compromettendo la coerenza interna del  sistema  della  giurisdizione
penale  del  giudice  onorario   e   coinvolgendo   inutilmente   nel
procedimento uffici giudiziari diversi, con  un  «"pendolarismo"  tra
l'uno e l'altro», fonte di stasi e ritardi. Violerebbe, in tal  modo,
anche  l'art.  111,  secondo  comma,  Cost.,  per  contrasto  con  il
principio di ragionevole durata  del  processo;  nonche'  l'art.  97,
secondo  comma,  Cost.,  per  contrasto  con  il  principio  di  buon
andamento    dell'amministrazione    della    giustizia,     gravando
immotivatamente gli uffici di sorveglianza di ulteriori compiti,  che
ostacolerebbero l'espletamento delle gia' assorbenti funzioni di  cui
essi sono attualmente onerati.
    3.- Le due ordinanze di rimessione sollevano questioni  analoghe,
relative in parte alle medesime norme,  sicche'  i  relativi  giudizi
vanno riuniti per essere definiti con un'unica decisione.
    4.- La questione sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Pisa
e' inammissibile.
    Come eccepito  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  essa  e'
stata, infatti, sollevata, per quanto emerge dalla  stessa  ordinanza
di rimessione, dopo che la Corte di cassazione  -  pronunciandosi  in
sede di risoluzione  del  conflitto  di  competenza  insorto  tra  il
giudice a quo e il Giudice di pace di Asti nell'ambito  del  medesimo
procedimento - aveva dichiarato la competenza del primo.
    Alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte  (tra  le
tante, sentenze n. 1 del 2015 e n. 294 del 1995, ordinanze n. 306 del
2013  e  n.  222  del  1997),  cio'  determina  l'irrilevanza   della
questione.  L'effetto  vincolante  delle  decisioni  della  Corte  di
cassazione in materia di competenza, previsto dall'art. 25 cod. proc.
pen., impedisce, infatti, di rimettere in discussione  la  competenza
attribuita nel caso concreto  dalla  Cassazione  medesima,  rimanendo
ogni ulteriore indagine sul punto definitivamente  preclusa:  con  la
conseguenza che nessuna influenza  potrebbe  avere  la  pronuncia  di
questa Corte nel giudizio a quo.
    Restano assorbite  le  ulteriori  eccezioni  di  inammissibilita'
formulate dall'Avvocatura generale dello Stato.
    5.- Non fondata, per converso, e' l'eccezione di inammissibilita'
proposta dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  in  relazione  alle
questioni sollevate dal Magistrato di  sorveglianza  di  Alessandria,
con la quale si deduce che il  giudice  a  quo  avrebbe  richiesto  a
questa Corte un «improprio avallo» interpretativo, teso  a  confutare
il diverso orientamento espresso dalla Corte di cassazione.
    Pur  ritenendo  praticabile  una  diversa  interpretazione   che,
facendo leva sull'art. 40, comma 1,  del  d.lgs.  n.  274  del  2000,
porterebbe a  riconoscere  la  competenza  del  giudice  di  pace  in
materia,  il  giudice  a  quo  rileva  come  una   simile   soluzione
ermeneutica  si  scontrerebbe  con   il   consolidato   e   contrario
orientamento della Corte di cassazione, che esclude tale competenza.
    Per giurisprudenza ormai costante di questa Corte, in presenza di
un indirizzo giurisprudenziale consolidato, «il  giudice  a  quo,  se
pure e' libero di non uniformarvisi e di  proporre  una  sua  diversa
esegesi,   ha,   alternativamente,   la    facolta'    di    assumere
l'interpretazione censurata in termini  di  "diritto  vivente"  e  di
richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilita' con  i
parametri costituzionali (ex plurimis, sentenze n. 39  del  2018,  n.
259 del 2017 e n. 200 del 2016; ordinanza n.  201  del  2015).  Cio',
senza  che  gli  si  possa  addebitare  di  non  aver  seguito  altra
interpretazione, piu' aderente ai parametri stessi, sussistendo  tale
onere solo in assenza di un contrario diritto vivente (tra le  altre,
sentenze n. 122 del 2017 e n. 11 del  2015)»  (sentenza  n.  141  del
2019).
    6.- Cio' posto, ai  fini  dell'analisi  delle  singole  questioni
prospettate dal Magistrato di sorveglianza piemontese,  e'  opportuno
ripercorrere sinteticamente l'evoluzione  della  disciplina  relativa
alla competenza in materia di conversione delle pene  pecuniarie  non
pagate,  peraltro  gia'  ampiamente   descritta   nell'ordinanza   di
rimessione.
    6.1.-  La  competenza   a   disporre   la   conversione,   previo
accertamento dell'insolvibilita' del condannato, era  originariamente
attribuita, in via generale, dall'art. 660 cod. proc. pen.  del  1988
al magistrato di sorveglianza. La  disciplina  era  completata  dagli
artt. 181 e 182 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme
di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura
penale),  i  quali  regolavano,  rispettivamente,  le  modalita'  del
«recupero delle pene pecuniarie» e la procedura conseguente alla loro
mancata esazione.
    Una prima  innovazione  in  materia  si  e'  avuta  in  occasione
dell'introduzione  della  competenza  penale  del  giudice  di  pace,
avvenuta con il d.lgs. n. 274 del 2000. In via  derogatoria  rispetto
alla disciplina del codice di rito,  l'art.  42  del  citato  decreto
legislativo stabiliva, infatti, che per le pene  pecuniarie  inflitte
dal giudice onorario la conversione venisse disposta da quest'ultimo,
quale giudice dell'esecuzione.
    Dopo  pochi  anni,  il  legislatore  e'  intervenuto,   peraltro,
novamente con il testo unico in materia di spese di giustizia, di cui
al d.P.R. n. 115 del 2002 - nel quale, come e' noto,  sono  confluite
le disposizioni legislative del d.lgs.  n.  113  del  2002  e  quelle
regolamentari del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 114, recante «Testo unico
delle disposizioni regolamentari in materia  di  spese  di  giustizia
(Testo C)» - regolando ex novo la materia agli artt. 237 e  238,  con
la  previsione,  in  via  generale,  della  competenza  del   giudice
dell'esecuzione.  L'art.  299  del  testo  unico  ha   abrogato,   di
conseguenza, sia l'art. 660 cod. proc. pen. e gli  artt.  181  e  182
norme att. cod. proc. pen., sia l'art. 42 del d.lgs n. 274 del 2000.
    Con la sentenza n. 212  del  2003,  questa  Corte  ha,  tuttavia,
ritenuto che tale  intervento  fosse  stato  operato  in  eccesso  di
delega. Il d.lgs. n. 113 del 2002 trovava, infatti, fondamento  nella
delega contenuta  nell'art.  7  della  legge  8  marzo  1999,  n.  50
(Delegificazione e testi  unici  di  norme  concernenti  procedimenti
amministrativi - Legge  di  semplificazione  1998),  con  particolare
riferimento  alle  materie  indicate  ai  numeri  9),   10)   e   11)
dell'Allegato numero 1,  complessivamente  attinenti  alle  spese  di
giustizia.  Contrariamente  a  quanto   sostenuto   nella   relazione
illustrativa del testo unico, la disciplina in questione  non  poteva
essere fatta rientrare nell'oggetto della delega sulla  base  di  una
valutazione di  sostanziale  «comunanza»  della  materia  delle  pene
pecuniarie con quella delle spese di giustizia. Specie nelle  materie
coperte da riserva assoluta di legge - quale quella della  competenza
del giudice, ai sensi dell'art. 25 Cost. - l'esistenza  della  delega
non puo' essere desunta dalla mera «connessione» con l'oggetto  della
delega stessa: prospettiva nella quale il legislatore delegato doveva
ritenersi certamente privo del potere di dettare una  disciplina  del
procedimento di conversione che comportasse, come  quella  censurata,
la sottrazione della competenza al magistrato di  sorveglianza  e  il
suo trasferimento, in via generale, al giudice dell'esecuzione.
    Su  tali  premesse,   questa   Corte   ha   dichiarato,   quindi,
costituzionalmente illegittimi gli artt. 237 e 238 del d.lgs. n.  113
del 2002, nonche' l'art. 299 del medesimo decreto, limitatamente alla
parte in cui aveva abrogato l'art. 660 cod. proc. pen.
    Cio' ha determinato la reviviscenza di quest'ultima  disposizione
e,  con  essa,  della   competenza   generale   del   magistrato   di
sorveglianza, senza, peraltro, che analogo fenomeno si sia verificato
in rapporto alla norma derogatoria dell'art. 42 del d.lgs. n. 274 del
2000, la cui abrogazione non  era  investita  dalla  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale.
    In questo complesso quadro normativo, e'  intervenuto  da  ultimo
l'art. 1, comma 473, della legge n. 205 del 2017, che ha inserito nel
d.P.R.  n.  115  del  2002  l'art.  238-bis,  inteso  a  disciplinare
l'«[a]ttivazione delle procedure di conversione delle pene pecuniarie
non pagate».
    Tale disposizione e' stata introdotta al fine di colmare il vuoto
normativo venutosi a creare a seguito  dell'abrogazione  degli  artt.
181 e 182 norme att. cod. proc. pen. e della successiva dichiarazione
di incostituzionalita' degli artt. 237 e 238 del d.lgs.  n.  113  del
2002, nei quali era contenuta anche la disciplina di raccordo tra  la
fase  amministrativa  di  esazione  e   quella   giurisdizionale   di
conversione della pena pecuniaria.
    Del contenuto precettivo dell'art. 238-bis del d.P.R. n. 115  del
2002, cio' che rileva nel presente giudizio  di  costituzionalita'  -
formando peraltro oggetto di espressa censura ad opera del Magistrato
di sorveglianza di  Alessandria  -  e'  il  ripetuto  riferimento  al
magistrato di sorveglianza, quale organo competente in materia.
    Il comma 2 dell'art. 238-bis dispone, infatti, che la cancelleria
del giudice dell'esecuzione «investe il  pubblico  ministero  perche'
attivi la conversione presso il magistrato di sorveglianza competente
[...]», la cui attivita' e' specificamente regolata dai commi 6  e  7
dello stesso articolo: il  comma  6  -  riprendendo  la  formulazione
dell'abrogato art. 182 norme att. cod. proc. pen. - prevede che «[i]l
magistrato  di  sorveglianza,  al  fine  di   accertare   l'effettiva
insolvibilita' del debitore, puo' disporre le opportune indagini  nel
luogo del domicilio o della residenza, ovvero dove si  abbia  ragione
di ritenere che lo stesso possieda altri beni o cespiti di reddito  e
richiede, se necessario, informazioni  agli  organi  finanziari»;  il
comma 7, invece, dispone che «[q]uando il magistrato di  sorveglianza
competente accerta  la  solvibilita'  del  debitore,  l'agente  della
riscossione riavvia le attivita' di competenza sullo stesso  articolo
di  ruolo».  Anche  il  comma  5  fa  riferimento  al  magistrato  di
sorveglianza, prevedendo che «l'articolo di ruolo relativo alle  pene
pecuniarie e'  sospeso  dalla  data  in  cui  il  pubblico  ministero
trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente».
    6.2.-   A   fronte   del   descritto   panorama   normativo,   la
giurisprudenza di legittimita' si e' espressa in  modo  unanime,  nel
senso di ritenere  che  unico  organo  competente  a  decidere  sulla
conversione, anche quando si tratti di pene irrogate dal  giudice  di
pace, e' attualmente il  magistrato  di  sorveglianza  (ex  plurimis,
Corte di cassazione, sezione prima, sentenza 5 aprile-6 maggio  2019,
n. 18905;  sentenza  11  dicembre  2018-14  gennaio  2019,  n.  1560;
sentenza 15 novembre-18 dicembre 2018, n. 56967).
    A seguito della sentenza n. 212 del 2003,  ha  ripreso,  infatti,
pieno  vigore  l'art.  660  cod.  proc.  pen.,  che  viene  quindi  a
disciplinare  l'intera   materia   della   conversione   delle   pene
pecuniarie, quale che sia il reato cui afferiscono e il  giudice  che
le  ha  inflitte,  essendo  rimasta  salva   l'efficacia   abrogativa
dell'art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002 sull'art. 42 del  d.lgs.  n.
274 del 2000, relativa ai procedimenti di competenza del  giudice  di
pace. Cio',  ferme  restando  le  previsioni  di  ordine  sostanziale
contenute nell'art. 55 del medesimo decreto, che individuano in  modo
autonomo  le  sanzioni  scaturenti  dalla  conversione   delle   pene
pecuniarie inflitte dal giudice onorario  (permanenza  domiciliare  o
lavoro di pubblica utilita', in luogo della  liberta'  controllata  o
del lavoro sostitutivo previsti dall'art. 102 della legge 24 novembre
1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale»).
    Secondo la  Corte  di  cassazione,  tale  conclusione  troverebbe
puntuale conferma nella recente introduzione  dell'art.  238-bis  del
d.P.R. n. 115 del 2002, la quale esprimerebbe «la piena e  definitiva
consacrazione, ad  opera  della  legge  ordinaria,  della  competenza
unica, in materia, del magistrato di  sorveglianza»  (tra  le  altre,
Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 5 aprile-6 maggio
2019, n. 18905; sentenza 5 aprile-6 maggio 2019, n.  18902;  sentenza
13 marzo-18 aprile 2019, n. 17098).
    7.- Alla luce dell'esposta evoluzione del  quadro  normativo,  si
rende necessario  invertire  l'ordine  delle  questioni,  rispetto  a
quello prospettato dal rimettente, dovendo essere esaminate per prime
- in quanto  logicamente  pregiudiziali  -  le  questioni  aventi  ad
oggetto l'art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7,  del  d.P.R.  n.  115  del
2002.
    Nel caso di specie, il giudice a quo e' stato, infatti, investito
del procedimento di conversione successivamente all'entrata in vigore
di tale disposizione, la quale, pertanto, e' la norma che  disciplina
il procedimento stesso, anche per quanto  attiene  all'individuazione
del giudice competente al momento della domanda. Di conseguenza,  per
quanto appresso meglio si osservera', solo qualora fosse  rimosso  il
riconoscimento della competenza unica del magistrato di sorveglianza,
insito nel disposto del citato art. 238-bis, la  questione  intesa  a
far rivivere la norma anteriore di cui all'art. 42 del d.lgs. n.  274
del 2000 risulterebbe rilevante nel giudizio a quo.
    7.1.-  In  via  preliminare,  va  rilevato   che   le   questioni
concernenti l'art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, ora in  esame,
non sono  rese  inammissibili  dal  fatto  che  il  rimettente  abbia
suddiviso le  censure  in  due  gruppi,  qualificati  come  fra  loro
alternativi, in correlazione ad altrettante possibili interpretazioni
della  norma  censurata:  come  finalizzata,  cioe',   unicamente   a
disciplinare la fase di attivazione del procedimento di  conversione,
ovvero anche a regolare la competenza.
    Il giudice a quo non chiede, infatti, a questa Corte due  diversi
interventi, in rapporto di alternativita' irrisolta: nel qual caso le
questioni sarebbero inammissibili,  in  quanto  prospettate  in  modo
ancipite (ex plurimis, sentenze n. 75 e n. 58 del 2020,  n.  175  del
2018 e n. 22 del 2016, ordinanza n. 130 del  2017).  Egli  si  muove,
invece, nell'ambito di un  unico  percorso,  finalizzato  a  ottenere
esclusivamente  la   dichiarazione   di   incostituzionalita'   della
disposizione censurata, nella parte in cui,  facendo  riferimento  al
magistrato di sorveglianza anziche' al giudice  competente,  viene  a
sancire - non importa se come  conseguenza  non  preventivata  o  per
scelta consapevole del legislatore  -  la  competenza  esclusiva  del
primo in tema di conversione. In definitiva, gli argomenti svolti  si
pongono  come  complementari  e  pertanto  possono  essere  esaminati
congiuntamente.
    7.2.-  A  parere  del  rimettente,  la   disposizione   censurata
violerebbe anzitutto l'art. 3 Cost., per violazione del canone  della
ragionevolezza, sotto un duplice profilo.  In  primo  luogo,  per  la
contraddittorieta' intrinseca del contenuto della norma rispetto alla
sua ratio, in quanto la  disciplina  della  competenza  esorbiterebbe
dalle ragioni dell'intervento operato dalla legge n.  205  del  2017,
volto a regolare il raccordo fra  la  fase  di  esazione  delle  pene
pecuniarie e quella della loro conversione.
    In secondo luogo, poiche'  la  previsione  della  competenza  del
magistrato di sorveglianza, anche quando si discuta della conversione
di pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace, risulterebbe di  per
se' irragionevole.  Essa  implica,  infatti,  il  coinvolgimento  nel
procedimento di plurimi uffici giudiziari diversi (la cancelleria del
giudice dell'esecuzione, il  pubblico  ministero,  il  magistrato  di
sorveglianza), con pendolari passaggi tra l'uno e l'altro, forieri di
gravi e inutili ritardi. L'intrusione di  un  giudice  professionale,
quale il magistrato di sorveglianza,  nell'applicazione  in  sede  di
conversione  di  sanzioni   proprie   e   tipiche   dell'armamentario
sanzionatorio  del  solo  giudice  di  pace  (quali   la   permanenza
domiciliare o il lavoro di pubblica utilita'), finirebbe altresi' per
compromettere la coerenza interna del procedimento penale davanti  al
giudice onorario.
    Sotto entrambi i profili, la questione non e' fondata.
    Quanto al primo, nessuna contraddizione intrinseca e' ravvisabile
in una disciplina che, perseguendo la finalita' di colmare  un  vuoto
normativo  inerente  a  una  specifica  fase  del   procedimento   in
discussione, dia anche conferma alla regola  generale  di  competenza
espressa dal codice di rito.
    Quanto al secondo, non  puo'  che  essere  ribadita  la  costante
giurisprudenza di questa Corte, in base  alla  quale  il  legislatore
gode di discrezionalita' particolarmente  ampia  nella  conformazione
degli istituti  processuali,  con  il  solo  limite  della  manifesta
irragionevolezza o arbitrarieta' delle scelte operate  (ex  plurimis,
sentenze n. 79 e n. 58 del 2020, n. 155 e n. 139 del 2019, n. 225 del
2018 e n. 241 del  2017):  affermazione  valevole  anche  per  quanto
attiene specificamente alla disciplina della competenza  del  giudice
(ex plurimis, sentenze n. 158 del 2019, n. 44 del 2016 e n.  194  del
2015).
    Il predetto limite non puo' ritenersi valicato nel caso in esame.
Le deduzioni del giudice a quo, riguardo alle  disfunzioni  originate
dall'attuale disciplina processuale della conversione  -  disfunzioni
che non sono, peraltro, affatto esclusive del  procedimento  relativo
alle pene inflitte dal  giudice  di  pace  e  che  neppure  dipendono
soltanto  dalla  previsione  della  competenza  del   magistrato   di
sorveglianza,  connettendosi  piu'  in  generale   alla   farraginosa
strutturazione della procedura di esecuzione della pena pecuniaria  -
colgono effettive criticita' del sistema, che questa stessa Corte  ha
di recente sollecitato il legislatore a rimuovere  (sentenza  n.  279
del 2019).
    Per l'aspetto considerato, tali deduzioni non superano, pero', la
soglia della critica  alle  scelte  di  politica  legislativa  e  non
valgono, pertanto, a dimostrare quella manifesta  irragionevolezza  o
arbitrarieta' che  sola  legittimerebbe  l'invocata  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale.
    Riguardo, infine, all'ipotizzato  stravolgimento  della  coerenza
interna del sistema della giurisdizione penale del giudice  di  pace,
si tratta di effetto che non puo'  essere  certamente  riconnesso  al
mero  fatto  che,  in  determinati  frangenti   (nella   specie,   la
conversione di pene  pecuniarie  ineseguite),  le  speciali  sanzioni
previste per i reati  di  competenza  del  giudice  onorario  vengano
applicate da  un  giudice  professionale.  Altrettanto  avviene,  del
resto, quando i predetti reati siano giudicati dalla corte di  assise
o dal tribunale per ragioni di connessione (art. 6 del d.lgs. n.  274
del 2000).
    7.3.- Parimente infondata e' la censura formulata con riferimento
all'art.  111,  secondo  comma,  Cost.  basata  sull'assunto  che   i
«numerosi  fattori  gravemente   e   ingiustificatamente   dilatori»,
introdotti dalla norma censurata col  prefigurare  un  «pendolarismo»
tra un ufficio e l'altro, verrebbero a compromettere  la  ragionevole
durata del processo.
    Alla luce della  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  il
vulnus al principio in questione puo' essere determinato solamente da
norme procedurali  che  comportino  una  dilatazione  dei  tempi  del
processo non sorretta da  alcuna  logica  esigenza  (tra  le  ultime,
sentenza n. 155 del 2019), ma tali non possono essere considerate  le
disposizioni, come quella censurata, «con le  quali  il  legislatore,
nell'esercizio non irragionevole dell'ampia discrezionalita'  di  cui
gode in tema di  individuazione  del  giudice  competente,  definisce
l'ambito  della  cognizione  dei  singoli   organi   giurisdizionali»
(sentenza n. 63 del 2009).
    7.4.-  Secondo  il  giudice  a  quo  le  disposizioni   censurate
violerebbero  infine  anche  l'art.  97,  secondo  comma,  Cost.,  in
relazione al principio del buon andamento dell'amministrazione  della
giustizia. Affidando la conversione delle  pene  pecuniarie  irrogate
dal giudice di pace alla competenza del magistrato  di  sorveglianza,
esse   graverebbero,   infatti,   immotivatamente   gli   uffici   di
sorveglianza  di  ulteriori  compiti  «suscettibili   di   ostacolare
l'esercizio delle [...] funzioni istituzionali».
    Anche tale questione non e' fondata, poiche' l'art.  97,  secondo
comma, Cost., e'  parametro  non  conferente.  La  giurisprudenza  di
questa Corte e', infatti, costante nell'affermare  che  il  principio
del buon andamento e' riferibile all'amministrazione della  giustizia
soltanto per quanto attiene  all'organizzazione  e  al  funzionamento
degli uffici giudiziari e non all'attivita' giurisdizionale in  senso
stretto (tra le ultime, sentenze n. 80 del 2020, n. 90 del 2019 e  n.
91 del 2018), nella quale rientrano le funzioni svolte dal magistrato
di sorveglianza in merito alla conversione della pena pecuniaria.
    7.5.- Le questioni aventi ad oggetto l'art. 238-bis, commi 2,  5,
6 e 7, del d.P.R. n. 115  del  2002  vanno  dichiarate,  dunque,  non
fondate in rapporto a tutti i parametri evocati.
    8.-  La  riscontrata  infondatezza  di   tali   questioni   rende
inammissibile,  per  difetto  di  rilevanza,  la  questione  relativa
all'art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, per violazione dell'art.  76
Cost., nella parte in cui abroga l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000
(per una ipotesi analoga, mutatis mutandis, sentenza n. 95 del 2015).
    8.1.-  Si  e'  gia'  posto  in   evidenza,   infatti,   come   la
giurisprudenza di  legittimita'  sia  unanime  nel  ritenere  che  la
disposizione dell'art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002  -  di  la'
dalle specifiche ragioni per le quali e' stata introdotta  -  esprima
anche  la  volonta'  del  legislatore  di  confermare  la  competenza
esclusiva del magistrato di  sorveglianza  in  tema  di  conversione,
venutasi a determinare a seguito della sentenza n. 212 del 2003.
    Nel senso che si tratti di una precisa scelta legislativa depone,
d'altronde, la circostanza che la novella legislativa sia intervenuta
a notevole distanza di tempo dalla citata pronuncia  e  nella  stessa
sede (il testo unico delle spese di giustizia) nella quale era  stata
in  precedenza  operata  l'innovazione  alla   competenza,   reputata
illegittima da questa Corte  unicamente  per  ragioni  connesse  alla
natura della fonte: ragioni che la legge n. 205 del 2017 - in  quanto
legge ordinaria - avrebbe potuto senz'altro rimuovere.
    8.2.- A fronte di cio', la norma derogatoria, vale a dire  l'art.
42 del d.lgs. n. 274 del 2000, la cui efficacia sarebbe eventualmente
ripristinata ex tunc dalla declaratoria di  incostituzionalita',  non
potrebbe prevalere sulla norma generale successiva nel tempo  (ossia,
appunto, l'art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002).
    Nonostante la  generale  accettazione  sul  piano  operativo  del
principio di prevalenza della legge  speciale  sulla  legge  generale
successiva (lex specialis  etiamsi  prior  derogat  generali  etiamsi
posteriori), la risoluzione dell'eventuale conflitto fra criterio  di
specialita'   e   criterio    cronologico    non    vede,    infatti,
l'incondizionata  prevalenza  del  primo,  non  avendo   esso   rango
costituzionale, ne' valore  assoluto  come  criterio  di  risoluzione
delle antinomie (sentenza n. 503 del 2000).
    Come questa Corte ha avuto modo di affermare, gia' nella sentenza
n. 29 del 1976, «[n]ell'ipotesi di successione di una legge  generale
ad una legge speciale, non e' vera in assoluto  la  massima  che  lex
posterior generalis non derogat priori speciali:  giacche'  i  limiti
del detto principio vanno, in effetti,  di  volta  in  volta,  sempre
verificati alla stregua dell'intenzione del  legislatore.  E  non  e'
escluso che in concreto l'interpretazione della  voluntas  legis,  da
cui dipende la soluzione dell'indicato  problema  di  successione  di
norme, evidenz[i] una latitudine  della  legge  generale  posteriore,
tale da non tollerare eccezioni, neppure da parte di leggi  speciali:
che restano, in tal modo, tacitamente abrogate»  (in  senso  analogo,
sentenze n. 274 del 1997, n. 41 del 1992 e n. 345 del 1987).
    Su tali basi,  in  conclusione,  nel  caso  di  specie,  data  la
prevalenza  della  norma  generale,  l'eventuale  accoglimento  della
questione dell'art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002,  nella  parte  in
cui abroga l'art. 42  del  d.lgs.  n.  274  del  2000,  non  potrebbe
produrre effetti nel giudizio principale, il quale  continuerebbe  ad
essere regolato dall'art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, con  la
conseguenza  che  la  competenza  per  la  conversione   della   pena
pecuniaria irrogata dal giudice di pace rimarrebbe in capo al giudice
rimettente.
    8.3.- Da cio' l'inammissibilita', per difetto di rilevanza, della
questione dell'art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002,  nella  parte  in
cui abroga l'art. 42 del  d.lgs.  n.  274  del  2000,  relativa  alla
violazione dell'art. 76 Cost.
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,
    1)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  299  del  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 30  maggio  2002,  n.  115,  recante  «Testo  unico  delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l'art. 42 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla  competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della  legge  24
novembre 1999, n. 468), sollevata, in riferimento all'art.  76  della
Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Pisa, con l'ordinanza
indicata in epigrafe;
    2)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 299 del decreto legislativo 30 maggio  2002,
n. 113,  recante  «Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  in
materia di spese di giustizia (Testo B)», trasfuso nell'art. 299  del
d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte  in  cui  abroga  l'art.  42  del
d.lgs. n. 274 del 2000, sollevata, in riferimento all'art. 76  Cost.,
dal  Magistrato  di  sorveglianza  di  Alessandria,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe;
    3)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7,  del  d.P.R.  n.
115 del 2002,  aggiunto  dall'art.  1,  comma  473,  della  legge  27
dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il  triennio  2018-2020),
sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97,  secondo  comma,  e  111,
secondo comma, Cost., dal Magistrato di sorveglianza di  Alessandria,
con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 2020.

                                F.to:
                     Marta CARTABIA, Presidente
                      Franco MODUGNO, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2020.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA 

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