N. 95 SENTENZA 30 gennaio - 20 maggio 2020
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Esecuzione penale - Pene pecuniarie inflitte dal Giudice di pace -
Conversione per insolvibilita' del debitore - Giudice competente -
Magistrato di sorveglianza - Denunciata irragionevolezza,
violazione della ragionevole durata del processo nonche' del buon
andamento dell'amministrazione della giustizia - Non fondatezza
delle questioni.
- Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,
art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, aggiunto dall'art. 1, comma 473,
della legge 27 dicembre 2017, n. 205; decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 299, nella parte in cui
abroga il decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, art. 42;
decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, art. 299, "trasfuso"
nel d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui abroga l'art. 42 del
d.lgs. n. 274 del 2000.
- Costituzione, artt. 3, 76, 97, secondo comma, e 111, secondo comma.
(GU n.22 del 27-5-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO,
Augusto Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca
ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 299 del
decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, recante «Testo unico
delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia
(Testo B)», trasfuso nell'art. 299 del decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l'art. 42 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24
novembre 1999, n. 468), e dell'art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del
d.P.R. n. 115 del 2002, come introdotti dall'art. 1, comma 473, della
legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato
per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio
2018-2020), promossi complessivamente dal Magistrato di sorveglianza
di Pisa con ordinanza del 15 gennaio 2019 e dal Magistrato di
sorveglianza di Alessandria con ordinanza del 16 aprile 2019,
rispettivamente iscritte ai numeri 63 e 117 del registro ordinanze
2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, numeri
18 e 35, prima serie speciale, dell'anno 2019.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2020 il Giudice
relatore Franco Modugno;
deliberato nella camera di consiglio del 30 gennaio 2020.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza depositata il 15 gennaio 2019 (r. o. n. 63 del
2019), il Magistrato di sorveglianza di Pisa ha sollevato, in
riferimento all'art. 76 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 299 del decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l'art. 42 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24
novembre 1999, n. 468).
1.1.- In fatto, il giudice a quo premette che F. T. e' stato
condannato dal Giudice di pace di Asti con sentenza del 21 maggio
2013, divenuta irrevocabile il 24 giugno 2013, alla pena di 5.000
euro di ammenda. La Procura della Repubblica presso il Tribunale
ordinario di Asti, avendo rilevato l'impossibilita' di esazione della
somma, ha richiesto la conversione della pena pecuniaria in liberta'
controllata al Magistrato di sorveglianza di Genova, il quale ha
trasmesso gli atti al Magistrato di sorveglianza di Pisa, essendo F.
T. detenuto presso la casa circondariale di Pisa. Il Magistrato di
sorveglianza di Pisa ha ritenuto la propria incompetenza per materia
e trasmesso gli atti al Giudice di pace di Asti, il quale, a sua
volta, ha sollevato conflitto negativo di competenza, trasmettendo
gli atti alla Corte di cassazione. Con pronuncia del 15 novembre
2018, la Corte di cassazione ha dichiarato la competenza del
Magistrato di sorveglianza di Pisa, rimettendo gli atti a
quest'ultimo per la decisione di merito.
All'esito del conflitto di competenza, il Magistrato di
sorveglianza di Pisa ritiene che il sistema normativo vigente, in
forza del quale e' stata riconosciuta la competenza del magistrato di
sorveglianza a decidere in ordine a una richiesta di conversione per
insolvibilita' della pena pecuniaria irrogata dal giudice di pace,
sia il frutto di un intervento del legislatore delegato affetto da
eccesso di delega e, dunque, contrastante con l'art. 76 Cost.
1.2.- In punto di diritto, il rimettente osserva come, in sede di
risoluzione del conflitto di competenza, la Corte di cassazione abbia
ricostruito puntualmente la genesi dell'attuale assetto normativo.
L'esecuzione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace
era originariamente disciplinata dall'art. 42 del d.lgs. n. 274 del
2000, il quale stabiliva che essa aveva luogo ai sensi dell'art. 660
del codice di procedura penale. Nell'ottica di concentrare le
competenze in executivis, si prevedeva, tuttavia, che l'accertamento
dell'effettiva insolvibilita' del condannato fosse svolto - anziche'
dal magistrato di sorveglianza, come stabilito in termini generali
dal citato art. 660 cod. proc. pen. - dallo stesso giudice di pace
competente per l'esecuzione, che adottava anche i provvedimenti in
ordine alla rateizzazione o alla conversione della pena pecuniaria.
L'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000 e' stato, peraltro, abrogato
dall'art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002, il quale ha accorpato le
disposizioni legislative di cui al decreto legislativo 30 maggio
2002, n. 113, recante «Testo unico delle disposizioni legislative in
materia di spese di giustizia (Testo B)», e le disposizioni
regolamentari di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 114, recante «Testo
unico delle disposizioni regolamentari in materia di spese di
giustizia (Testo C)». Tale intervento abrogativo si inseriva nel piu'
ampio disegno volto ad attribuire in via generale, con l'art. 238 del
testo unico, al giudice dell'esecuzione i procedimenti di conversione
delle pene pecuniarie: prospettiva nella quale lo stesso art. 299
abrogava anche l'art. 660 cod. proc. pen., che affidava
originariamente, come detto, al magistrato di sorveglianza i
procedimenti in questione.
Con la sentenza n. 212 del 2003, la Corte costituzionale ha
dichiarato, tuttavia, illegittimi, per eccesso di delega, gli artt.
238 e 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, quest'ultimo nella parte in cui
aveva abrogato l'art. 660 cod. proc. pen. A seguito di tale
pronuncia, l'intera materia della conversione delle pene pecuniarie
era confluita - secondo la Corte di cassazione, chiamata a risolvere
il conflitto negativo di competenza sopra indicato - nelle competenze
del magistrato di sorveglianza. Avendo la Corte costituzionale
dichiarato illegittimo l'art. 299 del testo unico solo parzialmente,
restava infatti salvo l'effetto abrogativo di tale norma sull'art. 42
del d.lgs. n. 274 del 2000, che prevedeva precedentemente, in via
derogatoria, la competenza del giudice di pace.
Di qui la conclusione che in tutti i casi in cui sorga una
questione di conversione per insolvibilita' della pena pecuniaria
irrogata da un giudice di pace debba provvedere il magistrato di
sorveglianza territorialmente competente.
1.3.- Ad avviso del giudice a quo, la «lucida esposizione» della
Corte di cassazione avrebbe dovuto condurre, in realta', a un diverso
approdo: ossia a ritenere che l'art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002
sia costituzionalmente illegittimo anche nella parte in cui ha
abrogato l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000; norma, quest'ultima,
che dovrebbe «essere restituita a piena vigenza (ex tunc) esattamente
come l'art. 660 c.p.p.», ripristinando, in tal modo, la competenza
del giudice di pace in materia di conversione delle pene pecuniarie
dallo stesso irrogate.
Le ragioni dell'incostituzionalita' sarebbero gia' state espresse
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 212 del 2003, con la
quale si e' affermato che, «indipendentemente dall'ampiezza dei
contorni che vogliano attribuirsi alla materia delle spese di
giustizia» - alla quale risultava circoscritta la delega legislativa
conferita dalla legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi
unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di
semplificazione 1998), esercitata nella specie - il legislatore
delegato era «sicuramente privo del potere di dettare una disciplina
del procedimento di conversione delle pene pecuniarie», tesa a
modificare radicalmente le regole di competenza. Quest'ultima
affermazione sarebbe riferibile all'intervento normativo nel suo
complesso e quindi, sebbene la declaratoria di incostituzionalita'
sia stata limitata all'art. 299 nella parte in cui abrogava l'art.
660 cod. proc. pen., anche all'art. 299 nella parte in cui ha
abrogato l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000.
Di qui, dunque, la non manifesta infondatezza della questione.
Quanto alla rilevanza, l'accoglimento della questione sarebbe
«decisiv[o]» nel procedimento di sorveglianza in corso, poiche'
costituirebbe un elemento nuovo e risolutivo per affermare la
competenza del Giudice di pace di Asti.
2.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in
subordine, infondata.
2.1.- La difesa dello Stato reputa la questione inammissibile
sotto plurimi profili.
2.1.1.- In primo luogo, il rimettente avrebbe omesso qualsiasi
tentativo di interpretazione conforme a Costituzione: mancanza che
connoterebbe la questione alla stregua di una mera richiesta di
avallo interpretativo «rispetto ad una tra le varie scelte
ermeneutiche possibili».
2.1.2- In secondo luogo, la questione sarebbe inammissibile per
carenza del requisito della rilevanza nel giudizio a quo.
L'Avvocatura generale dello Stato ricorda, infatti, che dal
combinato disposto degli artt. 32 e 25 cod. proc. pen. deriva
l'impossibilita', una volta che il conflitto di competenza sia stato
deciso dalla Corte di cassazione, di rimettere in discussione il
merito della questione di competenza, salvo che risultino nuovi fatti
che comportino una diversa definizione giuridica da cui derivi la
competenza di un giudice superiore. Secondo la giurisprudenza di
legittimita', per nuovi fatti dovrebbero intendersi nuovi accadimenti
storici e non anche situazioni o qualificazioni giuridiche e, d'altra
parte, l'efficacia vincolante della decisione sulla competenza opera
anche con riferimento al giudizio di esecuzione.
Alla luce di tale orientamento, il rimettente non dovrebbe piu'
occuparsi della questione di competenza, sicche' le norme contestate
non potrebbero trovare applicazione nel giudizio a quo. Cio', senza
considerare che il Magistrato di sorveglianza di Pisa nel giudizio di
rinvio dovrebbe uniformarsi, comunque sia, al principio di diritto
espresso dalla Corte di cassazione, essendosi sul punto formato il
giudicato interno.
2.1.3.- Da ultimo, la questione sarebbe inammissibile anche per
difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza. Il giudice a
quo si sarebbe, infatti, limitato a richiamare quanto affermato dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 212 del 2003, senza chiarire
in alcun modo in cosa sia consistito l'eccesso di delega
relativamente alla competenza penale del giudice di pace: indicazione
da ritenere necessaria a fronte del fatto che tale sentenza si era
limitata a censurare, per violazione dell'art. 76 Cost., solo la
radicale modifica della competenza generale del magistrato di
sorveglianza.
2.2.- L'Avvocatura generale dello Stato ritiene, in subordine, la
questione infondata.
La difesa statale rileva, infatti, che l'art. 238 del d.P.R. n.
115 del 2002, colpito anch'esso dalla declaratoria di
incostituzionalita', attribuiva in via generale la competenza per la
conversione al giudice dell'esecuzione e, dunque, sostituiva anche
l'abrogato art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, che attribuiva
parziali competenze al giudice di pace. Di conseguenza, una volta
rimosso l'art. 238 del testo unico, la reviviscenza del citato art.
42 non sarebbe piu' possibile.
La declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 238
del d.P.R. n. 115 del 2002 avrebbe fatto si' che il principio
generale della competenza del giudice dell'esecuzione (compreso il
giudice di pace) non trovi piu' applicazione in rapporto all'istituto
della conversione della pena pecuniaria, rispetto al quale unica
norma residuata e con portata generale sarebbe l'art. 660 cod. proc.
pen.
3.- Con ordinanza depositata il 16 aprile del 2019 (r. o. n. 117
del 2019), il Magistrato di sorveglianza di Alessandria ha sollevato
questioni di legittimita' costituzionale:
a) dell'art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, trasfuso nel d.P.R.
n. 115 del 2002, nella parte in cui abroga l'art. 42 del d.lgs. n.
274 del 2000, in riferimento all'art. 76 Cost.;
b) nonche', «in via "indotta" dall'eventuale accoglimento» della
prima questione, dell'art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R. n.
115 del 2002, aggiunto dall'art. 1, comma 473, della legge 27
dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020),
nella parte in cui, facendo riferimento al giudice competente per il
procedimento di conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita'
del debitore, «parla specificamente di "magistrato di sorveglianza
competente", anziche' genericamente di "giudice competente"», in
relazione agli artt. 3, 97, secondo comma, e 111, secondo comma,
Cost.
3.1.- Il giudice a quo premette di essere stato investito dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di
Alessandria della richiesta di conversione della pena pecuniaria
inflitta a R. Q. con sentenza emessa dal Giudice di pace di
Alessandria il 17 novembre 2010, divenuta irrevocabile il 17 gennaio
2011. La richiesta, formulata l'11 dicembre 2018, era stata
presentata al giudice rimettente in quanto la Corte di cassazione, in
sede di risoluzione di un conflitto di competenza tra il medesimo
giudice e il Giudice di pace di Alessandria, insorto in un diverso e
precedente procedimento, aveva dichiarato la competenza della
magistratura di sorveglianza in materia.
3.2.- In punto di diritto, il rimettente si diffonde
preliminarmente nell'analitica ricostruzione del quadro normativo di
riferimento.
Il giudice a quo rileva che l'art. 660 cod. proc. pen. del 1988
aveva trasferito al magistrato di sorveglianza il compito,
precedentemente attribuito al pubblico ministero o al pretore, di
accertare l'effettiva insolvibilita' del condannato a pena
pecuniaria, nonche' di disporre la rateizzazione di quest'ultima e la
sua eventuale conversione in sanzione sostitutiva (liberta'
controllata o lavoro sostitutivo, ai sensi dell'art. 102 della legge
24 novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale»). Il
procedimento di conversione - regolato, oltre che dal citato art. 660
cod. proc. pen., dagli artt. 181 e 182 del decreto legislativo 28
luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e
transitorie del codice di procedura penale) e dall'art. 30 del d.m.
30 settembre 1989, n. 334 (Regolamento per l'esecuzione del codice di
procedura penale) - si caratterizzava, peraltro, per una accentuata
frammentazione di competenze (vedendo coinvolti la cancelleria del
giudice dell'esecuzione, il pubblico ministero e il magistrato di
sorveglianza), con ripetuti e inutili passaggi da un ufficio
all'altro.
Nell'affiancare al modello ordinario di procedimento penale un
procedimento specifico per i reati devoluti alla competenza del
giudice di pace, il d.lgs. n. 274 del 2000 aveva inteso valorizzare
il ruolo di quest'ultimo anche nell'esecuzione delle pene pecuniarie,
attribuendo allo stesso giudice onorario le competenze in tema di
conversione demandate dall'art. 660 cod. proc. pen. al magistrato di
sorveglianza (art. 42). Cio', in correlazione alle peculiarita' di
tale nuovo modello - nel quale, tra l'altro, la pena pecuniaria
ineseguita si converte in sanzioni sostitutive di diverso tipo
(permanenza domiciliare o lavoro di pubblica utilita', ai sensi
dell'art. 55 del d.lgs. n. 274 del 2000) - e al dichiarato fine di
evitare gli inconvenienti derivanti dalla frammentazione di
competenze determinata dalla norma generale del codice di rito.
I due "sistemi" di conversione venivano sostituiti e unificati
dal d.P.R. n. 115 del 2002, il quale, nel Titolo IV della Parte VII
(artt. 235-239) regolava l'intera materia relativa alla riscossione
delle pene pecuniarie in tutte le sue fasi, demandando il
procedimento di conversione al «giudice dell'esecuzione competente»
(artt. 237 e 238): ossia al giudice individuato dall'art. 665 cod.
proc. pen., quanto alle pene inflitte dal giudice professionale, e
dall'art. 40, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, quanto alle pene
irrogate dal giudice onorario (di regola, il giudice di pace che ha
emesso il provvedimento di condanna).
Per evitare problemi di coordinamento o di sovrapposizione tra la
nuova normativa e quella preesistente, venivano quindi espressamente
abrogati tanto l'art. 660 cod. proc. pen. e gli artt. 181 e 182 norme
att. cod. proc. pen., quanto l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000
(art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, trasfuso nel d.P.R. n. 115 del
2002).
Le norme sulla competenza a disporre la conversione della pena
pecuniaria in sanzione sostitutiva recate dal d.lgs. n. 113 del 2002,
e indi dal d.P.R. n. 115 del 2002, erano, dunque, innovative rispetto
alle pene pecuniarie applicate da un giudice "ordinario", perche'
trasferivano la competenza dal magistrato di sorveglianza al giudice
dell'esecuzione: non, invece, rispetto alle pene applicate da un
giudice di pace, in quanto la competenza permaneva, come in
precedenza, in capo allo stesso giudice di pace, in funzione di
giudice dell'esecuzione.
3.3.- Questo assetto normativo veniva, peraltro, subito
«sconvolto» dalla sentenza della Corte costituzionale n. 212 del
2003, che dichiarava illegittimi gli artt. 237, 238 e 299 del d.lgs.
n. 113 del 2002, quest'ultimo nella parte in cui abrogava l'art. 660
cod. proc. pen. La Corte riteneva non condivisibile il convincimento
espresso dal legislatore delegato, secondo il quale la disciplina
considerata rientrava nell'oggetto della delega conferita dall'art. 7
della legge n. 50 del 1999, in ragione della sostanziale «comunanza»
della materia delle pene pecuniarie con quella delle spese di
giustizia. Specie nelle materie coperte da riserva assoluta di legge
- quale quella della competenza del giudice, ai sensi dell'art. 25
Cost. - l'esistenza della delega non poteva essere, infatti, desunta
dalla mera «connessione» con l'oggetto della delega stessa:
prospettiva nella quale il legislatore delegato doveva ritenersi
senz'altro privo del potere di dettare una disciplina del
procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse una
radicale modifica delle regole di competenza.
Ad avviso del rimettente la Corte avrebbe dichiarato, dunque,
l'incostituzionalita' non sulla base di una «ipotetica (ed
inesistente) competenza "naturale" ed inderogabile in subiecta
materia della magistratura di sorveglianza, ma solo per vizio di
eccesso di delega». Nell'occasione - secondo il rimettente - la Corte
non si sarebbe posta il problema dell'incostituzionalita' dell'art.
299 del d.lgs n. 113 del 2002, nella parte in cui abrogava anche
l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, solo perche' tenuta a
conformarsi al principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato,
ma «la logica interna» della sentenza n. 212 del 2003 era sicuramente
quella di ritenere costituzionalmente illegittima qualsiasi
innovazione, da parte del legislatore delegato, alle preesistenti
regole di competenza in subiecta materia.
Aggiunge il giudice a quo che con la medesima sentenza la Corte
costituzionale ha dichiarato, peraltro, illegittimi anche gli artt.
237 e 238 del d.lgs. n. 113 del 2002, i quali non si limitavano a
incidere sulle regole competenziali in questione, ma disciplinavano
anche ex novo l'attivazione del procedimento giurisdizionale di
conversione, gia' regolata dagli abrogati artt. 181 e 182 norme att.
cod. proc. pen. Persistendo tale abrogazione, si e' venuto quindi a
determinare un vuoto normativo, quanto al momento di raccordo tra la
fase amministrativa di riscossione della pena pecuniaria e quella
giurisdizionale di conversione.
Al solo scopo - secondo il rimettente - di colmare tale vuoto, la
recente legge n. 205 del 2017 ha, quindi, aggiunto al d.P.R. n. 115
del 2002 l'art. 238-bis, inteso appunto a disciplinare - come
indicato dalla sua rubrica - l'«[a]ttivazione delle procedure di
conversione delle pene pecuniarie non pagate». La nuova disposizione,
nondimeno, ai commi 2, 5, 6 e 7, menziona ripetutamente, quale organo
giurisdizionale competente, il «magistrato di sorveglianza».
3.4.- A fronte di tale quadro normativo, la Corte di cassazione,
nel risolvere il conflitto di competenza insorto tra il giudice a quo
e il Giudice di pace di Asti nell'ambito di un distinto procedimento,
aveva disatteso l'interpretazione "adeguatrice" prospettata dal
rimettente stesso, secondo la quale la competenza in materia di
conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace
sarebbe rimasta radicata in capo a quest'ultimo, in base all'art. 40,
comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000. Secondo la Corte di
legittimita', avendo la citata sentenza n. 212 del 2003 dichiarato
costituzionalmente illegittimo l'art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002
solo parzialmente, restava salva l'efficacia abrogativa di tale norma
sull'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000: con la conseguenza che,
difettando una disposizione che attribuisca al giudice di pace la
competenza in materia di conversione delle pene pecuniarie, l'intera
materia rimaneva regolata dal ripristinato art. 660 cod. proc. pen.
Conclusione, questa, che sarebbe rimasta avvalorata dalla recente
introduzione dell'art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, laddove
richiama la competenza unica del magistrato di sorveglianza (Corte di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 15 novembre-18 dicembre
2018, n. 56967).
Ad avviso del Magistrato di sorveglianza di Alessandria, tali
argomenti non sarebbero persuasivi. L'orientamento ora ricordato e'
stato, tuttavia, ribadito dalla giurisprudenza di legittimita' in
numerose altre pronunce, cosi' da poter essere qualificato come vero
e proprio diritto vivente: il che renderebbe «di fatto vana»
l'adozione di una contraria interpretazione "costituzionalmente
orientata".
Sarebbe, di conseguenza, necessario sollevare questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002
(trasfuso nel d.P.R. n. 115 del 2002), nella parte in cui ha abrogato
l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, e - «in via "indotta"» -
dell'art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui, ai
commi 2, 5, 6 e 7, facendo riferimento al giudice competente per il
procedimento di conversione, «parla specificamente di "magistrato di
sorveglianza competente" anziche' genericamente di "giudice
competente"».
3.5.- Con riguardo a entrambe le norme, le questioni sarebbero
rilevanti, in quanto e' stato attivato presso l'ufficio del giudice
rimettente il procedimento di conversione di una pena pecuniaria
inflitta dal giudice di pace, con la conseguenza che il rimettente
stesso dovrebbe disporre le opportune indagini sull'insolvibilita'
del condannato, ai sensi dell'art. 238-bis, comma 6, del d.P.R. n.
115 del 2002. Di contro, la declaratoria di incostituzionalita' delle
norme censurate comporterebbe una pronuncia di incompetenza, con
restituzione degli atti al pubblico ministero per l'attivazione del
procedimento davanti al giudice di pace competente.
3.6.- Quanto alla non manifesta infondatezza della prima
questione, il giudice a quo ritiene che l'art. 299 del d.lgs. n. 113
del 2002, nella parte in cui abroga l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del
2000, si ponga in contrasto con l'art. 76 Cost.
Alla stregua del diritto vivente formatosi a seguito della
sentenza n. 212 del 2003, infatti, l'abrogazione del citato art. 42 -
benche' finalizzata al mero coordinamento con la nuova disciplina
introdotta dallo stesso d.lgs. n. 113 del 2002 - avrebbe determinato
una modifica sostanziale delle regole di competenza sulla conversione
delle pene pecuniarie inflitte da un giudice di pace, trasferendo la
competenza stessa dal giudice onorario al magistrato di sorveglianza.
In quest'ottica, la norma si rivelerebbe viziata da eccesso di
delega per le medesime ragioni gia' poste in evidenza nella sentenza
n. 212 del 2003, non avendo il legislatore delegato alcun potere di
intervento in materia.
3.7.- Per quanto riguarda, invece, l'art. 238-bis del d.P.R. n.
115 del 2002, l'incostituzionalita' di tale disposizione verrebbe
«"[...]indotta"» - ossia «"creata"» - dall'auspicato accoglimento
della prima questione, il quale, determinando la caducazione di una
disposizione di abrogazione espressa di un'altra norma, avrebbe
l'effetto di ripristinare ex tunc la vigenza dell'art. 42 del d.lgs.
del 274 del 2000.
A fronte di cio', l'incostituzionalita' denunciata sarebbe
prospettabile sotto due profili tra loro alternativi, secondo come il
citato art. 238-bis venga interpretato.
Ove si assegni alla norma la sola funzione di disciplinare
l'attivazione del procedimento di conversione della pena pecuniaria
non pagata, essa sarebbe in contrasto con l'art. 3 Cost. Facendo,
infatti, riferimento al solo magistrato di sorveglianza, come organo
competente per la conversione, la disposizione non si limiterebbe
soltanto a regolare il raccordo fra la fase di esazione delle pene
pecuniarie e quella della loro conversione, ma avrebbe una
conseguenza «non prevista e (soprattutto) non voluta dal
Legislatore»: quella, cioe', di escludere implicitamente la
«competenza del giudice di pace prevista dal "resuscitato" art. 42»
del d.lgs. n. 274 del 2000. In tal modo, peraltro, il contenuto della
disposizione risulterebbe intrinsecamente contraddittorio rispetto
alla sua ratio, con conseguente violazione del canone della
ragionevolezza.
Ove, invece, si ritenga che con l'art. 238-bis del d.P.R. n. 115
del 2002 il legislatore abbia inteso anche disciplinare ex novo la
competenza sulla conversione della pena pecuniaria, concentrandola
«sempre e solo nella magistratura di sorveglianza», cio'
comporterebbe che l'antinomia fra il ripristinato art. 42 del d.lgs.
n. 274 del 2000 e la norma censurata debba essere risolta nel senso
della prevalenza di quest'ultima, in quanto lex posterior.
In questa lettura, tuttavia, la disposizione si porrebbe in
contrasto con gli artt. 3, 97, secondo comma, e 111, secondo comma,
Cost.
Essa violerebbe l'art. 3 Cost., in quanto l'attribuzione in via
esclusiva della competenza al magistrato di sorveglianza, anche
quando si tratti di pene pecuniarie irrogate dal giudice di pace, non
troverebbe alcuna ragionevole giustificazione. Tale soluzione
priverebbe il procedimento di conversione delle caratteristiche di
snellezza e rapidita' gia' assicurate dall'art. 42 del d.lgs. n. 274
del 2000 con la concentrazione delle competenze in executivis in capo
al giudice di pace, facendo si' che nel procedimento stesso debbano
intervenire plurimi uffici giudiziari, con un irrazionale
«"pendolarismo" tra l'uno e l'altro». Il procedimento ha, infatti,
inizio con la richiesta di attivazione della conversione da parte del
cosiddetto ufficio recupero crediti presso il giudice dell'esecuzione
(art. 238-bis, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002), la quale deve
essere trasmessa al pubblico ministero, senza peraltro che sia chiaro
se si tratti del pubblico ministero presso il giudice dell'esecuzione
o presso il magistrato di sorveglianza (donde un «primo "pericolo di
stasi" del procedimento»). Il pubblico ministero deve quindi attivare
la conversione presso il magistrato di sorveglianza competente, il
quale va individuato in base a criteri diversi, ai sensi dell'art.
677 cod. proc. pen., secondo che il condannato sia detenuto o
internato, ovvero in stato di liberta': con un «altro "pericolo di
stasi"», dovendo il pubblico ministero effettuare ricerche per
verificare se e dove l'interessato si trovi ristretto, ovvero dove
abbia la residenza o il domicilio, se libero; elementi tutti che
possono, d'altronde, subire variazioni nelle more della trasmissione
degli atti al magistrato di sorveglianza. Nel caso, poi, in cui si
accerti che il condannato e' solvibile, il magistrato di sorveglianza
deve restituire gli atti al pubblico ministero, perche' chieda
all'ufficio recupero crediti presso il giudice dell'esecuzione di
riavviare le attivita' di riscossione (come si desume dagli artt.
238-bis, comma 7, e 239 del d.P.R. n. 115 del 2002); mentre, nel caso
in cui venga disposta la conversione della pena o la sua
rateizzazione, deve comunicare il provvedimento al medesimo ufficio
perche', a sua volta, provveda a comunicarlo all'agente di
riscossione (art. 238-bis, comma 8, del d.P.R. n. 115 del 2002).
La norma censurata avrebbe, in questo modo, «effetti gravemente
dilatori», che implicherebbero una lesione del principio di
ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.), non
compensata dall'esigenza di dare attuazione ad altri principi
costituzionali.
Essa stravolgerebbe, inoltre, «la coerenza interna di
quell'autonomo "microsistema di tutela integrata" rappresentato dal
procedimento penale davanti al giudice di pace», determinando una
immotivata «"intrusione" in quel procedimento [...] di un giudice
"professionale" o "togato" quale e' il magistrato di sorveglianza»,
che si troverebbe ad applicare, in sede di conversione, sanzioni
facenti parte dell'armamentario sanzionatorio tipico ed esclusivo del
giudice onorario.
Sul fronte opposto, la disposizione denunciata provocherebbe un
altrettanto ingiustificato incremento dei compiti della magistratura
di sorveglianza, gia' gravata di sempre piu' numerose attribuzioni
dalla recente «legislazione emergenziale» in tema di contenimento del
sovraffollamento carcerario, senza un corrispondente adeguamento
delle risorse umane e materiali: con conseguente compromissione anche
del principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia
(art. 97, secondo comma, Cost.).
4.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile.
La difesa statale deduce che le questioni non sarebbero
preordinate a risolvere il dubbio di legittimita' costituzionale, ma
mirerebbero ad ottenere un «improprio avallo» interpretativo, teso a
confutare il diverso orientamento espresso dalla Corte di cassazione,
tanto piu' che la richiesta si fonderebbe «sull'esistenza di una
presunta volonta' storica del legislatore».
Per quanto riguarda, poi, le singole censure, l'Avvocatura
generale dello Stato deduce, per un verso, che i dubbi di
costituzionalita' riferiti all'art. 3 Cost. sarebbero stati
prospettati «senza peraltro individuare il tertium comparationis» e,
per un altro verso, che le doglianze relative alla violazione degli
artt. 97, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., sarebbero state
formulate senza «minimamente giustificare l'assunto che la scelta
legislativa [...] pregiudicherebbe celerita' e buon andamento
dell'amministrazione della giustizia».
Considerato in diritto
1.- Il Magistrato di sorveglianza di Pisa (ordinanza r. o. n. 63
del 2019) dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 299 del
decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui
abroga l'art. 42 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma
dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468).
Il giudice a quo rileva che il citato art. 42 attribuiva al
giudice di pace, in funzione di giudice dell'esecuzione, la
competenza in tema di conversione per insolvibilita' del condannato
delle pene pecuniarie inflitte dallo stesso giudice onorario. Cio' in
deroga alla generale competenza del magistrato di sorveglianza in
materia, prevista dall'art. 660 del codice di procedura penale.
Tanto l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, quanto l'art. 660
cod. proc. pen. erano stati abrogati dall'art. 299 del decreto
legislativo 30 maggio 2002, n. 113, recante «Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di spese di giustizia (Testo B)»,
confluito nel d.P.R. n. 115 del 2002, in correlazione alla generale
attribuzione al giudice dell'esecuzione delle competenze in tema di
conversione, disposta dall'art. 238 del medesimo d. lgs. n. 113 del
2002.
I citati artt. 238 e 299 - quest'ultimo limitatamente alla parte
in cui aveva abrogato l'art. 660 cod. proc. pen. - sono stati
dichiarati, tuttavia, costituzionalmente illegittimi dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 212 del 2003, per eccesso di
delega. Cio', in quanto la legge di delegazione sulla cui base era
stato emanato il decreto legislativo non consentiva al legislatore
delegato di apportare modifiche alle regole di competenza in materia.
Secondo la giurisprudenza di legittimita', avendo la sentenza n.
212 del 2003 ripristinato la vigenza della norma generale dell'art.
660 cod. proc. pen., ma non anche quella della norma derogatoria di
cui all'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, la competenza sulla
conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace
spetterebbe anch'essa, allo stato, al magistrato di sorveglianza.
In quest'ottica, peraltro, l'abrogazione del citato art. 42,
disposta dalla norma censurata, dovrebbe ritenersi essa pure in
contrasto con l'art. 76 della Costituzione, per le medesime ragioni
poste in evidenza dalla citata sentenza n. 212 del 2003, essendone
scaturita una modifica non consentita del pregresso assetto delle
competenze.
2.- Analoga questione di legittimita' costituzionale dell'art.
299 del d.lgs. n. 113 del 2002, trasfuso nell'art. 299 del d.P.R. n.
115 del 2002, nella parte in cui abroga l'art. 42 del d.lgs. n. 274
del 2000, e' sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria
(ordinanza r. o. n. 117 del 2019).
Quest'ultimo dubita, peraltro - «in via "indotta" dall'eventuale
accoglimento» della prima questione -, anche della legittimita'
costituzionale dell'art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R. n.
115 del 2002, aggiunto dall'art. 1, comma 473, della legge 27
dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020),
nella parte in cui, facendo riferimento al giudice competente per il
procedimento di conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita'
del debitore, «parla specificamente di "magistrato di sorveglianza
competente", anziche' genericamente di "giudice competente"».
Secondo il giudice a quo, ove a tale disposizione fosse assegnata
la sola funzione di disciplinare la fase di attivazione del
procedimento di conversione, essa si porrebbe in contrasto con l'art.
3 Cost., per l'intrinseca contraddittorieta' tra il contenuto della
norma e la sua ratio. Facendo riferimento in via esclusiva al
magistrato di sorveglianza, il censurato art. 238-bis verrebbe,
infatti, a produrre un effetto non previsto, ne' voluto dal
legislatore: quello, cioe', di modificare implicitamente la
competenza sulla conversione delle pene pecuniarie inflitte dal
giudice di pace, che in base all'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000 -
ripristinato ex tunc per effetto dell'auspicato accoglimento della
prima questione - dovrebbe spettare al giudice onorario.
Ove, invece, si ritenesse che con la norma denunciata il
legislatore abbia voluto disciplinare ex novo anche la competenza in
subiecta materia, essa violerebbe egualmente l'art. 3 Cost., in
quanto l'attribuzione della competenza al magistrato di sorveglianza,
anche quando si tratti di pene pecuniarie irrogate dal giudice di
pace, risulterebbe priva di ragionevole giustificazione,
compromettendo la coerenza interna del sistema della giurisdizione
penale del giudice onorario e coinvolgendo inutilmente nel
procedimento uffici giudiziari diversi, con un «"pendolarismo" tra
l'uno e l'altro», fonte di stasi e ritardi. Violerebbe, in tal modo,
anche l'art. 111, secondo comma, Cost., per contrasto con il
principio di ragionevole durata del processo; nonche' l'art. 97,
secondo comma, Cost., per contrasto con il principio di buon
andamento dell'amministrazione della giustizia, gravando
immotivatamente gli uffici di sorveglianza di ulteriori compiti, che
ostacolerebbero l'espletamento delle gia' assorbenti funzioni di cui
essi sono attualmente onerati.
3.- Le due ordinanze di rimessione sollevano questioni analoghe,
relative in parte alle medesime norme, sicche' i relativi giudizi
vanno riuniti per essere definiti con un'unica decisione.
4.- La questione sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Pisa
e' inammissibile.
Come eccepito dall'Avvocatura generale dello Stato, essa e'
stata, infatti, sollevata, per quanto emerge dalla stessa ordinanza
di rimessione, dopo che la Corte di cassazione - pronunciandosi in
sede di risoluzione del conflitto di competenza insorto tra il
giudice a quo e il Giudice di pace di Asti nell'ambito del medesimo
procedimento - aveva dichiarato la competenza del primo.
Alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte (tra le
tante, sentenze n. 1 del 2015 e n. 294 del 1995, ordinanze n. 306 del
2013 e n. 222 del 1997), cio' determina l'irrilevanza della
questione. L'effetto vincolante delle decisioni della Corte di
cassazione in materia di competenza, previsto dall'art. 25 cod. proc.
pen., impedisce, infatti, di rimettere in discussione la competenza
attribuita nel caso concreto dalla Cassazione medesima, rimanendo
ogni ulteriore indagine sul punto definitivamente preclusa: con la
conseguenza che nessuna influenza potrebbe avere la pronuncia di
questa Corte nel giudizio a quo.
Restano assorbite le ulteriori eccezioni di inammissibilita'
formulate dall'Avvocatura generale dello Stato.
5.- Non fondata, per converso, e' l'eccezione di inammissibilita'
proposta dall'Avvocatura generale dello Stato in relazione alle
questioni sollevate dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria,
con la quale si deduce che il giudice a quo avrebbe richiesto a
questa Corte un «improprio avallo» interpretativo, teso a confutare
il diverso orientamento espresso dalla Corte di cassazione.
Pur ritenendo praticabile una diversa interpretazione che,
facendo leva sull'art. 40, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000,
porterebbe a riconoscere la competenza del giudice di pace in
materia, il giudice a quo rileva come una simile soluzione
ermeneutica si scontrerebbe con il consolidato e contrario
orientamento della Corte di cassazione, che esclude tale competenza.
Per giurisprudenza ormai costante di questa Corte, in presenza di
un indirizzo giurisprudenziale consolidato, «il giudice a quo, se
pure e' libero di non uniformarvisi e di proporre una sua diversa
esegesi, ha, alternativamente, la facolta' di assumere
l'interpretazione censurata in termini di "diritto vivente" e di
richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilita' con i
parametri costituzionali (ex plurimis, sentenze n. 39 del 2018, n.
259 del 2017 e n. 200 del 2016; ordinanza n. 201 del 2015). Cio',
senza che gli si possa addebitare di non aver seguito altra
interpretazione, piu' aderente ai parametri stessi, sussistendo tale
onere solo in assenza di un contrario diritto vivente (tra le altre,
sentenze n. 122 del 2017 e n. 11 del 2015)» (sentenza n. 141 del
2019).
6.- Cio' posto, ai fini dell'analisi delle singole questioni
prospettate dal Magistrato di sorveglianza piemontese, e' opportuno
ripercorrere sinteticamente l'evoluzione della disciplina relativa
alla competenza in materia di conversione delle pene pecuniarie non
pagate, peraltro gia' ampiamente descritta nell'ordinanza di
rimessione.
6.1.- La competenza a disporre la conversione, previo
accertamento dell'insolvibilita' del condannato, era originariamente
attribuita, in via generale, dall'art. 660 cod. proc. pen. del 1988
al magistrato di sorveglianza. La disciplina era completata dagli
artt. 181 e 182 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme
di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura
penale), i quali regolavano, rispettivamente, le modalita' del
«recupero delle pene pecuniarie» e la procedura conseguente alla loro
mancata esazione.
Una prima innovazione in materia si e' avuta in occasione
dell'introduzione della competenza penale del giudice di pace,
avvenuta con il d.lgs. n. 274 del 2000. In via derogatoria rispetto
alla disciplina del codice di rito, l'art. 42 del citato decreto
legislativo stabiliva, infatti, che per le pene pecuniarie inflitte
dal giudice onorario la conversione venisse disposta da quest'ultimo,
quale giudice dell'esecuzione.
Dopo pochi anni, il legislatore e' intervenuto, peraltro,
novamente con il testo unico in materia di spese di giustizia, di cui
al d.P.R. n. 115 del 2002 - nel quale, come e' noto, sono confluite
le disposizioni legislative del d.lgs. n. 113 del 2002 e quelle
regolamentari del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 114, recante «Testo unico
delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia
(Testo C)» - regolando ex novo la materia agli artt. 237 e 238, con
la previsione, in via generale, della competenza del giudice
dell'esecuzione. L'art. 299 del testo unico ha abrogato, di
conseguenza, sia l'art. 660 cod. proc. pen. e gli artt. 181 e 182
norme att. cod. proc. pen., sia l'art. 42 del d.lgs n. 274 del 2000.
Con la sentenza n. 212 del 2003, questa Corte ha, tuttavia,
ritenuto che tale intervento fosse stato operato in eccesso di
delega. Il d.lgs. n. 113 del 2002 trovava, infatti, fondamento nella
delega contenuta nell'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50
(Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti
amministrativi - Legge di semplificazione 1998), con particolare
riferimento alle materie indicate ai numeri 9), 10) e 11)
dell'Allegato numero 1, complessivamente attinenti alle spese di
giustizia. Contrariamente a quanto sostenuto nella relazione
illustrativa del testo unico, la disciplina in questione non poteva
essere fatta rientrare nell'oggetto della delega sulla base di una
valutazione di sostanziale «comunanza» della materia delle pene
pecuniarie con quella delle spese di giustizia. Specie nelle materie
coperte da riserva assoluta di legge - quale quella della competenza
del giudice, ai sensi dell'art. 25 Cost. - l'esistenza della delega
non puo' essere desunta dalla mera «connessione» con l'oggetto della
delega stessa: prospettiva nella quale il legislatore delegato doveva
ritenersi certamente privo del potere di dettare una disciplina del
procedimento di conversione che comportasse, come quella censurata,
la sottrazione della competenza al magistrato di sorveglianza e il
suo trasferimento, in via generale, al giudice dell'esecuzione.
Su tali premesse, questa Corte ha dichiarato, quindi,
costituzionalmente illegittimi gli artt. 237 e 238 del d.lgs. n. 113
del 2002, nonche' l'art. 299 del medesimo decreto, limitatamente alla
parte in cui aveva abrogato l'art. 660 cod. proc. pen.
Cio' ha determinato la reviviscenza di quest'ultima disposizione
e, con essa, della competenza generale del magistrato di
sorveglianza, senza, peraltro, che analogo fenomeno si sia verificato
in rapporto alla norma derogatoria dell'art. 42 del d.lgs. n. 274 del
2000, la cui abrogazione non era investita dalla declaratoria di
illegittimita' costituzionale.
In questo complesso quadro normativo, e' intervenuto da ultimo
l'art. 1, comma 473, della legge n. 205 del 2017, che ha inserito nel
d.P.R. n. 115 del 2002 l'art. 238-bis, inteso a disciplinare
l'«[a]ttivazione delle procedure di conversione delle pene pecuniarie
non pagate».
Tale disposizione e' stata introdotta al fine di colmare il vuoto
normativo venutosi a creare a seguito dell'abrogazione degli artt.
181 e 182 norme att. cod. proc. pen. e della successiva dichiarazione
di incostituzionalita' degli artt. 237 e 238 del d.lgs. n. 113 del
2002, nei quali era contenuta anche la disciplina di raccordo tra la
fase amministrativa di esazione e quella giurisdizionale di
conversione della pena pecuniaria.
Del contenuto precettivo dell'art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del
2002, cio' che rileva nel presente giudizio di costituzionalita' -
formando peraltro oggetto di espressa censura ad opera del Magistrato
di sorveglianza di Alessandria - e' il ripetuto riferimento al
magistrato di sorveglianza, quale organo competente in materia.
Il comma 2 dell'art. 238-bis dispone, infatti, che la cancelleria
del giudice dell'esecuzione «investe il pubblico ministero perche'
attivi la conversione presso il magistrato di sorveglianza competente
[...]», la cui attivita' e' specificamente regolata dai commi 6 e 7
dello stesso articolo: il comma 6 - riprendendo la formulazione
dell'abrogato art. 182 norme att. cod. proc. pen. - prevede che «[i]l
magistrato di sorveglianza, al fine di accertare l'effettiva
insolvibilita' del debitore, puo' disporre le opportune indagini nel
luogo del domicilio o della residenza, ovvero dove si abbia ragione
di ritenere che lo stesso possieda altri beni o cespiti di reddito e
richiede, se necessario, informazioni agli organi finanziari»; il
comma 7, invece, dispone che «[q]uando il magistrato di sorveglianza
competente accerta la solvibilita' del debitore, l'agente della
riscossione riavvia le attivita' di competenza sullo stesso articolo
di ruolo». Anche il comma 5 fa riferimento al magistrato di
sorveglianza, prevedendo che «l'articolo di ruolo relativo alle pene
pecuniarie e' sospeso dalla data in cui il pubblico ministero
trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente».
6.2.- A fronte del descritto panorama normativo, la
giurisprudenza di legittimita' si e' espressa in modo unanime, nel
senso di ritenere che unico organo competente a decidere sulla
conversione, anche quando si tratti di pene irrogate dal giudice di
pace, e' attualmente il magistrato di sorveglianza (ex plurimis,
Corte di cassazione, sezione prima, sentenza 5 aprile-6 maggio 2019,
n. 18905; sentenza 11 dicembre 2018-14 gennaio 2019, n. 1560;
sentenza 15 novembre-18 dicembre 2018, n. 56967).
A seguito della sentenza n. 212 del 2003, ha ripreso, infatti,
pieno vigore l'art. 660 cod. proc. pen., che viene quindi a
disciplinare l'intera materia della conversione delle pene
pecuniarie, quale che sia il reato cui afferiscono e il giudice che
le ha inflitte, essendo rimasta salva l'efficacia abrogativa
dell'art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002 sull'art. 42 del d.lgs. n.
274 del 2000, relativa ai procedimenti di competenza del giudice di
pace. Cio', ferme restando le previsioni di ordine sostanziale
contenute nell'art. 55 del medesimo decreto, che individuano in modo
autonomo le sanzioni scaturenti dalla conversione delle pene
pecuniarie inflitte dal giudice onorario (permanenza domiciliare o
lavoro di pubblica utilita', in luogo della liberta' controllata o
del lavoro sostitutivo previsti dall'art. 102 della legge 24 novembre
1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale»).
Secondo la Corte di cassazione, tale conclusione troverebbe
puntuale conferma nella recente introduzione dell'art. 238-bis del
d.P.R. n. 115 del 2002, la quale esprimerebbe «la piena e definitiva
consacrazione, ad opera della legge ordinaria, della competenza
unica, in materia, del magistrato di sorveglianza» (tra le altre,
Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 5 aprile-6 maggio
2019, n. 18905; sentenza 5 aprile-6 maggio 2019, n. 18902; sentenza
13 marzo-18 aprile 2019, n. 17098).
7.- Alla luce dell'esposta evoluzione del quadro normativo, si
rende necessario invertire l'ordine delle questioni, rispetto a
quello prospettato dal rimettente, dovendo essere esaminate per prime
- in quanto logicamente pregiudiziali - le questioni aventi ad
oggetto l'art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R. n. 115 del
2002.
Nel caso di specie, il giudice a quo e' stato, infatti, investito
del procedimento di conversione successivamente all'entrata in vigore
di tale disposizione, la quale, pertanto, e' la norma che disciplina
il procedimento stesso, anche per quanto attiene all'individuazione
del giudice competente al momento della domanda. Di conseguenza, per
quanto appresso meglio si osservera', solo qualora fosse rimosso il
riconoscimento della competenza unica del magistrato di sorveglianza,
insito nel disposto del citato art. 238-bis, la questione intesa a
far rivivere la norma anteriore di cui all'art. 42 del d.lgs. n. 274
del 2000 risulterebbe rilevante nel giudizio a quo.
7.1.- In via preliminare, va rilevato che le questioni
concernenti l'art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, ora in esame,
non sono rese inammissibili dal fatto che il rimettente abbia
suddiviso le censure in due gruppi, qualificati come fra loro
alternativi, in correlazione ad altrettante possibili interpretazioni
della norma censurata: come finalizzata, cioe', unicamente a
disciplinare la fase di attivazione del procedimento di conversione,
ovvero anche a regolare la competenza.
Il giudice a quo non chiede, infatti, a questa Corte due diversi
interventi, in rapporto di alternativita' irrisolta: nel qual caso le
questioni sarebbero inammissibili, in quanto prospettate in modo
ancipite (ex plurimis, sentenze n. 75 e n. 58 del 2020, n. 175 del
2018 e n. 22 del 2016, ordinanza n. 130 del 2017). Egli si muove,
invece, nell'ambito di un unico percorso, finalizzato a ottenere
esclusivamente la dichiarazione di incostituzionalita' della
disposizione censurata, nella parte in cui, facendo riferimento al
magistrato di sorveglianza anziche' al giudice competente, viene a
sancire - non importa se come conseguenza non preventivata o per
scelta consapevole del legislatore - la competenza esclusiva del
primo in tema di conversione. In definitiva, gli argomenti svolti si
pongono come complementari e pertanto possono essere esaminati
congiuntamente.
7.2.- A parere del rimettente, la disposizione censurata
violerebbe anzitutto l'art. 3 Cost., per violazione del canone della
ragionevolezza, sotto un duplice profilo. In primo luogo, per la
contraddittorieta' intrinseca del contenuto della norma rispetto alla
sua ratio, in quanto la disciplina della competenza esorbiterebbe
dalle ragioni dell'intervento operato dalla legge n. 205 del 2017,
volto a regolare il raccordo fra la fase di esazione delle pene
pecuniarie e quella della loro conversione.
In secondo luogo, poiche' la previsione della competenza del
magistrato di sorveglianza, anche quando si discuta della conversione
di pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace, risulterebbe di per
se' irragionevole. Essa implica, infatti, il coinvolgimento nel
procedimento di plurimi uffici giudiziari diversi (la cancelleria del
giudice dell'esecuzione, il pubblico ministero, il magistrato di
sorveglianza), con pendolari passaggi tra l'uno e l'altro, forieri di
gravi e inutili ritardi. L'intrusione di un giudice professionale,
quale il magistrato di sorveglianza, nell'applicazione in sede di
conversione di sanzioni proprie e tipiche dell'armamentario
sanzionatorio del solo giudice di pace (quali la permanenza
domiciliare o il lavoro di pubblica utilita'), finirebbe altresi' per
compromettere la coerenza interna del procedimento penale davanti al
giudice onorario.
Sotto entrambi i profili, la questione non e' fondata.
Quanto al primo, nessuna contraddizione intrinseca e' ravvisabile
in una disciplina che, perseguendo la finalita' di colmare un vuoto
normativo inerente a una specifica fase del procedimento in
discussione, dia anche conferma alla regola generale di competenza
espressa dal codice di rito.
Quanto al secondo, non puo' che essere ribadita la costante
giurisprudenza di questa Corte, in base alla quale il legislatore
gode di discrezionalita' particolarmente ampia nella conformazione
degli istituti processuali, con il solo limite della manifesta
irragionevolezza o arbitrarieta' delle scelte operate (ex plurimis,
sentenze n. 79 e n. 58 del 2020, n. 155 e n. 139 del 2019, n. 225 del
2018 e n. 241 del 2017): affermazione valevole anche per quanto
attiene specificamente alla disciplina della competenza del giudice
(ex plurimis, sentenze n. 158 del 2019, n. 44 del 2016 e n. 194 del
2015).
Il predetto limite non puo' ritenersi valicato nel caso in esame.
Le deduzioni del giudice a quo, riguardo alle disfunzioni originate
dall'attuale disciplina processuale della conversione - disfunzioni
che non sono, peraltro, affatto esclusive del procedimento relativo
alle pene inflitte dal giudice di pace e che neppure dipendono
soltanto dalla previsione della competenza del magistrato di
sorveglianza, connettendosi piu' in generale alla farraginosa
strutturazione della procedura di esecuzione della pena pecuniaria -
colgono effettive criticita' del sistema, che questa stessa Corte ha
di recente sollecitato il legislatore a rimuovere (sentenza n. 279
del 2019).
Per l'aspetto considerato, tali deduzioni non superano, pero', la
soglia della critica alle scelte di politica legislativa e non
valgono, pertanto, a dimostrare quella manifesta irragionevolezza o
arbitrarieta' che sola legittimerebbe l'invocata declaratoria di
illegittimita' costituzionale.
Riguardo, infine, all'ipotizzato stravolgimento della coerenza
interna del sistema della giurisdizione penale del giudice di pace,
si tratta di effetto che non puo' essere certamente riconnesso al
mero fatto che, in determinati frangenti (nella specie, la
conversione di pene pecuniarie ineseguite), le speciali sanzioni
previste per i reati di competenza del giudice onorario vengano
applicate da un giudice professionale. Altrettanto avviene, del
resto, quando i predetti reati siano giudicati dalla corte di assise
o dal tribunale per ragioni di connessione (art. 6 del d.lgs. n. 274
del 2000).
7.3.- Parimente infondata e' la censura formulata con riferimento
all'art. 111, secondo comma, Cost. basata sull'assunto che i
«numerosi fattori gravemente e ingiustificatamente dilatori»,
introdotti dalla norma censurata col prefigurare un «pendolarismo»
tra un ufficio e l'altro, verrebbero a compromettere la ragionevole
durata del processo.
Alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte, il
vulnus al principio in questione puo' essere determinato solamente da
norme procedurali che comportino una dilatazione dei tempi del
processo non sorretta da alcuna logica esigenza (tra le ultime,
sentenza n. 155 del 2019), ma tali non possono essere considerate le
disposizioni, come quella censurata, «con le quali il legislatore,
nell'esercizio non irragionevole dell'ampia discrezionalita' di cui
gode in tema di individuazione del giudice competente, definisce
l'ambito della cognizione dei singoli organi giurisdizionali»
(sentenza n. 63 del 2009).
7.4.- Secondo il giudice a quo le disposizioni censurate
violerebbero infine anche l'art. 97, secondo comma, Cost., in
relazione al principio del buon andamento dell'amministrazione della
giustizia. Affidando la conversione delle pene pecuniarie irrogate
dal giudice di pace alla competenza del magistrato di sorveglianza,
esse graverebbero, infatti, immotivatamente gli uffici di
sorveglianza di ulteriori compiti «suscettibili di ostacolare
l'esercizio delle [...] funzioni istituzionali».
Anche tale questione non e' fondata, poiche' l'art. 97, secondo
comma, Cost., e' parametro non conferente. La giurisprudenza di
questa Corte e', infatti, costante nell'affermare che il principio
del buon andamento e' riferibile all'amministrazione della giustizia
soltanto per quanto attiene all'organizzazione e al funzionamento
degli uffici giudiziari e non all'attivita' giurisdizionale in senso
stretto (tra le ultime, sentenze n. 80 del 2020, n. 90 del 2019 e n.
91 del 2018), nella quale rientrano le funzioni svolte dal magistrato
di sorveglianza in merito alla conversione della pena pecuniaria.
7.5.- Le questioni aventi ad oggetto l'art. 238-bis, commi 2, 5,
6 e 7, del d.P.R. n. 115 del 2002 vanno dichiarate, dunque, non
fondate in rapporto a tutti i parametri evocati.
8.- La riscontrata infondatezza di tali questioni rende
inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione relativa
all'art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, per violazione dell'art. 76
Cost., nella parte in cui abroga l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000
(per una ipotesi analoga, mutatis mutandis, sentenza n. 95 del 2015).
8.1.- Si e' gia' posto in evidenza, infatti, come la
giurisprudenza di legittimita' sia unanime nel ritenere che la
disposizione dell'art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 - di la'
dalle specifiche ragioni per le quali e' stata introdotta - esprima
anche la volonta' del legislatore di confermare la competenza
esclusiva del magistrato di sorveglianza in tema di conversione,
venutasi a determinare a seguito della sentenza n. 212 del 2003.
Nel senso che si tratti di una precisa scelta legislativa depone,
d'altronde, la circostanza che la novella legislativa sia intervenuta
a notevole distanza di tempo dalla citata pronuncia e nella stessa
sede (il testo unico delle spese di giustizia) nella quale era stata
in precedenza operata l'innovazione alla competenza, reputata
illegittima da questa Corte unicamente per ragioni connesse alla
natura della fonte: ragioni che la legge n. 205 del 2017 - in quanto
legge ordinaria - avrebbe potuto senz'altro rimuovere.
8.2.- A fronte di cio', la norma derogatoria, vale a dire l'art.
42 del d.lgs. n. 274 del 2000, la cui efficacia sarebbe eventualmente
ripristinata ex tunc dalla declaratoria di incostituzionalita', non
potrebbe prevalere sulla norma generale successiva nel tempo (ossia,
appunto, l'art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002).
Nonostante la generale accettazione sul piano operativo del
principio di prevalenza della legge speciale sulla legge generale
successiva (lex specialis etiamsi prior derogat generali etiamsi
posteriori), la risoluzione dell'eventuale conflitto fra criterio di
specialita' e criterio cronologico non vede, infatti,
l'incondizionata prevalenza del primo, non avendo esso rango
costituzionale, ne' valore assoluto come criterio di risoluzione
delle antinomie (sentenza n. 503 del 2000).
Come questa Corte ha avuto modo di affermare, gia' nella sentenza
n. 29 del 1976, «[n]ell'ipotesi di successione di una legge generale
ad una legge speciale, non e' vera in assoluto la massima che lex
posterior generalis non derogat priori speciali: giacche' i limiti
del detto principio vanno, in effetti, di volta in volta, sempre
verificati alla stregua dell'intenzione del legislatore. E non e'
escluso che in concreto l'interpretazione della voluntas legis, da
cui dipende la soluzione dell'indicato problema di successione di
norme, evidenz[i] una latitudine della legge generale posteriore,
tale da non tollerare eccezioni, neppure da parte di leggi speciali:
che restano, in tal modo, tacitamente abrogate» (in senso analogo,
sentenze n. 274 del 1997, n. 41 del 1992 e n. 345 del 1987).
Su tali basi, in conclusione, nel caso di specie, data la
prevalenza della norma generale, l'eventuale accoglimento della
questione dell'art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, nella parte in
cui abroga l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, non potrebbe
produrre effetti nel giudizio principale, il quale continuerebbe ad
essere regolato dall'art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, con la
conseguenza che la competenza per la conversione della pena
pecuniaria irrogata dal giudice di pace rimarrebbe in capo al giudice
rimettente.
8.3.- Da cio' l'inammissibilita', per difetto di rilevanza, della
questione dell'art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, nella parte in
cui abroga l'art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, relativa alla
violazione dell'art. 76 Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 299 del decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l'art. 42 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24
novembre 1999, n. 468), sollevata, in riferimento all'art. 76 della
Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Pisa, con l'ordinanza
indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 299 del decreto legislativo 30 maggio 2002,
n. 113, recante «Testo unico delle disposizioni legislative in
materia di spese di giustizia (Testo B)», trasfuso nell'art. 299 del
d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui abroga l'art. 42 del
d.lgs. n. 274 del 2000, sollevata, in riferimento all'art. 76 Cost.,
dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria, con l'ordinanza
indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R. n.
115 del 2002, aggiunto dall'art. 1, comma 473, della legge 27
dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020),
sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, secondo comma, e 111,
secondo comma, Cost., dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria,
con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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