N. 96 SENTENZA 11 febbraio - 20 maggio 2020
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Reati e pene - Depenalizzazione di reati puniti con la sola pena
pecuniaria (nella specie, guida senza patente) - Disciplina
transitoria - Applicabilita' delle sanzioni amministrative alle
violazioni commesse anteriormente alla depenalizzazione -
Denunciato contrasto con la legge di delega - Non fondatezza della
questione.
Reati e pene - Depenalizzazione di reati puniti con la sola pena
pecuniaria (nella specie, guida senza patente) - Disciplina
transitoria - Applicabilita' delle sanzioni amministrative alle
violazioni commesse anteriormente alla depenalizzazione -
Denunciata violazione del principio di irretroattivita' delle
sanzioni qualificabili come pena ai sensi della CEDU -
Inammissibilita' delle questioni.
- Decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, artt. 8, commi 1 e 3, e
9, comma 1.
- Costituzione, artt. 25, secondo comma, 76 e 117, primo comma;
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, art. 7.
(GU n.22 del 27-5-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 8, commi
1 e 3, e 9, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8
(Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell'articolo
2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), promosso dal
Tribunale ordinario di Siracusa nel procedimento penale a carico di
S. V., con ordinanza del 9 gennaio 2019, iscritta al n. 101 del
registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 2019.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 29 gennaio 2020 il Giudice
relatore Franco Modugno;
deliberato nella camera di consiglio dell'11 febbraio 2020.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 9 gennaio 2019, il Tribunale ordinario di
Siracusa ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale, in
riferimento agli artt. 25, secondo comma, 76 e 117, primo comma,
della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848:
a) dell'art. 8, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2016,
n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma
dell'articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), nella
parte in cui prevede l'applicazione della sanzione amministrativa
pecuniaria di cui all'art. 1, commi 1 e 5, del medesimo decreto
legislativo ai fatti di cui all'art. 116, comma 15, del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), anche
se commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso
d.lgs. n. 8 del 2016, che li ha trasformati in illeciti
amministrativi;
b) dell'art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 8 del 2016, nella parte in
cui dispone che ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore del
medesimo decreto non puo' essere applicata una sanzione
amministrativa pecuniaria per un importo superiore al massimo della
pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio
di ragguaglio di cui all'art. 135 del codice penale;
c) dell'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 8 del 2016, nella parte in
cui stabilisce che, nei casi previsti dall'art. 8, comma 1, del
medesimo decreto, l'autorita' giudiziaria, entro novanta giorni dalla
data di entrata in vigore del decreto stesso, dispone la trasmissione
all'autorita' amministrativa competente degli atti dei procedimenti
penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi,
salvo che il reato, alla medesima data, risulti prescritto o estinto
per altra causa.
1.1.- Il giudice a quo premette di essere investito del processo
penale nei confronti di una persona imputata della contravvenzione di
cui all'art. 116, comma 15, cod. strada, per essersi posta alla guida
di un motociclo senza aver conseguito la patente, nonche' della
contravvenzione di cui all'art. 75, comma 1, del decreto legislativo
6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure
di prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di
documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13
agosto 2010, n. 136), per aver violato - commettendo il reato in
precedenza indicato - gli obblighi inerenti alla misura di
prevenzione della sorveglianza speciale applicata nei suoi confronti,
e in particolare la prescrizione di vivere onestamente rispettando le
leggi; fatti commessi il 22 gennaio 2013.
Il rimettente riferisce che il processo aveva subito, per varie
ragioni, una serie di rinvii. Il 6 febbraio 2016 era entrato,
peraltro, in vigore il d.lgs. n. 8 del 2016, che reca disposizioni in
materia di depenalizzazione in attuazione dell'art. 2, comma 2, della
legge delega 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di
pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio.
Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa
alla prova e nei confronti degli irreperibili). L'art. 1, comma 1,
del decreto prevede, in particolare, la trasformazione in illeciti
amministrativi di tutte le violazioni per le quali e' prevista la
sola pena della multa o dell'ammenda, tra le quali rientra anche il
reato di guida senza patente contestato all'imputato. In forza del
comma 5, lettera b), del medesimo art. 1, per tale violazione si
applica ora una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a
euro 30.000.
L'art. 8 del d.lgs. n. 8 del 2016 prevede, altresi', al comma 1,
che «[l]e disposizioni del presente decreto che sostituiscono
sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle
violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del
decreto stesso, sempre che il procedimento penale non sia stato
definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili»;
soggiungendo, al comma 3, che per tali violazioni «non puo' essere
applicata una sanzione amministrativa pecuniaria per un importo
superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il
reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all'articolo
135 del codice penale».
Il successivo art. 9, comma 1, stabilisce, infine, che «[n]ei
casi previsti dall'articolo 8, comma 1, l'autorita' giudiziaria,
entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente
decreto, dispone la trasmissione all'autorita' amministrativa
competente degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati
trasformati in illeciti amministrativi, salvo che il reato risulti
prescritto o estinto per altra causa alla medesima data».
1.2.- Ad avviso del giudice a quo, le disposizioni transitorie
ora richiamate si porrebbero in contrasto con l'art. 76 Cost., per
eccesso di delega.
Dalla relazione al d.lgs. n. 8 del 2016 emerge che il legislatore
delegato - nella consapevolezza dell'assenza di una delega espressa
che lo abilitasse ad adottare una normativa transitoria - ha ritenuto
di poter introdurre la disciplina di cui agli artt. 8 e 9 traendo
«decisiva ispirazione» dalle «gia' collaudate disposizioni» contenute
negli artt. 100, 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999,
n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema
sanzionatorio, ai sensi dell'articolo 1 della legge 25 giugno 1999,
n. 205).
Il d.lgs. n. 507 del 1999 e' stato, tuttavia, adottato in forza
della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la
depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e
tributario), la quale, all'art. 16, comma 1, lettera b), delegava
espressamente il Governo a emanare «norme di carattere transitorio»
(oltre che di attuazione e coordinamento). Di contro, la legge n. 67
del 2014, all'art. 2, comma 4, si limita a prevedere che i decreti
legislativi contengano «le disposizioni necessarie al coordinamento
con le altre norme legislative vigenti nella stessa materia», senza
alcun riferimento alla disciplina transitoria.
Il silenzio della legge delega sul punto dovrebbe essere
interpretato come indice della volonta' del legislatore delegante di
tener fermo il principio enunciato dall'art. 1 della legge 24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), per cui nessuno
puo' essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di
una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione:
principio alla luce del quale - come chiarito dalle sezioni unite
penali della Corte di cassazione - nei casi di trasformazione di un
illecito penale in illecito amministrativo, non e' possibile, in
assenza di un'apposita disciplina transitoria, applicare la nuova
sanzione amministrativa ai fatti anteriormente commessi, con la
conseguenza che il giudice penale non e' tenuto a trasmettere gli
atti all'autorita' amministrativa (Corte di cassazione, sezioni unite
penali, sentenza 29 marzo-28 giugno 2012, n. 25457).
1.3.- Le disposizioni denunciate violerebbero anche l'art. 25,
secondo comma, Cost. «e/o» l'art. 117, primo comma, Cost., in
riferimento all'art. 7 CEDU, ponendosi in contrasto con il principio
di irretroattivita' della norma penale sfavorevole.
Secondo la Corte europea dei diritti dell'uomo, la natura penale
di una sanzione, agli effetti degli artt. 6 e 7 della Convenzione,
deve essere stabilita sulla base di criteri di tipo sostanziale, e
non meramente formale (cosiddetti "criteri Engel"). Di la' dalla
qualificazione operata dal diritto interno, si deve, cioe', tener
conto della natura dell'illecito, desunta dalle sue finalita' e
dall'ambito dei destinatari della previsione punitiva, nonche' della
gravita' della sanzione cui l'autore del fatto si trova esposto.
Alla stregua di tali criteri, la nuova sanzione amministrativa
introdotta dall'art. 1 del d.lgs. n. 8 del 2016 per la guida senza
patente si connoterebbe come sostanzialmente penale. Essa e' rivolta,
infatti, alla generalita' dei consociati; ha una finalita'
general-preventiva, e non certo riparatoria; e' posta a tutela di
interessi costituzionalmente rilevanti, quali la pubblica sicurezza e
l'incolumita' pubblica (mirando a garantire che si pongano alla guida
dei veicoli i soli soggetti valutati come idonei sul piano
psico-fisico e tecnico); risulta, infine, di significativa gravita'.
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo formatasi
sull'interpretazione degli artt. 6 e 7 CEDU avrebbe, peraltro, mutato
anche «la nozione di pena [...] stabilita nel nostro ordinamento
nazionale». Come rilevato dalla Corte costituzionale, da tale
giurisprudenza si ricava, infatti, «il principio secondo il quale
tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere
soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso
stretto. Principio questo, del resto, desumibile dall'art. 25,
secondo comma, Cost., il quale - data l'ampiezza della sua
formulazione ("Nessuno puo' essere punito ...") - puo' essere
interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio, il quale
non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale (e
quindi non sia riconducibile - in senso stretto - a vere e proprie
misure di sicurezza), e' applicabile soltanto se la legge che lo
prevede risulti gia' vigente al momento della commissione del fatto
sanzionato» (e' citata la sentenza n. 196 del 2010).
La nuova sanzione introdotta dall'art. 1, commi 1 e 5, del d.lgs.
n. 8 del 2016 - solo formalmente amministrativa, ma nella sostanza
penale - resterebbe, dunque, soggetta ai principi di legalita' e
irretroattivita' valevoli per le sanzioni penali, ai sensi degli
artt. 25, secondo comma, Cost. e 7 CEDU, i quali comportano che nel
momento in cui e' commesso il fatto debba esistere una disposizione
che renda l'atto punibile e che la pena inflitta non debba superare i
limiti fissati da tale disposizione.
Le norme censurate violerebbero i principi evocati, giacche',
rendendo applicabile la nuova sanzione amministrativa per la guida
senza patente anche ai fatti anteriormente commessi, ne avrebbero
peggiorato il trattamento rispetto a quello concretamente applicabile
sulla base della legge vigente al momento della loro realizzazione,
alla luce del quale l'agente si e' determinato a operare.
Tale risultato non sarebbe evitato dalla ricordata previsione
dell'art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 8 del 2016, secondo cui ai fatti
commessi prima dell'entrata in vigore del decreto non puo' essere
applicata una sanzione amministrativa di importo superiore «al
massimo della pena originariamente inflitta per il reato», tenuto
conto del criterio di ragguaglio di cui all'art. 135 cod. pen.
Nell'ambito di tale formula, il participio «inflitta» andrebbe inteso
come sinonimo di «comminata» in astratto dal legislatore: rispetto
alla pena applicata in concreto dal giudice non avrebbe, infatti,
senso parlare di «massimo» o di «minimo». Di conseguenza, l'importo
della sanzione amministrativa irrogabile per la guida senza patente
non potrebbe superare euro 9.032, tale essendo il massimo edittale
dell'ammenda stabilito dalla norma incriminatrice originaria.
Contrariamente a quanto si afferma nella relazione ministeriale,
non si potrebbe, tuttavia, ritenere che tale previsione valga a
salvaguardare «il principio di retroattivita' in mitius, pienamente
realizzato dall'applicazione retroattiva delle piu' favorevoli
sanzioni amministrative in luogo di quelle originarie penali».
In materia, non ci si potrebbe, infatti, arrestare alla
considerazione per cui la sanzione amministrativa pecuniaria e', in
linea di principio, piu' favorevole di una pena pecuniaria di pari
importo, non potendo essere mai convertita - a differenza di questa -
in pena limitativa della liberta' personale, nel caso di mancato
pagamento. Occorrerebbe, invece, valutare il rapporto tra sanzione
penale e sanzione amministrativa in una «dimensione "qualitativa"»,
che tenga conto anche della situazione processuale e del contesto
concreto in cui tali sanzioni si collocano.
In sede penale l'imputato puo', infatti, evitare l'applicazione
della sanzione tramite una serie di istituti, atti a determinare
l'estinzione del reato o della pena, ovvero l'esclusione della
punibilita': quali, ad esempio, la sospensione del processo con messa
alla prova, la sospensione condizionale della pena, l'affidamento in
prova al servizio sociale o l'esclusione della punibilita' per
particolare tenuita' del fatto. Istituti tutti, quelli ora
richiamati, riferibili - secondo il rimettente - alla tipologia di
reato per il quale si procede, la cui pena edittale rientrava
ampiamente nei relativi limiti di fruibilita', e che non trovano,
invece, alcun equivalente in rapporto al nuovo illecito
amministrativo.
In questa prospettiva, l'incidenza sul patrimonio di una sanzione
amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 9.032 risulterebbe
certamente maggiore di quella di un'ammenda, la cui applicazione
sarebbe rimasta presumibilmente paralizzata dalla sospensione
condizionale o da altri istituti.
La chiara formulazione letterale delle disposizioni censurate
precluderebbe, d'altronde, una loro interpretazione in senso
costituzionalmente e convenzionalmente conforme.
1.4.- Le questioni sarebbero, altresi', rilevanti nel giudizio a
quo.
Il giudice rimettente si troverebbe, infatti, a dover applicare
l'art. 9 del d.lgs. n. 8 del 2016, che gli impone di trasmettere gli
atti all'autorita' amministrativa, sul presupposto della
retroattivita' delle nuove sanzioni, stabilita dal precedente art. 8:
obbligo che verrebbe invece meno nel caso di accoglimento delle
questioni. Quest'ultimo influirebbe, pertanto, sulla stessa
formulazione del dispositivo della sentenza che definisce il
giudizio, il quale si esaurirebbe nella sola assoluzione
dell'imputato perche' il fatto non costituisce piu' reato.
Non verrebbe in considerazione, in senso contrario, il disposto
dell'ultima parte dell'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 8 del 2016,
secondo cui l'obbligo di trasmissione resta escluso allorche', alla
data di entrata in vigore del decreto (6 febbraio 2016), il reato
risulti prescritto o estinto per altra causa. Il reato di guida senza
patente contestato all'imputato si e', infatti, prescritto - tenuto
conto dei periodi di sospensione del decorso della prescrizione
connessi a taluni dei rinvii disposti - solo il 14 ottobre 2018, e
dunque successivamente alla predetta data.
2.- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o
infondate.
Secondo l'interveniente, il giudice a quo avrebbe prospettato
esclusivamente dubbi sulla legittimita' costituzionale delle
disposizioni che rendono retroattivamente applicabili sanzioni
amministrative pecuniarie per fatti gia' previsti come reato.
L'applicazione di tali disposizioni e' peraltro demandata, non gia'
al giudice penale - il quale dovrebbe limitarsi a dichiarare che il
fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato -, ma soltanto
all'autorita' amministrativa, nonche', eventualmente, all'autorita'
giudiziaria chiamata a pronunciarsi in sede di opposizione contro i
provvedimenti sanzionatori della prima. Pertanto, unicamente il
giudice dell'opposizione avverso il provvedimento sanzionatorio
amministrativo potrebbe, semmai, denunciare i vizi di legittimita'
costituzionale oggi prospettati.
Il rimettente non avrebbe indicato, per altro verso, le ragioni
che lo inducono a ritenere non conforme a Costituzione la
disposizione dell'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 8 del 2016.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Siracusa dubita della legittimita'
costituzionale di tre disposizioni a carattere transitorio contenute
nel decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in
materia di depenalizzazione, a norma dell'articolo 2, comma 2, della
legge 28 aprile 2014, n. 67), e segnatamente:
a) dell'art. 8, comma 1, nella parte in cui prevede che la
sanzione amministrativa pecuniaria di cui all'art. 1, commi 1 e 5, si
applichi ai fatti di guida senza patente di cui all'art. 116, comma
15, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice
della strada) anche se commessi anteriormente alla data di entrata in
vigore dello stesso d.lgs. n. 8 del 2016, che li ha trasformati in
illeciti amministrativi;
b) dell'art. 8, comma 3, nella parte in cui dispone che ai fatti
commessi prima dell'entrata in vigore del decreto non puo' essere
applicata una sanzione amministrativa pecuniaria per un importo
superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il
reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all'art. 135
del codice penale;
c) dell'art. 9, comma 1, nella parte in cui stabilisce che, nei
casi previsti dall'art. 8, comma 1, l'autorita' giudiziaria, entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, dispone
la trasmissione all'autorita' amministrativa competente degli atti
dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti
amministrativi, salvo che il reato, alla medesima data, risulti
prescritto o estinto per altra causa.
Secondo il giudice a quo, le disposizioni censurate violerebbero
l'art. 76 della Costituzione, per eccesso di delega. La legge 28
aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive
non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni
in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei
confronti degli irreperibili), sulla cui base il d.lgs. n. 8 del 2016
e' stato emanato, non conteneva, infatti, alcuna delega espressa per
l'adozione di norme transitorie, come sarebbe stato invece necessario
ai fini dell'introduzione di una disciplina derogatoria rispetto al
principio generale di irretroattivita' delle sanzioni amministrative,
stabilito dall'art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche
al sistema penale).
Sarebbero violati, altresi', gli artt. 25, secondo comma, e 117,
primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, che
sanciscono il principio di irretroattivita' della norma penale
sfavorevole: principio da ritenere riferibile anche alla nuova
sanzione amministrativa per la guida senza patente, in ragione del
suo carattere sostanzialmente penale alla stregua dei criteri
elaborati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. L'applicazione
della pena dell'ammenda, prevista dalla norma incriminatrice vigente
al momento della commissione del fatto, poteva essere, infatti,
evitata tramite una serie di istituti, atti a determinare
l'estinzione del reato o della pena, ovvero la non punibilita'
dell'agente (quali - secondo il rimettente - la sospensione del
processo con messa alla prova, la sospensione condizionale della
pena, l'affidamento in prova al servizio sociale o l'esclusione della
punibilita' per particolare tenuita' del fatto): istituti tutti
viceversa inoperanti rispetto alla nuova sanzione amministrativa
pecuniaria, la quale si rivelerebbe, di conseguenza, concretamente
piu' afflittiva.
2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha formulato due
eccezioni preliminari.
2.1.- In primo luogo, ha sostenuto che le questioni, sollevate
nell'ambito del processo penale instaurato per una violazione poi
depenalizzata, sarebbero inammissibili per difetto di rilevanza, non
dovendo il giudice a quo fare applicazione delle norme censurate.
Le questioni sarebbero volte, infatti, a censurare la
retroattivita' delle sanzioni amministrative introdotte dal d.lgs. n.
8 del 2016 per gli illeciti depenalizzati. Ma competente ad applicare
tali sanzioni e' l'autorita' amministrativa: il giudice penale non
dovrebbe far altro che assolvere l'imputato perche' il fatto non e'
piu' previsto dalla legge come reato. Sarebbe, semmai, il giudice
dell'opposizione avverso il provvedimento sanzionatorio
amministrativo a dover denunciare i vizi di legittimita'
costituzionale oggi prospettati.
L'eccezione e' infondata.
Questa Corte si e' gia' pronunciata sul punto con la sentenza n.
109 del 2017, in sede di scrutinio di questioni di legittimita'
costituzionale, parzialmente analoghe alle odierne, degli artt. 8,
commi 1 e 3, e 9 del d.lgs. n. 8 del 2016, anch'esse sollevate da un
giudice penale.
Al riguardo, si e' osservato che «[l]e norme sospettate
d'illegittimita' costituzionale sono applicabili nel giudizio
principale, in quanto l'obbligo - gravante sul giudice a quo - di
disporre la trasmissione degli atti all'autorita' amministrativa
competente, previsto dall'art. 9 del citato decreto legislativo (e,
in particolare, dai commi 1 e 3, rilevanti nel caso di specie),
rinviene la sua giustificazione proprio nella retroattivita' delle
sanzioni amministrative prevista, in generale, dall'art. 8».
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dello Stato,
l'accoglimento delle questioni risulterebbe, dunque, rilevante nel
giudizio a quo, determinando il venir meno dell'obbligo di
trasmissione degli atti che altrimenti grava sul giudice rimettente.
2.2.- Infondato appare anche l'eccepito difetto di motivazione
sulla non manifesta infondatezza, connesso al fatto che il rimettente
non avrebbe indicato le ragioni per le quali ritiene non conforme a
Costituzione il citato art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 8 del 2016.
L'obbligo di trasmissione degli atti all'autorita'
amministrativa, stabilito da tale disposizione, "fa corpo" con
l'applicazione retroattiva delle nuove sanzioni amministrative ai
fatti pregressi, prevista dall'art. 8, rappresentandone la naturale
conseguenza. Le censure mosse a quest'ultima previsione si
riverberano, pertanto, automaticamente su di esso, senza che risulti
necessaria una ulteriore e specifica motivazione della sua denunciata
non conformita' alla Carta costituzionale.
3.- Cio' posto, con i quesiti di costituzionalita' formulati, il
Tribunale di Siracusa sottopone novamente a questa Corte la complessa
tematica della cosiddetta successione impropria tra norme penali e
norme sanzionatorie amministrative, originata dagli interventi di
depenalizzazione.
3.1.- I molteplici provvedimenti, generali o settoriali, di
trasformazione di reati in illeciti amministrativi, che da oltre un
quarantennio si susseguono nel nostro ordinamento, hanno generato, in
effetti, un interrogativo ricorrente: quale sia, cioe', la sorte dei
fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge
depenalizzatrice.
Esclusa pacificamente l'ultrattivita' delle vecchie sanzioni
penali, perche' abolite (art. 2, secondo comma, cod. pen.),
l'alternativa ermeneutica che si e' posta e' se - in assenza di
un'apposita disciplina transitoria - i fatti pregressi debbano
ritenersi soggetti alle nuove sanzioni amministrative o restino,
invece, esenti da qualsiasi sanzione.
In contrasto con l'indirizzo gia' adottato sullo specifico tema
dalle sezioni civili della Corte di cassazione (ex plurimis, Corte di
cassazione, sezione seconda civile, sentenze 12 ottobre 2007, n.
21483; 18 gennaio 2007, n. 1078; 16 maggio 2006, n. 11406), le
sezioni penali della medesima Corte - escludendo che possa ravvisarsi
una "continuita'" tra il vecchio illecito penale e il nuovo illecito
amministrativo - si sono orientate, in modo largamente prevalente, a
favore della seconda soluzione (quella della completa impunita' dei
fatti pregressi). Cio', sia alla luce del principio di legalita'
enunciato dall'art. 1 della legge n. 689 del 1981, che impedisce di
applicare le sanzioni amministrative a fatti commessi prima
dell'entrata in vigore della legge che le ha introdotte; sia in
ragione della ritenuta impossibilita' di estendere al fenomeno
considerato il principio di retroattivita' della legge piu'
favorevole al reo, di cui all'art. 2, quarto comma, cod. pen.,
trattandosi di principio circoscritto alla successione di leggi
entrambe penali.
Tale orientamento, gia' recepito dalle sezioni unite penali con
una pronuncia del 1994 (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 16
marzo-27 giugno 1994, n. 7394), puo' considerarsi allo stato
consolidato, dopo che esso e' stato piu' di recente ribadito dal
medesimo consesso (Corte di cassazione, sezioni unite penali,
sentenza 29 marzo-28 giugno 2012, n. 25457).
L'esito della totale impunita' dei fatti pregressi - postulato
dalla giurisprudenza di legittimita' penale sulla base delle
coordinate generali del sistema vigente - puo' porre, pero', sul
piano sostanziale, problemi di coerenza con la ratio dell'intervento
di depenalizzazione.
Diversamente, infatti, che nel caso della mera abolitio criminis,
nel caso della depenalizzazione il legislatore continua indubbiamente
ad annettere un disvalore alla condotta, tale da giustificare tuttora
la sua punizione, sia pure con una sanzione di grado inferiore
(amministrativa, anziche' penale). Cio' non vale a spiegare perche'
chi ha commesso il fatto quando era represso in modo
(tendenzialmente) piu' severo debba rimanere totalmente impunito,
laddove invece chi lo commette quando e' punito in modo
(tendenzialmente) piu' mite soggiace, comunque sia, a una sanzione.
Proprio per scongiurare un simile risultato e' divenuta, quindi,
prassi ricorrente quella di corredare gli interventi di
depenalizzazione con un'apposita disciplina transitoria, volta a
rendere applicabili le nuove sanzioni amministrative, da essi
introdotte per gli illeciti depenalizzati, anche ai fatti anteriori.
Questa soluzione e' stata, in fatto, ripetutamente adottata in
occasione del varo di provvedimenti di depenalizzazione a carattere
generale, a cominciare dal primo (art. 15 della legge 24 dicembre
1975, n. 706, recante «Sistema sanzionatorio delle norme che
prevedono contravvenzioni punibili con l'ammenda») e poi seguito da
altri (artt. 40 e 41 della legge n. 689 del 1981; art. 4 della legge
28 dicembre 1993, n. 561, recante «Trasformazione di reati minori in
illeciti amministrativi»; artt. 100, 101 e 102 del decreto
legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, recante «Depenalizzazione dei
reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi
dell'articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205»).
3.2.- Alla medesima strategia si uniforma anche il d.lgs. n. 8
del 2016, oggetto dell'odierno scrutinio.
Tale decreto legislativo - adottato sulla base della delega
conferita dall'art. 2 della legge n. 67 del 2014 - attua una
depenalizzazione ad ampio spettro, che investe tutti i reati previsti
da leggi speciali per i quali e' comminata la sola pena pecuniaria
(cosiddetta "depenalizzazione cieca": art. 1), nonche' una serie di
reati, anche del codice penale, individuati singulatim (cosiddetta
"depenalizzazione nominativa": artt. 2 e 3).
Per quanto interessa ai presenti fini, la "depenalizzazione
cieca" ha determinato la trasformazione in illecito amministrativo,
tra gli altri, del reato di guida senza patente, di cui all'art. 116,
comma 15, cod. strada, per il quale si procede nel giudizio a quo. La
guida di veicoli in difetto del prescritto titolo abilitativo,
precedentemente punita con la sola ammenda da 2.257 a 9.032 euro, e'
ora soggetta - in forza dell'art. 1, comma 5, lettera b), del d.lgs.
n. 8 del 2016 - alla sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a
30.000 euro (salvi i successivi aggiornamenti disposti ai sensi
dell'art. 195 cod. strada).
L'intervento di depenalizzazione e' accompagnato, anche in questo
caso, da una disciplina transitoria, recata segnatamente dagli artt.
8 e 9 del d.lgs. n. 8 del 2016: disciplina contro la quale si
rivolgono le censure del rimettente.
L'art. 8, comma 1, stabilisce, in particolare, che «[l]e
disposizioni del presente decreto che sostituiscono sanzioni penali
con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni
commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto
stesso, sempre che il procedimento penale non sia stato definito con
sentenza o con decreto divenuti irrevocabili».
Il successivo comma 3 dello stesso art. 8 pone, peraltro, un
limite all'applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative ai
fatti anteriori, inteso a mantenere tale previsione nella logica del
principio di retroattivita' della lex mitior, evitando che da essa
possano viceversa sortire effetti peggiorativi del trattamento
sanzionatorio. In quest'ottica, si prevede che «[a]i fatti commessi
prima della data di entrata in vigore del presente decreto non puo'
essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria per un
importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per
il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all'art. 135
del codice penale. A tali fatti non si applicano le sanzioni
amministrative accessorie introdotte dal presente decreto, salvo che
le stesse sostituiscano corrispondenti pene accessorie».
Come correttamente rilevato dal giudice a quo, nell'ambito della
formula «massimo della pena originariamente inflitta per il reato» il
participio «inflitta» non puo' che essere inteso come sinonimo di
«comminata» in astratto dal legislatore: rispetto a una pena ormai
determinata in concreto dal giudice non avrebbe, infatti, senso
parlare di «massimo» e di «minimo». Di conseguenza, i fatti di guida
senza patente anteriori al decreto di depenalizzazione restano
soggetti a una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a
euro 9.032, tale essendo il massimo edittale della vecchia ammenda.
L'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 8 del 2016 - ponendosi anch'esso
nel solco di molteplici precedenti provvedimenti di depenalizzazione
- stabilisce, infine, che «[n]ei casi previsti dall'articolo 8, comma
1, l'autorita' giudiziaria, entro novanta giorni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, dispone la trasmissione
all'autorita' amministrativa competente degli atti dei procedimenti
penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi,
salvo che il reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla
medesima data». Le relative modalita' procedurali sono regolate dai
successivi commi 2 e 3: in particolare, nel caso in cui l'azione
penale sia gia' stata esercitata - come nel giudizio a quo - il
giudice pronuncia, ai sensi dell'art. 129 del codice di procedura
penale, sentenza inappellabile di proscioglimento perche' il fatto
non e' previsto dalla legge come reato, disponendo la trasmissione
degli atti a norma del comma 1 (comma 3).
4.- Il giudice a quo muove alla disciplina transitoria ora
ricordata - nelle parti indicate in principio - due ordini di
censure.
La prima attiene alla violazione dell'art. 76 Cost., per eccesso
di delega.
4.1.- Il rimettente rileva che la legge n. 67 del 2014 non
conteneva alcuna delega espressa per l'adozione di una normativa
transitoria: delega da ritenere viceversa necessaria - anche alla
luce degli arresti delle sezioni unite penali della Corte di
cassazione precedentemente ricordati - affinche' il legislatore
delegato potesse introdurre una disciplina derogatoria del principio
generale di irretroattivita' delle sanzioni amministrative, stabilito
dall'art. 1 della legge n. 689 del 1981.
L'argomento e' corroborato con la considerazione che, nella
relazione allo schema di decreto delegato, si afferma che le norme
censurate traggono «decisiva ispirazione» da quelle contenute in un
precedente decreto di depenalizzazione: segnatamente, gli artt. 100,
101 e 102 del d.lgs. n. 507 del 1999. Ma, in quel caso, la normativa
transitoria era espressamente autorizzata dalla legge di delegazione
(art. 16, comma 1, lettera b, della legge 25 giugno 1999, n. 205,
recante «Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e
modifiche al sistema penale e tributario»).
4.2.- La questione non e' fondata.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «la
previsione di cui all'art. 76 Cost. non osta all'emanazione, da parte
del legislatore delegato, di norme che rappresentino un coerente
sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore
delegante, dovendosi escludere che la funzione del primo sia limitata
ad una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal
secondo. Il sindacato costituzionale sulla delega legislativa deve,
cosi', svolgersi attraverso un confronto tra gli esiti di due
processi ermeneutici paralleli, riguardanti, da un lato, le
disposizioni che determinano l'oggetto, i principi e i criteri
direttivi indicati dalla legge di delegazione e, dall'altro, le
disposizioni stabilite dal legislatore delegato, da interpretarsi nel
significato compatibile con i principi e i criteri direttivi della
delega. Il che, se porta a ritenere del tutto fisiologica
quell'attivita' normativa di completamento e sviluppo delle scelte
del delegante, circoscrive, d'altra parte, il vizio in discorso ai
casi di dilatazione dell'oggetto indicato dalla legge di delega, fino
all'estremo di ricomprendere in esso materie che ne erano escluse»
(sentenza n. 212 del 2018; in senso analogo, ex plurimis, sentenze n.
194 del 2015, n. 229, n. 182 e n. 50 del 2014, n. 98 del 2008).
In questa prospettiva, neppure il silenzio del legislatore
delegante su uno specifico tema impedisce al legislatore delegato di
disciplinarlo (sentenze n. 47 del 2014 e n. 134 del 2013),
trattandosi in tal caso di verificare che le scelte di quest'ultimo
non siano in contrasto con gli indirizzi generali della legge delega
(sentenze n. 229 del 2014, n. 184 del 2013, n. 272 del 2012, n. 230
del 2010 e n. 341 del 2007; ordinanza n. 231 del 2009).
4.3.- Nella specie, dalla relazione allo schema del d.lgs. n. 8
del 2016 emerge come il legislatore delegato si sia espressamente
posto il problema di stabilire se l'assenza, nella legge delega, di
riferimenti alla normativa transitoria dovesse essere interpretata
come indice della volonta' del legislatore delegante di lasciare che
la sorte dei fatti pregressi fosse regolata dagli artt. 2 cod. pen. e
1 della legge n. 689 del 1981, con il risultato di renderli non piu'
sanzionabili, conformemente a quanto affermato dalle sezioni unite
penali della Corte di cassazione.
Tale ipotesi interpretativa e' stata, peraltro, scartata alla
luce di tre argomenti: la contrarieta' di un simile assetto alle
esigenze sostanziali di tutela e di parita' di trattamento;
l'omogeneita' tra l'illecito penale e l'illecito amministrativo,
predicata dalla piu' recente giurisprudenza costituzionale, atta a
rendere operante, nel caso di loro successione, il principio di
retroattivita' della lex mitior; la circostanza che il silenzio del
legislatore delegante non assumesse un significato univoco, stante la
disciplina transitoria presente in altri provvedimenti di
depenalizzazione.
Il convincimento espresso dal legislatore delegato e' meritevole
di avallo. Le disposizioni transitorie licenziate dal Governo, sulla
scia dei precedenti legislativi, non contrastano con gli indirizzi
generali della legge delega: esse costituiscono, all'opposto, un
coerente sviluppo e completamento delle scelte del delegante. Per
quanto dianzi osservato, evitare che si produca una completa
impunita' dei fatti pregressi risponde alla logica degli interventi
di depenalizzazione, trattandosi di esito contrario alla ratio legis,
che e' quella di modificare in senso (tendenzialmente) mitigativo - e
non gia' di eliminare - la sanzione per un fatto che resta, comunque
sia, illecito.
La conclusione trova conforto, d'altra parte, anche nei pareri
espressi dalle commissioni parlamentari sullo schema di decreto. Come
piu' volte rilevato da questa Corte, il parere delle Commissioni
parlamentari non e' vincolante, ne' esprime interpretazioni
autentiche della legge delega, ma costituisce pur sempre elemento che
contribuisce alla corretta esegesi di quest'ultima (sentenze n. 127
del 2017 e n. 250 del 2016; analogamente, sentenze n. 79 del 2019 e
n. 47 del 2014).
Nella specie, mentre la Commissione giustizia del Senato della
Repubblica nulla ha eccepito sulle norme transitorie in discussione -
benche' il problema del loro raccordo con la legge di delegazione
fosse stato specificamente posto in evidenza dal Governo -, la
Commissione giustizia della Camera dei deputati ha addirittura
suggerito modifiche intese a migliorare la formulazione delle norme
stesse sul piano tecnico: dando mostra, cosi', di ritenerle
pienamente comprese nella delega.
Di qui, dunque, l'infondatezza della questione.
5.- Il rimettente denuncia, in secondo luogo, la violazione del
principio di irretroattivita' della norma penale sfavorevole, sancito
dall'art. 25, secondo comma, Cost. e dall'art. 7 CEDU, quale norma
interposta rispetto all'art. 117, primo comma, Cost.
5.1.- Secondo il giudice a quo, entrambi i parametri evocati -
quello convenzionale e quello costituzionale - sarebbero pertinenti
alla fattispecie.
Da un lato, infatti, la sanzione amministrativa pecuniaria
prevista dal d.lgs. n. 8 del 2016 per la guida senza patente si
connoterebbe come sostanzialmente penale alla luce dei "criteri
Engel", elaborati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo al fine
di perimetrare il campo applicativo degli artt. 6 e 7 della
Convenzione. La sanzione e', infatti, rivolta alla generalita' dei
consociati; ha una finalita' general-preventiva, e non gia'
riparatoria; e' posta a tutela di interessi costituzionalmente
rilevanti, quali la pubblica sicurezza e l'incolumita' pubblica;
risulta, infine, di significativa gravita'.
Dall'altro lato, poi, la giurisprudenza costituzionale avrebbe
chiarito che il principio dell'irretroattivita' enunciato dall'art.
25, secondo comma, Cost. deve ritenersi valevole in rapporto non alla
sola materia penale in senso stretto, ma alla generalita' delle
misure a carattere punitivo-afflittivo.
Le norme censurate non sarebbero, tuttavia, rispettose del
principio in questione. Nonostante l'accorgimento adottato nell'art.
8, comma 3, del d.lgs. n. 8 del 2016, la disposta retroattivita'
delle sanzioni amministrative di nuovo conio avrebbe comportato una
modifica in senso peggiorativo del trattamento della guida senza
patente, rispetto a quello prefigurato dalla legge vigente al tempo
della commissione del fatto. In ambito penale, la vecchia pena
dell'ammenda poteva essere, infatti, neutralizzata tramite una serie
di istituti, atti a determinare l'estinzione del reato o della pena,
o a escludere la punibilita': istituti che non trovano corrispondenza
in rapporto alla sanzione amministrativa, la cui concreta incidenza
sul patrimonio dell'autore della violazione risulterebbe, dunque,
sicuramente maggiore.
5.2.- In via preliminare, va rilevato che, con riguardo alla
censura in esame, non ricorre la ragione che ha indotto questa Corte
a dichiarare inammissibile, con la sentenza n. 109 del 2017, una
questione analoga, relativa alle stesse norme, ma che vedeva evocato
come parametro il solo art. 25 Cost.
In quell'occasione, movendo dalla premessa che l'art. 25 Cost. si
applichi unicamente alla materia penale, il giudice rimettente aveva
evocato i "criteri Engel" per estendere la norma costituzionale
interna alle sanzioni amministrative, anziche' utilizzarli solo per
dedurre una violazione dell'art. 7 CEDU e quindi, indirettamente,
dell'art. 117, primo comma, Cost. Di qui, dunque, la declaratoria di
inammissibilita' della questione, per contraddittorieta' del percorso
argomentativo che la supportava.
Analoga contraddizione non e' ravvisabile nell'odierno frangente.
Il Tribunale di Siracusa, da un lato, evoca come parametro anche
l'art. 117, primo comma, Cost.; dall'altro, richiama la
giurisprudenza di questa Corte - allo stato, come si dira', costante
- secondo la quale il principio di irretroattivita' in peius
stabilito dall'art. 25, secondo comma, Cost. si applica anche alle
sanzioni amministrative a carattere punitivo.
5.3.- Le odierne questioni sono, tuttavia, inammissibili per una
diversa ragione.
Al riguardo, giova ricordare come, per un lungo periodo, la
previsione dell'applicazione retroattiva della nuova disciplina
sanzionatoria amministrativa, solitamente presente nei provvedimenti
di depenalizzazione, non avesse suscitato particolari problemi dal
punto di vista costituzionale. Predominava, infatti, nella
giurisprudenza di questa Corte, l'orientamento in forza del quale le
garanzie previste dall'art. 25 Cost. - compresa quella del divieto di
retroattivita' sfavorevole - dovevano ritenersi limitate alla sola
materia penale, non risultando percio' riferibili alle sanzioni
amministrative, ancorche' frutto di interventi di depenalizzazione,
il cui statuto garantistico doveva essere ricavato da altre
disposizioni, quali gli artt. 23 e 97 Cost. (con specifico riguardo
al principio di irretroattivita', sentenza n. 68 del 1984; sotto
altri profili, sentenze n. 356 del 1995, n. 118 del 1994 e n. 447 del
1988; ordinanze n. 150 del 2002, n. 159 del 1994 e n. 250 del 1992).
Il principio di irretroattivita' delle sanzioni amministrative,
in quanto stabilito solo a livello di legislazione ordinaria
dall'art. 1 della legge n. 689 del 1981, avrebbe potuto essere,
pertanto, all'occorrenza derogato dal legislatore. Prospettiva nella
quale non sembrava assumere particolare risalto, sul piano
costituzionale, l'eventualita' che la disciplina transitoria di cui
si va discorrendo potesse determinare, in concreto, un peggioramento
del trattamento sanzionatorio dell'autore del fatto pregresso (nel
senso della manifesta infondatezza, per inconferenza del parametro,
di una questione di legittimita' costituzionale strutturalmente
simile alle odierne, concernente proprio il trattamento sanzionatorio
della guida senza patente, ordinanza n. 150 del 2002).
5.4.- A partire dalla sentenza n. 196 del 2010, questa Corte ha,
tuttavia, riconosciuto che il duplice divieto insito nella previsione
dall'art. 25, secondo comma, Cost. - di applicazione retroattiva di
una legge che incrimini un fatto in precedenza penalmente irrilevante
e di applicazione retroattiva di una legge che punisca piu'
severamente un fatto gia' precedentemente incriminato (sentenza n.
223 del 2018) - si presta ad essere esteso, data l'ampiezza della sua
formulazione («[n]essuno puo' essere punito [...]»), alle misure a
carattere punitivo-afflittivo, anche se qualificate come
amministrative. Cio', in assonanza con le indicazioni provenienti
dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo,
riguardo alla nozione di «materia penale» agli effetti dell'art. 7
CEDU: indicazioni a loro volta suscettibili di assumere autonomo
rilievo costituzionale interno attraverso la "mediazione" dell'art.
117, primo comma, Cost.
Anche rispetto alle sanzioni amministrative a carattere punitivo
«si impone infatti la medesima esigenza, di cui tradizionalmente si
fa carico il sistema penale in senso stretto, di non sorprendere la
persona con una sanzione non prevedibile al momento della commissione
del fatto» (sentenza n. 223 del 2018; sulla riferibilita' del
principio di irretroattivita', stabilito dall'art. 25, secondo comma,
Cost., alle sanzioni amministrative a carattere punitivo, altresi',
sentenze n. 68 del 2017 e n. 104 del 2014; e, a livello
argomentativo, sentenze n. 112 del 2019 e n. 121 del 2018; ordinanza
n. 117 del 2019).
5.5.- In questo nuovo panorama, e' emerso quindi il problema
della legittimita' della normativa transitoria collegata agli
interventi di depenalizzazione, in ragione della possibilita' che la
prevista applicazione retroattiva delle nuove sanzioni amministrative
determini una modifica in peius del trattamento sanzionatorio del
fatto.
Occupandosi del tema in rapporto ad altra ipotesi di
depenalizzazione, attinente specificamente al settore degli abusi di
mercato, questa Corte ha rilevato che, nel caso particolare della
successione della norma sanzionatoria amministrativa a una norma
penale, la previsione dell'applicazione retroattiva delle nuove
sanzioni e' di solito compatibile con la Costituzione. Normalmente
essa implica, infatti, l'applicazione di un trattamento, non gia'
piu' severo, ma piu' mite di quello previsto al momento del fatto. La
sanzione penale si caratterizza, infatti, «sempre per la sua
incidenza, attuale o potenziale, sul bene della liberta' personale
(la stessa pena pecuniaria potendo essere convertita, in caso di
mancata esecuzione, in sanzioni limitative della liberta' personale
stessa), incidenza che e', invece, sempre esclusa per la sanzione
amministrativa». La pena possiede, inoltre, «un connotato speciale di
stigmatizzazione, sul piano etico-sociale, del comportamento
illecito, che difetta alla sanzione amministrativa» (sentenza n. 223
del 2018).
La presunzione di maggior favore del trattamento sanzionatorio
amministrativo, sottesa alla disciplina transitoria in questione,
deve intendersi, tuttavia, come meramente relativa, rimanendo aperta
la possibilita' di dimostrare che il nuovo trattamento sanzionatorio
amministrativo previsto dalla legge di depenalizzazione - considerato
nel suo complesso (sentenza n. 68 del 2017) - risulta in concreto
piu' gravoso di quello previgente: ipotesi nella quale la
disposizione transitoria che ne preveda l'indefettibile applicazione
ai fatti pregressi verrebbe a porsi in contrasto con gli artt. 25,
secondo comma, e 117, primo comma, Cost. (sentenza n. 223 del 2018).
In quest'ottica, spetta peraltro al giudice a quo il compito di
«accertare e adeguatamente motivare» (sentenza n. 68 del 2017), «caso
per caso» (sentenza n. 223 del 2018), la sussistenza della condizione
dianzi indicata: rimanendo, in difetto, la questione sollevata
inammissibile (sentenza n. 68 del 2017).
5.6.- L'onere ora indicato non risulta convenientemente assolto
dall'odierno rimettente.
Nel sostenere che la disciplina censurata avrebbe peggiorato il
trattamento sanzionatorio della guida senza patente, malgrado il
limite quantitativo posto dall'art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 8 del
2016, il Tribunale siciliano attribuisce decisivo rilievo alla
circostanza che la vecchia pena dell'ammenda, diversamente dalla
nuova sanzione amministrativa pecuniaria, poteva essere
"neutralizzata" tramite una serie di istituti, atti a produrre
l'estinzione del reato o della pena o la non punibilita' dell'agente:
quali, in specie, la sospensione del procedimento con messa alla
prova, la sospensione condizionale, l'affidamento in prova al
servizio sociale e l'esclusione della punibilita' per particolare
tenuita' del fatto.
Il giudice a quo non si premura, pero', di verificare se gli
istituti richiamati fossero concretamente applicabili nel caso di
specie.
Non sembra potesse esserlo la sospensione del procedimento con
messa alla prova (il cui esito positivo estingue il reato, a norma
dell'art. 168-ter cod. pen.). Dall'ordinanza di rimessione non
consta, infatti, che l'imputato abbia presentato alcuna istanza di
messa alla prova nel termine prescritto (ossia prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento, trattandosi di
procedimento a citazione diretta: art. 464-bis, comma 2, cod. proc.
pen.).
Eccentrico appare, per altro verso, il riferimento all'istituto
dell'affidamento in prova al servizio sociale (il cui esito positivo
estingue la pena ai sensi dell'art. 47, comma 12, della legge 26
luglio 1975, n. 354, recante «Norme sull'ordinamento penitenziario e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della
liberta'»), trattandosi di misura alternativa alla detenzione:
dunque, di per se' inapplicabile in rapporto a un reato punito con la
sola ammenda, quale quello di cui si discute.
Il giudice a quo non precisa, ancora, se nel caso di specie -
concernente la guida senza patente di un motociclo da parte di una
persona sottoposta, in quel momento, alla misura di prevenzione della
sorveglianza speciale - vi fossero concreti elementi per ritenere il
fatto non punibile in ragione della sua particolare tenuita', nei
termini indicati dall'art. 131-bis cod. pen.
Neppure, infine, il rimettente specifica se l'imputato fosse
concretamente in grado di fruire della sospensione condizionale della
pena, avuto riguardo all'assenza di precedenti ostativi e alla
possibilita' di formulare una prognosi favorevole riguardo alla sua
astensione dalla futura commissione di ulteriori reati.
A prescindere, quindi, da ogni altro possibile rilievo, sia
riguardo all'effettiva validita' della tesi del giudice a quo
(secondo cui una sanzione amministrativa pecuniaria sarebbe, in ogni
caso, deteriore rispetto a una pena pecuniaria di pari importo
condizionalmente sospendibile o altrimenti neutralizzabile), sia in
ordine alla coerenza con il suo percorso argomentativo del risultato
che conseguirebbe alla richiesta ablazione, pura e semplice, delle
norme censurate (la sottrazione a ogni sanzione degli autori dei
fatti anteriori), il riscontrato difetto di motivazione sui punti
considerati preclude lo scrutinio di merito delle questioni,
rendendole inammissibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara non fondata la questione di legittimita'
costituzionale degli artt. 8, commi 1 e 3, e 9, comma 1, del decreto
legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di
depenalizzazione, a norma dell'articolo 2, comma 2, della legge 28
aprile 2014, n. 67), sollevata, in riferimento all'art. 76 della
Costituzione, dal Tribunale ordinario di Siracusa con l'ordinanza
indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 8, commi 1 e 3, e 9, comma 1, del d.lgs.
n. 8 del 2016, sollevate, in riferimento agli artt. 25, secondo
comma, e 117, primo comma, della Costituzione - quest'ultimo in
relazione all'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4
agosto 1955, n. 848 - dal Tribunale ordinario di Siracusa con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 febbraio 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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