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martedì 22 luglio 2014

Atto Senato Interrogazione a risposta orale 3-01115 presentata da VINCENZO SANTANGELO giovedì 17 luglio 2014, seduta n.282 SANTANGELO, DONNO, FUCKSIA, BULGARELLI, MANGILI, PUGLIA, BUCCARELLA, PAGLINI, LEZZI - Al Ministro della difesa - Premesso che: il maresciallo dell'Arma dei Carabinieri, Saverio Masi, ha prestato servizio dal 2000 al 2008 presso il nucleo investigativo del comando provinciale dei Carabinieri di Palermo. Nella primavera 2013 ha denunciato di essere stato ostacolato dai propri superiori nella ricerca dei boss latitanti Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro;..



Atto Senato

Interrogazione a risposta orale 3-01115
presentata da
VINCENZO SANTANGELO
giovedì 17 luglio 2014, seduta n.282
SANTANGELO, DONNO, FUCKSIA, BULGARELLI, MANGILI, PUGLIA, BUCCARELLA, PAGLINI, LEZZI -Al Ministro della difesa - Premesso che:
il maresciallo dell'Arma dei Carabinieri, Saverio Masi, ha prestato servizio dal 2000 al 2008 presso il nucleo investigativo del comando provinciale dei Carabinieri di Palermo. Nella primavera 2013 ha denunciato di essere stato ostacolato dai propri superiori nella ricerca dei boss latitanti Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro;
il maresciallo Saverio Masi ha prestato servizio come caposcorta del pm della DDA (Direzione distrettuale antimafia) di Palermo Nino Di Matteo, titolare di importanti inchieste sulla trattativa Stato-mafia, attualmente in corso presso i competenti organi giudicanti;
oltre ad aver denunciato vicende atte a far luce sulle coperture di Stato relativamente alla latitanza di Provenzano e di Messina Denaro, è stato un importante testimone sulle vicende relative al "papello" e alla trattativa tra i Carabinieri del Ros (Raggruppamento operativo speciale) e Cosa nostra per il tramite di Vito Ciancimino. Masi è quindi un teste rilevante nel processo sulla trattativa Stato-mafia, aperto il 27 maggio 2013 a Palermo in Corte di assise, e anche nel processo Mori-Obinu per la mancata cattura di Provenzano, chiuso in primo grado con una clamorosa sentenza di assoluzione degli imputati che ha fatto molto discutere, ma per cui la Procura ha già presentato ricorso in appello;
Masi, durante lo svolgimento delle sue indagini, come da lui riferito, nel 2001 arrivò a ricostruire i movimenti di Bernardo Provenzano e di Matteo Messina Denaro, e addirittura individuò il rifugio di Provenzano, probabilmente nei pressi di Ciminna (Palermo). Purtroppo però le indagini furono bloccate e fu disposto il trasferimento del maresciallo nella città di Caltavuturo in provincia di Palermo;
nel 2004 Masi sostiene di aver intercettato lo stesso Messina Denaro a bordo di un'auto a Bagheria (Palermo), e di aver individuato la villa in cui si nascondeva, ma anche in questo caso gli sarebbe stata negata l'autorizzazione a procedere con le indagini;
stessa sorte sarebbe toccata a Salvatore Fiducia, primo maresciallo luogotenente dei Carabinieri, che ha presentato un esposto circostanziato alla Guardia di finanza di Palermo, e che già in passato aveva denunciato la strana scomparsa di una relazione di servizio, fornita ai suoi superiori nel periodo 2001-2004, che trattava proprio della latitanza di Provenzano;
considerato che:
il maresciallo Masi si è dimostrato, nell'assolvimento delle proprie funzioni, rispettoso della Costituzione del nostro Paese, avendo testimoniato e denunciato ciò di cui era venuto a conoscenza, compiendo quindi il dovere primario di chi onora la divisa che indossa oltre a quello di onesto cittadino;
nel 2011 Masi è stato allontanato dal reparto operativo di appartenenza, a seguito di una condanna a 8 mesi di reclusione per falso materiale, falso ideologico e tentata truffa, con l'accusa di aver falsificato un atto del proprio ufficio al fine di far annullare una sanzione per infrazione del codice della strada di 106 euro subita nel 2008 durante lo svolgimento delle sue funzioni, utilizzando una vettura privata, quando prestava servizio in forza al nucleo investigativo del comando di Palermo. A distanza di due anni detta condanna venne "alleggerita" dal capo di imputazione di falso ideologico;
durante la deposizione nel processo Mori, il maresciallo Masi ha dichiarato: "Usavamo le macchine di amici perché i mafiosi conoscevano le nostre auto di servizio";
la commisurata condanna, secondo l'articolo 33 del titolo II del codice penale militare di pace, comporta la rimozione dal servizio e quindi la perdita del lavoro, unica fonte di sostentamento per sé e i suoi familiari;
da una nota del sindacato di Polizia Coisp (Coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forza di polizia) dell'8 ottobre 2013 si legge che le accuse nei confronti del maresciallo Masi si basano su dati oggettivi palesemente falsi come l'asserita "rarissima concessione dell'utilizzo di auto private per l'espletamento di servizi di indagine" e che sarebbe bastato depositare ulteriori memoriali di servizio che avrebbero attestato l'effettivo utilizzo di auto private per l'espletamento di servizi di indagine che, però, sono stati negati con forza dal comando provinciale;
a parere degli interroganti quanto accaduto al maresciallo Masi appare come un semplice pretesto per bloccare, punire e mettere a tacere un uomo fuori dalle logiche del sistema che aveva denunciato di essere stato ostacolato dai superiori nella ricerca dei boss latitanti Provenzano e Messina Denaro,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti descritti;
se risulti quali siano i motivi ostativi per i quali il maresciallo Saverio Masi non debba essere reintegrato al reparto investigativo dei Carabinieri di Palermo, alla luce del fatto che, a parere degli interroganti, è lecito dubitare sulla correttezza della condanna, ferma restando l'autonoma valutazione da parte dell'autorità giudiziaria in merito ai rilevanti fatti citati ed alle eventuali responsabilità personali dei soggetti coinvolti a qualunque titolo.
(3-01115)

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