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sabato 11 novembre 2023

Corte d'Appello 2023-"Con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di Trani in funzione di giudice del lavoro il 27.08.2020, l'odierno appellante conveniva in giudizio l'INPS, chiedendo al giudice adito di accertare il proprio diritto a conseguire la pensione anticipata di vecchiaia a norma dell'art. 1, comma 8, D.Lgs. n. 503 del 1992, con decorrenza dalla domanda amministrativa del 28.05.2018 o da altra data successiva accertata in corso di causa, poiché affetto da un quadro patologico idoneo a determinare un grado percentuale di invalidità pari o superiore all'80%, con conseguente condanna dell'istituto resistente al pagamento dei ratei dovuti e degli accessori, oltre che alla rifusione delle spese e competenze di lite. "

 


Corte d'Appello Bari Sez. lavoro, Sent., 20/10/2023 


REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

CORTE DI APPELLO DI BARI 

- SEZIONE LAVORO - 

La Corte di appello di Bari - Sezione per le controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza - composta dai Magistrati: 

dott. PIETRO MASTRORILLI - Presidente 

dott.ssa ERNESTA TARANTINO - Consigliere 

dott.ssa ISABELLA CALIA - Consigliere relatore 

ha pronunciato la seguente 

SENTENZA 

nella causa iscritta al n. 1003 del Ruolo Generale dell'anno 2022 vertente 

tra 

 

rappr. e dif. dall'avv. Franco Delnero 

-Appellante- 

INPS 

rappr. e dif. dagli avv.ti Raffaele Tedone e Cosimo Nicola Punzi 

-Appellato- 

Svolgimento del processo - Motivi della decisione 

Con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di Trani in funzione di giudice del lavoro il 27.08.2020, l'odierno appellante conveniva in giudizio l'INPS, chiedendo al giudice adito di accertare il proprio diritto a conseguire la pensione anticipata di vecchiaia a norma dell'art. 1, comma 8, D.Lgs. n. 503 del 1992, con decorrenza dalla domanda amministrativa del 28.05.2018 o da altra data successiva accertata in corso di causa, poiché affetto da un quadro patologico idoneo a determinare un grado percentuale di invalidità pari o superiore all'80%, con conseguente condanna dell'istituto resistente al pagamento dei ratei dovuti e degli accessori, oltre che alla rifusione delle spese e competenze di lite. 

Con memoria depositata il 18.03.2021 si costituiva in giudizio l'INPS, eccependo l'infondatezza della avversa domanda in considerazione della mancata ricorrenza nel caso di specie del quadro invalidante prescritto ai fini dell'insorgenza del diritto alla prestazione dal D.Lgs. n. 503 del 1992, il quale richiede che l'assicurato presenti, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, una riduzione permanente della capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle proprie attitudini in misura pari o superiore all'80%. 

L'Istituto resistente, inoltre, avuto riguardo alla denegata ipotesi di accoglimento del ricorso, deduceva la necessità che la liquidazione del trattamento pensionistico anticipato fosse differita alla prima finestra utile successiva al sorgere dello stato invalidante, alla luce della nuova disciplina dello slittamento della decorrenza delle pensioni (regime delle c.d. finestre di accesso previamente disciplinato dall'art. 1, co 5, L. n. 247 del 2007) introdotta dall'art. 12 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni in L. 30 luglio 2010, n. 122. 

Con sentenza n. 349 del 17.02.2012 il Tribunale, sulla scorta degli esiti della CTU medico legale disposta in corso di causa, accoglieva il ricorso, dichiarava che il ricorrente è invalido in misura pari all'80% a decorrere dalla domanda amministrativa del 28/5/18, e per l'effetto, condannava l'INPS al riconoscimento della pensione di vecchiaia anticipata, a far tempo dalla prima finestra utile successiva alla riscontrata invalidità. 

Quanto alle spese processuali, ne disponeva la compensazione integrale fra le parti. 

Avverso detta pronuncia il pensionato ha interposto appello, dolendosi della regolamentazione delle spese di lite. 

Ha resistito l'INPS, depositando apposita memoria con cui ha richiesto la conferma della sentenza gravata e la condanna dell'appellante al pagamento delle spese e competenze professionali. 

Acquisiti i documenti prodotti dalle parti e il fascicolo d'ufficio relativo al primo grado di giudizio, all'esito della discussione orale svolta all'udienza del 17.10.2023 la causa è stata decisa come da dispositivo in calce trascritto. 

L'appello è fondato, dovendosi riformare la sentenza impugnata in punto di regolamentazione delle spese processuali. 

L'appellante ha infatti censurato la decisione del Tribunale nella sola parte in cui è stata disposta la compensazione delle spese di lite. 

In particolare, con un unico motivo, ha denunciato l'errata applicazione dell'art. 92 co. 2 c.p.c., essendo egli risultato vittorioso in un giudizio causato dal diniego opposto dall'Inps in sede amministrativa, diniego rivelatosi immotivato alla luce della CTU medico legale espletata in primo grado. 

Ha chiesto, quindi, la condanna dell'Inps al pagamento delle spese e delle competenze del doppio grado di giudizio. 

Orbene, va premesso che l'art. 92 c.p.c. ha subito reiterate modifiche: mentre nella formulazione della norma contenuta nel testo originario del codice di procedura civile del 1940 era previsto che il giudice potesse procedere alla compensazione totale o parziale delle spese nel caso in cui vi fosse soccombenza reciproca ovvero se ricorressero "altri giusti motivi", con le modifiche apportate dalla L. n. 263 del 2005 si è stabilito che i giusti motivi dovessero essere "esplicitamente indicati nella motivazione"; con la novella introdotta dalla L. n. 69 del 2009, la disposizione è stata innovata in senso ancor più incisivo, essendo stato previsto, per i giudizi instaurati successivamente al 4.7.2009, che la compensazione dovesse essere fondata su "altre gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione"; infine con la L. n. 162 del 2014, le ipotesi che consentono la compensazione sono state circoscritte "alla soccombenza reciproca, alla assoluta novità della questione trattata ed al mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti". 

È poi intervenuta la Corte Costituzionale, con la sentenza del 19.04.2018, n. 77, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 92, secondo comma, c.p.c., nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, non solo nelle due ipotesi di "assoluta novità della questione trattata" o di "mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti", ma anche in presenza di "altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni". 

La pronuncia del Giudice delle Leggi, in buona sostanza, riabilita la clausola generale delle gravi ed eccezionali ragioni, introdotta dall'art. 45, co. 11, L. 18 giugno 2009, n. 69, in vigore dal 04.07.2009, quanto meno, nei casi in cui il motivo della compensazione abbia il medesimo tasso - appunto - di gravità ed eccezionalità che connota le ipotesi tipiche configurate dalla riforma del 2014. 

Ricostruito in questi termini il quadro giuridico applicabile al caso di specie, non può, allora, condividersi la compensazione totale delle spese operata dal Tribunale. 

Giova rilevare innanzitutto che il giudizio di primo grado è stato introdotto con ricorso depositato il 27.08.2020 e che pertanto è ratione temporis assoggettato alla norma di cui al secondo comma dell'art. 92 c.p.c. nella formulazione risultante a seguito della novella di cui all'art. 13, comma 1, del D.L. n. 132 del 2014, conv. in L. n. 162 del 2014. 

Ne consegue che, fermo il principio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c. (secondo cui "Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa"), il Tribunale avrebbe potuto compensare le spese tra le parti solo nella ricorrenza di una delle tre ipotesi tassativamente previste dall'art. 92 c.p.c., e cioè in caso di soccombenza reciproca, assoluta novità della questione trattata oppure mutamento della giurisprudenza rispetto alla questione dirimente, ovvero, alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale n. 77/2018, nel caso in cui fosse stata ravvisata la sussistenza di una grave ed eccezionale ragione ulteriore rispetto alle ridette ipotesi. 

Occorre precisare però che l'esistenza di "altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni" non può essere tratta dalla natura della controversia o della pronuncia oppure dalla struttura del tipo di procedimento contenzioso applicato ovvero ancora dalle disposizioni processuali che lo regolano o dalla natura dell'impugnazione: tali ragioni devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa che il giudice è tenuto a indicare esplicitamente e specificamente nella motivazione della sentenza (così Cass. n. 9734 del 2020, che in proposito richiama Cass. n. 21083 del 2015, n. 23632 del 2013 e n. 22763 del 2013). 

Nel caso di specie, la compensazione è stata così motivata dal primo giudice: "atteso che, come correttamente dedotto dall'INPS, la decorrenza della pensione va stabilita a far tempo dalla prima finestra utile all'accertata invalidità". 

In altri termini, pur dando atto del riconoscimento del requisito sanitario sin dalla data della domanda amministrativa, il Tribunale ha posticipato la decorrenza della pensione alla prima finestra di uscita utile, secondo le deduzioni formulate dall'Inps, sicché ha ravvisato un'ipotesi di soccombenza reciproca tale da legittimare la compensazione integrale delle spese di lite. 

Ebbene, in senso contrario questa Corte osserva che, come correttamente rilevato dall'odierno appellante, questi è in realtà risultato totalmente vittorioso, poiché lo stato invalidante, negato dall'Inps, è stato riconosciuto dal CTU sin dalla domanda amministrativa del 28.05.2018; quanto alla decorrenza della prestazione, la posticipazione alla prima finestra utile non è stata mai specificamente contestata dal ricorrente, che non si è opposto alla deduzione formulata sul punto dall'Inps. 

Giova trascrivere le conclusioni rassegnate nel ricorso di primo grado: "a) accertare e dichiarare che la parte ricorrente, a causa delle patologie da cui è affetto, ha diritto ad ottenere la pensione di vecchiaia INPS con decorrenza dalla data della domanda o successiva riconosciuta in corso di causa e, per l'effetto: 

b) condannare l'INPS -Istituto Nazionale della Previdenza Sociale- in persona del suo Presidente pro tempore, con sede in Roma, alla corresponsione in favore dell'istante della pensione di vecchiaia, a decorrere dalla data della domanda in sede amministrativa, o da quell'altra data accertata in corso di causa, oltre gli interessi legali maturati e maturandi come per legge e rivalutazione". 

Il giudizio espresso dal CTU nominato dal Tribunale ha comprovato la fondatezza della rivendicazione attorea, essendosi il perito espresso nei seguenti termini: "il sig. B.L. per le infermità in diagnosi presenta il requisito sanitario (Invalidità 80 %) per beneficiare quanto richiesto in istanza: Pensione Anticipata di Vecchiaia: (art. 1, comma 8, D.Lgs. n. 503 del 1992) se parte ricorrente abbia una invalidità in misura non inferiore all'80 per cento, con decorrenza dalla data dell'istanza: 28/05/2018". 

In conformità a tali conclusioni medico-legali, nelle note di trattazione scritta del 31.01.2022 il ricorrente ha chiesto "che la causa venga decisa con riconoscimento del diritto del ricorrente alla pensione anticipata di vecchiaia (80%) dalla data della domanda amministrativa (28/05/2018) con condanna dell'INPS al pagamento delle somme dovute, oltre arretrati e interessi legali". 

Parte attrice non ha tuttavia mai contrastato l'obiezione dell'Inps secondo cui "la decorrenza della pensione di vecchiaia non potrà che essere stabilita dalla data della prima finestra utile successiva al sorgere dello stato invalidante" (cfr. memoria di costituzione in primo grado). 

In altri termini, lo spostamento in avanti della liquidazione della prestazione non è mai stato in discussione, trattandosi di uno slittamento previsto ex lege, rispetto al quale il ricorrente non si è mai opposto nel corso del giudizio di primo grado. 

Va ribadito sul punto, per confutare quanto asserito dall'Inps nella memoria difensiva in appello, che è vero che negli ultimi atti difensivi scritti, depositati il 31.01.2022, all'esito della CTU, il ricorrente ha insistito per il riconoscimento dalla data della domanda amministrativa, ma tanto ha fatto esclusivamente adeguandosi alle conclusioni peritali, senza contestare la tesi dell'Inps circa la decorrenza differita della pensione. 

Ne consegue che il primo giudice è incorso in errore nel sostenere che la compensazione delle spese avesse titolo nell'"accoglimento parziale del ricorso", per tale intendendo la decorrenza della pensione a far tempo dalla prima finestra utile, laddove tale decorrenza è mera conseguenza della previsione legislativa e non già di un parziale riconoscimento della pretesa attorea, invece integralmente accolta sin dalla domanda amministrativa, data in cui già erano sussistenti i requisiti (anagrafico, contributivo, sanitario) per l'accesso alla pensione di vecchiaia anticipata. 

Non a caso l'instante, indotto ad agire a causa del mancato riconoscimento della percentuale invalidante, ha chiesto che il suo diritto fosse affermato con decorrenza dal primo giorno del mese successivo alla data della domanda ovvero da quella diversa "successiva riconosciuta in corso di causa", quella cioè da stabilirsi ex lege in applicazione del regime delle c.d. finestre. 

A tali considerazioni deve aggiungersi che la proposizione del ricorso giudiziale si è resa necessaria a seguito del rigetto della domanda amministrativa, determinato da motivi sanitari: ebbene, proprio sotto il profilo sanitario il ricorrente è risultato pienamente vittorioso, poiché la sussistenza dell'invalidità necessaria a conseguire la pensione anticipata di vecchiaia è stata dal CTU riconosciuta sin dalla data della domanda amministrativa (28/5/2018). 

Dunque, anche in base al principio di causalità, che vuole che i costi del processo siano sopportati dalla parte che con il suo comportamento ha reso necessaria l'attività del giudice e ha occasionato le spese del suo svolgimento, di recente ribadito dalla Suprema Corte (Cass. n. 32061/2022), la soccombenza dell'Inps è stata totale, poiché il comportamento ostativo dell'Istituto rispetto al riconoscimento sanitario del diritto ha costretto il richiedente ad agire in giudizio, ove l'Inps ha perseverato nella contestazione del requisito sanitario, tanto da rendere necessario l'espletamento di CTU medico legale, che ha invece riscontrato la sussistenza dello stato invalidante. 

Da ultimo, non coglie nel segno l'argomentazione dell'ente appellato, secondo cui il dibattito giurisprudenziale sulla questione della decorrenza della pensione anticipata si sarebbe sopito solo con la pronuncia della Corte di Cassazione n. 30971 del 19 ottobre 2022. 

In verità, l'applicabilità anche alle pensioni anticipate di vecchiaia del differimento di 12 mesi rispetto alla data di accertamento del requisito sanitario secondo il regime delle c.d. "finestre di uscita" di cui all'art. 12 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in L. n. 122 del 2010, è stata sancita dalla Corte di Cassazione già nella sentenza n. 29191 del 2018, confermata poi dalla successiva giurisprudenza di legittimità (v. per esempio Cass. nn. 24363/2019, 15560/2019, 15617/2019, 32591/18, 30133/18 e 29420/18, nonché Cass. Sez. 6 - L, ordinanza n. 2386 del 2020). 

Quindi, all'epoca di introduzione del giudizio di primo grado la questione circa la decorrenza della pensione era stata già affrontata e risolta dalla Suprema Corte, il che spiega la mancata opposizione del ricorrente rispetto alla richiesta dell'Inps di posticipare l'erogazione della prestazione, essendosi ormai l'orientamento giurisprudenziale consolidatosi in tal senso. 

Si ritiene in conclusione che nessuna grave ed eccezionale ragione potesse giustificare la compensazione delle spese di lite, tenuto conto che la parte privata è risultata totalmente vittoriosa: invero, il requisito sanitario sussisteva già dall'epoca dell'istanza amministrativa e la decorrenza della pensione è stata posticipata esclusivamente in virtù del meccanismo legislativo delle finestre d'uscita, mai contestato dal ricorrente. 

Sulla scorta delle precedenti considerazioni, l'appello deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere riformata limitatamente alla statuizione sulle spese di lite, che vanno poste a carico dell'Inps. 

Anche la regolamentazione delle spese processuali del presente gravame segue la soccombenza dell'ente appellato. 

La liquidazione per i due gradi di giudizio è affidata al dispositivo che segue, sulla scorta dei parametri di cui alla tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n. 147 del 2022 (in vigore dal 23.10.2022), tenuto conto del valore della causa (in primo grado scaglione sino a Euro 26.000,00, in appello sino a Euro 5.200,00), della sua complessità e dell'attività processuale in concreto espletata. 

P.Q.M. 

La Corte di Appello di Bari - Sezione lavoro, definitivamente pronunciando sull'appello proposto con ricorso depositato in data 28.07.2022 da B.L. nei confronti dell'INPS avverso la sentenza resa dal Tribunale di Trani in data 17.02.2022, così provvede: 

- accoglie l'appello e, per l'effetto, in parziale riforma dell'impugnata sentenza, condanna l'INPS al pagamento in favore di B.L. delle spese del primo grado di giudizio, che liquida in Euro 4.000,00, oltre rimborso forfettario per spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con distrazione in favore dell'avv. Franco Delnero dichiaratosi anticipante; 

- conferma nel resto l'impugnata sentenza; 

- condanna l'INPS al pagamento in favore di B.L. delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 1.500,00, oltre rimborso forfettario per spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con distrazione in favore dell'avv. Franco Delnero dichiaratosi anticipante. 

Così deciso in Bari, il 17 ottobre 2023. 

Depositata in Cancelleria il 20 ottobre 2023. 


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