Corte d'Appello Roma Sez. lavoro, Sent., 20/10/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
Sezione controversie lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie composta dai Sigg. Magistrati:
DI SARIO dott.ssa Vittoria - Presidente rel.
SELMI dott. Vincenzo - Consigliere
CERVELLI dott. Vito Riccardo - Consigliere
all'esito dell'udienza del 28.9.2023 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 2859 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2020 vertente
TRA
ROMA CAPITALE elett.te dom.ta in Roma, via del Tempio di Giove n.21, presso l'Avvocatura Capitolina, rappresenta e difende giusta procura generale alle liti in telematico dall'avv. Paolo Richter Mapelli Mozzi
APPELLANTE PRINCIPALE-APPELLATA INCIDENTALE
E
x
APPELLATA PRINCIPALE-APPELLANTE INCIDENTALE
Oggetto: appello avverso la sentenza n. 4906/2020 del Tribunale di Roma pubblicata il 7/9/2020
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. L'arch OMISSIS, premesso di essere stata dirigente-ruolo tecnico del Comune di Roma dal 1998 all'1/7/2018, data in cui era stata collocata in quiescenza, ricostruita la carriera lavorativa e denunciata la mancata applicazione nei suoi confronti del trattamento economico previsto dall'art. 1 comma 18 D.L. n. 138 del 2011 conv. nella L. n. 148 del 2011 nonché l'illegittimo mancato conferimento, dal 2014, di incarichi di 4^ fascia adeguati alla sua professionalità, ha convenuto in giudizio Roma Capitale chiedendo al giudice di dichiarare il suo diritto alle differenze retributive maturate in forza della clausola legale di salvaguardia dal 1/11/2013 al 13/9/2016, e per l'effetto condannarsi Roma Capitale al pagamento della somma di Euro. 102.583,09, oltre corrispondente contribuzione; dichiararsi l'illegittimità nei suoi confronti di tutti i provvedimenti e di conferimento di incarico dirigenziale denunciati; condannarsi la convenuta al risarcimento del danno da perdita di chance, quantificato in Euro. 66.957,27, oltre alle differenze sul TFR e sulla pensione mensile separatamente conteggiate; e del danno non patrimoniale quantificato in Euro. 84.770.18.
1.1. Nella resistenza di Roma Capitale, il Tribunale di Roma ha così disposto:
a) condanna la convenuta al pagamento, in favore della ricorrente, delle seguenti somme:
- Euro. 103.409,38, a titolo di conservazione del trattamento dirigenziale ex art.1, co.18, del D.L. n. 138 del 2011, conv. in L. n. 148 del 2011, maturato dal novembre 2013 al 13/9/2016, oltre alla maggior somma tra rivalutazione istat ed interessi legali dalle singole scadenze al soddisfo;
- Euro. 38.584,74, a titolo di risarcimento del danno da perdita di chance maturato dal 14/9/2016 al 30/6/2018, oltre alla maggior somma tra rivalutazione istat ed interessi legali dalle singole scadenze al soddisfo;
- Euro. 1.103,00 mensili a titolo di danno pensionistico dal 1/7/2018 all'attualità, salve le successive, oltre alla maggior somma tra rivalutazione istat ed interessi legali dalle singole scadenze al soddisfo;
b) respinge il resto;
c) condanna la convenuta alla rifusione, in favore della ricorrente, dei tre quarti delle spese del giudizio, che liquida, per questa parte, in Euro. 210,00 per spese e Euro. 7.500,00 per compensi, oltre S.F., Iva e Cpa,; compensa il resto.
1.2. Il primo giudice: i) ha riconosciuto il diritto della ricorrente ha mantenere, nel periodo novembre 2013-13/9/2016, il trattamento economico proprio del dirigente di 4^ fascia, già goduto in ragione dell'incarico di Direttore del Dipartimento Politiche per la riqualificazione delle Periferie, alla medesima conferito prima con ordinanza sindacale del 13/6/2013 con scadenza al 15/9/2013 e successivamente con ordinanza sindacale del 13/9/2013 con scadenza il 30/10/2013, durata in contrasto con l'art. 19 comma 2 TU n. 165/2001; ha quindi quantificato in Euro 103.409,38 dette differenze retributive ricomprendendovi anche la retribuzione di risultato; ii) con riguardo alla lamentata illegittimità delle procedure di conferimento di incarichi dirigenziali indicate nel ricorso, ha innanzitutto osservato che nel consolidato e qui condiviso insegnamento di legittimità, d'altronde sul punto imposto dal chiaro dettato letterale dell'art.19 del D.Lgs. n. 165 del 2001, e confermato per gli enti locali dall'art. 109 del D.Lgs. n. 267 del 2000, alla dirigenza pubblica "privatizzata" non s'applica l'art. 2103 c.c., sicchè detti dirigenti non hanno diritto a conservare incarichi di livello equivalente a quelli da ultimo svolti (Cass. 4986/2018, 4621/2017), salvo siano assegnati compiti del tutto avulsi dal bagaglio professionale implicato dalla qualifica e mortificanti - Cass. 4986/2018 - ovvero assegnati incarichi non dirigenziali - Cass. 4621/2017; o lasciare il dirigenteinattivo - Cass. 12678/2016; ovvero, nel caso di dirigenza tecnica, assegnare compiti privi della pertinente consistenza tecnica: Cass. 3451/2010. Ne segue che la F. non può dolersi di per sé del fatto che, terminato l'ultimo incarico di 4^ fascia, le sia poi stata assegnata una serie di incarichi di fascia inferiore, ma pur sempre corrispondenti a posti di natura dirigenziale secondo l'organizzazione dell'Ente, tra i quali rientrano anche gli incarichi di mero studio previsti dall'art. 19, co.10 (Cass. 8674/2018). Su un piano affatto diverso si pone l'altrettanto consolidato, e parimenti qui condiviso (entro certi limiti) insegnamento di legittimità, secondo il quale l'atto, di natura privatistica secondo l'art.5, co.2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, col quale la p.a. conferisce incarichi dirigenziali, deve conformarsi al principio generale di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., da valutarsi alla stregua dei canoni di imparzialità e buon andamento posti da Cost.97, con la conseguenza che la scelta deve seguire a valutazioni comparative delle quali deve darsi motivazione (ad avviso del giudicante, di regola, in giudizio, e non necessariamente nell'atto, non esistendo un obbligo generale di motivazione in diritto privato: , Cass. sez.lav., 24 ottobre 2008, n. 25761; Cass. sez. lav. 18 febbraio 2005 n.3360; Cass. sez. lav. 29 luglio 2003, n. 11589; Cass. sez,.lav. 16 maggio 2003 n.7704 ); e che nel caso l'amministrazione non dia alcuna contezza della scelta, malgrado il carattere discrezionale della stessa, stante l'esistenza, in capo ai partecipanti, di una situazione giuridica di interesse legittimo di diritto privato ex art. 2907 c.c., a costoro va riconosciuto il diritto al risarcimento del danno da perdita di chance (Cass. 18972/2015, 21088/2010, 20979/2009, 9814/2008). La struttura della situazione giuridica tutelata, che è quella della pretermissione dell'interesse legittimo a che la scelta del soggetto cui sia stato affidato, in propria vece (senza che se ne avesse diritto), un determinato incarico dirigenziale, si conformi ai criteri previsti dalle fonti applicabili e segua, anche quando determinata da motivi discrezionali leciti, un minimo di esplicitazione di ragione plausibile, implica, ad avviso del giudicante, da un lato, l'irrilevanza intrinseca degli atti di conferimento di incarico "inferiore"; dall'altro, che la doglianza si riferisca specificamente ad atti o procedimenti di conferimento di incarico specificati e determinati, ed a specifiche posizioni dirigenziali in qualche modo "messe in palio", cui l'attore abbia concorso o avesse diritto a concorrere, e per i quali non sia stato scelto. Ed invero, intanto l'amministrazione può essere chiamata a dare contezza dei motivi per i quali ha scelto un terzo per ricoprire un incarico dirigenziale cui l'attore aveva titolo ad aspirare, in quanto il posto ed il terzo siano identificati nel ricorso; iii) in applicazione dei richiamati princìpi ha innanzitutto ritenuto infondata e comunque incongruente rispetto alle censure sollevate, alla pretesa risarcitoria e comunque a qualunque interesse residuo la censura di illegittimità che la ricorrente rivolge, al capo c) delle conclusioni del ricorso, ai provvedimenti particolari con i quali ella venne investita di incarichi di fascia inferiore alla 4^, quali: a) l'ordinanza sindacale n. 294 del 17/12/2013, che l'assegnò al Dipartimento Mobilità e Trasporti per il successivo conferimento, in quell'ambito, di un incarico subapicale di direzione di U.O.; b) la D.D. n.124/2014, non prodotta, con la quale è peraltro incontestato che alla F. venne assegnato l'incarico di Direttore della U.O. "Attuazione Piano Parcheggi"; c) l'ordinanza sindacale n.7 del 13/3/2015, con la quale alla medesima venne affidato l'incarico di Direttore della Direzione "Urbanizzazioni primarie"; d)l''ordinanza commissariale n. 24 del 5/2/2016, con la quale alla medesima venne affidato l'incarico di direzione della Unità di Scopo "studio e Ricerca per la valorizzazione del patrimonio monumentale del Cimitero del V." e) l'ordinanza sindacale n.100 del 11/11/2016, con la quale la medesima venne assegnata ad un incarico di progetto presso il Dipartimento di Tutela Ambientale; f) l'ordinanza sindacale n.69 del 9/4/2018, non prodotta, con la quale è peraltro incontroverso alla ricorrente venne affidato un incarico di progetto sulle alberature del V., chiarendo per ciascuna procedura le ragioni del rigetto della domanda (cfr da pg 8 a pg 10 della sentenza); iv) sulla scorta dei medesimi princìpi sopra richiamati, ha invece accolto il ricorso con riguardo alle altre procedure, indicate al punto 16.1 del ricorso, cui pacificamente la ricorrente aveva partecipato, procedure tutte successive al 13/9/2016 (operando per il periodo precedente la clausola di salvaguardia del sopra citato art. 1 comma 18 D.L. n. 138 del 2011), ritenendo che il Comune non avesse chiarito né dimostrato le ragioni per le quali erano stati preferiti candidati diversi dalla ricorrente, così riconoscendo a favore di quest'ultima per ciascuna procedura il 50% di chance; v) ha quindi quantificato il risarcimento da perdita di chance nella complessiva somma di Euro 38.584,74; vi) ha respinto la domanda volta a ottenere il ricalcolo del trattamento di fine servizio; vii) ha invece accolto la domanda di risarcimento del danno pensionistico, quantificato secondo il conteggio della ricorrente; viii) ha infine respinto la domanda di risarcimento del danno morale e all'immagine posto che il regime legale dello "ius variandi" della dirigenza pubblica esclude che la successione di un incarico inferiore a quello superiore precedente possa di per sé assumere significato dispregiativo delle qualità professionali del dirigente e lesivo dell'immagine di questi; ed il cd. danno morale soggettivo costituisce un aspetto di danno-conseguenza risarcibile solo in caso di danno-evento la cui risarcibilità sia prevista espressamente dalla legge ovvero consista in lesione di diritti fondamentali della persona umana costituzionalmente protetti (Cass SU n. 26972/2018) e nessuno dei detti requisiti sussiste nella specie.
2. Contro detta decisione ha proposto appello Roma Capitale lamentando: I) l'erroneità della sentenza per avere riconosciuto in capo all'arch. F. il diritto al mantenimento del trattamento economico ex art. 1 comma 18 D.L. n. 138 del 2011 e comunque per averlo fatto cessare al 13/9/2016 e per avervi ricompreso la retribuzione di risultato; II) l'erroneità della sentenza per avere riconosciuto alla predetta il risarcimento da perdita di chance sebbene la stessa non avesse dato alcuna prova sul punto; III) l'erroneità della sentenza per avere riconosciuto il danno pensionistico senza tenere conto che sulle somme riconosciute andassero comunque versati i contributi.
2.1. Si è costituita in giudizio OMISSIS eccependo l'improcedibilità e l'inammissibilità del gravame, anche sollevando questione di legittimità costituzionale dell'art. 435 II comma c.p.c. per violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e comunque l'infondatezza nel merito; in via incidentale ha censurato la gravata sentenza per avere respinto la sua domanda volta a ottenere il ricalcolo del trattamento di fine servizio.
2.2. Previ gli incombenti di cui all'art. 437 c.p.c. la causa è stata discussa e decisa come da separato dispositivo.
3. Preliminarmente vanno disattese le eccezioni di improcedibilità e inammissibilità dell'appello principale sollevate dall'appellata OMISSIS.
3.1. L'esame di dette eccezioni impone una sintetica ricostruzione di alcuni passaggi processuali.
3.2. Il gravame è stato tempestivamente depositato il 29/10/2020 a fronte di una sentenza pubblicata il 7/9/2020 e notificata il 30/9/2020.
3.3. Con decreto ex art. 435 c.p.c. la prima udienza di discussione è stata fissata al 19.5.2022.
3.4. Con successivo Provv. del 9 aprile 2022 l'udienza è stata rinviata d'ufficio al 9/2/2023.
3.5. L'appellata F. si è costituita in data 8/2/2023 con un'ampia memoria in cui, dopo avere dato atto di avere ricevuto la notifica dell'appello solo il giorno prima, il 7/2/2023, ne ha eccepito l'improcedibilità per avere l'appellante principale omesso la notifica per l'udienza del 19/5/2022, invocando le SU n. 20604/2008; ha altresì eccepito l'inammissibilità dell'appello per mancato rispetto dei termini previsti dall'art. 435 commi 2 e 3 c.p.c. e in via subordinata, qualora l'eccezione non fosse stata ritenuta fondata, ha chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 435 comma 3 c.p.c. per violazione degli artt. 24 e 111 c.p.c. assumendo che dalla violazione di entrambi i termini fissati dalla norma in questione conseguirebbe un'irragionevole alterazione delle "condizioni di parità" tra le parti, garantite dall'art. 111 Cost., nella cornice del giusto processo, nonché una violazione dell'art.24 della Cost.; ha comunque chiesto un termine per meglio articolare la propria difesa e proporre appello incidentale; ha comunque eccepito l'inammissibilità ex art. 345 c.p.c. della produzione documentale effettuata da Roma Capitale.
3.6. All'udienza del 9/2/2023, dopo la discussione orale, la causa è stata rinviata all'udienza del 28/9/2023 con termine all'appellata F. di 30 giorni per depositare una memoria integrativa.
3.7. Il 9/3/2023 la F. ha depositato la memoria integrativa, riproponendo le questioni di improcedibilità e inammissibilità, contestando nel merito il gravame e proponendo appello incidentale.
3.8. Così ricostruiti i passaggi processuali, con riguardo all'eccezione di improcedibilità del gravame per non avere proceduto Roma Capotale alla notifica dell'atto di appello per l'udienza del 19/5/2023, originariamente fissata con il decreto ex art. 435 c.p.c., le argomentazioni dell'appellata principale non possono essere condivise.
3.9. Quest'ultima, infatti, non tiene conto del consolidato principio per cui nel rito del lavoro nel caso di rinvio d'ufficio dell'udienza di discussione, disposto prima della data fissata e prima che l'udienza stessa sia aperta, si ravvisa una sostanziale revoca del precedente provvedimento di fissazione, sicché le preclusioni e decadenze a danno delle parti vanno verificate solo con riguardo alla nuova udienza fissata e non all'originaria (cfr. tra le tante Cass. n. 8684/2015, Cass. SU n.14288/2007, Cass. n. 3126/2003, Cass. n.7013/2000, Cass. n. 12388/1999). La pronuncia richiamata dall'appellata principale F. (Cass. n. 27079/2020) non smentisce il richiamato principio di diritto, atteso che in quella sede, diversamente da questa, non vi era stato alcun rinvio d'ufficio, bensì l'udienza era stata tenuta e rinviata per assenza delle parti.
3.10 Da quanto esposto consegue che nel caso in esame non può trovare applicazione l'improcedibilità invocata dalla F. sulla scorta di quanto affermato dalla nota pronuncia a SU n. 20604/2008, e successive conformi, poiché l'udienza alla quale fare riferimento è quella differita d'ufficio del 9/2/2023, rispetto alla quale è pacificamente intervenuta la notifica del gravame sicché non sussiste il presupposto dell'omissione.
3.11 Parimenti infondata è l'eccezione di inammissibilità del gravame per violazione dei termini fissati dai commi 2 e 3 dell'art. 435 c.p.c.
3.12 Sulla non perentorietà del termine di dieci giorni di cui al comma 2 della citata norma è sufficiente rinviare alla consolidata giurisprudenza di legittimità e alle note pronunce della Consulta.
3.13 Per quanto attiene la violazione del termine di cui al comma 3 della citata norma è consolidato il principio di diritto per cui "Nel rito del lavoro, la violazione del termine non minore di venticinque giorni che, a norma dell'art. 435, comma 3, c.p.c., deve intercorrere tra la data di notificazione dell'atto di appello e quella dell'udienza di discussione, configura un vizio che produce la nullità della notificazione, e ne impone la rinnovazione, solo in difetto di costituzione dell'appellato; il vizio resta invece sanato da detta costituzione, ancorché effettuata al solo scopo di far valere la nullità, salva la possibilità per l'appellato di chiedere, all'atto della costituzione, un rinvio dell'udienza per usufruire dell'intero periodo previsto dalla legge ai fini di un'adeguata difesa" (ex plurimis Cass. n. 9735/2018). Anche successivamente la SC, disattendendo certi orientamenti della giurisprudenza di merito, pure richiamati dall'appellata principale, ha ribadito che "all'inosservanza del termine a comparire ex art. 435, comma 3, c.p.c., consegue non già l'improcedibilità dell'appello, bensì la nullità della notificazione suscettibile, perciò, di essere rinnovata, previa fissazione di una successiva udienza e concessione di un nuovo termine per la notifica, sebbene la stessa sia stata eseguita in un termine "ab initio" insufficiente" (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che, in presenza di una notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza eseguita appena 14 giorni prima della data fissata per l'udienza di comparizione, aveva dichiarato l'improcedibilità dell'appello, ritenendo ostativo alla concessione di un nuovo termine per la notifica il principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost." (Cass. 12691/2019).
3.14 In aderenza ai detti princìpi, a fronte della notifica del gravame principale non rispettosa del termine di cui al comma 3 dell'art. 453 c.p.c., è stato concesso all'appellata principale, che si era costituita in giudizio, un termine per articolare le proprie difese e la stessa ha provveduto depositando una memoria integrativa contenente anche appello incidentale.
3.15 Non convince la questione di legittimità costituzionale prospettata dall'appellata principale innanzitutto perché la stessa si è costituita con un'ampia memoria non solo eccependo l'improcedibilità e l'inammissibilità del gravame, ma anche introducendo una difesa di merito laddove si è opposta all'acquisizione della documentazione prodotta da Roma Capitale.
3.16 La questione proposta, inoltre, non tiene conto del chiaro dettato dell'art. 291 c.p.c. né dei princìpi di diritto sopra richiamati e neppure del necessario bilanciamento tra i princìpi del giusto processo e della ragionevole durata e il principio di effettività della tutela giurisdizionale, espresso dagli artt. 24 e 111 Cost. nonché dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali e dagli artt. 6 e 13 della CEDU.
3.16 Non è questa la sede per dilungarsi sull'argomento, essendo sufficiente osservare che le norme processuali non possono essere fine a sé stesse, ma devono essere funzionali a garantire la migliore qualità della decisione di merito senza però sacrificare il diritto alle parti di ottenere una risposta in relazione al bene della vita oggetto della contestazione.
3.17 Gli assetti interpretativi della giurisprudenza di legittimità sopra richiamati garantiscono il giusto bilanciamento, sicché non se ne rinviene alcun contrasto con i parametri costituzionali invocati dalla difesa della F..
4. Disattese le preliminari eccezioni, va innanzitutto osservato che sono coperte da giudicato interno, per omessa impugnazione, sia la statuizione di rigetto delle pretese avanzate da OMISSIS con riguardo alle procedure di conferimento degli incarichi dirigenziali indicati al 1 punto 1.2. iii) sia la domanda di risarcimento del danno morale e all'immagine.
5. Passando all'esame dell'appello principale, con il primo motivo Roma Capitale censura la gravata sentenza innanzitutto per avere riconosciuto all'arch. F. il diritto alla clausola di salvaguardia di cui all'art. 1 comma 18 D.L. n. 138 del 2011.
5.1. La censura è infondata.
5.2 Si legge nella gravata sentenza che L'art.1, co.18, del D.L. n. 138 del 2011 conv. in L. n. 148 del 2011 prevede che "in relazione a motivate esigenze amministrative, le pubbliche amministrazioni….possono disporre, nei confronti del personale….avente qualifica dirigenziale, il passaggio ad altro incarico prima della data di scadenza dell'incarico ricoperto prevista dalla normativa o dal contratto. In tal caso il dipendente conserva, sino alla predetta data, il trattamento economico in godimento a condizione che, ove necessario, sia prevista la compensazione finanziaria, anche a carico del fondo per la retribuzione di posizione e di risultato o di altri fondi analoghi". La ricorrente sostiene che, posto che il 13/9/2013 le venne confermato l'incarico di 4^ fascia di Direttore del Dipartimento Politiche per la riqualificazione delle Periferie; poiché la prevista durata poco più che mensile (fino al 31/10/2013) sarebbe illegittima per violazione dell'art.19 del D.Lgs. n. 165 del 2001, che prevede una durata minima di 3 anni; anche a prescindere dall'asserita illegittimità del successivo affidamento di incarichi inferiori; ella avrebbe diritto al trattamento economico di 4^ fascia dal 1/1/2013 al 13/9/2016. Poiché in effetti l'art. 19, sebbene come principio di conformazione (art. 27) si applica anche ai Comuni, si tratta di verificare se la più breve durata dell'incarico fosse conforme a qualche normativa speciale che la legittimasse. Poiché la difesa capitolina non offre lumi, non si vede dove cercare se non nei provvedimenti. Orbene, consta in atti che quello stesso incarico era già stato affidato alla ricorrente in via temporanea con ordinanza sindacale n.129 del 13/6/2013, il giorno dopo la proclamazione del Sindaco M., fino al 15/9/2013, e che la particolare breve durata dell'assegnazione venne in buona sostanza giustificata col fatto che si erano create delle vacanze per effetto del fatto che i relativi titolari erano decaduti, per effetto della scadenza del mandato del Sindaco precedente, ai sensi dell'art. 110, co.3, del TUEL, e dell'art. 35 del Regolamento del 29/12/2010, e chequell''incarico andava conferito "nelle more delle definitive determinazioni", conseguenti al riassetto imposto dall'ordinamento di Roma Capitale, introdotto dalla L. n. 42 del 2009. Il provvedimento richiama a proprio fondamento l'art. 109 del TUEL. Osserva il giudicante che l'art. 19, co.2 del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede e prevedeva, anche alla data della deliberazione, in modo che appare inderogabile e suscettibile di sostituzione automatica ai sensi dell'art. 1339 c.c., che gli incarichi dirigenziali non possano avere durata inferiore a tre anni, e l'art. 109 del D.Lgs. n. 267 del 2000 non contiene alcuna eccezione. D'altronde, proprio in ragione del fatto che ai sensi dell'art.1, co.18 D.L. n. 138 del 2011 cit. gli incarichi possono essere revocati "ante tempus" in relazione a motivate esigenze amministrative, non si vede come la previsione di programmate modifiche organizzative possa giustificare "ex ante" la violazione di una disposizione che, tra l'altro, assolve evidentemente alla finalità di garantire ai dirigenti pubblici, soggetti a meccanismi di valutazione dai quali dipendono le loro carriere, di permanere, salve legittime ragioni di revoca, nel loro incarico, per il tempo stimato necessario a veder stimati i risultati da loro raggiunti. L'ordinanza sindacale n.196 del 13/9/2013, che protrasse fino al 30/10/2013 gli incarichi temporanei conferiti con la precedente, risulta retta da analoga, incongrua motivazione. Poiché ai sensi della normativa l'incarico di 4^ fascia conferito alla F. scadeva il 13/9/2016, anche ad ammettere che la successiva ordinanza sindacale n. 294 del 17/12/2013, che assegnò incarico alla ricorrente altro ed inferiore incarico in sostituzione del precedente, fosse retta dalle motivate esigenze amministrative previste dall'art.1, co.18, la F. aveva diritto alla conservazione del trattamento economico in precedente godimento fino alla prima data, posto che l'amministrazione nemmeno allega che vi fosse necessità di compensazione finanziaria.
5.3. Roma Capitale non si confronta con le ragioni della decisione, riproponendo acriticamente le difese di prime cure, che però, così come affermato dal Tribunale, non tengono conto del portato dell'art. 1 comma 18 D.L. n. 138 del 2011 cit.
5.4. L'appellante principale insiste nel fare riferimento alla riorganizzazione operata con la deliberazione di Giunta n. 384/2013, ma non si avvede che il Tribunale ha ritenuto irrilevante indagare sulla legittimità o meno del nuovo incarico di livello inferiore conferito all'arch. F. con l'ordinanza sindacale n. 294/2013, in ragione di detta riorganizzazione, poiché ciò che assumeva rilievo era l'azionato diritto della dirigente a mantenere il trattamento economico in godimento, diritto sancito dall'art. 1 comma 18 D.L. n. 138 del 2011 conv. nella L. n. 148 del 2011, sul quale neppure in questo grado il Comune prende specifica posizione.
5.5. All'arch. F., per come è pacifico e documentato, è stato inizialmente affidato, con ordinanza sindacale n. 129 del 13/6/2013, e nelle more della definizione di un processo globale di riorganizzazione della macrostruttura comunale e comunque sino al 15/9/2013, l'incarico di 4^ fascia di Direttore del Dipartimento Politiche per la Riqualificazione delle Periferie e, alla scadenza, lo stesso incarico le è stato nuovamente conferito, ma solo fino alla data di attivazione della nuova macrostruttura capitolina e comunque non oltre il 31/10/2013, con ordinanza sindacale n. 196 del 13/9/2013.
5.6. Il Tribunale ha ritenuto nulla, per violazione del termine minimo triennale imposto dall'art. 19 comma 2 D.Lgs. n. 165 del 2001, valevole anche per gli enti territoriali, la limitata durata di detti incarichi, inferiore al triennio, e ha proceduto alla sostituzione di diritto ai sensi dell'art. 1339 c.c.; rispetto alle ragioni della decisione, già sopra richiamate, Roma Capitale non muove alcuna conferente censura, limitandosi a insistere sulla legittimità di una revoca, che non solo nei fatti non vi è stata, ma neppure sposterebbe i termini della questione.
5.7. Più chiaramente: quando la pubblica amministrazione procede, per ragioni organizzative, alla revoca di un incarico dirigenziale e all'assegnazione di un nuovo incarico, il dirigente titolare comunque conserva, per la durata dell'originario incarico, il trattamento economico per quello previsto e ciò in ragione del più volte citato art. 1 comma 18 D.L. n. 138 del 2011, su cui, si ripete, il Comune nulla dice né impugna la gravata sentenza laddove ha ritenuto ingiustificata e contra legem l'esigua durata degli incarichi di cui alle ordinanze sindacali nn. 129 e 196. Più chiaramente Roma Capitale non confuta la valutazione operata dal Tribunale per cui non si vede come la previsione di programmate modifiche organizzative possa giustificare "ex ante" la violazione di una disposizione che, tra l'altro, assolve evidentemente alla finalità di garantire ai dirigenti pubblici, soggetti a meccanismi di valutazione dai quali dipendono le loro carriere, di permanere, salve legittime ragioni di revoca, nel loro incarico, per il tempo stimato necessario a veder stimati i risultati da loro raggiunti.
5.8. Infine neppure in questo grado l'Ente deduce e dimostra la necessità di compensazione finanziaria.
5.9 Il gravame non è neppure fondato negli altri profili sollevati.
5.10. Il Tribunale ha riconosciuto il diritto al trattamento economico ex art. 1 comma 18 sino al 13/9/2013, quindi per il triennio successivo all'incarico conferito con ordinanza sindacale n. 196.
5.11 La tesi di Roma Capitale di considerare detto incarico quale prosecuzione di quello già conferito alla F. con ordinanza sindacale n. 132 del 18/5/2011 (così da determinare la cessazione della clausola di salvaguardia al 17/5/2014), incarico successivamente interrotto perché la dirigente era andata a svolgere l'incarico di assessore della giunta capitolina, non può essere condivisa atteso che si tratta all'evidenza di incarichi diversi (il primo, quello del 2011, era di Direttore del Dipartimento Patrimonio e il secondo, quello del 2013, conferito al rientro in ruolo era di Direttore del Dipartimento Politiche per la riqualificazione delle Periferie") e, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante principale, non vi è stata alcuna prosecuzione nell'originario incarico, bensì il conferimento di uno nuovo e diverso.
5.12 Il gravame non va condiviso neppure laddove vorrebbe far cessare il diritto al trattamento economico proprio della 4^ fascia al 13/6/2016 anziché al 13/9/2016 come stabilito in sentenza.
5.13 Ed invero, con l'ordinanza sindacale n. 196 del 13/9/2013 è stato affidato alla dirigente sì lo stesso incarico della precedente ordinanza n. 129 del 13/6/2013, ma non in prosecuzione, bensì con una nuova decorrenza e durata e nuova motivazione, sicché è all'ultimo incarico che occorre avere riguardo per delimitare il diritto alla conservazione del precedente trattamento economico ex art. 1 comma 18, così come ritenuto dal Tribunale.
5.14 Infine non può essere condivisa neppure la doglianza per cui in detto trattamento economico non andrebbe ricompresa la retribuzione di posizione.
5.15. Anche sul punto il gravame non si confronta con le ragioni della decisione laddove si legge che La quantificazione della differenza dell'indennità di posizione operata dalla ricorrente (Euro. 103.409,38), definita da appropriato conteggio (doc.39 fasc. parte ricorrente) non è stata contestata specificamente secondo l'onere imposto dal rito (Cass. 10116/2015, 4051/2011, 945/2006; Cass SU n. 761/2002). L'art.1, co.18 prevede la conservazione del "trattamento economico in godimento" in un senso comprensivo della retribuzione di risultato, come seppure indirettamente emerge dall'ultima parte della disposizione.
5.16. L'art. 1 comma 18 più volte citato riconosce il diritto alla conservazione del "trattamento economico in godimento" senza escludere alcuna voce e il riferimento finale della norma al "fondo per la retribuzione di posizione e di risultato…" avvalora la tesi interpretativa del Tribunale, non confutata adeguatamente dal gravame principale.
6. Con il secondo motivo Roma Capitale censura la gravata sentenza per avere riconosciuto il risarcimento da perdita di chance in assenza di prova.
6.1. Anche questo motivo è infondato.
6.2. A parte le procedure per le quali il Tribunale ha respinto la domanda, per le altre si legge nella gravata sentenza che Si può dunque passare all'esame delle censure di "arbitraria pretermissione" che presentano una base assertiva idonea a tale genere di sindacato. Si tratta peraltro di procedure successive al 13/9/2016, per le quali sole corre effettiva necessità di disamina, posto che l'accoglimento del capo di domanda inerente la cd. clausola di salvaguardia copre ogni pretesa patrimoniale della ricorrente per l'epoca precedente. Si tratta di procedure alle quali la F. allega di aver partecipato capo 16.1 del ricorso), e ciò è rimasto incontestato (art. 115 c.p.c.). In ordine temporale, viene il riferimento ad un interpello del 19 ottobre 2016 per il conferimento dell'incarico di Direttore del Dipartimento "Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana", come tale di 4^ fascia, che sarebbe stato affidato con ordinanza sindacale n.96/2016 a tale B. R.. La ricorrente lamenta che il B. le sia stato preferito malgrado meno titolato, in quanto dirigente solo dal 2007 al primo incarico apicale e comunque senza evidenza di comparazione nè motivazione. Lamenta altresì che il B. avesse già rivestito lo stesso incarico dal novembre 2014, con conseguente violazione della L. n. 190 del 2012. Di tale procedura non è data in atti alcuna evidenza. Tuttavia i fatti allegati al riguardo non sono stati fatti oggetto di contestazione specifica come imposto dall'art. 115 c.p.c., e quindi debbono darsi per pacifici. Irricevibile l'invito al confronto diretto tra i due curricula, ed irrilevante l'anzianità dirigenziale, l'Amministrazione non ha tuttavia ritenuto di portare alcun concreto elemento per l'incontestata scelta del B., che va pertanto giudicata arbitraria e fonte di responsabilità risarcitoria secondo i princìpi di diritto già sopra richiamati. Non appare invece fondata la censura peraltro del tutto genericamente fondata sulla legge anticorruzione (nemmeno citata), posto che la L. n. 190 del 2012 non vieta il rinnovo degli incarichi, limitandosi a prevedere che le pp.aa. debbono trasmettere alla FP procedure comprendenti la previsione della rotazione "in settori particolarmente esposti alla corruzione" (art.1, co.5, lett. b), e che il RPCT deve provvedere alla relative verifiche. Non constando altri aspiranti, la chance perduta deve stimarsi pari al 50%. Il fatto, documentato, che la F. fosse all'epoca indagata percorruzione, e che per tal motivo fosse stato aperto nei sui confronti, nel gennaio 2016, un procedimento disciplinare appare irrilevante, sia perchè non consta che la F. non sia stata scelta per detto motivo, sia perché la pendenza di procedimenti penali che potrebbero risultare infondati non costituisce un legittimo criterio di valutazione. Consta in atti che la F. venne prosciolta sul piano penale nel febbraio 2017 e conseguentemente su quello disciplinare nel marzo 2017, sicchè quella notizia di reato era infondata, e la F. non poteva essere pretermessa in base ad un mero sospetto. Lo stesso vale per il procedimento penale per abuso d'ufficio e falso ideologico in atto pubblico che procurò la F. altro procedimento disciplinare nel settembre 2016, pure archiviato; e per quello per corruzione che gliene procurò un altro nel dicembre 2016, sospeso nel febbraio 2017, sfociato di recente in richiesta di rinvio a giudizio. Peraltro la difesa capitolina neppure sostiene di aver scelto il B. perché la ricorrente era indagata, ma usa tale argomento solo a giustificazione del reiterato e frequente cambiamento del suo incarico. Privi di rilevanza appaiono ancora i riferimenti della difesa capitolina alle valutazioni modeste ottenute dalla ricorrente (62/64%) in due degli incarichi da lei rivestiti dal giugno 2013 al dicembre 2014, posto che nell'ultimo aveva ricevuto 97,27, nei due precedenti 81,94, nella direzione allo sport 99,81, e peraltro non si offrono a comparazione le valutazioni del B., in difetto di che non si dimostra che la scelta sia dipesa da questo. In seconda considerazione viene asserito interpello n.9461 del 9/2/2017 per il conferimento dell'incarico di Direttore del Dipartimento Razionalizzazione della Spesa. La ricorrente lamenta che tale incarico sia stato affidato, ad altra dirigente con minori titoli. Anche qui, nulla emerge agli atti ma nulla la difesa capitolina contesta, sicchè, in difetto di motivazione veruna, e dell'esistenza di altri candidati, per gli stessi motivi, deve stimarsi un danno da perdita di chance di 4^ fascia del 50%. In terza considerazione viene asserito interpello n. 58929 del 17/7/2017 per l'assegnazione dell'incarico di Direttore del Dipartimento Patrimonio, poi assegnato a G. S. La ricorrente lamenta che questa avesse minori titoli, che veniva dall'ATER dal quale era stata appena comandata. Nulla agli atti. Lasciate da parte le illazioni, incontestati i fatti, il Comune doveva venire qui a dire perché aveva scelto la G., in difetto di che scatta un altro 50%. In quarta ed ultima considerazione viene l'interpello n. 91544 del 20/10/2017. La ricorrente lamenta arbitraria pretermissione per i posti di Vice Direttore Generale; ii) Direttore del Dipartimento Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana; iii) Direttore Dipartimento Sovrintendenza. Tali circostanze sono incontestate. Lamenta di non essere stata scelta per alcuna di dette posizioni senza motivazione. Dall'ordinanza sindacale n.49 del 16/3/2018, che riporta l'esito della procedura in questione, risultano assegnati due posti di vice direttore generale a tali B. e S.; quello di Direttore del Dipartimento Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana a tale Pacciani; quello di Direttore Dipartimento Sovrintendenza a tale P.P.. L'ordinanza riporta dell'interpello, della pubblicità, delle dichiarazioni di disponibilità, dell'acquisizione dei curricula, ma non dà la minima concreta contezza motiva delle scelte effettuate, essendo quella spesa ("tenuto conto delle competenze professionali in relazione agli obiettivi indicati"), di contenuto oggettivo nullo e quindi di mero stile. Il posto di vice direttore generale era di 5^ fascia, fascia mai rivestita dalla ricorrente, cheera dunque ad avviso del giudicante tenuta a provare la sussistenza in concreto di una chance. Le altre due erano di 4^ fascia, sicchè l'amministrazione doveva in qualche modo giustificare le scelte fatte. In assenza, e non risultando altri candidati, si devono riconoscere altre due "chance" al 50%. Quattro chance al 50% fanno il 93,75%. Infatti la probabilità che tutte e 4 siano negative è 1/2 *1/2*1/2*1/2 = 0.625. Il danno da "perdita di chance" sofferto dal 13/9/2016 alla cessazione del rapporto (30/6/2018) risulta pari alla differenza maturata, nel periodo, tra il 93,75% del trattamento di posizione di 4^ fascia (Euro. 72.000,00 annui) ed il trattamento di posizione fruito nel medesimo periodo. Il giudice, con ordinanza resa all'udienza del 18/11/2019, ha invitato parte ricorrente rifare il conteggio per il periodo che parte dal 13/9/2016, calcolando il 93,75% del maturato di 4^ fascia della retribuzione di posizione. Ha altresì disposto che dal conto fosse tolta la retribuzione di risultato, posto che la ragione di danno da perdita di "chance" riguardo a possibilità di maggiore retribuzione di risultato, che dipende dal raggiungimento di obiettivi assegnati, richiede quantomeno che sia allegata e provata la percezione o la maturazione della retribuzione di risultato nella posizione inferiore. Il nuovo conteggio è stato depositato il 28/1/2020, non è stato contestato dalla convenuta nel termine assegnato, e reca una differenza pari a Euro. 38.584,74, che va dunque riconosciuta alla ricorrente a titolo di danno da perdita di chance.
6.4. Roma Capitale anche sul punto non si confronta adeguatamente con le ragioni della decisione, assumendo che il Tribunale avrebbe erroneamente invertito a suo danno l'onere della prova, senza però tenere conto dei consolidati princìpi di diritto indicati nella gravata sentenza cfr 1 punto 1.2. ii) della presente decisione, princìpi che in materia impongono alla pubblica amministrazione di procedere a comparazione e di giustificare le proprie scelte, anche se discrezionali, pena la violazione del principio generale di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., da valutarsi alla stregua dei canoni di imparzialità e buon andamento posti da Cost.97, con conseguente diritto del pretermesso al risarcimento da perdita di chance.
6.5. Anche in questo grado Roma Capitale non giustifica le scelte operate nelle procedure indicate dal Tribunale né fornisce alcun elemento concreto per confutare le ragioni della decisione, neppure in punto di quantificazione della chance.
7. Con l'ultimo motivo di gravame Roma Capitale censura la gravata sentenza per avere riconosciuto in favore dell'appellata principale il diritto al risarcimento del danno pensionistico.
7.1. Il motivo non supera il vaglio di ammissibilità, perché non si confronta con le ragioni della decisione.
7.2. Si legge, infatti, nella gravata sentenza che la ricorrente calcola quale risultato dell'illecito un differenziale mensile Euro. 1.103,00 mensili, in modo puntualmente ed analiticamente esplicitato, su invito del giudicante, nelle note depositate il 16/3/2020, e rimasto incontestato, secondo l'onere imposto dal rito (Cass. 10116/2015, 4051/2011, 945/2006; Cass SU n. 761/2002).
7.3. Il Tribunale ha fatto integrale rinvio alle note depositate in corso di causa dall'appellata principale, ma sul contenuto di dette note nulla dice il gravame, impedendo al Collegio ogni verifica, non essendo consentita alcuna valutazione d'ufficio in assenza di puntuali critiche.
7.4. L'appellante principale, infatti, si limita ad affermare che "Il Giudice di primae curae sembra non avere considerato che sulle somme riconosciute alla F., Roma Capitale (in qualità di datore di lavoro), in base alle vigenti disposizioni di legge in materia, è tenuta a versare all'INPS la corrispondente quota di contribuzione, sia quella a carico della ex dipendente sia quella a carico del datore di lavoro. Di conseguenza, il Giudice di primo grado non sembra avere considerato come ciò determini, da parte dell'INPS, un automatico aggiornamento dell'importo dovuto a titolo di pensione alla F., dovendosi escludere qualsiasi "danno pensionistico" da addossare in capo all'Amministrazione Capitolina".
7.5. L'unica contestazione formulata non solo è nuova, perché non risulta proposta nel precedente grado, ma non tiene conto delle ragioni e del complesso calcolo fatti propri dal Tribunale con il rinvio alle citate note del 16/3/2020 né della circostanza che l'importo è stato riconosciuto a titolo risarcitorio; neppure distingue le poste economiche ricomprese in detto calcolo, indicando quelle per le quali sarebbero dovuti i contributi e se questi all'epoca fossero o meno prescritti, né tantomeno mette in discussione, con idonea critica, i riflessi negativi sul trattamento pensionistico riconosciuti meritevoli dal Tribunale di tutela risarcitoria in conseguenza delle accertate condotte inadempienti.
7.6. La statuizione, in ottemperanza agli oneri fissati dall'art. 434 c.p.c., avrebbe necessitato di più puntuali rilievi critici idonei a confutare le ragioni della decisione.
8. Con l'unico motivo dell'appello incidentale OMISSIS censura la gravata sentenza per avere respinto la domanda volta a ottenere le differenze economiche rivendicate sul trattamento di fine servizio.
8.1. Anche questo motivo va disatteso per inidoneità della censura a confutare le plurime ragioni sulle quali si fonda la decisione.
8.2. Si legge, infatti, nella gravata sentenza che La differenza sul trattamento di fine servizio (indennità premio di servizio) è stata confermata, secondo i predetti criteri, in Euro. 54.560,00 sulla base di un differenziale retributivo mensile di Euro. (6.589,00 - 5.225,00) = Euro. 1.364,00 le cui modalità di calcolo non sono esplicitate, ma che non è stato contestato nel termine assegnato. Tuttavia la pretesa sul punto appare infondata. Ai dipendenti degli enti locali assunti prima del 1/1/2000 spetta una indennità premio di servizio che è a carico dell'Inps gestione ex Inadel e non del datore di lavoro (art. 2 L. n. 152 del 1968); che è commisurata alla retribuzione soggetta a contribuzione secondo l'art. 11 della L. n. 152 del 1968 (art. 4), che è tassativa e non comprende la retribuzione di posizione (Cass. 30993/2019, 13433/2019, 11156/2017); sicchè da un lato il Comune non ha legittimazione passiva; dall'altro, non vi sarebbe comunque ragione di danno attuale sul trattamento, posto che la contribuzione utile omessa (che è quella dell'ultimo anno di servizio, dal giugno 2017 al giugno 2018) non è prescritta; da altro ancora, le differenze scaturiscono da un differenziale risarcitorio da minore retribuzione di posizione, che non si computa nella base di calcolo del trattamento.
8.3. Il gravame si limita a censurare la statuizione in oggetto assumendo che questa avrebbe erroneamente negato legittimazione passiva al Comune e altrettanto erroneamente avrebbe negato che nel computo del TFS andasse ricompresa anche la retribuzione di posizione.
8.4. L'appellante incidentale, innanzitutto, non tiene conto dell'altra autonoma ragione che sorregge la decisione, laddove il Tribunale ha espressamente negato la sussistenza di un danno attuale sul trattamento, posto che la retribuzione utile omessa (che è quella dell'ultimo anno di servizio, dal giugno 2017 al giugno 2018) non è prescritta, sicché non vale insistere sulla natura risarcitoria dell'avanzata pretesa laddove il primo giudice ha escluso l'esistenza di un pregiudizio attuale e sul punto nulla viene confutato.
8.5. Inoltre il gravame non interpreta correttamente l'ultima ratio della decisione, perché il Tribunale ha ritenuto non computabile nel TFS quanto riconosciuto in giudizio a mero titolo risarcitorio (un differenziale risarcitorio da minore retribuzione di posizione) e sulla scorta delle previsioni normative e dei princìpi di diritto pure richiamati in sentenza tale esclusione risulta corretta non essendo computabili in detto trattamento somme dovute a titolo di risarcimento danno perché pacificamente estranee dal tassativo combinato disposto degli artt. 4 e 11 L. n. 152 del 1968.
9. La reciproca soccombenza, sia sulle questioni pregiudiziali e preliminari sia su quelle di merito, giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese del grado.
9.1. In considerazione del tipo di statuizione emessa, deve darsi atto che sussistono in capo all'appellante principale e a quello incidentale le condizioni richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto
P.Q.M.
La Corte rigetta l'appello principale e l'appello incidentale;
dichiara compensate integralmente le spese di lite del grado;
in considerazione del tipo di statuizione emessa, dà atto che sussistono in capo all'appellante principale e all'appellante incidentale le condizioni richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2023.
Depositata in Cancelleria il 20 ottobre 2023.
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