Il reato previsto dall'articolo 595 del codice penale |
Cassazione: ''Avanzo di galera'' è diffamazione
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Cass. pen. Sez. V, (ud. 06-12-2007) 04-01-2008, n. 159 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. NARDI Domenico - Presidente Dott. CALABRESE Renato - Consigliere Dott. FERRUA Giuliana - Consigliere Dott. SCALERA Vito - Consigliere Dott. DIDONE Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da: 1) C.S., N. IL (OMISSIS); avverso SENTENZA del 04/02/2005 CORTE APPELLO di BOLOGNA; visti gli atti, la sentenza ed il ricorso; udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. DIDONE Antonio; Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. VIGLIETTA Gianfranco, che ha concluso per l'inammissibilità. -------------------------------------------------------------------------------- Fatto - Diritto P.Q.M. Svolgimento del processo - Motivi della decisione C.S. ricorre per cassazione contro la sentenza della Corte di appello di Bologna del 4 febbraio 2005 che ne ha confermato la dichiarazione di responsabilità nonchè la condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili per il reato di cui agli artt. 595 e 81 c.p., perchè, comunicando con C. A. e O.V. offendeva la reputazione di R.C. e F.S. dichiarando che il primo era "un avanzo di galera", "un poco di buono", che mangiava tutti i soldi alla moglie e che la seconda non era affidabile (in (OMISSIS) nel (OMISSIS)). Il ricorrente con il primo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle prove perchè la Corte di appello avrebbe travisato le dichiarazioni (di cui trascrive stralci) rese dai testi che sono inattendibili e con il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 51 e 595 c.p., perchè erroneamente è stato ritenuto che non sia legittimo qualificare come "non affidabile" un proprio ex collaboratore, ossia la sig.ra F., e affermare che il suo marito fosse un poco di buono e un avanzo di galera. Si tratterebbe di esercizio del diritto di critica. Erroneamente la Corte di merito avrebbe applicato i principi giurisprudenziali in materia di diffamazione a mezzo stampa. Osserva la Corte che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perchè proposto per motivi manifestamente infondati ovvero non consentiti dall'art. 606 c.p.p.. Nella concreta fattispecie, invero, le censure di cui al primo motivo esorbitano dai limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamele propria dal giudice del merito e nell'offerta di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio (cfr. in argomento Sez. 5^, 19 maggio 2005, Rossi). Per contro, "l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza la possibilità di verificarne la rispondenza alle acquisizioni processuali. E' da aggiungere che l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi" (Sez. UN., 24 novembre 1999, Spina, in Cass. pen., 2000, p. 862; Sez. UN., 24 settembre 2003 n. 47289, RV 226074). Peraltro, pur dopo la modifica dell'art. 606 c.p.p., lett. e) "al Giudice di legittimità resta infatti preclusa - in sede di controllo sulla motivazione - la pura e semplice rilettura degli clementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal Giudice del merito perchè ritenuti maggiormente e plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa)" (Sez. 6^, 15 marzo 2006, Casula; Sez. 5^, 22 marzo 2006, Cugliari). Ciò posto, nessun vizio è riscontrabile nella parte della sentenza impugnata che è pervenuta all'accertamento degli elementi del reato in questione attraverso la considerazione delle varie prove acquisite e la corretta indicazione del significato dimostrativo loro attribuito dal Giudice, in particolare fornendo adeguata giustificazione della ritenuta attendibilità dei testi escussi e della compatibilità con diversa dichiarazione resa dalla teste della difesa, la quale, secondo la logica ricostruzione operata dalla Corte di merito, ha iniziato a lavorare presso l'imputato dopo che si era verificato l'incontro con i testi ai quali il ricorrente ha riferito le frasi diffamatorie. Infine, è manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso in quanto la Corte territoriale ha esattamente evidenziato il superamento del limite della continenza con l'affermazione "avanzo di galera", riferito al R. ed estensivamente alla di lui consorte F. che aveva avviato con lui un'attività. Inoltre, mentre il limite della continenza è positivamente richiesto dall'art. 596 c.p., comma 4, anche in relazione alla diffamazione non commessa con il mezzo della stampa, la verità del fatto rileva solo nell'ipotesi di offesa specifica. Sì che correttamente nella concreta fattispecie è stata esclusa la rilevanza dell'"eventuale" "verità delle espressioni ingiuriose", trattandosi di offese generiche. L'inammissibilità del ricorso comporta la non rilevabilità della prescrizione sopravenuta alla sentenza impugnata (Sez. UN., Sent. n. 32 del 2000). All'inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di cui all'art. 616 c.p.p.. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00, in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 dicembre 2007. Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2008
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