Consiglio di Stato
2018: “Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
proposto dal signor-OMISSIS-, nato a -OMISSIS-e residente in
-OMISSIS-, per l’annullamento del provvedimento con il quale il
Questore di Pordenone ha rigettato la sua istanza volta ad ottenere
il rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia, sul quale
il Prefetto di Pordenone, a seguito di proposizione del ricorso
gerarchico per il suo annullamento, ha serbato il silenzio rigetto.”
Numero 01469/2018 e
data 04/06/2018 Spedizione
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REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima
Adunanza di Sezione
del 14 marzo 2018
NUMERO AFFARE
02229/2017
OGGETTO:
Ministero
dell'interno.
Ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal
signor-OMISSIS-, nato a -OMISSIS-e residente in -OMISSIS-, per
l’annullamento del provvedimento con il quale il Questore di
Pordenone ha rigettato la sua istanza volta ad ottenere il rinnovo
della licenza di porto di fucile per uso caccia, sul quale il
Prefetto di Pordenone, a seguito di proposizione del ricorso
gerarchico per il suo annullamento, ha serbato il silenzio rigetto.
LA SEZIONE
vista la relazione
del 7 novembre 2017 n. 557/PAS/E/015132/10100.A.93, con la quale il
Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, ha
chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso;
visto il ricorso,
datato 12 luglio 2017;
esaminati gli atti e
udito il relatore, consigliere Antimo Prosperi.
Premesso
1. Il signor
-OMISSIS- ha presentato istanza alla Questura di Pordenone volta ad
ottenere il rinnovo della licenza del porto di fucile per uso caccia.
La Questura, avviata la rituale istruttoria finalizzata alla verifica
del possesso, in capo all’interessato, dei requisiti di legge per
il rilascio del titolo di polizia richiesto, rilevava l’esistenza
di precedenti penali a carico del ricorrente (riconducibili ad una
condanna in data 26 novembre 1974 -OMISSIS-, di cui all’art. 699
del codice penale), e conseguentemente rigettava la domanda con
decreto Cat. 6/F/2015 Div.P.A.S. del 30 dicembre 2016, notificato il
4 gennaio 2017.
2. Contro il
predetto provvedimento il signor -OMISSIS- ha presentato ricorso
gerarchico al prefetto di Pordenone il quale lo respingeva di fatto
serbando sul gravame il silenzio-rigetto ai sensi dell’art. 6 del
d.P.R. n. 1199/1971.
3. L’interessato
ha presentato il ricorso straordinario in esame, affidandolo ai
seguenti motivi:
I.) violazione e
falsa interpretazione degli articoli 11, ultimo comma, e 43, secondo
comma, del R.D. 18 giugno 1931, n. 773; difetto di motivazione;
eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità.
Il ricorrente
evidenzia che “il diniego si basa unicamente sulla condanna di
porto abusivo di armi ex art. 699 c.p. risalente al 26 novembre 1974,
derivante dal fatto di essere stato sorpreso a cacciare con licenza
scaduta avendo omesso di pagare la tassa di concessione governativa.
Da tale condanna era conseguita la contravvenzione di cui
all’articolo 699 c.p. per aver cacciato con fucile senza una valida
licenza di porto d’armi”. Il signor -OMISSIS- si era difeso nel
procedimento penale evidenziando, tra i tanti motivi, come il mancato
pagamento della tassa annuale di concessione governativa non
incidesse sulla validità del porto d’armi, che comunque risultava
regolarmente rilasciata nel 1970. In proposito, il ricorrente
richiama l’intervenuta modifica della valutazione dell’illecito
ad opera dell’art. 6 della legge 21 febbraio 1990, n. 36, in base
alla quale – se tale disposizione fosse stata vigente all’epoca
dei fatti – “lo stesso non avrebbe subito la condanna a 5 giorni
di arresto” con l’ulteriore conseguenza che la sanzione
amministrativa non sarebbe stata considerata ostativa al rilascio o
al mantenimento della licenza per il porto d’armi.
Inoltre, il
ricorrente lamenta che il provvedimento del Questore, pur dando atto
dell’intervenuta riabilitazione dello stesso, non ha tenuto in
debito conto dei seguenti elementi:
- esercizio
dell’attività venatoria negli anni successivi senza essere mai
incorso in infrazioni e/o violazioni;
- ampio arco
temporale trascorso dalla condanna penale e ripetuta concessione del
rinnovo del porto d’armi.
Pertanto, censura il
provvedimento impugnato per difetto di motivazione e
contraddittorietà.
4. Il Ministero
riferente, nel rilevare che la licenza di portare armi non
costituisce un diritto assoluto ma un’eccezione al generale divieto
di circolare armati, ha rappresentato che “nella fattispecie il
Questore ha respinto l’istanza formulata dall’interessato
finalizzata al rinnovo del porto d’armi per uso venatorio, in
relazione alla condanna riportata dal medesimo ritenuta di natura
ostativa ai fini del rinnovo dell’autorizzazione in argomento”.
Inoltre il
Ministero, in merito alla successiva riabilitazione del ricorrente,
ha evidenziato che “nell’articolo 43 del T.U.L.P.S. - che si
riferisce specificamente al settore delle armi e in particolare al
rilascio della licenza di porto d’armi - non vi sono richiami
all’istituto della riabilitazione”, ciò costituirebbe un chiaro
elemento restrittivo in ordine al rilascio della licenza di porto
d’armi.
Il Ministero ha
concluso esprimendo l’avviso che il ricorso sia respinto.
Considerato.
5. Si ritiene utile
richiamare preliminarmente di seguito il disposto degli articoli 11 e
43 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza n. 773 del 1931,
che disciplinano la materia.
L’articolo 11
dispone che: “salve le condizioni particolari stabilite dalla legge
nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:
1) a chi ha
riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale
superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la
riabilitazione;
2) a chi è
sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è
stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.
Le autorizzazioni di
polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti
contro la personalità dello stato o contro l'ordine pubblico, ovvero
per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto,
rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di
estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non
può provare la sua buona condotta.
Le autorizzazioni
devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a
mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono
subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o
vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il
diniego della autorizzazione”.
L’articolo 43
stabilisce che: “oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può
essere conceduta la licenza di portare armi:
a) a chi ha
riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le
persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione,
sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;
b) a chi ha
riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per
violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la
personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico;
c) a chi ha
riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se
amnistiato, o per porto abusivo di armi.
La licenza può
essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra
menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà
affidamento di non abusare delle armi”.
6. Con riferimento
alla fattispecie in esame, vanno inoltre richiamate due norme
intervenute successivamente. In particolare, la legge 21 febbraio
1990, n. 36 che, all’art. 6, ha aggiunto il seguente periodo al
terzo comma dell’art. 22 della legge 27 dicembre 1977, n. 968: “Il
porto d’arma per uso di caccia da parte di persona munita di
licenza, nel caso di omesso pagamento della tassa di concessione
governativa, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento
di una somma da lire trecentomila a lire ottocentomila”, nonché la
legge 11 febbraio 1992, n. 157, che ha previsto “la sanzione
amministrativa da lire 300.000 a lire 1.800.000 (da euro 154 a euro
929) per chi esercita la caccia senza aver effettuato il versamento
delle tasse di concessione governativa o regionale; se la violazione
è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 500.000 a lire
3.000.000 (da euro 258 a euro 1.549)”.
7. La giurisprudenza
del Consiglio di Stato (si rinvia a Sez. III, sentenza n. 2019/2016)
ha registrato due orientamenti sulle questioni di diritto concernenti
l’applicazione del citato art. 43, primo comma, del T.U. n. 773 del
1931 e, in particolare, sulla questione se l’intervenuta
riabilitazione di un soggetto condannato per uno dei reati previsti
dalla norma escluda del tutto o consenta, in specifiche circostanze,
il rilascio di licenze di porto d’armi e il rinnovo di quelle già
rilasciate.
In particolare la
giurisprudenza, da un lato, ha sostenuto la tesi della irrilevanza
dell’intervenuta riabilitazione ai fini del rinnovo (o anche del
rilascio) della licenza di porto d’armi (Sez. I, 24 ottobre 2014 n.
3257), in quanto l’Amministrazione non sarebbe titolare di poteri
discrezionali in materia e l’istituto della riabilitazione si
applicherebbe solo nei casi individuati dall’art. 11, comma primo,
lett. a) del T.U. n. 773/1931 (cfr. Sez. I, 17 febbraio 2016).
Dall’altro lato, è stata invece sostenuta la tesi secondo cui la
riabilitazione assume rilevanza soprattutto quando il reato sia stato
commesso molti anni prima (venticinque anni) dall’emanazione del
provvedimento di diniego (ex multis, Sez. III, 4 marzo 2015, n.
1072), rimettendo all’Amministrazione, nell’esercizio del potere
discrezionale attribuitole, la valutazione del caso concreto.
8. In relazione al
caso di specie, si ritiene utile richiamare una recente sentenza del
Consiglio di Stato (Sez. III, n. 5313/2017) concernente una
fattispecie analoga a quella oggetto del presente ricorso, nella
quale è stato affermato che: “in presenza di situazioni molto
particolari, l'interpretazione e la conseguente applicazione
dell'art. 43 TULPS non possa avvenire in violazione dei principi di
ragionevolezza e di proporzione di rango costituzionale. Ciò
comporta che la preclusione prevista dall'art 43 TULPS per il
possesso di armi e munizioni in capo ai soggetti, che abbiano subito
le indicate tipologie di condanne … non possa essere automatica,
ove ragionevolmente altri elementi attuali della personalità
dell'interessato, quale il lungo tempo intercorso rispetto all'epoca
del commesso reato senza la commissione di ulteriori illeciti penali
(corroborato nelle sue positive implicazioni dalla intervenuta
riabilitazione), depongano per lo stabile ripristino in capo al
soggetto medesimo delle richieste condizioni di affidabilità nel
possesso di armi in corrispondenza ad una rinnovata e consolidata
integrazione nel sano contesto socio economico in presenza di indizi
univoci e concordanti in tale senso. D'altra parte il principio di
proporzionalità, sopravvenuto nel nostro ordinamento rispetto
all'epoca di adozione del TULPS (risalente al periodo
prerepubblicano), comporta che il legislatore, nel caso della
sicurezza pubblica, debba realizzare l'esigenza di tutela, non solo
mediante misure cogenti idonee al risultato, ma, altresì, mediante
la scelta, tra le varie tipologie di intervento, di quello meno
afflittivo per il privato. In conseguenza, quindi, in caso di
condanne penali risalenti in capo a soggetti che in seguito abbiano
beneficiato anche della riabilitazione intervenuta, al Prefetto
compete di effettuare una valutazione caso per caso, di natura
discrezionale e secondo i canoni della ragionevolezza e della
proporzione, al fine di verificare la effettiva ed attuale
affidabilità nel possesso di armi e munizioni da parte del soggetto
interessato (quale titolare di una licenza di porto di armi o
richiedente)”.
In proposito, è
opportuno citare un ulteriore pronunciamento che ha affermato il
principio secondo cui, in presenza di condanna per un “reato
ostativo” punito con pena detentiva – per il quale il condannato
è stato poi riabilitato -, commesso in un periodo “quando non
esisteva la possibilità di disporre la condanna al pagamento della
somma pecuniaria - in luogo della reclusione - poi prevista da una
legge sopravvenuta, appare “incongruo … applicare il ‘rigore’
dell’automatismo ostativo in luogo di una più attenta valutazione
delle circostanze del caso concreto ai fini dell’esercizio del
potere discrezionale” (Cons. Stato, Sez. III, n. 4478/2017).
9. Premesso quanto
sopra, nel caso di specie occorre considerare:
- che sono passati
oltre 40 anni dalla condanna del ricorrente a 5 giorni di detenzione
per omesso pagamento della tassa di concessione governativa;
- che al ricorrente
è stata concessa la riabilitazione con ordinanza del Tribunale di
sorveglianza di Trieste del 10 dicembre 1991;
- che, da quanto
risulta dalla documentazione in atti, il ricorrente ha mantenuto un
comportamento corretto e rispettoso della legge;
- che la licenza di
porto di fucile per uso caccia gli è stata sempre rinnovata
dall’Autorità di polizia fino all’istanza del 20 giugno 2016,
quando è stata respinta con il provvedimento impugnato;
- che
successivamente, per effetto delle predette modifiche legislative, la
fattispecie per cui il ricorrente è stato condannato nel lontano
1974 si configura quale illecito amministrativo e non più penale.
10. Tenuto conto dei
predetti elementi di fatto, alla luce delle citate norme intervenute
successivamente alla condanna del ricorrente e della recente
giurisprudenza del Consiglio di Stato sopra richiamata, la Sezione
ritiene che nello specifico caso in esame sia contrario ai principi
di ragionevolezza e proporzionalità applicare “l’automatismo
ostativo”, ma occorra che l’Amministrazione, nell’esercizio del
potere discrezionale attribuitole dalla legge, proceda ad un’attenta
e complessiva valutazione di tutti i predetti elementi di fatto e di
diritto relativi alla fattispecie di che trattasi.
11. Pertanto, il
ricorso va accolto con annullamento del provvedimento impugnato.
P.Q.M.
esprime il parere
che il ricorso debba essere accolto.
L'ESTENSORE IL
PRESIDENTE F/F
Antimo
Prosperi Dante D'Alessio
IL SEGRETARIO
Maria Cristina
Manuppelli
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