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lunedì 11 giugno 2018

Consiglio di Stato 2018: “Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor-OMISSIS-, nato a -OMISSIS-e residente in -OMISSIS-, per l’annullamento del provvedimento con il quale il Questore di Pordenone ha rigettato la sua istanza volta ad ottenere il rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia, sul quale il Prefetto di Pordenone, a seguito di proposizione del ricorso gerarchico per il suo annullamento, ha serbato il silenzio rigetto.”



Consiglio di Stato 2018: “Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor-OMISSIS-, nato a -OMISSIS-e residente in -OMISSIS-, per l’annullamento del provvedimento con il quale il Questore di Pordenone ha rigettato la sua istanza volta ad ottenere il rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia, sul quale il Prefetto di Pordenone, a seguito di proposizione del ricorso gerarchico per il suo annullamento, ha serbato il silenzio rigetto.”

Numero 01469/2018 e data 04/06/2018 Spedizione

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REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 14 marzo 2018

NUMERO AFFARE 02229/2017

OGGETTO:

Ministero dell'interno.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor-OMISSIS-, nato a -OMISSIS-e residente in -OMISSIS-, per l’annullamento del provvedimento con il quale il Questore di Pordenone ha rigettato la sua istanza volta ad ottenere il rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia, sul quale il Prefetto di Pordenone, a seguito di proposizione del ricorso gerarchico per il suo annullamento, ha serbato il silenzio rigetto.

LA SEZIONE

vista la relazione del 7 novembre 2017 n. 557/PAS/E/015132/10100.A.93, con la quale il Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso;

visto il ricorso, datato 12 luglio 2017;

esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Antimo Prosperi.


Premesso

1. Il signor -OMISSIS- ha presentato istanza alla Questura di Pordenone volta ad ottenere il rinnovo della licenza del porto di fucile per uso caccia. La Questura, avviata la rituale istruttoria finalizzata alla verifica del possesso, in capo all’interessato, dei requisiti di legge per il rilascio del titolo di polizia richiesto, rilevava l’esistenza di precedenti penali a carico del ricorrente (riconducibili ad una condanna in data 26 novembre 1974 -OMISSIS-, di cui all’art. 699 del codice penale), e conseguentemente rigettava la domanda con decreto Cat. 6/F/2015 Div.P.A.S. del 30 dicembre 2016, notificato il 4 gennaio 2017.

2. Contro il predetto provvedimento il signor -OMISSIS- ha presentato ricorso gerarchico al prefetto di Pordenone il quale lo respingeva di fatto serbando sul gravame il silenzio-rigetto ai sensi dell’art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971.

3. L’interessato ha presentato il ricorso straordinario in esame, affidandolo ai seguenti motivi:

I.) violazione e falsa interpretazione degli articoli 11, ultimo comma, e 43, secondo comma, del R.D. 18 giugno 1931, n. 773; difetto di motivazione; eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità.

Il ricorrente evidenzia che “il diniego si basa unicamente sulla condanna di porto abusivo di armi ex art. 699 c.p. risalente al 26 novembre 1974, derivante dal fatto di essere stato sorpreso a cacciare con licenza scaduta avendo omesso di pagare la tassa di concessione governativa. Da tale condanna era conseguita la contravvenzione di cui all’articolo 699 c.p. per aver cacciato con fucile senza una valida licenza di porto d’armi”. Il signor -OMISSIS- si era difeso nel procedimento penale evidenziando, tra i tanti motivi, come il mancato pagamento della tassa annuale di concessione governativa non incidesse sulla validità del porto d’armi, che comunque risultava regolarmente rilasciata nel 1970. In proposito, il ricorrente richiama l’intervenuta modifica della valutazione dell’illecito ad opera dell’art. 6 della legge 21 febbraio 1990, n. 36, in base alla quale – se tale disposizione fosse stata vigente all’epoca dei fatti – “lo stesso non avrebbe subito la condanna a 5 giorni di arresto” con l’ulteriore conseguenza che la sanzione amministrativa non sarebbe stata considerata ostativa al rilascio o al mantenimento della licenza per il porto d’armi.

Inoltre, il ricorrente lamenta che il provvedimento del Questore, pur dando atto dell’intervenuta riabilitazione dello stesso, non ha tenuto in debito conto dei seguenti elementi:

- esercizio dell’attività venatoria negli anni successivi senza essere mai incorso in infrazioni e/o violazioni;

- ampio arco temporale trascorso dalla condanna penale e ripetuta concessione del rinnovo del porto d’armi.

Pertanto, censura il provvedimento impugnato per difetto di motivazione e contraddittorietà.

4. Il Ministero riferente, nel rilevare che la licenza di portare armi non costituisce un diritto assoluto ma un’eccezione al generale divieto di circolare armati, ha rappresentato che “nella fattispecie il Questore ha respinto l’istanza formulata dall’interessato finalizzata al rinnovo del porto d’armi per uso venatorio, in relazione alla condanna riportata dal medesimo ritenuta di natura ostativa ai fini del rinnovo dell’autorizzazione in argomento”.

Inoltre il Ministero, in merito alla successiva riabilitazione del ricorrente, ha evidenziato che “nell’articolo 43 del T.U.L.P.S. - che si riferisce specificamente al settore delle armi e in particolare al rilascio della licenza di porto d’armi - non vi sono richiami all’istituto della riabilitazione”, ciò costituirebbe un chiaro elemento restrittivo in ordine al rilascio della licenza di porto d’armi.

Il Ministero ha concluso esprimendo l’avviso che il ricorso sia respinto.

Considerato.

5. Si ritiene utile richiamare preliminarmente di seguito il disposto degli articoli 11 e 43 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza n. 773 del 1931, che disciplinano la materia.

L’articolo 11 dispone che: “salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:

1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;

2) a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.

Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.

Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione”.

L’articolo 43 stabilisce che: “oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:

a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;

b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico;

c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.

La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi”.

6. Con riferimento alla fattispecie in esame, vanno inoltre richiamate due norme intervenute successivamente. In particolare, la legge 21 febbraio 1990, n. 36 che, all’art. 6, ha aggiunto il seguente periodo al terzo comma dell’art. 22 della legge 27 dicembre 1977, n. 968: “Il porto d’arma per uso di caccia da parte di persona munita di licenza, nel caso di omesso pagamento della tassa di concessione governativa, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire trecentomila a lire ottocentomila”, nonché la legge 11 febbraio 1992, n. 157, che ha previsto “la sanzione amministrativa da lire 300.000 a lire 1.800.000 (da euro 154 a euro 929) per chi esercita la caccia senza aver effettuato il versamento delle tasse di concessione governativa o regionale; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 500.000 a lire 3.000.000 (da euro 258 a euro 1.549)”.

7. La giurisprudenza del Consiglio di Stato (si rinvia a Sez. III, sentenza n. 2019/2016) ha registrato due orientamenti sulle questioni di diritto concernenti l’applicazione del citato art. 43, primo comma, del T.U. n. 773 del 1931 e, in particolare, sulla questione se l’intervenuta riabilitazione di un soggetto condannato per uno dei reati previsti dalla norma escluda del tutto o consenta, in specifiche circostanze, il rilascio di licenze di porto d’armi e il rinnovo di quelle già rilasciate.

In particolare la giurisprudenza, da un lato, ha sostenuto la tesi della irrilevanza dell’intervenuta riabilitazione ai fini del rinnovo (o anche del rilascio) della licenza di porto d’armi (Sez. I, 24 ottobre 2014 n. 3257), in quanto l’Amministrazione non sarebbe titolare di poteri discrezionali in materia e l’istituto della riabilitazione si applicherebbe solo nei casi individuati dall’art. 11, comma primo, lett. a) del T.U. n. 773/1931 (cfr. Sez. I, 17 febbraio 2016). Dall’altro lato, è stata invece sostenuta la tesi secondo cui la riabilitazione assume rilevanza soprattutto quando il reato sia stato commesso molti anni prima (venticinque anni) dall’emanazione del provvedimento di diniego (ex multis, Sez. III, 4 marzo 2015, n. 1072), rimettendo all’Amministrazione, nell’esercizio del potere discrezionale attribuitole, la valutazione del caso concreto.

8. In relazione al caso di specie, si ritiene utile richiamare una recente sentenza del Consiglio di Stato (Sez. III, n. 5313/2017) concernente una fattispecie analoga a quella oggetto del presente ricorso, nella quale è stato affermato che: “in presenza di situazioni molto particolari, l'interpretazione e la conseguente applicazione dell'art. 43 TULPS non possa avvenire in violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzione di rango costituzionale. Ciò comporta che la preclusione prevista dall'art 43 TULPS per il possesso di armi e munizioni in capo ai soggetti, che abbiano subito le indicate tipologie di condanne … non possa essere automatica, ove ragionevolmente altri elementi attuali della personalità dell'interessato, quale il lungo tempo intercorso rispetto all'epoca del commesso reato senza la commissione di ulteriori illeciti penali (corroborato nelle sue positive implicazioni dalla intervenuta riabilitazione), depongano per lo stabile ripristino in capo al soggetto medesimo delle richieste condizioni di affidabilità nel possesso di armi in corrispondenza ad una rinnovata e consolidata integrazione nel sano contesto socio economico in presenza di indizi univoci e concordanti in tale senso. D'altra parte il principio di proporzionalità, sopravvenuto nel nostro ordinamento rispetto all'epoca di adozione del TULPS (risalente al periodo prerepubblicano), comporta che il legislatore, nel caso della sicurezza pubblica, debba realizzare l'esigenza di tutela, non solo mediante misure cogenti idonee al risultato, ma, altresì, mediante la scelta, tra le varie tipologie di intervento, di quello meno afflittivo per il privato. In conseguenza, quindi, in caso di condanne penali risalenti in capo a soggetti che in seguito abbiano beneficiato anche della riabilitazione intervenuta, al Prefetto compete di effettuare una valutazione caso per caso, di natura discrezionale e secondo i canoni della ragionevolezza e della proporzione, al fine di verificare la effettiva ed attuale affidabilità nel possesso di armi e munizioni da parte del soggetto interessato (quale titolare di una licenza di porto di armi o richiedente)”.

In proposito, è opportuno citare un ulteriore pronunciamento che ha affermato il principio secondo cui, in presenza di condanna per un “reato ostativo” punito con pena detentiva – per il quale il condannato è stato poi riabilitato -, commesso in un periodo “quando non esisteva la possibilità di disporre la condanna al pagamento della somma pecuniaria - in luogo della reclusione - poi prevista da una legge sopravvenuta, appare “incongruo … applicare il ‘rigore’ dell’automatismo ostativo in luogo di una più attenta valutazione delle circostanze del caso concreto ai fini dell’esercizio del potere discrezionale” (Cons. Stato, Sez. III, n. 4478/2017).

9. Premesso quanto sopra, nel caso di specie occorre considerare:

- che sono passati oltre 40 anni dalla condanna del ricorrente a 5 giorni di detenzione per omesso pagamento della tassa di concessione governativa;

- che al ricorrente è stata concessa la riabilitazione con ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Trieste del 10 dicembre 1991;

- che, da quanto risulta dalla documentazione in atti, il ricorrente ha mantenuto un comportamento corretto e rispettoso della legge;

- che la licenza di porto di fucile per uso caccia gli è stata sempre rinnovata dall’Autorità di polizia fino all’istanza del 20 giugno 2016, quando è stata respinta con il provvedimento impugnato;

- che successivamente, per effetto delle predette modifiche legislative, la fattispecie per cui il ricorrente è stato condannato nel lontano 1974 si configura quale illecito amministrativo e non più penale.

10. Tenuto conto dei predetti elementi di fatto, alla luce delle citate norme intervenute successivamente alla condanna del ricorrente e della recente giurisprudenza del Consiglio di Stato sopra richiamata, la Sezione ritiene che nello specifico caso in esame sia contrario ai principi di ragionevolezza e proporzionalità applicare “l’automatismo ostativo”, ma occorra che l’Amministrazione, nell’esercizio del potere discrezionale attribuitole dalla legge, proceda ad un’attenta e complessiva valutazione di tutti i predetti elementi di fatto e di diritto relativi alla fattispecie di che trattasi.

11. Pertanto, il ricorso va accolto con annullamento del provvedimento impugnato.

P.Q.M.

esprime il parere che il ricorso debba essere accolto.


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Antimo Prosperi Dante D'Alessio

IL SEGRETARIO

Maria Cristina Manuppelli

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