Consiglio di Stato
2018: “ accertamento del diritto al risarcimento del danno
conseguente ad atti configurabili come violazione degli obblighi
gravanti sul datore di lavoro per la tutela dell'integrità
psico-fisica dei dipendenti.”
Pubblicato il
14/09/2018
N.
05413/2018REG.PROV.COLL.
N. 01000/2017
REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Consiglio di
Stato
in sede
giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
sul ricorso numero
di registro generale 1000 del 2017, proposto da -OMISSIS-,
rappresentato e difeso dall'avvocato Pier Filippo Giuggioli, con
domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Bruno Buozzi,
99;
contro
Ministero della
Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, non
costituito in giudizio;
nei confronti
-OMISSIS-,
rappresentata e difesa dall'avvocato Luigi Mannucci, con domicilio
eletto presso il suo studio in Roma, largo Trionfale, 7;
per la riforma
della sentenza del
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sede di Roma,
Sezione I-quater, n. 7494 del 28 giugno 2016, resa tra le parti,
concernente accertamento del diritto al risarcimento del danno
conseguente ad atti configurabili come violazione degli obblighi
gravanti sul datore di lavoro per la tutela dell'integrità
psico-fisica dei dipendenti.
Visti il ricorso in
appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di
costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti
della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2018 il Cons. Luca
Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Pier Filippo Giuggioli e
Luciano Spinoso su delega di Luigi Mannucci;
Ritenuto e
considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il sig.
-OMISSIS-, assistente capo della Polizia Penitenziaria
dichiarato inidoneo al servizio nel corso del 2013, ha radicato nel
2014 avanti il T.a.r. per il Lazio – Sede di Roma ricorso, poi
integrato da motivi aggiunti, al fine di ottenere il risarcimento del
danno per asserite pratiche di “mobbing” svolte nei suoi
confronti da parte principalmente della dr.ssa -OMISSIS-, dirigente
del Centro Amministrativo “xxx” di Roma, struttura presso cui
egli aveva prestato servizio a decorrere dal 2003.
1.1. Costituitisi
l’Amministrazione e la dr.ssa -OMISSIS-, il T.a.r. ha respinto il
ricorso: ad avviso del Tribunale, in particolare, difetterebbe la
prova dell’elemento soggettivo del “mobbing”, individuato
nell’intento persecutorio, la cui dimostrazione graverebbe
interamente sull’interessato, a tenore dell’art. 2697 c.c.; anche
da un punto di vista oggettivo, inoltre, il quadro risultante dagli
atti sarebbe tutt’altro che univoco.
1.2. Quanto a
quest’ultimo profilo, il Tribunale ha osservato:
- che il
trasferimento presso l’Ufficio Archivio non costituirebbe un
“demansionamento”, posto che “l’incarico di cui si tratta,
vissuto dal ricorrente come un demansionamento, rientra tra le
competenze proprie della qualifica dal medesimo posseduta e comporta
comunque l’esercizio di attività tutt’altro che banali, tenendo
presente l’importanza che ha la corretta classificazione del
patrimonio documentale, non solo corrente, di una pubblica
amministrazione”;
- che, oltretutto,
“scorrendo i rapporti informativi relativi al ricorrente emerge che
il medesimo ha svolto dal 2003 al 2005 i seguenti incarichi: Ufficio
sanitario–portineria–vigilanza Museo criminologico; poi dal 2006
non ha più svolto l’incarico presso l’Ufficio sanitario ma, agli
altri, si è aggiunto anche l’archivio e così per gli anni
successivi”;
- che, pertanto, il
trasferimento non sarebbe in alcun modo conseguenza del procedimento
giudiziario (teso ad ottenere il controvalore in denaro dei buoni
pasto non corrisposti dall’Amministrazione nel periodo 1989 –
1998) intentato da diversi appartenenti al Corpo a mezzo del
patrocinio del padre del ricorrente e definito con sentenza
favorevole ai ricorrenti nel 2007: ad avviso del Tribunale, “già
precedentemente a tale episodio l’amministrazione si era
determinata all’attribuzione al ricorrente di incarico diverso,
ferme le altre incombenze, per ragioni che, dunque, ben possono
essere ricondotte all’interno delle ordinarie dinamiche di
rotazione negli incarichi”;
- che, inoltre, la
diffida inviata al ricorrente nel 2012 avrebbe rappresentato un
provvedimento vincolato, in conseguenza del fatto che egli si era
iscritto all’Albo degli avvocati, fattispecie in radice vietata al
personale del Corpo della PoliziaPenitenziaria dall’art. 35
d.lgs. n. 443 del 1992;
- che, per di più,
egli sarebbe stato inserito “in molte deleghe difensive” ed
avrebbe curato “personalmente su delega del padre alcune incombenze
connesse a pratiche legali”;
- che gli episodi di
scontro con alcuni colleghi sarebbero “frammentari”, essendosi
verificati “uno nel 2007 e l’altro nel 2011”: non avrebbe, di
contro, rilievo il ritardo con cui la dr.ssa -OMISSIS- avrebbe
inserito agli atti i rapporti redatti in proposito dal ricorrente,
benché tale condotta sia ritenuta indice di “una scarsa attenzione
da parte della dirigente alle diatribe, anche pesanti, tra dipendenti
che sono comunque sintomo di un non lineare rapporto fra colleghi”;
- che l’abbassamento
delle qualifiche negli anni 2011 e 2012 sarebbe stato effettuato da
due diversi dirigenti (nel primo caso dalla dr.ssa -OMISSIS-, nel
secondo dal dr.-OMISSIS-) e, comunque, sarebbe stato ogni volta
specificamente motivato.
2. Il ricorrente ha
interposto appello, riproponendo criticamente le censure avanzate in
prime cure.
3. Si è costituita
la sola dr.ssa -OMISSIS-.
4. Il ricorso è
stato discusso alla pubblica udienza del 12 luglio 2018, in vista
della quale le parti hanno versato in atti difese scritte.
5. Il ricorso non
merita accoglimento.
6. Il Collegio
prende le mosse dai fatti che, ad avviso del ricorrente, avrebbero
natura “mobbizzante”.
6.1. Anzitutto, il
trasferimento all’Ufficio Archivio non integra un
“demansionamento”, posto che, per quanto risulta in atti, rientra
nelle mansioni proprie del grado all’epoca rivestito dal
ricorrente.
6.1.1. Di converso,
da un lato l’asserito “ozio forzato” che questi avrebbe dovuto
ivi sopportare non è dimostrato da alcuna concreta evidenza,
dall’altro non consta che il ricorrente – peraltro già allora
attivo componente di un’organizzazione sindacale – abbia mai
formalmente rappresentato alla dirigenza tale situazione, peraltro
frontalmente contrastante con il dovere di buon andamento degli
uffici che i relativi dirigenti sono tenuti a perseguire attivamente.
6.1.2. Oltretutto,
mansioni archivistiche risultano assegnate al ricorrente sin dal
2006, dunque prima della pronuncia della sentenza sul ricorso
patrocinato dal di lui padre.
6.1.3. Del resto,
consta che il ricorrente abbia a suo tempo sottoscritto il relativo
rapporto, come invero espressamente riconosciuto in memoria di
replica, ove, tuttavia, si sostiene che la sottoscrizione sarebbe
stata apposta “con il convincimento che il rapporto fosse
riferibile all’anno in corso [2007] e, comunque, senza
adeguata attenzione, come spesso avviene per adempimenti burocratici
di routine” (cfr. memoria di replica, pag. 4).
6.1.4. In proposito,
il Collegio osserva che, in disparte l’assenza di prova alcuna a
sostegno di tali affermazioni, non consta che in tutti questi anni il
ricorrente abbia mai rappresentato alla dirigenza che la
sottoscrizione de qua era stata apposta “con il
convincimento che il rapporto fosse riferibile all’anno in
corso [2007] e, comunque, senza adeguata attenzione”.
6.1.5. In termini
generali, peraltro, spetta all’interessato dimostrare che un
movimento è dettato da intenzioni vessatorie, presumendosi
altrimenti la sussistenza di ragioni organizzative, il cui
apprezzamento ed il cui perseguimento, del resto, competono ai
dirigenti che godono, in proposito, di un ampio margine di
discrezionalità.
6.2. L’iscrizione
all’albo degli avvocati costituisce frontale violazione dell’art.
35 d.lgs. n. 443 del 1992, a tenore del quale “Il personale del
Corpo di polizia penitenziaria non può esercitare il
commercio, l'industria né alcuna professione o mestiere o assumere
impieghi pubblici o privati o accettare cariche in società
costituite a fine di lucro”.
6.2.1. Non giova al
ricorrente sostenere di non aver svolto, in concreto, alcuna attività
defensionale, sia perché, come noto, la professione di avvocato può
essere esercitata anche senza la partecipazione ad udienze o il
conferimento di mandati ad litem (che, oltretutto, nella
specie constano, come del resto ammesso dallo stesso ricorrente –
cfr. pag. 16 del ricorso e pag. 7 della memoria di replica), sia,
comunque, perché l’iscrizione all’albo è già di per sé un
atto (sia pure preliminare e propedeutico) di esercizio della
professione.
6.2.2. Del tutto
legittimamente (rectius, doverosamente), pertanto, l’Amministrazione
ha inoltrato al ricorrente la diffida prevista dall’art. 36 d.lgs.
n. 443 del 1992; di converso, la cancellazione dall’albo da lui
tempestivamente curata non vale a dimostrarne la correttezza, ma solo
ad evitarne la decadenza ope legis dall’impiego (cfr.
art. 36, comma 2, d.lgs. n. 443).
6.2.3. Peraltro, la
stessa funzione di tramite che il ricorrente svolgeva fra alcuni
colleghi ed il padre (ricezione e consegna di lettere e ritiro di
documenti) si pone in tensione con la richiamata normativa.
6.3. I due alterchi
avuti con colleghi a distanza di quattro anni l’uno dall’altro
costituiscono, in assenza di ulteriori elementi, una fisiologica
ricorrenza nell’ambito dei contesti di lavoro e, comunque, non
disvelano ex se un sotteso disegno teso a ferire,
emarginare o mortificare il ricorrente.
6.3.1. Non rileva, a
tali fini, il ritardo con cui la dr.ssa -OMISSIS- ha inserito agli
atti i rapporti redatti in proposito dal ricorrente: in disparte
l’effettiva natura colpevole di tale ritardo, siffatta condotta
può, al più, essere presa in considerazione nell’ambito delle
valutazioni afferenti alla responsabilità disciplinare e
dirigenziale dell’interessata.
6.4. Infine,
l’abbassamento delle qualifiche per gli anni 2011 e 2012 presenta
specifiche motivazioni e, per di più, è ascrivibile solo per il
primo anno alla dr.ssa -OMISSIS-; nel giudizio da lei redatto,
peraltro, veniva comunque confermato il giudizio complessivo di
“ottimo” già riconosciuto negli anni precedenti, condotta certo
non rivelatrice di un atteggiamento vessatorio nei confronti del
ricorrente.
7. In definitiva,
una serena disamina degli atti di causa non disvela la ricorrenza di
una condotta di “mobbing”, costituita da un unitario sistema di
convergenti comportamenti preordinatamente tesi ad una oggettiva,
sistematica, pervasiva e costante azione di discredito sul piano
umano e professionale del subordinato (cfr., da ultimo, Cons. Stato,
Sez. IV, 22 gennaio 2018, n. 384).
7.1. Tanto meno
emerge dagli atti la precisa volontà del personale dirigenziale del
Centro Amministrativo “xxx” di Roma di ledere la figura umana e
professionale del ricorrente.
7.2. Per le esposte
ragioni, pertanto, il ricorso non può che essere rigettato.
8. Possono,
comunque, compensarsi le spese di lite fra il ricorrente e la dr.ssa
-OMISSIS-, in considerazione della delicatezza degli interessi
sottesi alla controversia.
9. Nulla sulle spese
quanto all’Amministrazione, rimasta estranea al giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente
pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate tra
il ricorrente -OMISSIS- e la dr.ssa -OMISSIS-.
Nulla sulle spese
quanto all’Amministrazione.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che
sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30
giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità delle parti
interessate, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento
delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad
identificare le persone citate nel presente provvedimento.
Così deciso in Roma
nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2018 con l'intervento
dei magistrati:
Filippo Patroni
Griffi, Presidente
Luigi Massimiliano
Tarantino, Consigliere
Luca Lamberti,
Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo,
Consigliere
Alessandro Verrico,
Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Luca Lamberti
Filippo Patroni
Griffi
IL SEGRETARIO
In caso di
diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi
dei soggetti interessati nei termini indicati.
Nessun commento:
Posta un commento