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mercoledì 17 luglio 2019

N. 171 SENTENZA 5 giugno - 10 luglio 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Caccia - Facolta' del proprietario e del conduttore di vietare l'esercizio dell'attivita' venatoria sul fondo, previa richiesta motivata, da intendersi accolta in assenza di risposta nei termini per la formazione del silenzio-assenso - Adozione, con provvedimento della Giunta regionale, del calendario venatorio e delle disposizioni concernenti le specie cacciabili e le modalita' di esercizio della caccia. - Legge della Regione Piemonte 19 giugno 2018, n. 5 (Tutela della fauna e gestione faunistico-venatoria), artt. 6, comma 7, e 13, comma 1. - (GU n.29 del 17-7-2019 )



N. 171 SENTENZA 5 giugno - 10 luglio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Caccia - Facolta'  del  proprietario  e  del  conduttore  di  vietare
  l'esercizio dell'attivita' venatoria sul  fondo,  previa  richiesta
  motivata, da intendersi accolta in assenza di risposta nei  termini
  per  la   formazione   del   silenzio-assenso   -   Adozione,   con
  provvedimento della Giunta regionale, del  calendario  venatorio  e
  delle disposizioni concernenti le specie cacciabili e le  modalita'
  di esercizio della caccia.
- Legge della Regione Piemonte 19 giugno 2018,  n.  5  (Tutela  della
  fauna e gestione faunistico-venatoria), artt. 6,  comma  7,  e  13,
  comma 1. 

(GU n.29 del 17-7-2019 )


                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI,
   
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 6,  comma
7, e 13, comma 1, della legge della Regione Piemonte 19 giugno  2018,
n. 5 (Tutela della fauna e gestione  faunistico-venatoria),  promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato  il
17-22 agosto 2018, depositato  in  cancelleria  il  24  agosto  2018,
iscritto al n. 55  del  registro  ricorsi  2018  e  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  40,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2018.
    Visto l'atto di costituzione della Regione Piemonte;
    udito nella  udienza  pubblica  del  4  giugno  2019  il  Giudice
relatore Daria de Pretis;
    uditi l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri  e  l'avvocato  Massimo  Colarizi  per  la
Regione Piemonte.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 6,
comma 7, e 13, comma 1, della legge della Regione Piemonte 19  giugno
2018, n. 5 (Tutela  della  fauna  e  gestione  faunistico-venatoria).
L'art. 6, comma 7,  prevedeva,  nel  testo  vigente  al  momento  del
ricorso, quanto segue: «Il proprietario o il conduttore di  un  fondo
che intende vietare sullo stesso l'esercizio dell'attivita' venatoria
inoltra al Presidente della  provincia  e  al  sindaco  della  Citta'
metropolitana di Torino e, per conoscenza all'ATC o CA di competenza,
una richiesta motivata che, ai sensi dell'articolo 20 della  legge  7
agosto  1990,  n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di   procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti  amministrativi),
in assenza di risposta entro  i  termini  ivi  contenuti  si  intende
accolta. La  Giunta  regionale,  sentita  la  commissione  consiliare
competente, stabilisce i criteri e  le  modalita'  di  esercizio  del
presente divieto, compresa l'apposizione, a cura del  proprietario  o
del conduttore del fondo ove insiste il divieto di caccia, di tabelle
esenti da tasse, che delimitano  in  maniera  chiara  e  visibile  il
perimetro dell'area interessata».
    Tale disposizione sarebbe illegittima per due  motivi.  In  primo
luogo, secondo il ricorrente essa si porrebbe in contrasto con l'art.
842 del codice civile, con l'art. 15 della legge 11 febbraio 1992, n.
157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il
prelievo venatorio), e con l'art. 20, comma 4, della legge n. 241 del
1990, la' dove  prevede  il  meccanismo  del  silenzio-assenso  sulla
richiesta del privato di vietare la caccia sul suo fondo.
    L'art. 842 cod. civ. stabilisce  che  «[i]l  proprietario  di  un
fondo non puo' impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia,
a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla  legge  sulla
caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno». L'art.  15,
comma  3,  della  legge  n.  157  del  1992  stabilisce   che   «[i]l
proprietario o conduttore di  un  fondo  che  intenda  vietare  sullo
stesso l'esercizio dell'attivita'  venatoria  deve  inoltrare,  entro
trenta giorni dalla pubblicazione del piano faunistico-venatorio,  al
presidente della giunta regionale richiesta motivata  che,  ai  sensi
dell'art. 2 della legge 7  agosto  1990,  n.  241,  dalla  stessa  e'
esaminata entro sessanta giorni».
    Il silenzio-assenso non sarebbe previsto dall'art. 15 della legge
n. 157 del 1992 e sarebbe escluso in materia ambientale dall'art.  20
della legge n. 241 del 1990.  Poiche'  il  divieto  riguarderebbe  un
fondo in cui la  pianificazione  regionale  consente  la  caccia  "in
movimento",  secondo  il  ricorrente   la   Regione   deve   valutare
necessariamente la compatibilita'  ambientale  del  provvedimento  di
esclusione   della   caccia.   Dunque,    l'introduzione    di    una
semplificazione  procedurale  come  il  silenzio-assenso  violerebbe,
tramite le norme statali interposte, le competenze esclusive  statali
in materia  di  ordinamento  civile  (in  relazione  alla  proprieta'
privata) e tutela dell'ambiente (art. 117, secondo comma, lettera l e
lettera s della Costituzione).
    L'art. 6, comma 7, della  legge  reg.  Piemonte  n.  5  del  2018
sarebbe  illegittimo  anche  la'  dove  non  prevede  il  termine  di
presentazione della richiesta  del  provvedimento  di  divieto  della
caccia su un certo fondo. Infatti, come visto, l'art. 15 della  legge
n. 157 del 1992 impone al proprietario di chiedere  la  chiusura  del
fondo  «entro   trenta   giorni   dalla   pubblicazione   del   piano
faunistico-venatorio».
    Tale   norma   riguarderebbe   l'esercizio   del    diritto    di
partecipazione dei cittadini alla predisposizione degli strumenti  di
pianificazione regionali e il  mancato  rispetto  di  tale  modalita'
dell'esercizio  del  diritto  di  partecipazione  inciderebbe  «sulla
razionalita' della scelta pianificatoria regionale e quindi sulla sua
idoneita' a conseguire la finalita' della salvaguardia e del recupero
naturalistico del territorio regionale».
    Anche la mancata indicazione del termine,  dunque,  «violando  la
norma   interposta   che   nell'interesse   unitario   della   tutela
dell'ambiente rende effettiva la partecipazione  dei  cittadini  allo
esercizio   della   attivita'   pianificatoria   faunistico-venatoria
regionale», lederebbe la competenza esclusiva riconosciuta allo Stato
in materia di ordinamento civile e di tutela dell'ambiente  dall'art.
117, secondo comma, lettere l) e s), Cost.
    Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna poi  l'art.  13,
comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018.  Tale  disposizione
stabilisce quanto segue: «1. La Giunta regionale, sentiti  l'ISPRA  e
la Commissione consultiva regionale di cui all'articolo 25,  entro  e
non oltre il 15 giugno di ogni anno, adotta con proprio provvedimento
il calendario venatorio e  le  disposizioni  relative  alla  stagione
venatoria nel  rispetto  dell'articolo  18  della  legge  157/1992  e
dell'articolo  11-quaterdecies,  comma  5,   del   decreto-legge   30
settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto  all'evasione  fiscale  e
disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito
con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 e concernenti i
seguenti aspetti: a)  specie  cacciabili  e  periodi  di  caccia;  b)
giornate e orari di caccia; c) carniere giornaliero e stagionale;  d)
giorni da destinare, per tutto il territorio regionale,  alla  caccia
programmata; e) periodi e modalita' di allenamento degli ausiliari».
    Secondo  il  ricorrente,  il  procedimento  di  approvazione  del
calendario venatorio non sarebbe «coerente con le disposizioni di cui
alla legge statale n. 157 dell'11 febbraio 1992 cui pure fa esplicito
riferimento». Le  Regioni  con  il  calendario  venatorio  potrebbero
«intervenire solo sulla regolamentazione dei  periodi  dell'attivita'
venatoria  per  determinate  specie  in  relazione  alle   situazioni
ambientali». La norma impugnata,  «in  assenza  di  una  disposizione
espressa che specifichi [...]  le  modalita'  per  la  individuazione
delle specie cacciabili», assumerebbe «il valore di  attribuzione  di
un  potere  incondizionato  di  gestione  del  patrimonio  faunistico
regionale   vanificando   la   pianificazione    faunistico-venatoria
regionale che  costituisce  componente  essenziale  della  protezione
nazionale  ambientale».  Di  qui  la  violazione   della   competenza
esclusiva statale in  materia  di  ordinamento  civile  e  di  tutela
dell'ambiente attribuita dall'art. 117, secondo comma, lettere  l)  e
s), Cost.
    2.- La Regione Piemonte si e' costituita con atto  depositato  il
21 settembre 2018.
    Con riferimento alla prima questione concernente l'art. 6,  comma
7, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, relativa alla  previsione
del silenzio-assenso, la Regione ne eccepisce l'inammissibilita'  per
«inesatta, confusa  e  contraddittoria  identificazione  dei  termini
della questione e del  contesto  normativo  di  riferimento»,  e  per
«genericita' ed incompletezza» della  motivazione.  Da  un  lato,  il
ricorrente non distinguerebbe due ipotesi ben distinte di  esclusione
della caccia dai fondi, previste rispettivamente dal comma  8  e  dal
comma 3 dell'art. 15 della legge n. 157  del  1992,  dall'altro,  la'
dove menziona l'indennizzo riconosciuto al  proprietario  del  fondo,
confonderebbe la fattispecie dell'accesso  al  fondo  altrui  a  fini
venatori (art. 842 cod. civ.) con quella dell'accesso al fondo altrui
per opere necessarie alla manutenzione della cosa propria  (art.  843
cod. civ.).
    La Regione rileva poi  che  sarebbe  inammissibile  l'invocazione
dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  in  quanto  si
tratterebbe di parametro inconferente: la  disciplina  statale  della
"chiusura del fondo" non mirerebbe a contemperare, come  sostiene  il
ricorso, l'interesse privato del proprietario alla salvaguardia delle
colture con quello pubblico alla tutela della fauna,  ma  quello  del
proprietario  con  quello  opposto  dei  cacciatori,  per   i   quali
l'ingresso sul fondo altrui puo' essere  necessario  per  l'esercizio
della caccia.
    La stessa questione  sarebbe  comunque  infondata  perche',  «non
dovendosi valutare la "compatibilita' ambientale"  del  provvedimento
inibitorio, potra' operare l'istituto del silenzio assenso».
    Quanto all'invocazione dell'art. 117, secondo comma, lettera  l),
Cost., la censura sarebbe inammissibile perche' «prospettata in  modo
del tutto generico ed oscuro».
    Con riferimento alla  seconda  questione  concernente  l'art.  6,
comma 7, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018 (mancata indicazione
di un termine per la richiesta di chiusura del fondo),  la  questione
basata sull'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.  sarebbe
inammissibile per inconferenza del parametro. Il  ricorrente  osserva
che la domanda di chiusura del fondo presuppone che esso sia inserito
nel piano faunistico-venatorio regionale. Tale  piano  attiene  anche
alla tutela  dell'ambiente  ma,  una  volta  approvato,  «il  profilo
ambientale recede ed il conflitto  si  "sposta"  tra  il  diritto  di
proprieta'  e  il  diritto/liberta'  di   cacciare».   Dunque,   dopo
l'approvazione del piano si "uscirebbe" dalla materia ambientale e si
rientrerebbe nella materia della  caccia,  di  competenza  regionale.
Anzi, la mancata indicazione del termine consentirebbe di chiedere in
ogni tempo la chiusura del fondo, favorendo il ricovero sicuro  e  la
tutela della fauna.
    La questione basata sull'art. 117,  secondo  comma,  lettera  l),
Cost.  sarebbe  infondata.  L'art.  6,  comma  7,  impugnato  prevede
l'adozione di un regolamento attuativo e la Giunta,  «nel  dettare  i
criteri, dovra' sicuramente prevedere,  pena  l'illegittimita'  dello
stesso Regolamento, un termine decadenziale».
    In relazione alla questione concernente l'art. 13, comma 1, della
legge reg. Piemonte  n.  5  del  2018  (calendario  venatorio),  essa
sarebbe   inammissibile   per   insufficienza   e   oscurita'   della
motivazione.
    La questione sarebbe comunque infondata, in quanto l'art. 2 della
legge reg. Piemonte n. 5 del 2018 individua le specie  cacciabili  in
Piemonte. Il calendario venatorio di cui all'art. 13  sarebbe  dunque
limitato dall'art. 18 della legge n. 157 del 1992 e dall'art. 2 della
legge reg. Piemonte n. 5 del 2018: esso  potra'  solo  sospendere  la
caccia ad una specie in una certa  stagione  e  potra'  stabilire  il
numero massimo dei capi da abbattere in ciascuna giornata.
    3.- La Regione ha depositato una memoria integrativa il 15  marzo
2019.
    In essa riferisce  che  l'art.  6,  comma  7,  della  legge  reg.
Piemonte n. 5 del 2018 e' stato sostituito dall'art. 141 della  legge
della Regione Piemonte 17 dicembre 2018,  n.  19  (Legge  annuale  di
riordino  dell'ordinamento  regionale.  Anno  2018),   nei   seguenti
termini: «Il proprietario o il conduttore di  un  fondo  che  intende
vietare sullo stesso l'esercizio dell'attivita' venatoria inoltra  al
Presidente della provincia e al Sindaco della Citta' metropolitana di
Torino e, per conoscenza all'ATC o CA di  competenza,  una  richiesta
motivata che deve essere esaminata dall'amministrazione nel  rispetto
dei termini di cui all'articolo 2 della legge 7 agosto 1990,  n.  241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e  di  diritto
di accesso ai documenti amministrativi). La Giunta regionale, sentita
la commissione consiliare  competente,  stabilisce  i  criteri  e  le
modalita' di esercizio del presente divieto, compresa  l'apposizione,
a cura del proprietario o del conduttore del  fondo  ove  insiste  il
divieto di caccia, di tabelle esenti  da  tasse,  che  delimitano  in
maniera chiara e visibile il perimetro dell'area interessata».
    La nuova disposizione elimina il meccanismo del  silenzio-assenso
censurato nel ricorso e,  in  tal  modo,  avrebbe  fatto  venir  meno
l'affermata  lesione  della  competenza   statale   in   materia   di
ordinamento civile. Dunque, poiche' lo jus superveniens ha modificato
in modo satisfattivo la  disposizione  impugnata,  «che  non  ha  mai
trovato  applicazione»,  la  Regione  chiede  la   dichiarazione   di
cessazione  della  materia  del  contendere,  con  riferimento   alla
questione relativa all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
    Quanto alla questione riguardante l'art. 13, comma 1, della legge
reg. Piemonte n. 5 del 2018, la Regione richiama  la  sentenza  della
Corte costituzionale n. 7  del  2019,  che  avrebbe  riconosciuto  il
potere delle regioni di innalzare il livello  di  tutela  ambientale,
estendendo le specie non cacciabili rispetto alla disciplina statale.
    Inoltre, la censura basata sull'art. 117, secondo comma,  lettera
l), Cost. sarebbe inammissibile per difetto di motivazione.
    4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri  ha  depositato  una
memoria integrativa il 14 maggio 2019.
    In  essa  osserva,  in  primo  luogo,   che   le   eccezioni   di
inammissibilita' sarebbero infondate, in quanto le censure  sarebbero
articolate  in   modo   compiuto   e   i   parametri   costituzionali
correttamente invocati. Del resto, osserva il ricorrente, la  Regione
ha potuto compiutamente svolgere le proprie difese.
    Quanto alla modifica dell'art.  6,  comma  7,  della  legge  reg.
Piemonte n. 5 del  2018,  operata  dall'art.  141  della  legge  reg.
Piemonte n. 19 del 2018, il ricorrente da'  atto  della  eliminazione
del silenzio-assenso ma osserva che la  norma  resta  illegittima  in
relazione alla mancata previsione  del  termine  per  la  domanda  di
chiusura del fondo.
    Con riferimento all'art.  13,  comma  1,  della  legge  regionale
impugnata,  il  ricorrente  rileva   che   la   competenza   generica
riconosciuta  alla  Giunta  in  relazione  al  calendario   venatorio
«determina potenzialmente  un  ingiustificato  aumento  delle  specie
cacciabili».
    5.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  ha  depositato  un
atto di rinuncia parziale il 28 maggio 2019. Con esso  il  ricorrente
rinuncia al ricorso limitatamente all'art. 6, comma  7,  della  legge
reg. Piemonte n. 5 del 2018, precisando che restano fermi i motivi di
ricorso relativi all'art. 13, comma 1, della stessa legge regionale.

                       Considerato in diritto

    1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 6,
comma 7, e 13, comma 1, della legge della Regione Piemonte 19  giugno
2018, n. 5 (Tutela  della  fauna  e  gestione  faunistico-venatoria).
L'art. 6, comma 7,  prevedeva,  nel  testo  vigente  al  momento  del
ricorso, quanto segue: «Il proprietario o il conduttore di  un  fondo
che intende vietare sullo stesso l'esercizio dell'attivita' venatoria
inoltra al Presidente della  provincia  e  al  sindaco  della  Citta'
metropolitana di Torino e, per conoscenza all'ATC o CA di competenza,
una richiesta motivata che, ai sensi dell' articolo 20 della legge  7
agosto  1990,  n.  241 (Nuove  norme  in  materia   di   procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti  amministrativi),
in assenza di risposta entro  i  termini  ivi  contenuti  si  intende
accolta. La  Giunta  regionale,  sentita  la  commissione  consiliare
competente, stabilisce i criteri e  le  modalita'  di  esercizio  del
presente divieto, compresa l'apposizione, a cura del  proprietario  o
del conduttore del fondo ove insiste il divieto di caccia, di tabelle
esenti da tasse, che delimitano  in  maniera  chiara  e  visibile  il
perimetro dell'area interessata».
    Tale disposizione sarebbe illegittima per due  motivi.  In  primo
luogo, l'art.  6,  comma  7,  la'  dove  prevede  il  meccanismo  del
silenzio-assenso sulla richiesta del privato di vietare la caccia sul
suo fondo, violerebbe l'art. 842 del codice civile, l'art. 15,  comma
3, della legge 11 febbraio 1992, n.  157  (Norme  per  la  protezione
della fauna selvatica omeoterma  e  per  il  prelievo  venatorio),  e
l'art. 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in
materia di procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai
documenti amministrativi), con conseguente lesione  delle  competenze
esclusive statali in materia di ordinamento civile (in relazione alla
proprieta' privata) e tutela dell'ambiente (art. 117, secondo  comma,
lettera l e lettera s, della Costituzione).
    In secondo luogo, l'art. 6, comma 7, della legge reg. Piemonte n.
5 del 2018, la' dove non prevede il termine  di  presentazione  della
richiesta del provvedimento di  divieto  della  caccia  su  un  certo
fondo, violerebbe l'art. 15, comma 3, della legge n.  157  del  1992,
con conseguente lesione delle competenze esclusive statali in materia
di ordinamento civile  e  tutela  dell'ambiente  (art.  117,  secondo
comma, lettera l e lettera s, Cost.).
    L'altra disposizione impugnata (art. 13,  comma  1,  della  legge
reg. Piemonte n. 5 del 2018) stabilisce quanto segue: «1.  La  Giunta
regionale, sentiti l'ISPRA e la Commissione consultiva  regionale  di
cui all'articolo 25, entro e non oltre il 15  giugno  di  ogni  anno,
adotta  con  proprio  provvedimento  il  calendario  venatorio  e  le
disposizioni  relative   alla   stagione   venatoria   nel   rispetto
dell'articolo   18   della    legge    157/1992    e    dell'articolo
11-quaterdecies, comma 5, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203
(Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni  urgenti  in
materia tributaria e finanziaria), convertito con modificazioni dalla
legge 2 dicembre 2005, n. 248 e concernenti i  seguenti  aspetti:  a)
specie cacciabili e periodi di caccia; b) giornate e orari di caccia;
c) carniere giornaliero e stagionale; d)  giorni  da  destinare,  per
tutto il territorio regionale, alla caccia programmata; e) periodi  e
modalita' di allenamento degli ausiliari».
    Secondo il ricorrente, tale  norma  violerebbe  l'art.  18  della
legge n. 157 del 1992, in quanto, «in  assenza  di  una  disposizione
espressa che specifichi [...]  le  modalita'  per  la  individuazione
delle specie cacciabili», assumerebbe «il valore di  attribuzione  di
un  potere  incondizionato  di  gestione  del  patrimonio  faunistico
regionale»,  con  conseguente  lesione  della  competenza   esclusiva
statale in materia di ordinamento civile e  di  tutela  dell'ambiente
attribuita dall'art. 117, secondo comma, lettere l) ed s), Cost.
    2.- In relazione alla questione concernente l'art.  6,  comma  7,
della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, va dichiarata la  cessazione
della materia del contendere.
    Il Presidente del Consiglio dei ministri  ha  infatti  depositato
atto di rinuncia parziale al  ricorso,  limitatamente  alla  suddetta
disposizione. Non essendo pervenuta da parte della Regione resistente
l'accettazione della rinuncia, ne'  risultando  un  suo  interesse  a
coltivare il giudizio, si puo'  dichiarare  cessata  la  materia  del
contendere (sentenze n. 94 del 2018 e n. 19 del 2015, ordinanza n. 62
del 2015).
    3.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  in
relazione all'art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte  n.  5  del
2018, con riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.,
e' inammissibile per carenza di motivazione. Il ricorrente,  infatti,
non spiega in  alcun  modo  per  quale  ragione  la  norma  censurata
interferirebbe con la materia  dell'ordinamento  civile  (ex  multis,
sentenze n. 72 e n. 16 del 2019, n. 219 del 2018).
    4.- La Regione ha  eccepito  l'inammissibilita'  della  questione
relativa all'art. 13, comma 1, della legge regionale  impugnata,  per
insufficienza e oscurita' della motivazione,  anche  con  riferimento
all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
    L'eccezione non e'  fondata.  Il  ricorrente  espone  infatti  le
ragioni della sua censura, riassumibili nella considerazione  che  la
norma impugnata, non precisando  le  modalita'  per  l'individuazione
delle  specie  cacciabili,  conferirebbe  alla  Giunta   un   «potere
incondizionato»  di  determinazione  delle  specie  cacciabili,   con
possibile ingiustificato  aumento  di  esse,  al  di  la'  di  quanto
consentito in sede di determinazione  del  calendario  venatorio.  La
motivazione risulta dunque sufficiente.
    5.-  Nel  merito,  tuttavia,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata in relazione all'art.  13,  comma  1,  della
legge reg. Piemonte n. 5 del  2018,  con  riferimento  all'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., non e' fondata.
    Innanzi tutto, si deve osservare che il ricorso riporta  in  modo
inesatto la disposizione censurata. Il ricorrente scrive  che  l'art.
13,  comma  1,  lettera  a),  indica  come   specifico   oggetto   di
individuazione  da  parte  del  calendario   venatorio   le   «specie
cacciabili», mentre esso prevede testualmente che la Giunta regionale
adotti «con  proprio  provvedimento  il  calendario  venatorio  e  le
disposizioni  relative   alla   stagione   venatoria   nel   rispetto
dell'articolo 18 della legge 157/1992 [...] e concernenti i  seguenti
aspetti: a) specie cacciabili e periodi di caccia [...]».
    L'art. 13, comma 1, della legge regionale  impugnata  corrisponde
sostanzialmente all'art. 45 della  legge  della  Regione  Piemonte  4
settembre 1996, n. 70 (Norme per la protezione della fauna  selvatica
omeoterma e per il prelievo venatorio),  poi  abrogato  dall'art.  40
della legge della  Regione  Piemonte  4  maggio  2012,  n.  5  (Legge
finanziaria per l'anno 2012); peraltro, a differenza del citato  art.
45, il  censurato  art.  13,  comma  1,  prescrive  espressamente  il
rispetto dell'art. 18 della legge n. 157 del 1992.
    Il ricorrente  teme  che  la  norma  regionale,  attribuendo  una
competenza generica alla  Giunta  in  tema  di  individuazione  delle
specie cacciabili, determini potenzialmente un aumento delle  stesse.
Tale timore risulta ingiustificato. Come visto, l'art.  13,  comma  1
impugnato, prescrive  espressamente  il  «rispetto  dell'articolo  18
della legge 157/1992», disposizione, questa, che indica, al comma  1,
le specie cacciabili e i periodi di caccia e al  comma  2  stabilisce
quanto  segue:  «[i]  termini  di  cui  al  comma  1  possono  essere
modificati  per  determinate  specie  in  relazione  alle  situazioni
ambientali delle diverse realta' territoriali. Le regioni autorizzano
le modifiche previo  parere  dell'Istituto  nazionale  per  la  fauna
selvatica. I termini devono  essere  comunque  contenuti  tra  il  1°
settembre ed il 31 gennaio dell'anno nel rispetto dell'arco temporale
massimo indicato al comma 1». Infine, l'art. 18, comma 4, della legge
n. 157 del  1992  dispone  che  le  regioni  adottano  il  calendario
venatorio «nel rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 2 e 3, e  con
l'indicazione del numero massimo di capi  da  abbattere  in  ciascuna
giornata di attivita' venatoria».
    Considerando dunque che la norma censurata sancisce il necessario
rispetto dell'art. 18 della legge n. 157  del  1992,  il  riferimento
alle  «specie  cacciabili»  e  ai  «periodi  di  caccia»   (contenuto
nell'art. 13, comma 1, lettera a, della legge reg. Piemonte n. 5  del
2018) non puo' che essere inteso in senso conforme a quanto  previsto
dal citato art. 18, comma 2, della legge statale, cioe' nel senso che
la Giunta regionale puo' modulare il periodo di caccia di determinate
specie, nel rispetto dei limiti fissati dallo stesso art.  18,  comma
2, restando invece esclusa la possibilita'  di  aumentare  le  specie
cacciabili.
    Tale possibilita' e' esclusa anche in  virtu'  del  coordinamento
che va operato tra l'impugnato art. 13, comma 1,  e  l'art.  2  della
legge reg. Piemonte n. 5 del 2018. Questa disposizione stabilisce che
«[s]ono   particolarmente   protette,   anche   sotto   il    profilo
sanzionatorio,  le  specie  indicate  all'articolo  2   della   legge
157/1992, nonche' tutte le altre specie che direttive  comunitarie  o
convenzioni internazionali o  apposito  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri indicano come minacciate di estinzione» (comma
4), e al comma 5 estende le specie non cacciabili (rispetto a  quanto
disposto dall'art. 18 della legge n. 157 del 1992),  escludendo  «dal
prelievo  venatorio,  le  seguenti  specie:  fischione,   canapiglia,
mestolone,  codone,   marzaiola,   folaga,   porciglione,   frullino,
pavoncella, combattente, moriglione, allodola, merlo, pernice bianca,
lepre variabile». Questa Corte, nella sentenza  n.  7  del  2019,  ha
fatto salve norme di legge piemontesi che vietano la caccia di alcune
specie considerate invece cacciabili dalla legge  n.  157  del  1992,
osservando che esse «non si risolvono in una riduzione  della  soglia
minima di tutela della fauna selvatica, ma risultano,  al  contrario,
piu' rigoros[e] rispetto alla  disciplina  statale,  nella  direzione
quindi di un legittimo incremento della suddetta protezione  minima»,
e che «le norme censurate hanno [...] dato seguito a  una  tradizione
normativa che [...]  ha  costantemente  caratterizzato,  in  tema  di
specie cacciabili, la disciplina  legislativa  piemontese,  da  tempo
connotata da previsioni notevolmente piu' rigorose rispetto a  quelle
della legislazione statale».
    Poiche' dunque la Giunta regionale, nell'adottare  il  calendario
venatorio, deve rispettare anche l'art. 2 della legge  reg.  Piemonte
n. 5 del 2018, ne risulta ulteriormente confermata  l'erroneita'  del
presupposto interpretativo posto alla base del ricorso.
    Pertanto, la questione di legittimita'  costituzionale  sollevata
in relazione all'art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del
2018, con riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
non e' fondata.
   

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    1) dichiara cessata la materia del contendere in  relazione  alla
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 7,  della
legge della Regione Piemonte 19 giugno 2018, n. 5 (Tutela della fauna
e  gestione  faunistico-venatoria),  promossa  dal   Presidente   del
Consiglio dei ministri, in riferimento all'art. 117,  secondo  comma,
lettere l) e s), della  Costituzione,  con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe;
    2)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n.  5
del 2018, promossa dal Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera l),  Cost.,  con  il
ricorso indicato in epigrafe;
    3)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n.  5
del 2018, promossa dal Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.,  con  il
ricorso indicato in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2019.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                     Daria de PRETIS, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2019.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA

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