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mercoledì 17 luglio 2019
N. 171 SENTENZA 5 giugno - 10 luglio 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Caccia - Facolta' del proprietario e del conduttore di vietare l'esercizio dell'attivita' venatoria sul fondo, previa richiesta motivata, da intendersi accolta in assenza di risposta nei termini per la formazione del silenzio-assenso - Adozione, con provvedimento della Giunta regionale, del calendario venatorio e delle disposizioni concernenti le specie cacciabili e le modalita' di esercizio della caccia. - Legge della Regione Piemonte 19 giugno 2018, n. 5 (Tutela della fauna e gestione faunistico-venatoria), artt. 6, comma 7, e 13, comma 1. - (GU n.29 del 17-7-2019 )
N. 171 SENTENZA 5 giugno - 10 luglio 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
Caccia - Facolta' del proprietario e del conduttore di vietare
l'esercizio dell'attivita' venatoria sul fondo, previa richiesta
motivata, da intendersi accolta in assenza di risposta nei termini
per la formazione del silenzio-assenso - Adozione, con
provvedimento della Giunta regionale, del calendario venatorio e
delle disposizioni concernenti le specie cacciabili e le modalita'
di esercizio della caccia.
- Legge della Regione Piemonte 19 giugno 2018, n. 5 (Tutela della
fauna e gestione faunistico-venatoria), artt. 6, comma 7, e 13,
comma 1.
-
(GU n.29 del 17-7-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 6, comma
7, e 13, comma 1, della legge della Regione Piemonte 19 giugno 2018,
n. 5 (Tutela della fauna e gestione faunistico-venatoria), promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il
17-22 agosto 2018, depositato in cancelleria il 24 agosto 2018,
iscritto al n. 55 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale,
dell'anno 2018.
Visto l'atto di costituzione della Regione Piemonte;
udito nella udienza pubblica del 4 giugno 2019 il Giudice
relatore Daria de Pretis;
uditi l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Massimo Colarizi per la
Regione Piemonte.
Ritenuto in fatto
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 6,
comma 7, e 13, comma 1, della legge della Regione Piemonte 19 giugno
2018, n. 5 (Tutela della fauna e gestione faunistico-venatoria).
L'art. 6, comma 7, prevedeva, nel testo vigente al momento del
ricorso, quanto segue: «Il proprietario o il conduttore di un fondo
che intende vietare sullo stesso l'esercizio dell'attivita' venatoria
inoltra al Presidente della provincia e al sindaco della Citta'
metropolitana di Torino e, per conoscenza all'ATC o CA di competenza,
una richiesta motivata che, ai sensi dell'articolo 20 della legge 7
agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi),
in assenza di risposta entro i termini ivi contenuti si intende
accolta. La Giunta regionale, sentita la commissione consiliare
competente, stabilisce i criteri e le modalita' di esercizio del
presente divieto, compresa l'apposizione, a cura del proprietario o
del conduttore del fondo ove insiste il divieto di caccia, di tabelle
esenti da tasse, che delimitano in maniera chiara e visibile il
perimetro dell'area interessata».
Tale disposizione sarebbe illegittima per due motivi. In primo
luogo, secondo il ricorrente essa si porrebbe in contrasto con l'art.
842 del codice civile, con l'art. 15 della legge 11 febbraio 1992, n.
157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il
prelievo venatorio), e con l'art. 20, comma 4, della legge n. 241 del
1990, la' dove prevede il meccanismo del silenzio-assenso sulla
richiesta del privato di vietare la caccia sul suo fondo.
L'art. 842 cod. civ. stabilisce che «[i]l proprietario di un
fondo non puo' impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia,
a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla
caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno». L'art. 15,
comma 3, della legge n. 157 del 1992 stabilisce che «[i]l
proprietario o conduttore di un fondo che intenda vietare sullo
stesso l'esercizio dell'attivita' venatoria deve inoltrare, entro
trenta giorni dalla pubblicazione del piano faunistico-venatorio, al
presidente della giunta regionale richiesta motivata che, ai sensi
dell'art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, dalla stessa e'
esaminata entro sessanta giorni».
Il silenzio-assenso non sarebbe previsto dall'art. 15 della legge
n. 157 del 1992 e sarebbe escluso in materia ambientale dall'art. 20
della legge n. 241 del 1990. Poiche' il divieto riguarderebbe un
fondo in cui la pianificazione regionale consente la caccia "in
movimento", secondo il ricorrente la Regione deve valutare
necessariamente la compatibilita' ambientale del provvedimento di
esclusione della caccia. Dunque, l'introduzione di una
semplificazione procedurale come il silenzio-assenso violerebbe,
tramite le norme statali interposte, le competenze esclusive statali
in materia di ordinamento civile (in relazione alla proprieta'
privata) e tutela dell'ambiente (art. 117, secondo comma, lettera l e
lettera s della Costituzione).
L'art. 6, comma 7, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018
sarebbe illegittimo anche la' dove non prevede il termine di
presentazione della richiesta del provvedimento di divieto della
caccia su un certo fondo. Infatti, come visto, l'art. 15 della legge
n. 157 del 1992 impone al proprietario di chiedere la chiusura del
fondo «entro trenta giorni dalla pubblicazione del piano
faunistico-venatorio».
Tale norma riguarderebbe l'esercizio del diritto di
partecipazione dei cittadini alla predisposizione degli strumenti di
pianificazione regionali e il mancato rispetto di tale modalita'
dell'esercizio del diritto di partecipazione inciderebbe «sulla
razionalita' della scelta pianificatoria regionale e quindi sulla sua
idoneita' a conseguire la finalita' della salvaguardia e del recupero
naturalistico del territorio regionale».
Anche la mancata indicazione del termine, dunque, «violando la
norma interposta che nell'interesse unitario della tutela
dell'ambiente rende effettiva la partecipazione dei cittadini allo
esercizio della attivita' pianificatoria faunistico-venatoria
regionale», lederebbe la competenza esclusiva riconosciuta allo Stato
in materia di ordinamento civile e di tutela dell'ambiente dall'art.
117, secondo comma, lettere l) e s), Cost.
Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna poi l'art. 13,
comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018. Tale disposizione
stabilisce quanto segue: «1. La Giunta regionale, sentiti l'ISPRA e
la Commissione consultiva regionale di cui all'articolo 25, entro e
non oltre il 15 giugno di ogni anno, adotta con proprio provvedimento
il calendario venatorio e le disposizioni relative alla stagione
venatoria nel rispetto dell'articolo 18 della legge 157/1992 e
dell'articolo 11-quaterdecies, comma 5, del decreto-legge 30
settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e
disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito
con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 e concernenti i
seguenti aspetti: a) specie cacciabili e periodi di caccia; b)
giornate e orari di caccia; c) carniere giornaliero e stagionale; d)
giorni da destinare, per tutto il territorio regionale, alla caccia
programmata; e) periodi e modalita' di allenamento degli ausiliari».
Secondo il ricorrente, il procedimento di approvazione del
calendario venatorio non sarebbe «coerente con le disposizioni di cui
alla legge statale n. 157 dell'11 febbraio 1992 cui pure fa esplicito
riferimento». Le Regioni con il calendario venatorio potrebbero
«intervenire solo sulla regolamentazione dei periodi dell'attivita'
venatoria per determinate specie in relazione alle situazioni
ambientali». La norma impugnata, «in assenza di una disposizione
espressa che specifichi [...] le modalita' per la individuazione
delle specie cacciabili», assumerebbe «il valore di attribuzione di
un potere incondizionato di gestione del patrimonio faunistico
regionale vanificando la pianificazione faunistico-venatoria
regionale che costituisce componente essenziale della protezione
nazionale ambientale». Di qui la violazione della competenza
esclusiva statale in materia di ordinamento civile e di tutela
dell'ambiente attribuita dall'art. 117, secondo comma, lettere l) e
s), Cost.
2.- La Regione Piemonte si e' costituita con atto depositato il
21 settembre 2018.
Con riferimento alla prima questione concernente l'art. 6, comma
7, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, relativa alla previsione
del silenzio-assenso, la Regione ne eccepisce l'inammissibilita' per
«inesatta, confusa e contraddittoria identificazione dei termini
della questione e del contesto normativo di riferimento», e per
«genericita' ed incompletezza» della motivazione. Da un lato, il
ricorrente non distinguerebbe due ipotesi ben distinte di esclusione
della caccia dai fondi, previste rispettivamente dal comma 8 e dal
comma 3 dell'art. 15 della legge n. 157 del 1992, dall'altro, la'
dove menziona l'indennizzo riconosciuto al proprietario del fondo,
confonderebbe la fattispecie dell'accesso al fondo altrui a fini
venatori (art. 842 cod. civ.) con quella dell'accesso al fondo altrui
per opere necessarie alla manutenzione della cosa propria (art. 843
cod. civ.).
La Regione rileva poi che sarebbe inammissibile l'invocazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto si
tratterebbe di parametro inconferente: la disciplina statale della
"chiusura del fondo" non mirerebbe a contemperare, come sostiene il
ricorso, l'interesse privato del proprietario alla salvaguardia delle
colture con quello pubblico alla tutela della fauna, ma quello del
proprietario con quello opposto dei cacciatori, per i quali
l'ingresso sul fondo altrui puo' essere necessario per l'esercizio
della caccia.
La stessa questione sarebbe comunque infondata perche', «non
dovendosi valutare la "compatibilita' ambientale" del provvedimento
inibitorio, potra' operare l'istituto del silenzio assenso».
Quanto all'invocazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., la censura sarebbe inammissibile perche' «prospettata in modo
del tutto generico ed oscuro».
Con riferimento alla seconda questione concernente l'art. 6,
comma 7, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018 (mancata indicazione
di un termine per la richiesta di chiusura del fondo), la questione
basata sull'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. sarebbe
inammissibile per inconferenza del parametro. Il ricorrente osserva
che la domanda di chiusura del fondo presuppone che esso sia inserito
nel piano faunistico-venatorio regionale. Tale piano attiene anche
alla tutela dell'ambiente ma, una volta approvato, «il profilo
ambientale recede ed il conflitto si "sposta" tra il diritto di
proprieta' e il diritto/liberta' di cacciare». Dunque, dopo
l'approvazione del piano si "uscirebbe" dalla materia ambientale e si
rientrerebbe nella materia della caccia, di competenza regionale.
Anzi, la mancata indicazione del termine consentirebbe di chiedere in
ogni tempo la chiusura del fondo, favorendo il ricovero sicuro e la
tutela della fauna.
La questione basata sull'art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost. sarebbe infondata. L'art. 6, comma 7, impugnato prevede
l'adozione di un regolamento attuativo e la Giunta, «nel dettare i
criteri, dovra' sicuramente prevedere, pena l'illegittimita' dello
stesso Regolamento, un termine decadenziale».
In relazione alla questione concernente l'art. 13, comma 1, della
legge reg. Piemonte n. 5 del 2018 (calendario venatorio), essa
sarebbe inammissibile per insufficienza e oscurita' della
motivazione.
La questione sarebbe comunque infondata, in quanto l'art. 2 della
legge reg. Piemonte n. 5 del 2018 individua le specie cacciabili in
Piemonte. Il calendario venatorio di cui all'art. 13 sarebbe dunque
limitato dall'art. 18 della legge n. 157 del 1992 e dall'art. 2 della
legge reg. Piemonte n. 5 del 2018: esso potra' solo sospendere la
caccia ad una specie in una certa stagione e potra' stabilire il
numero massimo dei capi da abbattere in ciascuna giornata.
3.- La Regione ha depositato una memoria integrativa il 15 marzo
2019.
In essa riferisce che l'art. 6, comma 7, della legge reg.
Piemonte n. 5 del 2018 e' stato sostituito dall'art. 141 della legge
della Regione Piemonte 17 dicembre 2018, n. 19 (Legge annuale di
riordino dell'ordinamento regionale. Anno 2018), nei seguenti
termini: «Il proprietario o il conduttore di un fondo che intende
vietare sullo stesso l'esercizio dell'attivita' venatoria inoltra al
Presidente della provincia e al Sindaco della Citta' metropolitana di
Torino e, per conoscenza all'ATC o CA di competenza, una richiesta
motivata che deve essere esaminata dall'amministrazione nel rispetto
dei termini di cui all'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto
di accesso ai documenti amministrativi). La Giunta regionale, sentita
la commissione consiliare competente, stabilisce i criteri e le
modalita' di esercizio del presente divieto, compresa l'apposizione,
a cura del proprietario o del conduttore del fondo ove insiste il
divieto di caccia, di tabelle esenti da tasse, che delimitano in
maniera chiara e visibile il perimetro dell'area interessata».
La nuova disposizione elimina il meccanismo del silenzio-assenso
censurato nel ricorso e, in tal modo, avrebbe fatto venir meno
l'affermata lesione della competenza statale in materia di
ordinamento civile. Dunque, poiche' lo jus superveniens ha modificato
in modo satisfattivo la disposizione impugnata, «che non ha mai
trovato applicazione», la Regione chiede la dichiarazione di
cessazione della materia del contendere, con riferimento alla
questione relativa all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Quanto alla questione riguardante l'art. 13, comma 1, della legge
reg. Piemonte n. 5 del 2018, la Regione richiama la sentenza della
Corte costituzionale n. 7 del 2019, che avrebbe riconosciuto il
potere delle regioni di innalzare il livello di tutela ambientale,
estendendo le specie non cacciabili rispetto alla disciplina statale.
Inoltre, la censura basata sull'art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost. sarebbe inammissibile per difetto di motivazione.
4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una
memoria integrativa il 14 maggio 2019.
In essa osserva, in primo luogo, che le eccezioni di
inammissibilita' sarebbero infondate, in quanto le censure sarebbero
articolate in modo compiuto e i parametri costituzionali
correttamente invocati. Del resto, osserva il ricorrente, la Regione
ha potuto compiutamente svolgere le proprie difese.
Quanto alla modifica dell'art. 6, comma 7, della legge reg.
Piemonte n. 5 del 2018, operata dall'art. 141 della legge reg.
Piemonte n. 19 del 2018, il ricorrente da' atto della eliminazione
del silenzio-assenso ma osserva che la norma resta illegittima in
relazione alla mancata previsione del termine per la domanda di
chiusura del fondo.
Con riferimento all'art. 13, comma 1, della legge regionale
impugnata, il ricorrente rileva che la competenza generica
riconosciuta alla Giunta in relazione al calendario venatorio
«determina potenzialmente un ingiustificato aumento delle specie
cacciabili».
5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato un
atto di rinuncia parziale il 28 maggio 2019. Con esso il ricorrente
rinuncia al ricorso limitatamente all'art. 6, comma 7, della legge
reg. Piemonte n. 5 del 2018, precisando che restano fermi i motivi di
ricorso relativi all'art. 13, comma 1, della stessa legge regionale.
Considerato in diritto
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 6,
comma 7, e 13, comma 1, della legge della Regione Piemonte 19 giugno
2018, n. 5 (Tutela della fauna e gestione faunistico-venatoria).
L'art. 6, comma 7, prevedeva, nel testo vigente al momento del
ricorso, quanto segue: «Il proprietario o il conduttore di un fondo
che intende vietare sullo stesso l'esercizio dell'attivita' venatoria
inoltra al Presidente della provincia e al sindaco della Citta'
metropolitana di Torino e, per conoscenza all'ATC o CA di competenza,
una richiesta motivata che, ai sensi dell' articolo 20 della legge 7
agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi),
in assenza di risposta entro i termini ivi contenuti si intende
accolta. La Giunta regionale, sentita la commissione consiliare
competente, stabilisce i criteri e le modalita' di esercizio del
presente divieto, compresa l'apposizione, a cura del proprietario o
del conduttore del fondo ove insiste il divieto di caccia, di tabelle
esenti da tasse, che delimitano in maniera chiara e visibile il
perimetro dell'area interessata».
Tale disposizione sarebbe illegittima per due motivi. In primo
luogo, l'art. 6, comma 7, la' dove prevede il meccanismo del
silenzio-assenso sulla richiesta del privato di vietare la caccia sul
suo fondo, violerebbe l'art. 842 del codice civile, l'art. 15, comma
3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e
l'art. 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in
materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi), con conseguente lesione delle competenze
esclusive statali in materia di ordinamento civile (in relazione alla
proprieta' privata) e tutela dell'ambiente (art. 117, secondo comma,
lettera l e lettera s, della Costituzione).
In secondo luogo, l'art. 6, comma 7, della legge reg. Piemonte n.
5 del 2018, la' dove non prevede il termine di presentazione della
richiesta del provvedimento di divieto della caccia su un certo
fondo, violerebbe l'art. 15, comma 3, della legge n. 157 del 1992,
con conseguente lesione delle competenze esclusive statali in materia
di ordinamento civile e tutela dell'ambiente (art. 117, secondo
comma, lettera l e lettera s, Cost.).
L'altra disposizione impugnata (art. 13, comma 1, della legge
reg. Piemonte n. 5 del 2018) stabilisce quanto segue: «1. La Giunta
regionale, sentiti l'ISPRA e la Commissione consultiva regionale di
cui all'articolo 25, entro e non oltre il 15 giugno di ogni anno,
adotta con proprio provvedimento il calendario venatorio e le
disposizioni relative alla stagione venatoria nel rispetto
dell'articolo 18 della legge 157/1992 e dell'articolo
11-quaterdecies, comma 5, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203
(Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in
materia tributaria e finanziaria), convertito con modificazioni dalla
legge 2 dicembre 2005, n. 248 e concernenti i seguenti aspetti: a)
specie cacciabili e periodi di caccia; b) giornate e orari di caccia;
c) carniere giornaliero e stagionale; d) giorni da destinare, per
tutto il territorio regionale, alla caccia programmata; e) periodi e
modalita' di allenamento degli ausiliari».
Secondo il ricorrente, tale norma violerebbe l'art. 18 della
legge n. 157 del 1992, in quanto, «in assenza di una disposizione
espressa che specifichi [...] le modalita' per la individuazione
delle specie cacciabili», assumerebbe «il valore di attribuzione di
un potere incondizionato di gestione del patrimonio faunistico
regionale», con conseguente lesione della competenza esclusiva
statale in materia di ordinamento civile e di tutela dell'ambiente
attribuita dall'art. 117, secondo comma, lettere l) ed s), Cost.
2.- In relazione alla questione concernente l'art. 6, comma 7,
della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, va dichiarata la cessazione
della materia del contendere.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha infatti depositato
atto di rinuncia parziale al ricorso, limitatamente alla suddetta
disposizione. Non essendo pervenuta da parte della Regione resistente
l'accettazione della rinuncia, ne' risultando un suo interesse a
coltivare il giudizio, si puo' dichiarare cessata la materia del
contendere (sentenze n. 94 del 2018 e n. 19 del 2015, ordinanza n. 62
del 2015).
3.- La questione di legittimita' costituzionale sollevata in
relazione all'art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del
2018, con riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.,
e' inammissibile per carenza di motivazione. Il ricorrente, infatti,
non spiega in alcun modo per quale ragione la norma censurata
interferirebbe con la materia dell'ordinamento civile (ex multis,
sentenze n. 72 e n. 16 del 2019, n. 219 del 2018).
4.- La Regione ha eccepito l'inammissibilita' della questione
relativa all'art. 13, comma 1, della legge regionale impugnata, per
insufficienza e oscurita' della motivazione, anche con riferimento
all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
L'eccezione non e' fondata. Il ricorrente espone infatti le
ragioni della sua censura, riassumibili nella considerazione che la
norma impugnata, non precisando le modalita' per l'individuazione
delle specie cacciabili, conferirebbe alla Giunta un «potere
incondizionato» di determinazione delle specie cacciabili, con
possibile ingiustificato aumento di esse, al di la' di quanto
consentito in sede di determinazione del calendario venatorio. La
motivazione risulta dunque sufficiente.
5.- Nel merito, tuttavia, la questione di legittimita'
costituzionale sollevata in relazione all'art. 13, comma 1, della
legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, con riferimento all'art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., non e' fondata.
Innanzi tutto, si deve osservare che il ricorso riporta in modo
inesatto la disposizione censurata. Il ricorrente scrive che l'art.
13, comma 1, lettera a), indica come specifico oggetto di
individuazione da parte del calendario venatorio le «specie
cacciabili», mentre esso prevede testualmente che la Giunta regionale
adotti «con proprio provvedimento il calendario venatorio e le
disposizioni relative alla stagione venatoria nel rispetto
dell'articolo 18 della legge 157/1992 [...] e concernenti i seguenti
aspetti: a) specie cacciabili e periodi di caccia [...]».
L'art. 13, comma 1, della legge regionale impugnata corrisponde
sostanzialmente all'art. 45 della legge della Regione Piemonte 4
settembre 1996, n. 70 (Norme per la protezione della fauna selvatica
omeoterma e per il prelievo venatorio), poi abrogato dall'art. 40
della legge della Regione Piemonte 4 maggio 2012, n. 5 (Legge
finanziaria per l'anno 2012); peraltro, a differenza del citato art.
45, il censurato art. 13, comma 1, prescrive espressamente il
rispetto dell'art. 18 della legge n. 157 del 1992.
Il ricorrente teme che la norma regionale, attribuendo una
competenza generica alla Giunta in tema di individuazione delle
specie cacciabili, determini potenzialmente un aumento delle stesse.
Tale timore risulta ingiustificato. Come visto, l'art. 13, comma 1
impugnato, prescrive espressamente il «rispetto dell'articolo 18
della legge 157/1992», disposizione, questa, che indica, al comma 1,
le specie cacciabili e i periodi di caccia e al comma 2 stabilisce
quanto segue: «[i] termini di cui al comma 1 possono essere
modificati per determinate specie in relazione alle situazioni
ambientali delle diverse realta' territoriali. Le regioni autorizzano
le modifiche previo parere dell'Istituto nazionale per la fauna
selvatica. I termini devono essere comunque contenuti tra il 1°
settembre ed il 31 gennaio dell'anno nel rispetto dell'arco temporale
massimo indicato al comma 1». Infine, l'art. 18, comma 4, della legge
n. 157 del 1992 dispone che le regioni adottano il calendario
venatorio «nel rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 2 e 3, e con
l'indicazione del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna
giornata di attivita' venatoria».
Considerando dunque che la norma censurata sancisce il necessario
rispetto dell'art. 18 della legge n. 157 del 1992, il riferimento
alle «specie cacciabili» e ai «periodi di caccia» (contenuto
nell'art. 13, comma 1, lettera a, della legge reg. Piemonte n. 5 del
2018) non puo' che essere inteso in senso conforme a quanto previsto
dal citato art. 18, comma 2, della legge statale, cioe' nel senso che
la Giunta regionale puo' modulare il periodo di caccia di determinate
specie, nel rispetto dei limiti fissati dallo stesso art. 18, comma
2, restando invece esclusa la possibilita' di aumentare le specie
cacciabili.
Tale possibilita' e' esclusa anche in virtu' del coordinamento
che va operato tra l'impugnato art. 13, comma 1, e l'art. 2 della
legge reg. Piemonte n. 5 del 2018. Questa disposizione stabilisce che
«[s]ono particolarmente protette, anche sotto il profilo
sanzionatorio, le specie indicate all'articolo 2 della legge
157/1992, nonche' tutte le altre specie che direttive comunitarie o
convenzioni internazionali o apposito decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri indicano come minacciate di estinzione» (comma
4), e al comma 5 estende le specie non cacciabili (rispetto a quanto
disposto dall'art. 18 della legge n. 157 del 1992), escludendo «dal
prelievo venatorio, le seguenti specie: fischione, canapiglia,
mestolone, codone, marzaiola, folaga, porciglione, frullino,
pavoncella, combattente, moriglione, allodola, merlo, pernice bianca,
lepre variabile». Questa Corte, nella sentenza n. 7 del 2019, ha
fatto salve norme di legge piemontesi che vietano la caccia di alcune
specie considerate invece cacciabili dalla legge n. 157 del 1992,
osservando che esse «non si risolvono in una riduzione della soglia
minima di tutela della fauna selvatica, ma risultano, al contrario,
piu' rigoros[e] rispetto alla disciplina statale, nella direzione
quindi di un legittimo incremento della suddetta protezione minima»,
e che «le norme censurate hanno [...] dato seguito a una tradizione
normativa che [...] ha costantemente caratterizzato, in tema di
specie cacciabili, la disciplina legislativa piemontese, da tempo
connotata da previsioni notevolmente piu' rigorose rispetto a quelle
della legislazione statale».
Poiche' dunque la Giunta regionale, nell'adottare il calendario
venatorio, deve rispettare anche l'art. 2 della legge reg. Piemonte
n. 5 del 2018, ne risulta ulteriormente confermata l'erroneita' del
presupposto interpretativo posto alla base del ricorso.
Pertanto, la questione di legittimita' costituzionale sollevata
in relazione all'art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del
2018, con riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
non e' fondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 7, della
legge della Regione Piemonte 19 giugno 2018, n. 5 (Tutela della fauna
e gestione faunistico-venatoria), promossa dal Presidente del
Consiglio dei ministri, in riferimento all'art. 117, secondo comma,
lettere l) e s), della Costituzione, con il ricorso indicato in
epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5
del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con il
ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5
del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con il
ricorso indicato in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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