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sabato 5 marzo 2011

Legislatura 16 - Risposta all'interrogazione n. 4-00267 Risposta all'interrogazione n. 4-00267 Fascicolo n.33 Risposta. - Il dicastero della giustizia, interpellato per la parte di competenza, ha preliminarmente rappresentato che l’articolo 42-bis del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, introdotto dalla legge finanziaria 24 dicembre 2003, n. 350, prevede che il dipendente pubblico, genitore con figli minori fino a tre anni di età, “può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L’eventuale dissenso deve essere motivato”.


 

 

 

 

Legislatura 16 - Risposta all'interrogazione n. 4-00267



Risposta all'interrogazione n. 4-00267
Fascicolo n.33
 
Risposta. - Il dicastero della giustizia, interpellato per la parte di competenza, ha preliminarmente rappresentato che l’articolo 42-bis del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, introdotto dalla legge finanziaria 24 dicembre 2003, n. 350, prevede che il dipendente pubblico, genitore con figli minori fino a tre anni di età, “può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L’eventuale dissenso deve essere motivato”.
Dalla stessa lettera della disposizione legislativa in disamina, osserva il dicastero, si può rilevare che il diritto del lavoratore non è assoluto ed illimitato, bensì vincolato all’esistenza della vacanza nella medesima figura professionale, oltre che condizionato ad una valutazione di “opportunità” da parte delle differenti amministrazioni interessate, chiamate non solo a contemperare il diritto del singolo con il rispetto dei criteri di economicità e buona amministrazione, ma anche ad evitare che le pur legittime richieste del dipendente vadano a configgere con le esigenze organizzative e la resa funzionale dei servizi che ciascun ufficio deve garantire.
Sotto tale ultimo profilo, appare doveroso rilevare che il Ministero della giustizia non si è limitato a riconoscere il beneficio in questione nei soli casi in cui l’assegnazione riguardasse un’altra amministrazione consenziente ma, in data 27 febbraio 2007, ha siglato con le organizzazioni sindacali un accordo con il quale ha stabilito che l’art. 42-bis del citato decreto si applica anche “per l’assegnazione ad una sede diversa dell’Amministrazione giudiziaria”.
Lo spirito di una tale disposizione, evidentemente ampliativa dell’originario dettato normativo, va ricercato, secondo il suddetto dicastero, invero, proprio nella volontà di garantire il godimento del diritto nel modo più ampio possibile, pur contemperando il suo esercizio con le esigenze dell’amministrazione che, soffrendo di una grave carenza di personale, non si priva dei dipendenti, ma li assegna, nella sede richiesta dal lavoratore, ad uffici giudiziari ove è vacante il posto in organico.
Ne discende che, nella maggior parte dei casi, i dinieghi sono stati opposti dal Ministero ai dipendenti legittimati soltanto in ragione delle preminenti esigenze di servizio degli uffici di provenienza che, per l’elevato numero di vacanze negli organici di quasi tutte le figure professionali previste, avevano grandi difficoltà ad assicurare il normale funzionamento ed avrebbero patito, in caso di sottrazione di unità lavorative, un peggioramento nello svolgimento delle attività lavorative ed un aggravamento delle già esistenti disfunzioni.
Tali dinieghi sono stati espressi, in particolare, per alcune sedi del nord (come Milano e Torino) gravate da una carenza cronica di personale, per gli uffici giudiziari di Palmi, dove pressanti esigenze non hanno consentito di distogliere il personale per assegnarlo altrove, o per alcuni uffici di piccole dimensioni, ove il richiedente rappresentava l’unica unità lavorativa di quel profilo professionale.
In tutti gli altri casi, per i quali le esigenze di servizio non sono risultate ostative, il dicastero ha provveduto a riconoscere il diritto all’assegnazione temporanea di cui al citato art. 42-bis.
Il Ministero dell’interno, per la parte di competenza, ha fatto presente che la ratio della norma di cui all’art. 42-bis è quella di intervenire in favore della famiglia con un provvedimento di temporanea assegnazione del dipendente ad altra sede, salvaguardando, peraltro, contestualmente le esigenze organizzative e funzionali dell’amministrazione pubblica chiamata a verificare in concreto che la concessione del beneficio non rechi pregiudizio per la stessa.
I destinatari della norma sono i genitori con figli minori fino a tre anni dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
Con riferimento al personale dipendente del Ministero dell’interno, la norma trova applicazione con riguardo sia al personale appartenente all’Amministrazione civile in regime di diritto privato, che agli appartenenti alla carriera prefettizia e alla Polizia di Stato, personale in regime di diritto pubblico, di cui all’art. 3 del decreto legislativo citato.
La concessione del predetto beneficio è subordinata alla verifica della sussistenza di due presupposti oggettivi, ossia la presenza di un posto vacante di analoga posizione retributiva ed il previo assenso delle amministrazioni di provenienza e di destinazione. Ne consegue che con riferimento alla posizione giuridica tutelata non può parlarsi di un vero e proprio diritto soggettivo, ma piuttosto di un interesse legittimo che trova concreta attuazione solo a seguito di un procedimento istruttorio dell’amministrazione di appartenenza (che deve concludersi nell’arco di 30 giorni), tenuta a verificare la sussistenza dei suddetti presupposti collegati alla fruizione del beneficio, attraverso una valutazione comparativa delle situazioni organizzative sia della sede di servizio del dipendente che di quella richiesta con l’istanza di assegnazione.
A tutela della posizione del dipendente la norma pone l’obbligo all’amministrazione di motivare adeguatamente l’eventuale diniego. L’esigenza di protezione del lavoratore-genitore ed il diritto del minore ad una crescita equilibrata possono avere concreta realizzazione nella misura in cui non si arrechi un danno concreto e specifico all’ottimale distribuzione delle risorse umane della pubblica amministrazione, per il lasso di tempo in cui viene realizzato il movimento del dipendente (tre anni).
In tal senso si è espressa favorevolmente la magistratura ordinaria che, rigettando i ricorsi proposti da alcuni dipendenti dell’Amministrazione civile, ha sostanzialmente riconosciuto l’adeguatezza della motivazione del dissenso, ritenendo essenziale, ai fini del riconoscimento del beneficio, che ricorressero due condizioni sospensive: la sussistenza di un posto vacante e disponibile e l’assenso delle amministrazioni interessate; altrimenti non avrebbe ragion d’essere la facoltà, concessa dalla norma, da parte dell’amministrazione di esprimere il cosiddetto “dissenso motivato”.
Quest’ultimo scaturisce infatti da una considerazione di tali situazioni organizzative rimesse alla esclusiva valutazione dell’amministrazione che, seppur in presenza di oggettive condizioni, opera una valutazione tecnica che implica un bilanciamento di diversi interessi: da un lato, quello alla tutela della famiglia, dall’altro, la tutela dell’interesse pubblico diretto a garantire l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa.
Il dicastero dell'interno ha inoltre evidenziato che il riferimento, contenuto nell’interrogazione, alle sentenze della magistratura amministrativa sfavorevoli all’amministrazione in tema di assegnazione temporanea non trova alcun riscontro agli atti del Ministero, in quanto non risulta alcun contenzioso promosso dal personale della carriera prefettizia avverso provvedimenti di diniego di assegnazione temporanea, ai sensi del citato art. 42-bis del decreto legislativo n. 151 del 2001. Al riguardo ha fatto presente che, con riferimento al personale contrattualizzato e della carriera prefettizia, si è provveduto ad adottare un diniego motivato esclusivamente nei casi in cui risultavano assenti i presupposti richiesti dalla norma.
Quanto alle Forze di Polizia è prevista la sola mobilità interna, per la quale i criteri oggettivi ed i parametri di valutazione cui far riferimento sono rimessi, nel rispetto della legge speciale che li regola, alla competenza dell’amministrazione di appartenenza.
Inoltre, per effetto dell’istituto della mobilità nell’ambito della medesima amministrazione, il trasferimento di sede non determina vacanza organica, a differenza di quanto previsto nell’art. 42-bis, in base al quale l’applicazione dell’istituto dell’assegnazione temporanea determina una vacanza temporanea nell’organico che rimane indisponibile.
Il Ministero dell’interno ritiene pertanto che l’istituto, essendo riferito ad una mobilità tra amministrazioni pubbliche diverse, non trova applicazione nei confronti del personale appartenente alle Forze di Polizia, essendo queste destinatarie di una legislazione speciale che non consente di transitare temporaneamente in amministrazioni diverse da quella di appartenenza.
Per la Polizia di Stato, in particolare, la legge non prevede alcun tipo di mobilità esterna all’amministrazione, salvo quella derivante dal comando o dal fuori ruolo, vietando l’assegnazione anche temporanea ad uffici o reparti non dipendenti dalle autorità nazionali e provinciali di pubblica sicurezza.
A tal riguardo, il dicastero ha ricordato che l’art. 36 della legge 1° aprile 1981, n. 121, al punto n. XXIII, nel regolare l’ordinamento del personale della Pubblica sicurezza, prevede "l’incentivazione della mobilità dei personale, escludendo nei contempo ogni tipo di mobilità esterna all’Amministrazione, salvo quella derivante dal comando o dai collocamento fuori ruolo".
In tale contesto, l’amministrazione dell’interno ritiene che l’istituto di cui all’art. 42-bis non possa essere applicato nei confronti dei dipendenti della Polizia di Stato, destinatari di una legislazione speciale che non consente di transitare temporaneamente in amministrazioni diverse da quelle di appartenenza.
L’inapplicabilità della norma al personale della Polizia di Stato è stata confermata dalla prima Sezione del Consiglio di Stato con pareri n. 10554/04 del 10 novembre 2004, n. 564/05 del 16 marzo 2005 e n. 1125/06 del 29 marzo 2006.
L’interesse al ricongiungimento familiare deve “coordinarsi con le prevalenti esigenze di rilievo pubblico dei Corpo di Polizia di utilizzazione del personale nelle diverse sedi nel territorio nazionale” (Consiglio di Stato, ordinanza n. 6111/05 in data 13 dicembre 2005).
Inoltre, con parere n. 1125/906 del 29 marzo 2006, il Consiglio di Stato, nel far riferimento all’art. 56 del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335, ha precisato che "essendo preclusa la possibilità di assegnare, anche in via temporanea, il personale della Polizia di Stato ad altre amministrazioni, salvo che negli anzidetti ristretti limiti e nelle forme specificate, va escluso che a tale personale possa essere applicato l’art. 42-bis dei decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151, concernente la temporanea assegnazione presso un'altra amministrazione diversa da quella di appartenenza per motivi personali del dipendente. Il che preclude, altresì, che il citato art. 42-bis possa essere invocato dagli appartenenti alla Polizia di Stato al fine di ottenere la provvisoria assegnazione, fino ad un massimo di tre anni, in una sede diversa da quella di appartenenza nell’ambito di tale amministrazione, essendo la mobilità del personale in questione specificamente disciplinata, con la conseguente inapplicabilità di altre diverse norme".
Si precisa, infine, che l’amministrazione dell’interno, in sede contrattuale, con l’istituto dell’art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 254 del 1999, ha previsto, valutate le esigenze di servizio, la possibilità di concedere al personale che ne abbia fatto richiesta, per gravissimi motivi di carattere personale o familiare adeguatamente documentati, l’assegnazione temporanea ad altra sede di servizio, anche in soprannumero all’organico, per un periodo non superiore a 60 giorni, rinnovabili.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento
VITO
 

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