N. 167 SENTENZA 24 giugno - 27 luglio 2020
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Impiego pubblico - Stipendi del personale non contrattualizzato -
Blocco degli incrementi retributivi dal 2011 al 2015 -
Valorizzazione in quiescenza degli emolumenti pensionabili connessi
alle classi e agli scatti che sarebbero maturati durante il blocco
- Omessa previsione - Denunciata violazione dei principi di
eguaglianza, proporzionalita' e adeguatezza dei trattamenti
pensionistici, nonche' di capacita' contributiva, anche in
relazione a parametri convenzionali - Non fondatezza delle
questioni.
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 21, secondo
periodo; decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con
modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 16, comma
1, lettera b), e integrato dal decreto del Presidente della
Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, art. 1, comma 1, lettera a),
primo periodo); legge 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 256.
- Costituzione, artt. 2, 3, 36, 38, 53 e 117, primo comma; Protocollo
addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 1; Protocollo n. 12
alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, art. 1.
(GU n.31 del 29-7-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21,
secondo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio
2010, n. 122, dell'art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6
luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio
2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo
periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia
di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi
stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16,
commi l, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), dell'art. 1,
comma 256, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 recante «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge di stabilita' 2015)», promossi dalla Corte dei conti, sezione
giurisdizionale regionale per la Lombardia, con ordinanza del 18
gennaio 2019 e dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale
regionale per l'Abruzzo, con ordinanza del 13 maggio 2019, iscritte,
rispettivamente, ai numeri 104 e 169 del registro ordinanze 2019 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 28 e 43,
prima serie speciale, dell'anno 2019.
Visti gli atti di costituzione di S. A. M., di P. B. e altri e
dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nonche' gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
uditi il Giudice relatore Giovanni Amoroso e gli avvocati Andrea
Saccucci per S. A. M., Antonella Patteri per l'INPS, e l'avvocato
dello Stato Leonello Mariani per il Presidente del Consiglio dei
ministri nell'udienza pubblica del 24 giugno 2020, svolta, ai sensi
del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1)
lettere a) e d), in collegamento da remoto, su richiesta
dell'avvocato Andrea Saccucci pervenuta in data 10 giugno 2020 e ai
sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020,
punto 1), lettere a) e c), in collegamento da remoto, senza
discussione orale, in data 24 giugno 2020;
deliberato nella camera di consiglio del 24 giugno 2020.
Ritenuto in fatto
1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la
Lombardia, con ordinanza del 18 gennaio 2019 (r.o. n. 104 del 2019),
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale, per violazione
dell'art. 3 della Costituzione, dell'art. 9, comma 21, secondo
periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio
2010, n. 122, dell'art. 16, comma l, lettera b), del decreto-legge 6
luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio
2011, n. 111, come integrato dall'art. l, comma l, lettera a), primo
periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia
di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi
stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16,
commi l, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), e dell'art.
1, comma 256, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)».
Secondo la Corte dei conti le disposizioni censurate
contrasterebbero con l'art. 3 Cost. nella parte in cui «per il
personale di cui all'art. 3 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni, cessato dal servizio dal 1° gennaio 2011 al
31 dicembre 2017, non prevedono la valorizzazione in quiescenza, a
far data dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili
derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero
spettate in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero
maturati nel periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2015».
Le questioni sono state sollevate nel procedimento promosso da S.
A. M., ufficiale della Guardia di Finanza cessato dal servizio per
limiti di eta' a decorrere dal 26 agosto 2017, contro il Ministero
dell'economia e delle finanze, la Guardia di Finanza e l'Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS), per ottenere
l'annullamento del provvedimento di determinazione della pensione e
la conseguente rideterminazione da effettuarsi tenendo conto delle
progressioni di carriera maturate nel periodo compreso tra il 1°
gennaio 2011 e il 31 dicembre 2014, nonche' delle classi e degli
scatti stipendiali maturati nel periodo compreso tra il 1° gennaio
2011 e il 31 dicembre 2015. L'amministrazione, infatti, aveva
considerato come base di calcolo della contribuzione previdenziale la
retribuzione percepita nell'intervallo di tempo della vigenza della
disciplina censurata.
Il ricorrente ha lamentato che gli effetti della misura,
riverberandosi sul trattamento pensionistico, avrebbero assunto
carattere permanente, in contrasto con il principio, affermato dalla
Corte costituzionale, secondo cui il cosiddetto "blocco retributivo"
e' costituzionalmente legittimo in quanto presenta carattere
eccezionale, transeunte, non arbitrario, in coerenza con lo scopo
prefissato, temporalmente limitato, di contenimento della spesa
pubblica.
Sotto un diverso profilo, il ricorrente ha denunciato la
disparita' di trattamento richiamando la speciale disciplina posta
dall'art. 11, comma 7, del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 94
(Disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del
personale delle Forze armate, ai sensi dell'articolo 1, comma 5,
secondo periodo, della legge 31 dicembre 2012, n. 244), secondo il
quale «gli ufficiali superiori e gli ufficiali generali sono
reinquadrati, a decorrere dal 1° gennaio 2018, nelle rispettive
posizioni economiche, tenendo in considerazione gli anni di servizio
effettivamente prestato», quindi anche sulla base delle classi e
degli scatti maturati nel periodo del cosiddetto "blocco
retributivo".
Pertanto S. A. M. ha domandato alla Corte dei conti, in via
principale, l'accoglimento della domanda di rideterminazione della
pensione, ritenendo possibile un'interpretazione costituzionalmente
orientata delle disposizioni censurate. In subordine, ha chiesto di
sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9,
comma 21, secondo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in
cui non prevede la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla
cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti
dalle progressioni stipendiali automatiche relative alle classi e
agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1° gennaio 2011 al
31 dicembre 2015.
Innanzi alla Corte dei conti si e' costituita la Guardia di
Finanza sostenendo l'irrilevanza ai fini del calcolo della pensione
di incrementi stipendiali non effettivamente percepiti e contestando
la ricorrenza dei presupposti per sollevare le questioni di
legittimita' costituzionale, essendosi questa Corte gia' pronunciata
sul punto.
Si e' costituito l'INPS, eccependo in via pregiudiziale il
difetto di giurisdizione della Corte dei conti quanto alla pretesa
del ricorrente al diverso trattamento stipendiale, nonche' il difetto
di legittimazione passiva dell'Istituto stesso, privo del potere di
valutare la legittimita' degli atti relativi allo status e al
trattamento economico in quiescenza dei dipendenti statali.
All'udienza del 6 novembre 2018, con sentenza parziale n. 1 del
2019, la Corte dei conti, affermata la propria giurisdizione,
ritenuta sussistente la legittimazione passiva dell'INPS, ha
dichiarato l'ammissibilita' del gravame e, ritenuta la non manifesta
infondatezza della questione di costituzionalita' prospettata da
parte ricorrente, ha disposto, con separata ordinanza, la rimessione
degli atti alla Corte costituzionale.
2.- Illustrati i termini del giudizio, il giudice a quo osserva
che, alla luce del vigente quadro normativo, il ricorrente non puo'
ottenere il computo a fini pensionistici delle classi e degli scatti
di stipendio che avrebbe maturato durante la vigenza del blocco
retributivo, la cui legittimita' costituzionale e' stata piu' volte
affermata da questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 96 del 2016).
Il giudice rimettente ricorda che, con la sentenza n. 200 del
2018, la Corte costituzionale ha escluso che il diverso regime
pensionistico spettante a seconda che il soggetto sia cessato dal
servizio nell'arco temporale della «cristallizzazione» degli
incrementi retributivi o dopo la scadenza del quadriennio possa dar
luogo a una disparita' di trattamento lesiva dell'art. 3 Cost.
Tuttavia la Corte dei conti, facendo proprie le argomentazioni svolte
dalla parte ricorrente, ritiene che in seguito all'entrata in vigore
dell'art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017, sia emerso un nuovo
e diverso profilo di illegittimita' costituzionale poiche' tale
disposizione avrebbe eliminato retroattivamente gli effetti
pregiudizievoli del blocco solo a beneficio degli ufficiali generali
e degli ufficiali superiori cessati dal servizio dopo il 1° gennaio
2018, dando luogo a una discriminazione tra categorie omogenee.
Il legislatore, inoltre, avrebbe operato una ingiustificata
discriminazione attribuendo rilevanza unicamente alla data del
pensionamento, ponendosi in contrasto con quanto affermato con la
sentenza n. 200 del 2018, ove si legge che «[u]na volta sterilizzati
ex lege, per effetto della disposizione censurata, gli automatismi
retributivi nel quadriennio in questione, la retribuzione utile ai
fini previdenziali e' quella risultante dall'applicazione di tale
regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del
collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o
successivamente alla sua scadenza».
Il rimettente, infine, denuncia la violazione dell'art. 3 Cost.
sotto il profilo della ragionevolezza per intrinseca
contraddittorieta', assumendo che il contenuto delle disposizioni
impugnate, viziate per eccesso di potere legislativo, contrasti con
la ratio dell'intervento legislativo che - secondo quanto si desume
dall'esame complessivo del quadro normativo, come interpretato dalla
giurisprudenza costituzionale - va ricondotta alla volonta' di
contenere la spesa pubblica mediante l'imposizione di un sacrificio
temporaneo.
3.- Con atto di intervento depositato in data 30 luglio 2019, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto di dichiarare
inammissibili e comunque infondate le questioni di legittimita'
costituzionale sollevate.
La difesa statale osserva che le censure riguardano in realta'
l'art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017, norma non impugnata,
ma considerata per sostenere l'asserita violazione dell'art. 3 Cost.
Muovendo da questa premessa, e affermato il carattere speciale e
derogatorio dell'art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017 rispetto
alla disciplina generale, l'Avvocatura sostiene che il rimettente e'
incorso in un errore logico nel domandare una declaratoria di
incostituzionalita' della norma generale. Infatti, l'accoglimento
della questione comporterebbe l'eliminazione degli effetti del blocco
per tutte le categorie considerate, frustrando cosi' l'intento di
contenimento della spesa pubblica che lo stesso giudice riconosce
come elemento qualificante dell'intera disciplina.
4.- Con atto depositato in data 29 luglio 2019, si e' costituito
l'INPS, che ha contestato l'ammissibilita' e la fondatezza delle
questioni.
Sotto il primo profilo, l'Istituto ha osservato che le questioni
sono gia' state affrontate e risolte dalla Corte costituzionale con
la sentenza n. 200 del 2018.
Nel merito, l'INPS contesta l'interpretazione dell'art. 11, comma
7, del d.lgs. n. 94 del 2017, data dal rimettente, assumendo che
«[l]a norma non e' affatto finalizzata ad eliminare gli effetti del
blocco stipendiale, ma, piu' semplicemente, a razionalizzare la
dinamica retributiva, legata al riordino delle carriere, agganciando
la determinazione della retribuzione ad un dato oggettivo, il numero
degli anni di servizio effettivo dell'Ufficiale». Si tratterebbe, in
altri termini, di una disposizione che prevede un incremento
riconducibile al normale sviluppo, nel tempo, della dinamica
salariale.
5.- Con atto depositato in data 29 luglio 2019, si e' costituito
S. A. M., aderendo alla richiesta declaratoria di illegittimita'
costituzionale avanzata dal giudice rimettente, per le ragioni e i
profili indicati nell'ordinanza.
6.- Con memoria depositata il 31 marzo 2020 il Presidente del
Consiglio dei ministri ha ribadito le proprie difese, evidenziando
che, posta l'identita' della ratio legis, i principi affermati dalla
Corte con la sentenza n. 200 del 2018 in relazione all'art. 9, comma
21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010 sono applicabili anche al
secondo periodo di tale disposizione.
7.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per
l'Abruzzo, con ordinanza del 13 maggio 2019 (r.o. n. 169 del 2019),
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale delle medesime
disposizioni censurate dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale
regionale per la Lombardia, per violazione degli artt. 2, 3, 36, 38,
53 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 1
del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmato a
Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 5
agosto 1955, n. 848, e all'art. 1 del Protocollo n. 12 alla CEDU,
firmato a Roma il 4 novembre 2000.
Espone il rimettente che P. B., S. C., G. N. F., G. M. e M. R.,
ricorrenti nel giudizio a quo, sono cessati dal servizio nel corso
del quinquennio 2011-2015. In applicazione delle disposizioni
censurate, il Ministero della difesa, quale amministrazione di
appartenenza, ha considerato come base di calcolo della contribuzione
previdenziale la retribuzione percepita nell'intervallo di tempo
della vigenza della disciplina censurata, dunque «sulla base della
retribuzione congelata all'ultima classe o scatto maturati prima
dell'inizio del "blocco"».
Le questioni sono state sollevate nel procedimento promosso
contro il Ministero della difesa e l'INPS per ottenere l'annullamento
del provvedimento di determinazione della pensione e la conseguente
rideterminazione da effettuarsi «dalla data di cessazione dal
servizio o, almeno, dal 1° gennaio 2016, da calcolare comprendendo
nella base di computo anche tutti gli automatismi economici spettanti
per ed in relazione al quinquennio 2011-2015».
I ricorrenti hanno poi domandato la «remissione degli atti del
giudizio alla Corte Costituzionale, per la decisione della questione
di legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 2, 3, 36,
38, 53 e 117 della Cost., dell'art. 9, comma 21, secondo periodo, del
d.l. n. 78/2010 e successive proroghe». Al riguardo hanno lamentato
che, interpretando le disposizioni nel senso fatto proprio
dall'amministrazione, gli effetti della misura, producendosi anche
sul trattamento pensionistico, finiscono per assumere carattere
permanente, la' dove, per contro, la manovra, diretta al contenimento
delle spese per il pubblico impiego, ha superato il vaglio di
costituzionalita' (sono citate le sentenze n. 154 del 2014, n. 304 e
n. 310 del 2013 e l'ordinanza n. 113 del 2014), in quanto connotata
da un carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, nonche'
temporalmente limitato dei sacrifici richiesti.
Infine, i ricorrenti hanno denunciato la disparita' di
trattamento conseguente all'entrata in vigore dell'art. 11, comma 7,
del d.lgs. n. 94 del 2017, che consente solo agli ufficiali generali
e agli ufficiali superiori collocati in pensione dopo il 1° gennaio
2018 di ottenere la determinazione della base pensionabile «tenendo
in considerazione gli anni di servizio effettivamente prestato»,
quindi anche sulla base delle classi e degli scatti maturati nel
periodo del blocco retributivo.
Segnatamente, le citate disposizioni vengono ritenute in
contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., per manifesta irragionevolezza e
per ingiustificata disparita' di trattamento in quanto la disciplina
ivi contenuta penalizza il personale cessato dal servizio senza
salvaguardare, «neppure a fini pensionistici, la posizione del
personale "piu' anziano" e, per cio' accidentalmente incappato nel
"blocco" della operativita' degli automatismi stipendiali».
La Corte rimettente richiama poi gli artt. 36 e 38 Cost., in
quanto, a parita' di posizione maturata, la diversita' di trattamento
viola il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantita' e
qualita' del lavoro, nonche' il diritto a un adeguato trattamento
pensionistico.
Anche l'art. 53 Cost. sarebbe violato atteso che il blocco
stipendiale integrerebbe una fattispecie di tributo anomalo.
Infine la Corte rimettente denuncia la violazione dell'art. 117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 del Prot. addiz. CEDU
poiche' le disposizioni censurate avrebbero comportato una privazione
definitiva «del "bene" costituito dagli incrementi retributivi»,
nonche' in relazione all'art. 1 del Prot. n. 12 alla CEDU, sotto il
profilo della discriminazione tra categorie omogenee di soggetti.
8.- Con atto di intervento depositato in data 12 novembre 2019,
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale, ha chiesto di dichiarare infondate le
questioni di legittimita' costituzionale sollevate.
La difesa statale premette che la questione e' gia' stata
affrontata e risolta dalla Corte costituzionale con la sentenza n.
200 del 2018 e che la regola posta dall'art. 11, comma 7, del d.lgs.
n. 94 del 2017, e' in linea con quanto stabilito nella pronuncia ove,
in particolare, si afferma che spetta «al legislatore, nell'esercizio
discrezionale delle scelte di politica economica e di compatibilita'
con l'esigenza di equilibrio della finanza pubblica, prevedere
eventualmente [...] la riliquidazione dei trattamenti pensionistici
dei pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del
blocco degli incrementi stipendiali, e che nello stesso periodo
abbiano conseguito una progressione di carriera o un passaggio a
un'area superiore».
Inoltre, la citata disposizione prevede solo che gli ufficiali
superiori e generali vengano reinquadrati nelle rispettive posizioni
economiche, ma non riconosce il diritto a percepire arretrati.
Dunque, va escluso che il legislatore abbia loro consentito, con
effetto retroattivo, di sottrarsi alle conseguenze del blocco
retributivo.
9.- Con atto depositato in data 12 novembre 2019, si e'
costituito l'INPS, che ha contestato l'ammissibilita' e la fondatezza
delle questioni.
Sotto il primo profilo, l'Istituto ha osservato che il
rimettente, rinviando alle deduzioni svolte dalla parte, non ha
elaborato una motivazione specifica.
Inoltre, posto che la questione e' gia' stata affrontata e
risolta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 200 del 2018,
l'Istituto osserva che il preteso contrasto con l'art. 2 Cost.
sarebbe rimasto comunque privo di motivazione. La presunta violazione
dell'art. 36 Cost. e' gia' stata esclusa dalla giurisprudenza
costituzionale (si ricordano le sentenze n. 304 e n. 310 del 2013, n.
154 del 2014). La censura relativa all'art. 38 Cost. sarebbe generica
in quanto priva di argomentazioni puntuali sull'asserita violazione
dei principi di proporzionalita' e adeguatezza della pensione. Anche
la prospettata violazione dell'art. 53 Cost. sarebbe viziata dalla
genericita'. Infine, quanto alla dedotta lesione dell'art. 117, primo
comma, Cost., l'INPS osserva che la legittimita' costituzionale del
meccanismo posto in essere dal legislatore con il blocco stipendiale,
affermata in termini generali dalla Corte, porta a escludere la
lesione di altri parametri, peraltro, nella specie, motivata in modo
carente.
La questione, poi, sarebbe infondata perche' il rimettente ha
posto in comparazione situazioni diverse, ossia la posizione di
coloro che, alla medesima data, siano ancora in servizio e quella di
coloro che, invece, siano gia' stati collocati in quiescenza.
Inoltre, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.
200 del 2018, non e' possibile tenere conto di una retribuzione
virtuale, non percepita.
10.- Con atto depositato in data 28 ottobre 2019, si sono
costituiti P. B., S. C., G. N. F., G. M. e M. R., aderendo alla
richiesta declaratoria di illegittimita' costituzionale avanzata dal
giudice rimettente, per le ragioni e i profili indicati
nell'ordinanza.
11.- Con memoria depositata il 31 marzo 2020 (comune anche al
giudizio di legittimita' costituzionale promosso con ordinanza
iscritta al n. 104 del r.o. del 2019) il Presidente del Consiglio dei
ministri ha ribadito le proprie difese, dichiarando, inoltre, di
aderire alle deduzioni dell'INPS.
12.- Con memoria depositata il 6 aprile 2020, P. B., S. C., G. N.
F., G. M. e M. R. hanno replicato alle deduzioni articolate dall'INPS
e dal Presidente del Consiglio dei ministri, richiamando, per il
resto, quanto esposto con il precedente scritto difensivo.
13.- La sola difesa della parte privata, costituita nel giudizio
incidentale promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale
per la Lombardia, ha chiesto di decidere la causa in udienza pubblica
con le modalita' "da remoto" previste dal decreto della Presidente
della Corte del 20 aprile 2020, recante misure per l'emergenza da
Covid-19.
Considerato in diritto
1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la
Lombardia, con ordinanza del 18 gennaio 2019 (r.o. n. 104 del 2019)
ha sollevato questioni incidentali di legittimita' costituzionale
della disciplina del blocco degli incrementi retributivi sia
automatici, sia legati a progressioni nella qualifica, nel
quinquennio 2011-2015 e quindi dell'art. 9, comma 21, secondo
periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio
2010, n. 122, dell'art. 16, comma l, lettera b), del decreto-legge 6
luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio
2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo
periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia
di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi
stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16,
commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), nonche'
dell'art. 1, comma 256, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)».
La Corte rimettente lamenta la violazione dell'art. 3 della
Costituzione nella parte in cui tali norme non prevedono - per il
personale di cui all'art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), cessato dal servizio dal 1° gennaio 2011
al 31 dicembre 2017 - la valorizzazione in quiescenza, a far data
dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili,
derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche, in relazione
alle classi e agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1°
gennaio 2011 al 31 dicembre 2015. Il diverso trattamento di
quiescenza sarebbe ingiustificato soprattutto in ragione della
successiva disciplina del reinquadramento, con rilevanza dell'intero
servizio prestato, dettata solo per ufficiali superiori e ufficiali
generali dall'art. 11, comma 7, del decreto legislativo 29 maggio
2017, n. 94 (Disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle
carriere del personale delle Forze armate, ai sensi dell'articolo 1,
comma 5, secondo periodo, della legge 31 dicembre 2012, n. 244). Solo
per tale personale militare sarebbe previsto il recupero, ai fini
pensionistici, degli effetti del blocco stipendiale.
1.1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per
l'Abruzzo, con ordinanza del 13 maggio 2019 (r.o. n. 169 del 2019),
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale delle medesime
disposizioni deducendo - oltre alla violazione dell'art. 3 Cost. -
anche quella degli artt. 2, 36, 38, 53 e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmato a Parigi il 20 marzo 1952,
ratificato e reso esecutivo con legge 5 agosto 1955, n. 848, e
all'art. 1 del Protocollo n. 12 alla CEDU, firmato a Roma il 4
novembre 2000.
Secondo la Corte rimettente sarebbe ingiustificato il diverso
trattamento di quiescenza riservato a chi e' cessato dal servizio
durante l'arco temporale del blocco rispetto a chi, invece, ha
conseguito la pensione prima o dopo il blocco, soprattutto se si
considera che solo per una parte del personale militare (ufficiali
superiori e ufficiali generali) e' stato previsto il reinquadramento
in virtu' del citato art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017.
Cio' si risolverebbe in una violazione del diritto a un adeguato
trattamento pensionistico, correlato a una retribuzione proporzionata
alla quantita' e qualita' del lavoro prestato.
Inoltre il blocco stipendiale integrerebbe una fattispecie di
tributo anomalo, trattandosi di un prelievo straordinario di parte
della retribuzione.
Altresi' - secondo la Corte rimettente - i ricorrenti avrebbero
subito una privazione del «bene» costituito dagli incrementi
retributivi ai quali avrebbero avuto diritto per il quinquennio dal
2011 al 2015, con effetti proiettati anche sul trattamento di
quiescenza, e quindi in via definitiva, con conseguente
ingiustificato trattamento discriminatorio in violazione delle
richiamate norme della CEDU.
2.- I giudizi incidentali promossi con le due ordinanze di
rimessione sono strettamente connessi per l'oggetto, stante
l'identita' delle disposizioni censurate e la parziale
sovrapponibilita' dei parametri evocati, e quindi vanno riuniti per
essere trattati e decisi congiuntamente.
3.- Va preliminarmente rilevata la manifesta inammissibilita'
della censura di violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 1 del Prot. n. 12 CEDU, firmato a Roma il 4
novembre 2000, per l'assorbente ragione della mancata ratifica di
tale Protocollo (cfr. sentenza n. 194 del 2018 con riferimento alla
mancata ratifica di un accordo OIL).
4.- Per il resto, sono ammissibili le sollevate questioni
incidentali di legittimita' costituzionale.
Entrambi i giudici rimettenti devono fare applicazione della
censurata disciplina sul blocco degli automatismi retributivi nel
periodo 2011-2015 per decidere in ordine alla pretesa dei ricorrenti,
nei due giudizi principali, di rideterminazione del trattamento
pensionistico con il calcolo anche degli incrementi stipendiali non
percepiti nel periodo suddetto.
Nel giudizio principale promosso innanzi alla Corte dei conti,
sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, il militare
ricorrente, ufficiale della Guardia di Finanza, e' stato collocato in
quiescenza nel 2017 dopo la cessazione degli effetti del blocco.
La Corte rimettente, all'udienza di precisazione delle
conclusioni del 6 novembre 2018, si era riservata di decidere anche
sulle numerose eccezioni di legittimita' costituzionale della
disciplina del blocco stipendiale sollevate dalla difesa del
ricorrente, che in particolare si rifacevano alle censure gia'
espresse dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per
la Liguria, in una precedente ordinanza di rimessione (ordinanza del
13 gennaio 2017, r.o. n. 71 del 2017). Nelle more della decisione, e'
stata pubblicata la sentenza n. 200 del 2018 di questa Corte che ha
dichiarato non fondate tutte le questioni sollevate in tale
precedente ordinanza, di talche' la Corte dei conti, sezione
giurisdizionale regionale per la Lombardia, investita del giudizio
principale, nel pronunciare anche sentenza parziale sulla propria
giurisdizione, ha contestualmente sollevato questioni di legittimita'
costituzionale della disciplina del blocco stipendiale concentrando e
focalizzando le sue censure, in riferimento all'art. 3 Cost.,
essenzialmente in un profilo che in precedenza non era venuto in
rilievo e di cui si dira' oltre: quello che chiama in causa la
disciplina posta dall'art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017,
sul reinquadramento di ufficiali superiori e ufficiali generali. In
questa piu' circoscritta prospettiva - non considerata dalla
sopravvenuta decisione di questa Corte (sentenza n. 200 del 2018) -
la motivazione della non manifesta infondatezza delle sollevate
questioni di legittimita' costituzionale e' ampiamente sufficiente,
oltre che puntuale.
4.1.- Nel giudizio principale promosso innanzi alla Corte dei
conti, sezione giurisdizionale regionale per l'Abruzzo, i militari
ricorrenti, che chiedono anch'essi la rideterminazione del
trattamento pensionistico, sono cessati dal servizio nel corso del
quinquennio di blocco e quindi parimenti sussiste la rilevanza della
sollevata questione di legittimita' costituzionale.
Anche la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per
l'Abruzzo, nell'enunciare le plurime eccezioni di legittimita'
costituzionale sollevate dalla difesa dei ricorrenti, tiene conto
della sopravvenuta decisione di questa Corte (sentenza n. 200 del
2018). E anch'essa solleva questioni di legittimita' costituzionale
motivando, soprattutto, sulla asserita disparita' di trattamento
(art. 3 Cost.) con riferimento all'art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94
del 2017, quanto al previsto reinquadramento, introdotto dopo il
blocco stipendiale, solo per gli ufficiali superiori e per gli
ufficiali generali; profilo appunto non considerato dalla pronuncia
di questa Corte. Ma, seppur in termini molto sintetici ed
essenzialmente aderendo alle eccezioni sollevate dalla difesa dei
ricorrenti, la Corte rimettente richiama anche gli altri evocati
parametri (artt. 2, 36, 38, 53 e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in riferimento all'art. 1 del Protocollo addizionale n.
1 alla Cedu, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso
esecutivo con legge 5 agosto 1955, n. 848, e all'art. 1 del
Protocollo n. 12 alla CEDU, firmato a Roma il 4 novembre 2000),
assolvendo comunque all'obbligo di motivazione delle censure, che
pertanto sono tutte ammissibili.
5.- Nel merito le sollevate questioni di legittimita'
costituzionale - che costituiscono essenzialmente un seguito di
quelle gia' scrutinate da questa Corte con le sentenze n. 304 e n.
310 del 2013, n. 154 del 2014, n. 96 del 2016, e, da ultimo, con la
gia' richiamata sentenza n. 200 del 2018, tutte di non fondatezza -
sono anch'esse non fondate.
6.- Giova premettere che la regola limitativa degli incrementi
stipendiali e' stata posta dall'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del
2010, che stabilisce: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il
personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, cosi' come previsti dall'articolo
24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli
anni 2011, 2012 e 2013 ancorche' a titolo di acconto, e non danno
comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale
di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e
successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di
progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013
non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti
di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di
cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e
successive modificazioni le progressioni di carriera comunque
denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno
effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per
il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque
denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli
anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini
esclusivamente giuridici».
Tutto il pubblico impiego e' stato coinvolto da questa articolata
regola di conformazione della retribuzione. Infatti, si prevede che
per il pubblico impiego non contrattualizzato la retribuzione e'
determinata senza tener conto ne' dei meccanismi di adeguamento
retributivo - quello di cui all'art. 24 della legge 23 dicembre 1998,
n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo
sviluppo), o altri di progressione automatica degli stipendi - ne'
delle «progressioni di carriera comunque denominate».
Simmetricamente, per il lavoro pubblico contrattualizzato si
stabilisce che la retribuzione e' determinata senza tener conto ne'
delle «progressioni di carriera comunque denominate» (esattamente
come per il pubblico impiego non contrattualizzato) ne' dei passaggi
tra le aree, che sono parimenti assimilabili a progressioni di
carriera.
E' questa la regola complessiva per determinare, in chiave di
contenimento della spesa, la retribuzione "spettante" a tutto il
pubblico impiego, contrattualizzato e non, nel triennio 2011-2013,
regola prorogata all'anno 2014 e poi all'anno 2015. Il blocco e'
quindi durato complessivamente un quinquennio (dal 2011 al 2015).
7.- Questa ampia manovra diretta al contenimento della spesa per
il trattamento stipendiale del pubblico impiego ha superato il vaglio
di costituzionalita', innanzi tutto quanto al congelamento delle
retribuzioni previsto dal comma 21 dell'art. 9 del d.l. n. 78 del
2010 (sentenze n. 96 del 2016, n. 154 del 2014, n. 310 e n. 304 del
2013; ordinanza n. 113 del 2014).
Questa Corte ha dichiarato non fondate varie questioni di
costituzionalita', sollevate con riferimento essenzialmente all'art.
36 Cost. (sentenza n. 304 del 2013). Il legislatore puo'
temporaneamente congelare gli incrementi retributivi che, senza la
regola limitativa posta dall'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del
2010, sarebbero altrimenti spettati ai pubblici dipendenti, sempre
che la retribuzione di risulta assicuri comunque il rispetto del
canone di proporzionalita' e sufficienza di cui all'art. 36 Cost.,
che nella fattispecie non risulta violato.
Con riferimento alla stessa disposizione censurata, ha affermato
questa Corte (sentenza n. 96 del 2016) che «esigenze di politica
economica giustificano interventi che, come quello in esame,
comprimono solo temporaneamente gli effetti retributivi della
progressione in carriera». Ha, quindi, gia' ritenuto che la
limitazione degli incrementi stipendiali sia tale da non
compromettere l'adeguatezza complessiva della retribuzione, sicche'
non vi e' ragione di dubitare della legittimita' di questa regola
legale conformativa della retribuzione dei pubblici dipendenti.
Analogamente sono state ritenute non fondate le questioni
relative alle ricadute "pensionistiche" del blocco stipendiale
(sentenza n. 200 del 2018). Il contenimento della retribuzione nel
periodo suddetto ha comportato, come conseguenza, che la
retribuzione, calcolata con il criterio limitativo in questione, e'
stata anche la base di calcolo della contribuzione previdenziale ed
e' quella rilevante al fine della quantificazione del trattamento
pensionistico, sia nel generalizzato sistema contributivo, sia in
quello residuale ancora retributivo.
Ha osservato questa Corte che il differenziale tra la
retribuzione percepita (perche' "spettante" in ragione del criterio
limitativo suddetto) e quella che altrimenti sarebbe stata percepita
dal pubblico dipendente, ove tale criterio non fosse stato
applicabile, rappresenta una quota di retribuzione virtuale non
rilevante ai fini pensionistici, perche' non spettante ne' percepita.
Manca una disposizione che deroghi a tale effetto naturale della
limitazione legale della retribuzione spettante nel quinquennio in
questione, a differenza di quanto e' invece previsto - come eccezione
alla regola - da altre disposizioni dello stesso censurato art. 9 del
d.l. n. 78 del 2010, sia al comma 2 (secondo cui la riduzione
percentuale delle retribuzioni superiori a una determinata soglia
«non opera ai fini previdenziali»), sia al comma 22, quanto alle
soppressioni di acconti e conguagli per il personale magistratuale,
che parimenti «non opera ai fini previdenziali» e che, comunque, e'
stata ritenuta costituzionalmente illegittima, perche' «eccede i
limiti del raffreddamento delle dinamiche retributive» (sentenza n.
223 del 2012).
Ne', in generale, per il pubblico impiego e' prevista alcuna
contribuzione figurativa su tale quota differenziale, altrimenti
necessaria ove in ipotesi essa dovesse rilevare ai fini
pensionistici.
La ricaduta del blocco stipendiale sui trattamenti di quiescenza
- sia che abbia ad oggetto incrementi retributivi automatici, sia che
concerna miglioramenti stipendiali per progressioni di qualifica - e'
quindi proporzionale alla contribuzione previdenziale sulla
retribuzione effettivamente percepita dal dipendente e non altera il
canone di complessiva adeguatezza delle pensioni di cui all'art. 38,
secondo comma, Cost.
Una volta sterilizzati ex lege, per effetto della normativa
censurata, gli automatismi retributivi nel quinquennio in questione,
la retribuzione utile ai fini previdenziali e' quella risultante
dall'applicazione della predetta regola limitativa, senza che a tal
fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso
del periodo di blocco o successivamente alla sua scadenza.
8.- Innanzi tutto non e' fondata la questione di legittimita'
costituzionale in relazione all'art. 3 Cost.
Il profilo di novita', in riferimento a tale parametro, che
accomuna le due ordinanze di rimessione, e' costituito dall'art. 11,
comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017.
Entrambe le ordinanze di rimessione focalizzano le loro censure
richiamando tale disposizione; la quale, in vero, da una parte non e'
investita da dubbi di legittimita' costituzionale, ne' d'altra parte
puo' dirsi invocata come tertium comparationis, nel senso che le
ordinanze di rimessione non sono dirette, in realta', a estenderne
l'ambito di operativita' si' da renderla applicabile, nei giudizi
principali, anche al fine della (pretesa) riliquidazione del
trattamento pensionistico dei ricorrenti. Esse invece invocano tale
disposizione per trarre argomento a sostegno della censurata mancata
previsione, ritenuta ingiustificata, del ricalcolo, sotto l'aspetto
pensionistico, degli incrementi retributivi non percepiti nel periodo
del blocco stipendiale come conseguenza permanente della
sterilizzazione prevista dalle disposizioni censurate. E infatti, in
particolare, l'ordinanza della Corte dei conti, sezione
giurisdizionale per l'Abruzzo, evidenzia come la sentenza n. 200 del
2018 di questa Corte abbia affermato che «[s]petterebbe comunque al
legislatore, nell'esercizio discrezionale delle scelte di politica
economica e di compatibilita' con l'esigenza di equilibrio della
finanza pubblica, prevedere eventualmente quanto richiede il giudice
rimettente: la riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei
pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del
blocco degli incrementi stipendiali, e che nello stesso periodo
abbiano conseguito una progressione di carriera o un passaggio a
un'area superiore». Evidenzia la Corte rimettente che il legislatore
avrebbe in realta' gia' previsto una misura di riliquidazione dei
trattamenti pensionistici proprio nell'art. 11, comma 7, citato,
limitandola pero' - ingiustificatamente, secondo la prospettazione
della stessa Corte rimettente - in favore di una specifica categoria
di pubblici dipendenti: i militari con qualifica di ufficiale
superiore o ufficiale generale in servizio alla data del 1° gennaio
2018.
9.- In realta' cosi' non e' perche' non c'e' stata questa
predicata rivalutazione, ai fini pensionistici, degli incrementi
retributivi automatici, non percepiti nel periodo del blocco.
Il d.lgs. n. 94 del 2017 e' stato adottato sulla base della legge
31 dicembre 2012, n. 244 (Delega al Governo per la revisione dello
strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia). Tale
legge di delega ha perseguito l'obiettivo di «realizzare un sistema
nazionale di difesa efficace e sostenibile, informato alla stabilita'
programmatica delle risorse finanziarie e a una maggiore
flessibilita' nella rimodulazione delle spese, che assicuri i
necessari livelli di operativita' e la piena integrabilita' dello
strumento militare nei contesti internazionali e nella prospettiva di
una politica di difesa comune europea, per l'assolvimento dei compiti
istituzionali delle Forze armate». A tale scopo e' stata conferita
delega al Governo affinche' adottasse, entro dodici mesi dalla data
di entrata in vigore della legge, due o piu' decreti legislativi per
disciplinare la revisione, in senso riduttivo: a) dell'assetto
strutturale e organizzativo del Ministero della difesa, in
particolare con riferimento allo strumento militare, compresa l'Arma
dei Carabinieri limitatamente ai compiti militari; b) delle dotazioni
organiche complessive del personale militare dell'Esercito italiano,
della Marina militare e dell'Aeronautica militare nell'ottica della
valorizzazione delle relative professionalita'; c) delle dotazioni
organiche complessive del personale civile del Ministero della
difesa, nell'ottica della valorizzazione delle relative
professionalita'.
Il decreto legislativo adottato in attuazione di tale delega (n.
94 del 2017) contiene diverse modifiche e integrazioni al decreto
legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare) e
persegue, nel complesso, lo scopo di realizzare l'equiordinazione
dell'ordinamento delle Forze armate con quello delle Forze di polizia
ad ordinamento civile, secondo i principi e i criteri direttivi
contenuti nella legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in
materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche)
(cosiddetta "Riforma Madia"), che prevede analoga delega per le Forze
di polizia ad ordinamento civile e militare. Tra gli elementi
qualificanti del provvedimento c'e' l'istituzione per gli ufficiali
«di una carriera unitaria e a sviluppo dirigenziale».
In questo contesto sono state riordinate le categorie di militari
e le carriere (art. 1), con disposizioni speciali per alcune
categorie (art. 4 e seguenti) ed e' stato ridefinito il trattamento
economico e previdenziale a regime del personale militare. In
particolare e' stata rimodulata l'entita' degli stipendi del
personale militare, dell'indennita' integrativa speciale e
dell'indennita' dirigenziale, le indennita' operative, nonche' la
parametrazione dello stipendio agli anni di servizio, come anche e'
stato ridefinito il meccanismo della progressione economica
(rispettivamente agli artt. 1810-bis, 1810-ter, 1820, 1822, 1811 e
1811-bis cod. ordinamento militare).
Il decreto legislativo non ha ignorato neppure i profili
pensionistici avendo previsto la pensionabilita' delle misure
economiche suddette (art. 10, comma 2) e ridefinito l'assegno
pensionabile (art. 1817 cod. ordinamento militare).
In questo generale contesto riformatore, successivamente
integrato dal decreto legislativo 27 dicembre 2019, n. 173
(Disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del
personale delle Forze armate, ai sensi dell'articolo 1, commi 2,
lettera a, 3, 4 e 5, della legge 1° dicembre 2018, n. 132), che ha
dettato norme correttive, non rilevanti ai fini che interessano, si
colloca l'art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017 che prevede:
«In fase di prima applicazione del presente decreto legislativo, gli
ufficiali superiori e gli ufficiali generali sono reinquadrati, a
decorrere dal 1° gennaio 2018, nelle rispettive posizioni economiche,
tenendo in considerazione gli anni di servizio effettivamente
prestato, aumentati degli altri periodi giuridicamente computabili ai
fini stipendiali ai sensi della normativa vigente e ridotti dei
periodi di cui all'articolo 858 del codice dell'ordinamento militare,
di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e dei periodi di
aspettativa per motivi di studio nei casi previsti dalla normativa
vigente».
Si tratta di una disposizione transitoria sull'inquadramento
stipendiale degli ufficiali generali e ufficiali superiori, a partire
dal 1° gennaio 2018, in ragione degli anni di servizio effettivamente
prestato e di ogni altro periodo computabile ai fini stipendiali
(classi e scatti).
Tale norma - riconducibile al normale sviluppo, nel tempo, della
dinamica stipendiale - non e' affatto volta a eliminare, per il
passato, gli effetti del blocco degli automatismi retributivi,
previsto dalle disposizioni censurate, quanto, piuttosto, a
razionalizzare, per il futuro, il trattamento economico legato al
riordino delle carriere, agganciando la determinazione della
retribuzione a un dato oggettivo, qual e' il numero degli anni di
servizio effettivo dell'ufficiale. Si tratta essenzialmente di un
reinquadramento retributivo che non tocca affatto la contribuzione ai
fini pensionistici per il periodo del blocco (semmai ci sarebbe solo
un'incidenza limitata, e comunque meramente indiretta, quanto alla
quota retributiva del trattamento pensionistico nella misura in cui
essa ancora residualmente rilevi). In ogni caso si ha che, anche per
questa limitata categoria di personale militare (ufficiali superiori
e ufficiali generali), rimane che la retribuzione pensionabile nel
periodo del blocco stipendiale fa riferimento a quella percepita
senza gli automatismi retributivi, sulla quale e' destinata a essere
calcolata la contribuzione utile al fine della liquidazione della
pensione.
Va quindi ribadito, in conclusione, che in nessun caso - salvo
disposizioni a carattere straordinario e derogatorio (e tale non e'
l'art. 11, comma 7, citato) - e' possibile ottenere un trattamento
pensionistico che prescinda dalla contribuzione effettivamente
versata.
Rimane nella discrezionalita' del legislatore - nelle sue scelte
di politica economica concernenti il livello dei trattamenti
pensionistici nei limiti consentiti dall'esigenza dell'equilibrio dei
bilanci e della sostenibilita' del debito pubblico (art. 97, primo
comma, Cost.) e nel rispetto dei doveri inderogabili di solidarieta'
sociale (art. 2 Cost.) - prevedere, come condizione di miglior
favore, la riliquidazione dei trattamenti di quiescenza includendo
anche la quota di retribuzione che sarebbe spettata ai pubblici
dipendenti in assenza del censurato blocco stipendiale.
10.- Parimenti non fondate sono le questioni di legittimita'
costituzionale in riferimento agli altri parametri, sollevate dalla
sola Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per
l'Abruzzo, in termini assai sintetici, essenzialmente adesivi
all'eccezione di illegittimita' costituzionale della difesa delle
parti ricorrenti.
11.- Non e' violato il principio di adeguatezza del trattamento
pensionistico (art. 38, secondo comma, Cost.) e di sua
proporzionalita' alla retribuzione (art. 36, primo comma, Cost.),
coniugato al principio di solidarieta' sociale (art. 2 Cost.).
Da una parte, al fine di verificare il rispetto di questo
principio occorre considerare il trattamento pensionistico
complessivo e non gia' singoli voci retributive, quali quelle
costituite, nella fattispecie, dagli incrementi retributivi
automatici, congelati per effetto della normativa censurata.
Dall'altra parte, il sistema della previdenza obbligatoria e'
ispirato a un criterio solidaristico (art. 2 Cost.) e non gia'
esclusivamente mutualistico. E' tale connotazione solidaristica che
giustifica e legittima l'obbligatorieta' della contribuzione
previdenziale anche al di la' di una stretta corrispondenza, in
termini di corrispettivita' sinallagmatica, con le prestazioni
pensionistiche.
Il blocco degli automatismi retributivi e degli incrementi
stipendiali in ragione delle progressioni di carriera nel lavoro
pubblico, contrattualizzato e non - oggetto delle censure della Corte
rimettente - risponde a un'esigenza di contenimento della spesa
complessiva per tale personale in modo da assicurare l'equilibrio dei
bilanci e la sostenibilita' del debito pubblico (artt. 81 e 97, primo
comma, Cost.).
Questa Corte ha evidenziato che in generale la garanzia dell'art.
38 Cost. e' «agganciata anche all'art. 36 Cost., ma non in modo
indefettibile e strettamente proporzionale» (sentenza n. 173 del
2016). Ha altresi' sottolineato che il principio di proporzionalita'
e adeguatezza dei trattamenti di quiescenza non comporta
«un'automatica ed integrale coincidenza tra il livello delle pensioni
e l'ultima retribuzione, poiche' e' riservata al legislatore una
sfera di discrezionalita' per l'attuazione» di tale principio
(sentenza n. 70 del 2015). D'altra parte, con riferimento a misure di
contenimento della spesa per i trattamenti retributivi e
pensionistici del personale pubblico, la mancanza di forme di
recupero e l'effetto di cosiddetto «trascinamento» nel tempo delle
misure di blocco e sterilizzazione costituiscono - in difetto di
specifiche disposizioni di segno contrario - conseguenze di tale
scelta discrezionale e non irragionevole del legislatore (sentenza n.
250 del 2017).
12.- Neppure e' violato l'art. 53 Cost. quanto all'obbligo di
concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacita'
contributiva e secondo un criterio di progressivita'.
Va ribadito - come gia' evidenziato da questa Corte (sentenza n.
200 del 2018) - che la censurata disposizione dettata per contenere
la spesa per il pubblico impiego (art. 9, comma 21, del d.l. n. 78
del 2010) pone una regola per conformare la retribuzione spettante al
pubblico dipendente e non prevede affatto un prelievo straordinario
su una retribuzione piu' elevata, che risulterebbe diminuita in
ragione dell'imposizione tributaria. E' stata infatti esclusa
qualsivoglia valenza tributaria del blocco stipendiale con
conseguente infondatezza, in particolare, delle questioni di
costituzionalita' sollevate sulla base di tale presupposto (sentenza
n. 304 del 2013). Ha affermato questa Corte, in tale ultima
pronuncia, che «[l]a norma censurata [...] non ha natura tributaria
in quanto non prevede una decurtazione o un prelievo a carico del
dipendente pubblico» (in senso conforme, con riferimento alla stessa
disposizione, le sentenze n. 96 del 2016 e n. 154 del 2014).
L'articolazione testuale dell'art. 9, comma 21, citato e la sua
evidente ratio confermano l'esclusione della natura tributaria. Si
tratta, invece, di una regola legale conformativa della retribuzione
dei pubblici dipendenti nel quinquennio in questione, che integra,
temporaneamente e in via eccezionale, la disciplina, legale o
contrattuale, del trattamento retributivo per perseguire la finalita'
di contenerne il costo complessivo.
Analogamente questa Corte (sentenze n. 173 del 2016 e n. 70 del
2015) ha escluso che le misure di blocco della rivalutazione
automatica dei trattamenti pensionistici abbiano natura tributaria.
13.- Per una ragione analoga neppure e' violato l'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione all'art. 1 del Prot. addiz. CEDU.
La normativa censurata non ha comportato la privazione di un
"bene" costituito dagli incrementi retributivi sterilizzati perche'
questi in realta' non sono mai entrati nel patrimonio dei pubblici
dipendenti, la cui retribuzione, nel periodo del blocco, non ha
cessato di essere, nel complesso, sufficiente e proporzionata alla
prestazione lavorativa. E' semmai la riduzione di un trattamento
pensionistico che puo' ricadere nell'ambito applicativo dell'evocata
tutela convenzionale (Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza
19 luglio 2018, Aielli ed altri contro Italia e Arboit ed altri
contro Italia), ma non anche il mancato riconoscimento di un piu'
elevato trattamento pensionistico in ragione di una retribuzione non
percepita e non spettante.
14.- In conclusione le questioni di legittimita' costituzionale
vanno dichiarate non fondate in riferimento a tutti gli evocati
parametri.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara la manifesta inammissibilita' delle questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, secondo periodo,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica),
convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122,
dell'art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011,
n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111,
come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del
d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga
del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i
pubblici dipendenti, a norma dell'art. 16, commi 1, 2 e 3, del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), e dell'art. 1, comma 256, della
legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilita' 2015)», sollevate - in riferimento all'art. 117, primo
comma, della Costituzione in relazione all'art. 1 del Protocollo n.
12 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmato a Roma il 4 novembre 2000 -
dalla Corte di conti, sezione giurisdizionale regionale per
l'Abruzzo, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale delle medesime disposizioni, sollevate, in riferimento
all'art. 3 Cost., dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale
regionale per la Lombardia, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale delle medesime disposizioni sollevate, in riferimento
agli artt. 2, 3, 36, 38, 53 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo
in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale CEDU, firmato a
Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 5
agosto 1955, n. 848, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale
regionale per l'Abruzzo, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2020.
Il Cancelliere
F.to: Roberto MILANA
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Impiego pubblico - Stipendi del personale non contrattualizzato -
Blocco degli incrementi retributivi dal 2011 al 2015 -
Valorizzazione in quiescenza degli emolumenti pensionabili connessi
alle classi e agli scatti che sarebbero maturati durante il blocco
- Omessa previsione - Denunciata violazione dei principi di
eguaglianza, proporzionalita' e adeguatezza dei trattamenti
pensionistici, nonche' di capacita' contributiva, anche in
relazione a parametri convenzionali - Non fondatezza delle
questioni.
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 21, secondo
periodo; decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con
modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 16, comma
1, lettera b), e integrato dal decreto del Presidente della
Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, art. 1, comma 1, lettera a),
primo periodo); legge 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 256.
- Costituzione, artt. 2, 3, 36, 38, 53 e 117, primo comma; Protocollo
addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 1; Protocollo n. 12
alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, art. 1.
(GU n.31 del 29-7-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21,
secondo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio
2010, n. 122, dell'art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6
luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio
2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo
periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia
di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi
stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16,
commi l, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), dell'art. 1,
comma 256, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 recante «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge di stabilita' 2015)», promossi dalla Corte dei conti, sezione
giurisdizionale regionale per la Lombardia, con ordinanza del 18
gennaio 2019 e dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale
regionale per l'Abruzzo, con ordinanza del 13 maggio 2019, iscritte,
rispettivamente, ai numeri 104 e 169 del registro ordinanze 2019 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 28 e 43,
prima serie speciale, dell'anno 2019.
Visti gli atti di costituzione di S. A. M., di P. B. e altri e
dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nonche' gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
uditi il Giudice relatore Giovanni Amoroso e gli avvocati Andrea
Saccucci per S. A. M., Antonella Patteri per l'INPS, e l'avvocato
dello Stato Leonello Mariani per il Presidente del Consiglio dei
ministri nell'udienza pubblica del 24 giugno 2020, svolta, ai sensi
del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1)
lettere a) e d), in collegamento da remoto, su richiesta
dell'avvocato Andrea Saccucci pervenuta in data 10 giugno 2020 e ai
sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020,
punto 1), lettere a) e c), in collegamento da remoto, senza
discussione orale, in data 24 giugno 2020;
deliberato nella camera di consiglio del 24 giugno 2020.
Ritenuto in fatto
1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la
Lombardia, con ordinanza del 18 gennaio 2019 (r.o. n. 104 del 2019),
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale, per violazione
dell'art. 3 della Costituzione, dell'art. 9, comma 21, secondo
periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio
2010, n. 122, dell'art. 16, comma l, lettera b), del decreto-legge 6
luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio
2011, n. 111, come integrato dall'art. l, comma l, lettera a), primo
periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia
di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi
stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16,
commi l, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), e dell'art.
1, comma 256, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)».
Secondo la Corte dei conti le disposizioni censurate
contrasterebbero con l'art. 3 Cost. nella parte in cui «per il
personale di cui all'art. 3 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni, cessato dal servizio dal 1° gennaio 2011 al
31 dicembre 2017, non prevedono la valorizzazione in quiescenza, a
far data dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili
derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero
spettate in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero
maturati nel periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2015».
Le questioni sono state sollevate nel procedimento promosso da S.
A. M., ufficiale della Guardia di Finanza cessato dal servizio per
limiti di eta' a decorrere dal 26 agosto 2017, contro il Ministero
dell'economia e delle finanze, la Guardia di Finanza e l'Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS), per ottenere
l'annullamento del provvedimento di determinazione della pensione e
la conseguente rideterminazione da effettuarsi tenendo conto delle
progressioni di carriera maturate nel periodo compreso tra il 1°
gennaio 2011 e il 31 dicembre 2014, nonche' delle classi e degli
scatti stipendiali maturati nel periodo compreso tra il 1° gennaio
2011 e il 31 dicembre 2015. L'amministrazione, infatti, aveva
considerato come base di calcolo della contribuzione previdenziale la
retribuzione percepita nell'intervallo di tempo della vigenza della
disciplina censurata.
Il ricorrente ha lamentato che gli effetti della misura,
riverberandosi sul trattamento pensionistico, avrebbero assunto
carattere permanente, in contrasto con il principio, affermato dalla
Corte costituzionale, secondo cui il cosiddetto "blocco retributivo"
e' costituzionalmente legittimo in quanto presenta carattere
eccezionale, transeunte, non arbitrario, in coerenza con lo scopo
prefissato, temporalmente limitato, di contenimento della spesa
pubblica.
Sotto un diverso profilo, il ricorrente ha denunciato la
disparita' di trattamento richiamando la speciale disciplina posta
dall'art. 11, comma 7, del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 94
(Disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del
personale delle Forze armate, ai sensi dell'articolo 1, comma 5,
secondo periodo, della legge 31 dicembre 2012, n. 244), secondo il
quale «gli ufficiali superiori e gli ufficiali generali sono
reinquadrati, a decorrere dal 1° gennaio 2018, nelle rispettive
posizioni economiche, tenendo in considerazione gli anni di servizio
effettivamente prestato», quindi anche sulla base delle classi e
degli scatti maturati nel periodo del cosiddetto "blocco
retributivo".
Pertanto S. A. M. ha domandato alla Corte dei conti, in via
principale, l'accoglimento della domanda di rideterminazione della
pensione, ritenendo possibile un'interpretazione costituzionalmente
orientata delle disposizioni censurate. In subordine, ha chiesto di
sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9,
comma 21, secondo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in
cui non prevede la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla
cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti
dalle progressioni stipendiali automatiche relative alle classi e
agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1° gennaio 2011 al
31 dicembre 2015.
Innanzi alla Corte dei conti si e' costituita la Guardia di
Finanza sostenendo l'irrilevanza ai fini del calcolo della pensione
di incrementi stipendiali non effettivamente percepiti e contestando
la ricorrenza dei presupposti per sollevare le questioni di
legittimita' costituzionale, essendosi questa Corte gia' pronunciata
sul punto.
Si e' costituito l'INPS, eccependo in via pregiudiziale il
difetto di giurisdizione della Corte dei conti quanto alla pretesa
del ricorrente al diverso trattamento stipendiale, nonche' il difetto
di legittimazione passiva dell'Istituto stesso, privo del potere di
valutare la legittimita' degli atti relativi allo status e al
trattamento economico in quiescenza dei dipendenti statali.
All'udienza del 6 novembre 2018, con sentenza parziale n. 1 del
2019, la Corte dei conti, affermata la propria giurisdizione,
ritenuta sussistente la legittimazione passiva dell'INPS, ha
dichiarato l'ammissibilita' del gravame e, ritenuta la non manifesta
infondatezza della questione di costituzionalita' prospettata da
parte ricorrente, ha disposto, con separata ordinanza, la rimessione
degli atti alla Corte costituzionale.
2.- Illustrati i termini del giudizio, il giudice a quo osserva
che, alla luce del vigente quadro normativo, il ricorrente non puo'
ottenere il computo a fini pensionistici delle classi e degli scatti
di stipendio che avrebbe maturato durante la vigenza del blocco
retributivo, la cui legittimita' costituzionale e' stata piu' volte
affermata da questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 96 del 2016).
Il giudice rimettente ricorda che, con la sentenza n. 200 del
2018, la Corte costituzionale ha escluso che il diverso regime
pensionistico spettante a seconda che il soggetto sia cessato dal
servizio nell'arco temporale della «cristallizzazione» degli
incrementi retributivi o dopo la scadenza del quadriennio possa dar
luogo a una disparita' di trattamento lesiva dell'art. 3 Cost.
Tuttavia la Corte dei conti, facendo proprie le argomentazioni svolte
dalla parte ricorrente, ritiene che in seguito all'entrata in vigore
dell'art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017, sia emerso un nuovo
e diverso profilo di illegittimita' costituzionale poiche' tale
disposizione avrebbe eliminato retroattivamente gli effetti
pregiudizievoli del blocco solo a beneficio degli ufficiali generali
e degli ufficiali superiori cessati dal servizio dopo il 1° gennaio
2018, dando luogo a una discriminazione tra categorie omogenee.
Il legislatore, inoltre, avrebbe operato una ingiustificata
discriminazione attribuendo rilevanza unicamente alla data del
pensionamento, ponendosi in contrasto con quanto affermato con la
sentenza n. 200 del 2018, ove si legge che «[u]na volta sterilizzati
ex lege, per effetto della disposizione censurata, gli automatismi
retributivi nel quadriennio in questione, la retribuzione utile ai
fini previdenziali e' quella risultante dall'applicazione di tale
regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del
collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o
successivamente alla sua scadenza».
Il rimettente, infine, denuncia la violazione dell'art. 3 Cost.
sotto il profilo della ragionevolezza per intrinseca
contraddittorieta', assumendo che il contenuto delle disposizioni
impugnate, viziate per eccesso di potere legislativo, contrasti con
la ratio dell'intervento legislativo che - secondo quanto si desume
dall'esame complessivo del quadro normativo, come interpretato dalla
giurisprudenza costituzionale - va ricondotta alla volonta' di
contenere la spesa pubblica mediante l'imposizione di un sacrificio
temporaneo.
3.- Con atto di intervento depositato in data 30 luglio 2019, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto di dichiarare
inammissibili e comunque infondate le questioni di legittimita'
costituzionale sollevate.
La difesa statale osserva che le censure riguardano in realta'
l'art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017, norma non impugnata,
ma considerata per sostenere l'asserita violazione dell'art. 3 Cost.
Muovendo da questa premessa, e affermato il carattere speciale e
derogatorio dell'art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017 rispetto
alla disciplina generale, l'Avvocatura sostiene che il rimettente e'
incorso in un errore logico nel domandare una declaratoria di
incostituzionalita' della norma generale. Infatti, l'accoglimento
della questione comporterebbe l'eliminazione degli effetti del blocco
per tutte le categorie considerate, frustrando cosi' l'intento di
contenimento della spesa pubblica che lo stesso giudice riconosce
come elemento qualificante dell'intera disciplina.
4.- Con atto depositato in data 29 luglio 2019, si e' costituito
l'INPS, che ha contestato l'ammissibilita' e la fondatezza delle
questioni.
Sotto il primo profilo, l'Istituto ha osservato che le questioni
sono gia' state affrontate e risolte dalla Corte costituzionale con
la sentenza n. 200 del 2018.
Nel merito, l'INPS contesta l'interpretazione dell'art. 11, comma
7, del d.lgs. n. 94 del 2017, data dal rimettente, assumendo che
«[l]a norma non e' affatto finalizzata ad eliminare gli effetti del
blocco stipendiale, ma, piu' semplicemente, a razionalizzare la
dinamica retributiva, legata al riordino delle carriere, agganciando
la determinazione della retribuzione ad un dato oggettivo, il numero
degli anni di servizio effettivo dell'Ufficiale». Si tratterebbe, in
altri termini, di una disposizione che prevede un incremento
riconducibile al normale sviluppo, nel tempo, della dinamica
salariale.
5.- Con atto depositato in data 29 luglio 2019, si e' costituito
S. A. M., aderendo alla richiesta declaratoria di illegittimita'
costituzionale avanzata dal giudice rimettente, per le ragioni e i
profili indicati nell'ordinanza.
6.- Con memoria depositata il 31 marzo 2020 il Presidente del
Consiglio dei ministri ha ribadito le proprie difese, evidenziando
che, posta l'identita' della ratio legis, i principi affermati dalla
Corte con la sentenza n. 200 del 2018 in relazione all'art. 9, comma
21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010 sono applicabili anche al
secondo periodo di tale disposizione.
7.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per
l'Abruzzo, con ordinanza del 13 maggio 2019 (r.o. n. 169 del 2019),
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale delle medesime
disposizioni censurate dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale
regionale per la Lombardia, per violazione degli artt. 2, 3, 36, 38,
53 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 1
del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmato a
Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 5
agosto 1955, n. 848, e all'art. 1 del Protocollo n. 12 alla CEDU,
firmato a Roma il 4 novembre 2000.
Espone il rimettente che P. B., S. C., G. N. F., G. M. e M. R.,
ricorrenti nel giudizio a quo, sono cessati dal servizio nel corso
del quinquennio 2011-2015. In applicazione delle disposizioni
censurate, il Ministero della difesa, quale amministrazione di
appartenenza, ha considerato come base di calcolo della contribuzione
previdenziale la retribuzione percepita nell'intervallo di tempo
della vigenza della disciplina censurata, dunque «sulla base della
retribuzione congelata all'ultima classe o scatto maturati prima
dell'inizio del "blocco"».
Le questioni sono state sollevate nel procedimento promosso
contro il Ministero della difesa e l'INPS per ottenere l'annullamento
del provvedimento di determinazione della pensione e la conseguente
rideterminazione da effettuarsi «dalla data di cessazione dal
servizio o, almeno, dal 1° gennaio 2016, da calcolare comprendendo
nella base di computo anche tutti gli automatismi economici spettanti
per ed in relazione al quinquennio 2011-2015».
I ricorrenti hanno poi domandato la «remissione degli atti del
giudizio alla Corte Costituzionale, per la decisione della questione
di legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 2, 3, 36,
38, 53 e 117 della Cost., dell'art. 9, comma 21, secondo periodo, del
d.l. n. 78/2010 e successive proroghe». Al riguardo hanno lamentato
che, interpretando le disposizioni nel senso fatto proprio
dall'amministrazione, gli effetti della misura, producendosi anche
sul trattamento pensionistico, finiscono per assumere carattere
permanente, la' dove, per contro, la manovra, diretta al contenimento
delle spese per il pubblico impiego, ha superato il vaglio di
costituzionalita' (sono citate le sentenze n. 154 del 2014, n. 304 e
n. 310 del 2013 e l'ordinanza n. 113 del 2014), in quanto connotata
da un carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, nonche'
temporalmente limitato dei sacrifici richiesti.
Infine, i ricorrenti hanno denunciato la disparita' di
trattamento conseguente all'entrata in vigore dell'art. 11, comma 7,
del d.lgs. n. 94 del 2017, che consente solo agli ufficiali generali
e agli ufficiali superiori collocati in pensione dopo il 1° gennaio
2018 di ottenere la determinazione della base pensionabile «tenendo
in considerazione gli anni di servizio effettivamente prestato»,
quindi anche sulla base delle classi e degli scatti maturati nel
periodo del blocco retributivo.
Segnatamente, le citate disposizioni vengono ritenute in
contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., per manifesta irragionevolezza e
per ingiustificata disparita' di trattamento in quanto la disciplina
ivi contenuta penalizza il personale cessato dal servizio senza
salvaguardare, «neppure a fini pensionistici, la posizione del
personale "piu' anziano" e, per cio' accidentalmente incappato nel
"blocco" della operativita' degli automatismi stipendiali».
La Corte rimettente richiama poi gli artt. 36 e 38 Cost., in
quanto, a parita' di posizione maturata, la diversita' di trattamento
viola il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantita' e
qualita' del lavoro, nonche' il diritto a un adeguato trattamento
pensionistico.
Anche l'art. 53 Cost. sarebbe violato atteso che il blocco
stipendiale integrerebbe una fattispecie di tributo anomalo.
Infine la Corte rimettente denuncia la violazione dell'art. 117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 del Prot. addiz. CEDU
poiche' le disposizioni censurate avrebbero comportato una privazione
definitiva «del "bene" costituito dagli incrementi retributivi»,
nonche' in relazione all'art. 1 del Prot. n. 12 alla CEDU, sotto il
profilo della discriminazione tra categorie omogenee di soggetti.
8.- Con atto di intervento depositato in data 12 novembre 2019,
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale, ha chiesto di dichiarare infondate le
questioni di legittimita' costituzionale sollevate.
La difesa statale premette che la questione e' gia' stata
affrontata e risolta dalla Corte costituzionale con la sentenza n.
200 del 2018 e che la regola posta dall'art. 11, comma 7, del d.lgs.
n. 94 del 2017, e' in linea con quanto stabilito nella pronuncia ove,
in particolare, si afferma che spetta «al legislatore, nell'esercizio
discrezionale delle scelte di politica economica e di compatibilita'
con l'esigenza di equilibrio della finanza pubblica, prevedere
eventualmente [...] la riliquidazione dei trattamenti pensionistici
dei pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del
blocco degli incrementi stipendiali, e che nello stesso periodo
abbiano conseguito una progressione di carriera o un passaggio a
un'area superiore».
Inoltre, la citata disposizione prevede solo che gli ufficiali
superiori e generali vengano reinquadrati nelle rispettive posizioni
economiche, ma non riconosce il diritto a percepire arretrati.
Dunque, va escluso che il legislatore abbia loro consentito, con
effetto retroattivo, di sottrarsi alle conseguenze del blocco
retributivo.
9.- Con atto depositato in data 12 novembre 2019, si e'
costituito l'INPS, che ha contestato l'ammissibilita' e la fondatezza
delle questioni.
Sotto il primo profilo, l'Istituto ha osservato che il
rimettente, rinviando alle deduzioni svolte dalla parte, non ha
elaborato una motivazione specifica.
Inoltre, posto che la questione e' gia' stata affrontata e
risolta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 200 del 2018,
l'Istituto osserva che il preteso contrasto con l'art. 2 Cost.
sarebbe rimasto comunque privo di motivazione. La presunta violazione
dell'art. 36 Cost. e' gia' stata esclusa dalla giurisprudenza
costituzionale (si ricordano le sentenze n. 304 e n. 310 del 2013, n.
154 del 2014). La censura relativa all'art. 38 Cost. sarebbe generica
in quanto priva di argomentazioni puntuali sull'asserita violazione
dei principi di proporzionalita' e adeguatezza della pensione. Anche
la prospettata violazione dell'art. 53 Cost. sarebbe viziata dalla
genericita'. Infine, quanto alla dedotta lesione dell'art. 117, primo
comma, Cost., l'INPS osserva che la legittimita' costituzionale del
meccanismo posto in essere dal legislatore con il blocco stipendiale,
affermata in termini generali dalla Corte, porta a escludere la
lesione di altri parametri, peraltro, nella specie, motivata in modo
carente.
La questione, poi, sarebbe infondata perche' il rimettente ha
posto in comparazione situazioni diverse, ossia la posizione di
coloro che, alla medesima data, siano ancora in servizio e quella di
coloro che, invece, siano gia' stati collocati in quiescenza.
Inoltre, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.
200 del 2018, non e' possibile tenere conto di una retribuzione
virtuale, non percepita.
10.- Con atto depositato in data 28 ottobre 2019, si sono
costituiti P. B., S. C., G. N. F., G. M. e M. R., aderendo alla
richiesta declaratoria di illegittimita' costituzionale avanzata dal
giudice rimettente, per le ragioni e i profili indicati
nell'ordinanza.
11.- Con memoria depositata il 31 marzo 2020 (comune anche al
giudizio di legittimita' costituzionale promosso con ordinanza
iscritta al n. 104 del r.o. del 2019) il Presidente del Consiglio dei
ministri ha ribadito le proprie difese, dichiarando, inoltre, di
aderire alle deduzioni dell'INPS.
12.- Con memoria depositata il 6 aprile 2020, P. B., S. C., G. N.
F., G. M. e M. R. hanno replicato alle deduzioni articolate dall'INPS
e dal Presidente del Consiglio dei ministri, richiamando, per il
resto, quanto esposto con il precedente scritto difensivo.
13.- La sola difesa della parte privata, costituita nel giudizio
incidentale promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale
per la Lombardia, ha chiesto di decidere la causa in udienza pubblica
con le modalita' "da remoto" previste dal decreto della Presidente
della Corte del 20 aprile 2020, recante misure per l'emergenza da
Covid-19.
Considerato in diritto
1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la
Lombardia, con ordinanza del 18 gennaio 2019 (r.o. n. 104 del 2019)
ha sollevato questioni incidentali di legittimita' costituzionale
della disciplina del blocco degli incrementi retributivi sia
automatici, sia legati a progressioni nella qualifica, nel
quinquennio 2011-2015 e quindi dell'art. 9, comma 21, secondo
periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio
2010, n. 122, dell'art. 16, comma l, lettera b), del decreto-legge 6
luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio
2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo
periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia
di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi
stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16,
commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), nonche'
dell'art. 1, comma 256, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)».
La Corte rimettente lamenta la violazione dell'art. 3 della
Costituzione nella parte in cui tali norme non prevedono - per il
personale di cui all'art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), cessato dal servizio dal 1° gennaio 2011
al 31 dicembre 2017 - la valorizzazione in quiescenza, a far data
dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili,
derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche, in relazione
alle classi e agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1°
gennaio 2011 al 31 dicembre 2015. Il diverso trattamento di
quiescenza sarebbe ingiustificato soprattutto in ragione della
successiva disciplina del reinquadramento, con rilevanza dell'intero
servizio prestato, dettata solo per ufficiali superiori e ufficiali
generali dall'art. 11, comma 7, del decreto legislativo 29 maggio
2017, n. 94 (Disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle
carriere del personale delle Forze armate, ai sensi dell'articolo 1,
comma 5, secondo periodo, della legge 31 dicembre 2012, n. 244). Solo
per tale personale militare sarebbe previsto il recupero, ai fini
pensionistici, degli effetti del blocco stipendiale.
1.1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per
l'Abruzzo, con ordinanza del 13 maggio 2019 (r.o. n. 169 del 2019),
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale delle medesime
disposizioni deducendo - oltre alla violazione dell'art. 3 Cost. -
anche quella degli artt. 2, 36, 38, 53 e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmato a Parigi il 20 marzo 1952,
ratificato e reso esecutivo con legge 5 agosto 1955, n. 848, e
all'art. 1 del Protocollo n. 12 alla CEDU, firmato a Roma il 4
novembre 2000.
Secondo la Corte rimettente sarebbe ingiustificato il diverso
trattamento di quiescenza riservato a chi e' cessato dal servizio
durante l'arco temporale del blocco rispetto a chi, invece, ha
conseguito la pensione prima o dopo il blocco, soprattutto se si
considera che solo per una parte del personale militare (ufficiali
superiori e ufficiali generali) e' stato previsto il reinquadramento
in virtu' del citato art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017.
Cio' si risolverebbe in una violazione del diritto a un adeguato
trattamento pensionistico, correlato a una retribuzione proporzionata
alla quantita' e qualita' del lavoro prestato.
Inoltre il blocco stipendiale integrerebbe una fattispecie di
tributo anomalo, trattandosi di un prelievo straordinario di parte
della retribuzione.
Altresi' - secondo la Corte rimettente - i ricorrenti avrebbero
subito una privazione del «bene» costituito dagli incrementi
retributivi ai quali avrebbero avuto diritto per il quinquennio dal
2011 al 2015, con effetti proiettati anche sul trattamento di
quiescenza, e quindi in via definitiva, con conseguente
ingiustificato trattamento discriminatorio in violazione delle
richiamate norme della CEDU.
2.- I giudizi incidentali promossi con le due ordinanze di
rimessione sono strettamente connessi per l'oggetto, stante
l'identita' delle disposizioni censurate e la parziale
sovrapponibilita' dei parametri evocati, e quindi vanno riuniti per
essere trattati e decisi congiuntamente.
3.- Va preliminarmente rilevata la manifesta inammissibilita'
della censura di violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 1 del Prot. n. 12 CEDU, firmato a Roma il 4
novembre 2000, per l'assorbente ragione della mancata ratifica di
tale Protocollo (cfr. sentenza n. 194 del 2018 con riferimento alla
mancata ratifica di un accordo OIL).
4.- Per il resto, sono ammissibili le sollevate questioni
incidentali di legittimita' costituzionale.
Entrambi i giudici rimettenti devono fare applicazione della
censurata disciplina sul blocco degli automatismi retributivi nel
periodo 2011-2015 per decidere in ordine alla pretesa dei ricorrenti,
nei due giudizi principali, di rideterminazione del trattamento
pensionistico con il calcolo anche degli incrementi stipendiali non
percepiti nel periodo suddetto.
Nel giudizio principale promosso innanzi alla Corte dei conti,
sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, il militare
ricorrente, ufficiale della Guardia di Finanza, e' stato collocato in
quiescenza nel 2017 dopo la cessazione degli effetti del blocco.
La Corte rimettente, all'udienza di precisazione delle
conclusioni del 6 novembre 2018, si era riservata di decidere anche
sulle numerose eccezioni di legittimita' costituzionale della
disciplina del blocco stipendiale sollevate dalla difesa del
ricorrente, che in particolare si rifacevano alle censure gia'
espresse dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per
la Liguria, in una precedente ordinanza di rimessione (ordinanza del
13 gennaio 2017, r.o. n. 71 del 2017). Nelle more della decisione, e'
stata pubblicata la sentenza n. 200 del 2018 di questa Corte che ha
dichiarato non fondate tutte le questioni sollevate in tale
precedente ordinanza, di talche' la Corte dei conti, sezione
giurisdizionale regionale per la Lombardia, investita del giudizio
principale, nel pronunciare anche sentenza parziale sulla propria
giurisdizione, ha contestualmente sollevato questioni di legittimita'
costituzionale della disciplina del blocco stipendiale concentrando e
focalizzando le sue censure, in riferimento all'art. 3 Cost.,
essenzialmente in un profilo che in precedenza non era venuto in
rilievo e di cui si dira' oltre: quello che chiama in causa la
disciplina posta dall'art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017,
sul reinquadramento di ufficiali superiori e ufficiali generali. In
questa piu' circoscritta prospettiva - non considerata dalla
sopravvenuta decisione di questa Corte (sentenza n. 200 del 2018) -
la motivazione della non manifesta infondatezza delle sollevate
questioni di legittimita' costituzionale e' ampiamente sufficiente,
oltre che puntuale.
4.1.- Nel giudizio principale promosso innanzi alla Corte dei
conti, sezione giurisdizionale regionale per l'Abruzzo, i militari
ricorrenti, che chiedono anch'essi la rideterminazione del
trattamento pensionistico, sono cessati dal servizio nel corso del
quinquennio di blocco e quindi parimenti sussiste la rilevanza della
sollevata questione di legittimita' costituzionale.
Anche la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per
l'Abruzzo, nell'enunciare le plurime eccezioni di legittimita'
costituzionale sollevate dalla difesa dei ricorrenti, tiene conto
della sopravvenuta decisione di questa Corte (sentenza n. 200 del
2018). E anch'essa solleva questioni di legittimita' costituzionale
motivando, soprattutto, sulla asserita disparita' di trattamento
(art. 3 Cost.) con riferimento all'art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94
del 2017, quanto al previsto reinquadramento, introdotto dopo il
blocco stipendiale, solo per gli ufficiali superiori e per gli
ufficiali generali; profilo appunto non considerato dalla pronuncia
di questa Corte. Ma, seppur in termini molto sintetici ed
essenzialmente aderendo alle eccezioni sollevate dalla difesa dei
ricorrenti, la Corte rimettente richiama anche gli altri evocati
parametri (artt. 2, 36, 38, 53 e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in riferimento all'art. 1 del Protocollo addizionale n.
1 alla Cedu, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso
esecutivo con legge 5 agosto 1955, n. 848, e all'art. 1 del
Protocollo n. 12 alla CEDU, firmato a Roma il 4 novembre 2000),
assolvendo comunque all'obbligo di motivazione delle censure, che
pertanto sono tutte ammissibili.
5.- Nel merito le sollevate questioni di legittimita'
costituzionale - che costituiscono essenzialmente un seguito di
quelle gia' scrutinate da questa Corte con le sentenze n. 304 e n.
310 del 2013, n. 154 del 2014, n. 96 del 2016, e, da ultimo, con la
gia' richiamata sentenza n. 200 del 2018, tutte di non fondatezza -
sono anch'esse non fondate.
6.- Giova premettere che la regola limitativa degli incrementi
stipendiali e' stata posta dall'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del
2010, che stabilisce: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il
personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, cosi' come previsti dall'articolo
24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli
anni 2011, 2012 e 2013 ancorche' a titolo di acconto, e non danno
comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale
di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e
successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di
progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013
non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti
di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di
cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e
successive modificazioni le progressioni di carriera comunque
denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno
effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per
il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque
denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli
anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini
esclusivamente giuridici».
Tutto il pubblico impiego e' stato coinvolto da questa articolata
regola di conformazione della retribuzione. Infatti, si prevede che
per il pubblico impiego non contrattualizzato la retribuzione e'
determinata senza tener conto ne' dei meccanismi di adeguamento
retributivo - quello di cui all'art. 24 della legge 23 dicembre 1998,
n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo
sviluppo), o altri di progressione automatica degli stipendi - ne'
delle «progressioni di carriera comunque denominate».
Simmetricamente, per il lavoro pubblico contrattualizzato si
stabilisce che la retribuzione e' determinata senza tener conto ne'
delle «progressioni di carriera comunque denominate» (esattamente
come per il pubblico impiego non contrattualizzato) ne' dei passaggi
tra le aree, che sono parimenti assimilabili a progressioni di
carriera.
E' questa la regola complessiva per determinare, in chiave di
contenimento della spesa, la retribuzione "spettante" a tutto il
pubblico impiego, contrattualizzato e non, nel triennio 2011-2013,
regola prorogata all'anno 2014 e poi all'anno 2015. Il blocco e'
quindi durato complessivamente un quinquennio (dal 2011 al 2015).
7.- Questa ampia manovra diretta al contenimento della spesa per
il trattamento stipendiale del pubblico impiego ha superato il vaglio
di costituzionalita', innanzi tutto quanto al congelamento delle
retribuzioni previsto dal comma 21 dell'art. 9 del d.l. n. 78 del
2010 (sentenze n. 96 del 2016, n. 154 del 2014, n. 310 e n. 304 del
2013; ordinanza n. 113 del 2014).
Questa Corte ha dichiarato non fondate varie questioni di
costituzionalita', sollevate con riferimento essenzialmente all'art.
36 Cost. (sentenza n. 304 del 2013). Il legislatore puo'
temporaneamente congelare gli incrementi retributivi che, senza la
regola limitativa posta dall'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del
2010, sarebbero altrimenti spettati ai pubblici dipendenti, sempre
che la retribuzione di risulta assicuri comunque il rispetto del
canone di proporzionalita' e sufficienza di cui all'art. 36 Cost.,
che nella fattispecie non risulta violato.
Con riferimento alla stessa disposizione censurata, ha affermato
questa Corte (sentenza n. 96 del 2016) che «esigenze di politica
economica giustificano interventi che, come quello in esame,
comprimono solo temporaneamente gli effetti retributivi della
progressione in carriera». Ha, quindi, gia' ritenuto che la
limitazione degli incrementi stipendiali sia tale da non
compromettere l'adeguatezza complessiva della retribuzione, sicche'
non vi e' ragione di dubitare della legittimita' di questa regola
legale conformativa della retribuzione dei pubblici dipendenti.
Analogamente sono state ritenute non fondate le questioni
relative alle ricadute "pensionistiche" del blocco stipendiale
(sentenza n. 200 del 2018). Il contenimento della retribuzione nel
periodo suddetto ha comportato, come conseguenza, che la
retribuzione, calcolata con il criterio limitativo in questione, e'
stata anche la base di calcolo della contribuzione previdenziale ed
e' quella rilevante al fine della quantificazione del trattamento
pensionistico, sia nel generalizzato sistema contributivo, sia in
quello residuale ancora retributivo.
Ha osservato questa Corte che il differenziale tra la
retribuzione percepita (perche' "spettante" in ragione del criterio
limitativo suddetto) e quella che altrimenti sarebbe stata percepita
dal pubblico dipendente, ove tale criterio non fosse stato
applicabile, rappresenta una quota di retribuzione virtuale non
rilevante ai fini pensionistici, perche' non spettante ne' percepita.
Manca una disposizione che deroghi a tale effetto naturale della
limitazione legale della retribuzione spettante nel quinquennio in
questione, a differenza di quanto e' invece previsto - come eccezione
alla regola - da altre disposizioni dello stesso censurato art. 9 del
d.l. n. 78 del 2010, sia al comma 2 (secondo cui la riduzione
percentuale delle retribuzioni superiori a una determinata soglia
«non opera ai fini previdenziali»), sia al comma 22, quanto alle
soppressioni di acconti e conguagli per il personale magistratuale,
che parimenti «non opera ai fini previdenziali» e che, comunque, e'
stata ritenuta costituzionalmente illegittima, perche' «eccede i
limiti del raffreddamento delle dinamiche retributive» (sentenza n.
223 del 2012).
Ne', in generale, per il pubblico impiego e' prevista alcuna
contribuzione figurativa su tale quota differenziale, altrimenti
necessaria ove in ipotesi essa dovesse rilevare ai fini
pensionistici.
La ricaduta del blocco stipendiale sui trattamenti di quiescenza
- sia che abbia ad oggetto incrementi retributivi automatici, sia che
concerna miglioramenti stipendiali per progressioni di qualifica - e'
quindi proporzionale alla contribuzione previdenziale sulla
retribuzione effettivamente percepita dal dipendente e non altera il
canone di complessiva adeguatezza delle pensioni di cui all'art. 38,
secondo comma, Cost.
Una volta sterilizzati ex lege, per effetto della normativa
censurata, gli automatismi retributivi nel quinquennio in questione,
la retribuzione utile ai fini previdenziali e' quella risultante
dall'applicazione della predetta regola limitativa, senza che a tal
fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso
del periodo di blocco o successivamente alla sua scadenza.
8.- Innanzi tutto non e' fondata la questione di legittimita'
costituzionale in relazione all'art. 3 Cost.
Il profilo di novita', in riferimento a tale parametro, che
accomuna le due ordinanze di rimessione, e' costituito dall'art. 11,
comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017.
Entrambe le ordinanze di rimessione focalizzano le loro censure
richiamando tale disposizione; la quale, in vero, da una parte non e'
investita da dubbi di legittimita' costituzionale, ne' d'altra parte
puo' dirsi invocata come tertium comparationis, nel senso che le
ordinanze di rimessione non sono dirette, in realta', a estenderne
l'ambito di operativita' si' da renderla applicabile, nei giudizi
principali, anche al fine della (pretesa) riliquidazione del
trattamento pensionistico dei ricorrenti. Esse invece invocano tale
disposizione per trarre argomento a sostegno della censurata mancata
previsione, ritenuta ingiustificata, del ricalcolo, sotto l'aspetto
pensionistico, degli incrementi retributivi non percepiti nel periodo
del blocco stipendiale come conseguenza permanente della
sterilizzazione prevista dalle disposizioni censurate. E infatti, in
particolare, l'ordinanza della Corte dei conti, sezione
giurisdizionale per l'Abruzzo, evidenzia come la sentenza n. 200 del
2018 di questa Corte abbia affermato che «[s]petterebbe comunque al
legislatore, nell'esercizio discrezionale delle scelte di politica
economica e di compatibilita' con l'esigenza di equilibrio della
finanza pubblica, prevedere eventualmente quanto richiede il giudice
rimettente: la riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei
pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del
blocco degli incrementi stipendiali, e che nello stesso periodo
abbiano conseguito una progressione di carriera o un passaggio a
un'area superiore». Evidenzia la Corte rimettente che il legislatore
avrebbe in realta' gia' previsto una misura di riliquidazione dei
trattamenti pensionistici proprio nell'art. 11, comma 7, citato,
limitandola pero' - ingiustificatamente, secondo la prospettazione
della stessa Corte rimettente - in favore di una specifica categoria
di pubblici dipendenti: i militari con qualifica di ufficiale
superiore o ufficiale generale in servizio alla data del 1° gennaio
2018.
9.- In realta' cosi' non e' perche' non c'e' stata questa
predicata rivalutazione, ai fini pensionistici, degli incrementi
retributivi automatici, non percepiti nel periodo del blocco.
Il d.lgs. n. 94 del 2017 e' stato adottato sulla base della legge
31 dicembre 2012, n. 244 (Delega al Governo per la revisione dello
strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia). Tale
legge di delega ha perseguito l'obiettivo di «realizzare un sistema
nazionale di difesa efficace e sostenibile, informato alla stabilita'
programmatica delle risorse finanziarie e a una maggiore
flessibilita' nella rimodulazione delle spese, che assicuri i
necessari livelli di operativita' e la piena integrabilita' dello
strumento militare nei contesti internazionali e nella prospettiva di
una politica di difesa comune europea, per l'assolvimento dei compiti
istituzionali delle Forze armate». A tale scopo e' stata conferita
delega al Governo affinche' adottasse, entro dodici mesi dalla data
di entrata in vigore della legge, due o piu' decreti legislativi per
disciplinare la revisione, in senso riduttivo: a) dell'assetto
strutturale e organizzativo del Ministero della difesa, in
particolare con riferimento allo strumento militare, compresa l'Arma
dei Carabinieri limitatamente ai compiti militari; b) delle dotazioni
organiche complessive del personale militare dell'Esercito italiano,
della Marina militare e dell'Aeronautica militare nell'ottica della
valorizzazione delle relative professionalita'; c) delle dotazioni
organiche complessive del personale civile del Ministero della
difesa, nell'ottica della valorizzazione delle relative
professionalita'.
Il decreto legislativo adottato in attuazione di tale delega (n.
94 del 2017) contiene diverse modifiche e integrazioni al decreto
legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare) e
persegue, nel complesso, lo scopo di realizzare l'equiordinazione
dell'ordinamento delle Forze armate con quello delle Forze di polizia
ad ordinamento civile, secondo i principi e i criteri direttivi
contenuti nella legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in
materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche)
(cosiddetta "Riforma Madia"), che prevede analoga delega per le Forze
di polizia ad ordinamento civile e militare. Tra gli elementi
qualificanti del provvedimento c'e' l'istituzione per gli ufficiali
«di una carriera unitaria e a sviluppo dirigenziale».
In questo contesto sono state riordinate le categorie di militari
e le carriere (art. 1), con disposizioni speciali per alcune
categorie (art. 4 e seguenti) ed e' stato ridefinito il trattamento
economico e previdenziale a regime del personale militare. In
particolare e' stata rimodulata l'entita' degli stipendi del
personale militare, dell'indennita' integrativa speciale e
dell'indennita' dirigenziale, le indennita' operative, nonche' la
parametrazione dello stipendio agli anni di servizio, come anche e'
stato ridefinito il meccanismo della progressione economica
(rispettivamente agli artt. 1810-bis, 1810-ter, 1820, 1822, 1811 e
1811-bis cod. ordinamento militare).
Il decreto legislativo non ha ignorato neppure i profili
pensionistici avendo previsto la pensionabilita' delle misure
economiche suddette (art. 10, comma 2) e ridefinito l'assegno
pensionabile (art. 1817 cod. ordinamento militare).
In questo generale contesto riformatore, successivamente
integrato dal decreto legislativo 27 dicembre 2019, n. 173
(Disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del
personale delle Forze armate, ai sensi dell'articolo 1, commi 2,
lettera a, 3, 4 e 5, della legge 1° dicembre 2018, n. 132), che ha
dettato norme correttive, non rilevanti ai fini che interessano, si
colloca l'art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017 che prevede:
«In fase di prima applicazione del presente decreto legislativo, gli
ufficiali superiori e gli ufficiali generali sono reinquadrati, a
decorrere dal 1° gennaio 2018, nelle rispettive posizioni economiche,
tenendo in considerazione gli anni di servizio effettivamente
prestato, aumentati degli altri periodi giuridicamente computabili ai
fini stipendiali ai sensi della normativa vigente e ridotti dei
periodi di cui all'articolo 858 del codice dell'ordinamento militare,
di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e dei periodi di
aspettativa per motivi di studio nei casi previsti dalla normativa
vigente».
Si tratta di una disposizione transitoria sull'inquadramento
stipendiale degli ufficiali generali e ufficiali superiori, a partire
dal 1° gennaio 2018, in ragione degli anni di servizio effettivamente
prestato e di ogni altro periodo computabile ai fini stipendiali
(classi e scatti).
Tale norma - riconducibile al normale sviluppo, nel tempo, della
dinamica stipendiale - non e' affatto volta a eliminare, per il
passato, gli effetti del blocco degli automatismi retributivi,
previsto dalle disposizioni censurate, quanto, piuttosto, a
razionalizzare, per il futuro, il trattamento economico legato al
riordino delle carriere, agganciando la determinazione della
retribuzione a un dato oggettivo, qual e' il numero degli anni di
servizio effettivo dell'ufficiale. Si tratta essenzialmente di un
reinquadramento retributivo che non tocca affatto la contribuzione ai
fini pensionistici per il periodo del blocco (semmai ci sarebbe solo
un'incidenza limitata, e comunque meramente indiretta, quanto alla
quota retributiva del trattamento pensionistico nella misura in cui
essa ancora residualmente rilevi). In ogni caso si ha che, anche per
questa limitata categoria di personale militare (ufficiali superiori
e ufficiali generali), rimane che la retribuzione pensionabile nel
periodo del blocco stipendiale fa riferimento a quella percepita
senza gli automatismi retributivi, sulla quale e' destinata a essere
calcolata la contribuzione utile al fine della liquidazione della
pensione.
Va quindi ribadito, in conclusione, che in nessun caso - salvo
disposizioni a carattere straordinario e derogatorio (e tale non e'
l'art. 11, comma 7, citato) - e' possibile ottenere un trattamento
pensionistico che prescinda dalla contribuzione effettivamente
versata.
Rimane nella discrezionalita' del legislatore - nelle sue scelte
di politica economica concernenti il livello dei trattamenti
pensionistici nei limiti consentiti dall'esigenza dell'equilibrio dei
bilanci e della sostenibilita' del debito pubblico (art. 97, primo
comma, Cost.) e nel rispetto dei doveri inderogabili di solidarieta'
sociale (art. 2 Cost.) - prevedere, come condizione di miglior
favore, la riliquidazione dei trattamenti di quiescenza includendo
anche la quota di retribuzione che sarebbe spettata ai pubblici
dipendenti in assenza del censurato blocco stipendiale.
10.- Parimenti non fondate sono le questioni di legittimita'
costituzionale in riferimento agli altri parametri, sollevate dalla
sola Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per
l'Abruzzo, in termini assai sintetici, essenzialmente adesivi
all'eccezione di illegittimita' costituzionale della difesa delle
parti ricorrenti.
11.- Non e' violato il principio di adeguatezza del trattamento
pensionistico (art. 38, secondo comma, Cost.) e di sua
proporzionalita' alla retribuzione (art. 36, primo comma, Cost.),
coniugato al principio di solidarieta' sociale (art. 2 Cost.).
Da una parte, al fine di verificare il rispetto di questo
principio occorre considerare il trattamento pensionistico
complessivo e non gia' singoli voci retributive, quali quelle
costituite, nella fattispecie, dagli incrementi retributivi
automatici, congelati per effetto della normativa censurata.
Dall'altra parte, il sistema della previdenza obbligatoria e'
ispirato a un criterio solidaristico (art. 2 Cost.) e non gia'
esclusivamente mutualistico. E' tale connotazione solidaristica che
giustifica e legittima l'obbligatorieta' della contribuzione
previdenziale anche al di la' di una stretta corrispondenza, in
termini di corrispettivita' sinallagmatica, con le prestazioni
pensionistiche.
Il blocco degli automatismi retributivi e degli incrementi
stipendiali in ragione delle progressioni di carriera nel lavoro
pubblico, contrattualizzato e non - oggetto delle censure della Corte
rimettente - risponde a un'esigenza di contenimento della spesa
complessiva per tale personale in modo da assicurare l'equilibrio dei
bilanci e la sostenibilita' del debito pubblico (artt. 81 e 97, primo
comma, Cost.).
Questa Corte ha evidenziato che in generale la garanzia dell'art.
38 Cost. e' «agganciata anche all'art. 36 Cost., ma non in modo
indefettibile e strettamente proporzionale» (sentenza n. 173 del
2016). Ha altresi' sottolineato che il principio di proporzionalita'
e adeguatezza dei trattamenti di quiescenza non comporta
«un'automatica ed integrale coincidenza tra il livello delle pensioni
e l'ultima retribuzione, poiche' e' riservata al legislatore una
sfera di discrezionalita' per l'attuazione» di tale principio
(sentenza n. 70 del 2015). D'altra parte, con riferimento a misure di
contenimento della spesa per i trattamenti retributivi e
pensionistici del personale pubblico, la mancanza di forme di
recupero e l'effetto di cosiddetto «trascinamento» nel tempo delle
misure di blocco e sterilizzazione costituiscono - in difetto di
specifiche disposizioni di segno contrario - conseguenze di tale
scelta discrezionale e non irragionevole del legislatore (sentenza n.
250 del 2017).
12.- Neppure e' violato l'art. 53 Cost. quanto all'obbligo di
concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacita'
contributiva e secondo un criterio di progressivita'.
Va ribadito - come gia' evidenziato da questa Corte (sentenza n.
200 del 2018) - che la censurata disposizione dettata per contenere
la spesa per il pubblico impiego (art. 9, comma 21, del d.l. n. 78
del 2010) pone una regola per conformare la retribuzione spettante al
pubblico dipendente e non prevede affatto un prelievo straordinario
su una retribuzione piu' elevata, che risulterebbe diminuita in
ragione dell'imposizione tributaria. E' stata infatti esclusa
qualsivoglia valenza tributaria del blocco stipendiale con
conseguente infondatezza, in particolare, delle questioni di
costituzionalita' sollevate sulla base di tale presupposto (sentenza
n. 304 del 2013). Ha affermato questa Corte, in tale ultima
pronuncia, che «[l]a norma censurata [...] non ha natura tributaria
in quanto non prevede una decurtazione o un prelievo a carico del
dipendente pubblico» (in senso conforme, con riferimento alla stessa
disposizione, le sentenze n. 96 del 2016 e n. 154 del 2014).
L'articolazione testuale dell'art. 9, comma 21, citato e la sua
evidente ratio confermano l'esclusione della natura tributaria. Si
tratta, invece, di una regola legale conformativa della retribuzione
dei pubblici dipendenti nel quinquennio in questione, che integra,
temporaneamente e in via eccezionale, la disciplina, legale o
contrattuale, del trattamento retributivo per perseguire la finalita'
di contenerne il costo complessivo.
Analogamente questa Corte (sentenze n. 173 del 2016 e n. 70 del
2015) ha escluso che le misure di blocco della rivalutazione
automatica dei trattamenti pensionistici abbiano natura tributaria.
13.- Per una ragione analoga neppure e' violato l'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione all'art. 1 del Prot. addiz. CEDU.
La normativa censurata non ha comportato la privazione di un
"bene" costituito dagli incrementi retributivi sterilizzati perche'
questi in realta' non sono mai entrati nel patrimonio dei pubblici
dipendenti, la cui retribuzione, nel periodo del blocco, non ha
cessato di essere, nel complesso, sufficiente e proporzionata alla
prestazione lavorativa. E' semmai la riduzione di un trattamento
pensionistico che puo' ricadere nell'ambito applicativo dell'evocata
tutela convenzionale (Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza
19 luglio 2018, Aielli ed altri contro Italia e Arboit ed altri
contro Italia), ma non anche il mancato riconoscimento di un piu'
elevato trattamento pensionistico in ragione di una retribuzione non
percepita e non spettante.
14.- In conclusione le questioni di legittimita' costituzionale
vanno dichiarate non fondate in riferimento a tutti gli evocati
parametri.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara la manifesta inammissibilita' delle questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, secondo periodo,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica),
convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122,
dell'art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011,
n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111,
come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del
d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga
del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i
pubblici dipendenti, a norma dell'art. 16, commi 1, 2 e 3, del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), e dell'art. 1, comma 256, della
legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilita' 2015)», sollevate - in riferimento all'art. 117, primo
comma, della Costituzione in relazione all'art. 1 del Protocollo n.
12 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmato a Roma il 4 novembre 2000 -
dalla Corte di conti, sezione giurisdizionale regionale per
l'Abruzzo, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale delle medesime disposizioni, sollevate, in riferimento
all'art. 3 Cost., dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale
regionale per la Lombardia, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale delle medesime disposizioni sollevate, in riferimento
agli artt. 2, 3, 36, 38, 53 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo
in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale CEDU, firmato a
Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 5
agosto 1955, n. 848, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale
regionale per l'Abruzzo, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2020.
Il Cancelliere
F.to: Roberto MILANA
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