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venerdì 26 luglio 2013

TAR:"L'odierno ricorrente, Agente scelto della Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato di (Lpd) (Lpd), impugna il provvedimento del Ministero dell'interno del 4 marzo 2008 con cui è respinta l'istanza dallo stesso avanzata per il trasferimento presso la Questura di (Lpd), ai sensi dell'art. 33 comma 5 della L. n. 104 del 1992."


T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 22-07-2013, n. 788
Fatto - Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 569 del 2008, proposto da:
(Lpd), rappresentato e difeso dall'avv.-
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distr.le Catanzaro, presso la quale è domiciliato in Catanzaro, via G.Da Fiore, 34;
per l'annullamento del Provv. del 7 marzo 2008 di diniego trasferimento.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero Dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 giugno 2013 il dott. Anna Corrado e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
L'odierno ricorrente, Agente scelto della Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato di (Lpd) (Lpd), impugna il provvedimento del Ministero dell'interno del 4 marzo 2008 con cui è respinta l'istanza dallo stesso avanzata per il trasferimento presso la Questura di (Lpd), ai sensi dell'art. 33 comma 5 della L. n. 104 del 1992.
A fondamento della propria istanza rappresentava la necessità di dover assistere il padre, gravemente handicappato.
Il diniego dell'istanza è fondato sull'avviso per cui non risulta nella specie comprovata l'effettiva indisponibilità assistenziale di altri familiari.
Avverso il detto diniego è quindi proposto il presente ricorso a sostegno del quale si deduce violazione del citato art. 33 L. n. 104 del 1992, eccesso di potere per carenza di istruttoria e presupposto erroneo, contraddittorietà nonché violazione dell'art. 3 della L. n. 241 del 1990.
Si è costituita in giudizio l'intimata Amministrazione affermando la infondatezza del proposto ricorso e concludendo perché lo stesso venga respinto.
Alla pubblica udienza del 21 giugno 2013 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
Il ricorso non è fondato e va, pertanto, respinto.
L'art. 33, quinto comma della L. n. 104 del 1992 nel testo originario stabiliva che: "Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede".
La suddetta disposizione è stata modificata dapprima dalla L. n. 53 del 2000 e poi dalla L. n. 183 del 2010.
L'attuale testo dell'art. 33 dispone quindi che "il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede".
Pertanto, secondo il nuovo testo sono venuti meno i requisiti della continuità e dell'esclusività dell'assistenza ritenuti invece indefettibili nel precedente regime (in origine era necessaria anche la convivenza).
Nel caso di specie, il provvedimento è stato emesso in data 4 marzo 2008, quando era ancora vigente il precedente regime, nel quale erano considerati elementi indefettibili per poter ottenere l'assegnazione alla sede più vicina a quella di residenza del familiare affetto da handicap grave, i requisiti della continuità e dell'esclusività dell'assistenza. Pertanto, la legittimità dell'atto impugnato deve essere verificata alla stregua della normativa applicabile al momento della sua emanazione, con esclusione della applicabilità del nuovo testo della disposizione, non trattandosi di norma avente natura interpretativa (cfr. sul punto T.A.R. Lazio, Sezione I ter, 12 marzo 2013 n. 2576).
Passando alla disamina del caso di specie, lamenta il ricorrente l'insufficienza dell'istruttoria, la carenza di motivazione del provvedimento e la erronea valutazione dei presupposti di fatto.
Sostiene, infatti, che nel caso di specie ricorrerebbero sia il requisito dell'esclusività dell'assistenza prestata al disabile che quello della continuità, invero limitandosi ad affermare che detta assistenza non può essere garantita dal fratello del ricorrente.
La giurisprudenza, nell'affrontare la problematica connessa all'applicazione dei benefici di cui all'art. 33 della L. n. 104 del 1992, è stata sempre molto cauta, in quanto la normativa introduce profonde deroghe ai principi comuni che regolano i trasferimenti dei pubblici dipendenti, ed ha sempre ritenuto che deve essere compiuto un rigoroso accertamento delle condizioni soggettive e oggettive che consentono l'attribuzione dei benefici legati allo stato di portatore di handicap, al fine di evitare un uso strumentale e fraudolento delle agevolazioni per ottenere trasferimenti lesivi del principio di imparzialità.
In particolare, è stato ritenuto con riferimento al requisito della continuità, che l'art. 33 comma 5, L. 5 febbraio 1992, n. 104 ha come scopo primario quello di ampliare la sfera di tutela del portatore di handicap, salvaguardando situazioni di assistenza in atto, accettate dal disabile, al fine di evitare rotture traumatiche e dannose (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 04 febbraio 2010, n. 1464), il che implica che non può essere accordato il beneficio del trasferimento a chi inoltri la domanda di trasferimento per futuri fini di assistenza (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 09 novembre 2009, n. 10939). In altri termini, la norma tutela situazioni di continuità assistenziale in atto al momento della domanda e non future rispetto ad essa.
Inoltre, sebbene non sia più richiesto dopo la modifica intervenuta con la L. n. 53 del 2000 il requisito della convivenza del dipendente con il portatore di handicap, nondimeno è stato ritenuto che il requisito della continuità assistenziale non può ritenersi provato nei casi di notevole distanza tra la sede di assegnazione del dipendente pubblico e il domicilio del disabile, situati in Regioni diverse e a distanza di centinaia di chilometri, sicché in tali casi manca necessariamente uno dei requisiti richiesti dall'art. 33, L. n. 104 del 1992 per l'attribuzione del beneficio ivi previsto (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 16 luglio 2009, n. 7034).
La giurisprudenza ha poi precisato che la necessità assistenziale del congiunto non deve essere obbligatoriamente soddisfatta con una presenza personale che postula quindi un indispensabile trasferimento, ma può realizzarsi anche mediante una buona organizzazione mediata delle cure necessarie (Consiglio di Stato sez. IV 18 aprile 2012 n. 2280), mentre il concetto di indisponibilità dei congiunti a prestare assistenza al fine di poter usufruire del diritto al trasferimento, si concreta nella sussistenza di condizioni di salute tali da precludere l'assistenza anche in forma meramente organizzativa.
E' stato infatti ritenuto che l'indisponibilità di altri familiari non deve essere resa, come nella specie, per mezzo di semplici dichiarazioni di carattere formale, ma deve esser provata con la produzione di dati di carattere oggettivo, oppure concernenti stati psico-fisici connotati da particolare gravità, e quindi idonei ad attestare l'impossibilità assistenziale di altri familiari, e non la semplice indisponibilità di altri familiari - fondata su impedimenti di tipo comune o stati d'animo di tipo soggettivo -, sulla base di criteri di ragionevolezza tali da concretizzare un'effettiva esimente dal vincolo di assistenza familiare (Cons. Stato 30/6/05 n. 3526).
Nel caso di specie, non risulta provata l'indisponibilità di altri congiunti (nella specie, il fratello del ricorrente) a prestare assistenza secondo i criteri in precedenza delineati, trattandosi di soggetto che lavora comunque nel medesimo ambito territoriale (in particolare presso società che opera in (Lpd), per quanto rappresentato dalla resistente Amministrazione non smentita sul punto dal ricorrente) e per il quale sono addotte esclusivamente ragioni di ordine lavorativo, appunto non ritenute sufficienti dalla giurisprudenza.
Ne consegue l'infondatezza del ricorso, non essendo il provvedimento impugnato affetto né dal vizio di difetto di motivazione, avendo l'Amministrazione indicato le ragioni del rigetto (mancanza del requisito dell'esclusività), né dal vizio di difetto di istruttoria (essendo stata esaminata la documentazione prodotta a corredo dell'istanza), e neppure dal vizio di erronea valutazione dei presupposti di fatto, per le ragioni esposte in precedenza.
Pertanto, il ricorso in esame, che per come già rilevato va necessariamente riguardato alla luce della disciplina ratione temporis applicabile, deve essere respinto perché infondato.
Quanto alle spese di lite sussistono giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Guido Salemi, Presidente
Giovanni Iannini, Consigliere
Anna Corrado, Referendario, Estensore

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