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Consiglio di Stato
Sez. VI, Sent. n. 5340 del 11 ottobre 2007
Necessità di contestazione e pendenza di procedimento penaleSez. VI, Sent. n. 5340 del 11 ottobre 2007
D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 103
Qualora le vicende che hanno occasionato l'avvio del procedimento disciplinare nei confronti dell'appartenente alla Polizia di Stato,
pur già oggetto di esame durante una visita ispettiva effettuata da un
Dirigente, si rivelino, poi, oggetto di un procedimento penale
caratterizzato da aspetti particolarmente delicati, va considerato
pienamente conforme ai normali criteri di prudenza, che l'organo
competente all'avvio dell'azione disciplinare non avvii subito questa ma
attenda la definizione del procedimento in sede penale. Ne consegue che
appare corretto il comportamento degli organi locali della Polizia che,
una volta conosciuto l'esito della vicenda penale, abbiano informato il
Capo della Polizia degli esiti, quest'ultimo affidando, poi, al
funzionario istruttore, in un termine congruo, la valutazione delle
risultanze della vicenda penale, nonché gli atti in proprio possesso, al
fine di decidere se avviare o meno l'azione disciplinare. L'avvio,
quindi, dell'azione disciplinare a meno di tre mesi dal momento in cui
il Capo della Polizia ha avuto la suddetta comunicazione è termine che
non appare indice della violazione dei principi normativi a tutela dei
quali è stato posto l'art. 103 del D.P.R. n. 3/1957, ma di cautela e
attenta valutazione e ponderazione preliminare delle risultanze
fascicolari.
Sez. VI, Sent. n. 5340 del 11-10-2007 (ud. del 12-06-2007), Ministero dell'Interno c. M.F.U.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.5340/2007Reg.Dec.
N. 9315 Reg.Ric.
ANNO 2005
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 9315/2005 proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi 12,
contro
il sig. @@@@@@@ @@@@@@@ @@@@@@@, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli a-
per la riforma
della sentenza del TAR del Lazio, Sezione I ter, 16 maggio 2005, n. 3818;
visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato e la memoria dallo stesso prodotta a sostegno delle proprie difese;
visti gli atti di causa;
relatore alla pubblica udienza del 12 giugno 2007, il Consigliere -
uditi, per le parti, l’avv. - e l’avv. dello Stato -
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
F A T T O e D I R I T T O
1)
- Con la sentenza impugnata il TAR ha riunito e accolto i ricorsi
proposti dall’odierno appellato nn. 4423/1999, 6187/2001 e 2885/2002.
Con
il primo di detti ricorsi (n. 4423 del 1999) è stato chiesto
l’annullamento del decreto del Capo della Polizia - Direttore generale
della Pubblica sicurezza - del 18 gennaio 1999 con il quale era stata
sospesa l’inchiesta disciplinare disposta nei confronti del ricorrente,
Vice Questore aggiunto della Polizia di Stato, sino a che la competente
Autorità Giudiziaria non avesse consentito all’Amministrazione l’accesso
a tutti gli atti del procedimento penale instaurato a carico del
medesimo in relazione agli stessi comportamenti oggetto d’esame sotto il
profilo disciplinare.
Con
il secondo degli originari ricorsi (n. 6187 del 2001) è stato chiesto
l’annullamento del decreto del Capo della Polizia - Direttore generale
della Pubblica sicurezza - del 14 marzo 2001 con il quale l’inchiesta
disciplinare di cui sopra è stata riattivata con assegnazione al
funzionario istruttore del termine di 45 giorni previsto dall’art. 19
del D.P.R. n. 737 del 1981.
Con
il terzo dei ricorsi di primo grado (n. 2885 del 2002) è stato, quindi,
chiesto l’annullamento del decreto emesso dal Capo della Polizia -
Direttore generale della Pubblica sicurezza - in data 12 dicembre 2001
di inflizione al ricorrente della sanzione disciplinare della
sospensione dal servizio per la durata di mesi due, a decorrere dal
giorno successivo alla notifica del provvedimento, per la violazione di
cui all’art. 6, n. 6 del D.P.R. n. 73 del 1981.
Hanno
premesso, in particolare, i primi giudici che il ricorrente, dipendente
del Ministero dell’interno con la qualifica di Vice Questore aggiunto,
era stato assegnato, in data 2 dicembre 1996, al centro operativo della
D.I.A. di Padova; e che, della complessa vicenda in fatto poi
verificatasi presso la detta sede operativa in ragione di compiti di
istituti del centro e dello stesso ricorrente, occorreva muovere – ai
fini del decidere - dall’atto del 4 novembre 1998 con cui il Capo della
Polizia aveva disposto l’avvio di un’inchiesta disciplinare a carico del
ricorrente stesso, incaricando delle relative incombenze il funzionario
istruttore.
In
particolare, ha ricordato il TAR, con foglio di addebiti del 6 novembre
1998 il detto funzionario istruttore comunicava al ricorrente medesimo
l’apertura di un procedimento disciplinare nei suoi confronti per il
periodo nel quale aveva prestato servizio a Padova, contestando due
addebiti specifici; il 27 novembre ed il 7 dicembre 1998 il ricorrente
presentava tempestive giustificazioni volte a contestare la fondatezza
degli addebiti mossi e la tardività dell’avvio della procedura
disciplinare. Sennonché il Capo della Polizia, con nota n. 2.8./98 del
1° dicembre 1998, comunicava all’odierno ricorrente la sospensione
dell’inchiesta ex art. 19 del D.P.R. n. 737 del 1991 “sino a quando
l’A.G. competente consenta all’Amministrazione l’accesso a tutti gli
atti del procedimento penale, finora coperti da segreto istruttorio,
instaurato a carico del cennato dipendente”, essendo infatti
pendente dinanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di
Padova un procedimento penale per calunnia e diffamazione a carico del
ricorrente in ordine a fatti oggetto dell’inchiesta disciplinare ed in
ordine al quale il funzionario istruttore aveva rappresentato la
necessità della conoscenza dei relativi atti per il proseguimento e la
esaustiva conclusione della inchiesta disciplinare.
Avverso
detta nota di sospensione dell’inchiesta disciplinare, osservano i
primi giudici, è stato rivolto il primo dei ricorsi, con cui, in
sostanza, lamentava il ricorrente che l’Amministrazione avrebbe inteso
mantenere artificialmente in vita un procedimento disciplinare
tardivamente attivato e soprattutto oramai perento per inutile decorso
del termine massimo normativamente previsto per la conclusione
dell’inchiesta.
Successivamente,
con atto del 14 marzo 2001, oggetto della seconda impugnativa,
l’Amministrazione riattivava il procedimento disciplinare
precedentemente sospeso, deducendosi, da parte del ricorrente, la
tardività del decreto di riattivazione, nonché l’illegittimità della
riapertura dei termini del procedimento disciplinare in precedenza
sospeso.
La
riattivazione del procedimento disciplinare traeva origine
dall’ordinanza n. 792/00 con la quale il GIP presso il Tribunale di
Padova, in data 20 novembre 2000, aveva disposto l’archiviazione del
procedimento penale a carico del ricorrente per il reato di
diffamazione.
Da
ultimo, ricorda, infine, il TAR, con decreto del dicembre 2001,
avversato con il terzo ed ultimo dei ricorsi in esame, veniva inflitta
al ricorrente la sanzione della sospensione del servizio per mesi due
per atti contrari ai doveri della subordinazione.
2)
– In punto di diritto, i primi giudici hanno ritenuto fondato,
innanzitutto, il primo dei ricorsi, rivolto avverso il decreto del Capo
della Polizia - Direttore generale della Pubblica sicurezza - del 18
gennaio 1999, con il quale era stata sospesa l’inchiesta disciplinare
disposta nei confronti del ricorrente con provvedimento del 4 novembre
1998.
In
particolare, ha rilevato, ancora, il TAR, a procedimento disciplinare
avviato l’Amministrazione ha deciso di sospendere l’incolpato in attesa
di accedere ad atti di procedimento penale a suo carico in relazione ai
medesimi comportamenti oggetto dell’inchiesta disciplinare.
Ritenuto,
preliminarmente, sussistente l’interesse del dipendente a contestare
siffatta anomala sospensione dell’inchiesta disciplinare, solo
apparentemente non lesiva della sua sfera giuridica (atteso che il
procedimento disciplinare è in quella fase ben lungi dal definirsi e non
necessariamente peraltro con l’irrogazione di sanzione disciplinare), e
tuttavia, effettivamente ed attualmente lesiva della posizione del
medesimo, poiché idonea, ove non tempestivamente avversata, a tenere in
piedi una procedura in ipotesi illegittima e comunque contraria
all’interesse del dipendente alla sollecita definizione della inchiesta
disciplinare che lo riguardava, il TAR ha, poi, osservato che tutto il
regime dei termini e della tipicità degli atti che segnano e
caratterizzano le procedure disciplinari risponde proprio all’esigenza
di tutela della sollecita definizione di una vicenda che altrimenti
pregiudicherebbe, in danno dell'art. 97 Cost., la certezza delle
situazioni e la posizione del dipendente; al riguardo, ha proseguito il
TAR, era da osservarsi che le norme che presiedono alla disciplina dei
termini perentori del procedimento disciplinare ed alla scansione delle
sue fasi sono poste a tutela dei principi di garanzia e certezza della
sollecita definizione dei procedimenti disciplinari, nel rispetto del
canone di ragionevolezza dei tempi di irrogazione delle sanzioni
disciplinari e quindi sono di generale applicazione nel pubblico
impiego; e che quanto sopra spiegava anche perché, in sede di
impugnativa della detta sospensione, era stata fatta valere, oltre alla
questione della illegittimità della sospensione in se considerata, anche
quella della illegittimità dell’operato della resistente
Amministrazione per tardività della contestazione degli addebiti,
questione questa di regola deducibile con l’impugnativa del
provvedimento finale, e cioè della sanzione disciplinare (il che
comunque era, poi, puntualmente avvenuto in sede di motivi di ricorso di
cui al terzo dei ricorsi in esame).
Risulta
allora con sufficiente chiarezza – ad avviso del TAR - la illegittimità
dell’operato dell’Amministrazione per violazione dell’art. 19 del
D.P.R. n. 737 del 1981 e con esso del principio di imparzialità per come
puntualmente dedotto dal ricorrente; la norma citata, infatti,
stabilisce che, operata la contestazione degli addebiti, l’istruttoria “dev'essere
conclusa entro il termine di quarantacinque giorni, prorogabile una
sola volta di quindici giorni a richiesta motivata dell'istruttore”;
ebbene, non vi era, nella scansione procedurale prevista dalle norme
specifiche di settore, spazio alcuno per l’anomala sospensione del
procedimento disposta con l’avversato decreto, peraltro violativa, per
quanto sopra considerato in ordine alla tutela dell’esigenza alla
sollecita definizione delle procedure disciplinari, del principio di
imparzialità dell’azione amministrativa; l’irritualità e la
illegittimità della adottata sospensione emergevano, poi, anche dal
riscontro del disposto dell’art. 11 del già citato D.P.R. a mente del
quale “quando l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della
pubblica sicurezza viene sottoposto, per gli stessi fatti, a
procedimento disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve essere
sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza
passata in giudicato”; la richiamata norma era, infatti, da
interpretarsi nel senso che la sottoposizione ad indagini penali
preliminari di un soggetto appartenente ai ruoli della Polizia di Stato
non impone all'Amministrazione di sospendere il procedimento
disciplinare avviato nei confronti del dipendente o di astenersi
dall'attivarlo, costituendo presupposto ostativo alla prosecuzione del
detto procedimento solo l'esercizio dell'azione penale, che si ha nel
momento in cui il soggetto indagato acquista la veste di imputato;
sennonché, qui il procedimento non è stato sospeso per attendere la
compiuta definizione di quello penale, bensì per attendere un non meglio
precisato accesso agli atti del procedimento penale, che è cosa ben
diversa dalla sua definizione.
Appariva,
inoltre, fondato, per i primi giudici, anche l’altro motivo di ricorso
con cui si era dedotta la tardività dell’attivazione della procedura
disciplinare; e, invero, i fatti contestati al ricorrente risalivano al
maggio del 1997, la richiesta di apertura di procedimento disciplinare
rivolta al Direttore della D.I.A. era del luglio del 1997, la visita
ispettiva effettuata presso il centro operativo della D.I.A. di Padova
era del settembre – ottobre del 1997; di contro, la contestazione degli
addebiti era del 6 novembre 1998, di epoca, dunque, oggettivamente e
senza alcun dubbio “tardiva” oltre ogni logica rispetto a quella di
effettiva conoscenza dei fatti e della loro rilevanza disciplinare; pur
in assenza dell’indicazione di un termine espresso per potersi operare
la contestazione degli addebiti in sede di D.P.R. n. 737 del 1981, è di
tutta evidenza che la segnalata fase segue la logica generale della
sollecitudine, non rispondendo a canoni di logica e di ragionevolezza il
tenere il dipendente, il cui comportamento è oramai noto,
indefinitamente soggetto alla possibile attivazione di una procedura
disciplinare; inoltre, è principio generale, desumibile dall' art. 103
T.U. 10 gennaio 1957 n. 3, che la contestazione degli addebiti
disciplinari debba avvenire «subito» dopo gli opportuni accertamenti
preliminari, indicandosi, con l'espressione «subito», una regola di
ragionevole prontezza e tempestività nella contestazione, da definirsi
caso per caso in relazione alla gravità del fatto ed alla difficoltà e
complessità degli accertamenti preliminari.
La
contestazione tardiva degli addebiti viziava, poi, per il TAR, il
procedimento disciplinare ed il suo esito, comportando l'illegittimità
della sanzione inflitta al dipendente; in altri termini, l’acclarata
fondatezza del primo ricorso e comunque la fondatezza del motivo di
ricorso successivamente ribadito e relativo alla rilevata tardività
dell’attivazione della procedura disciplinare imponevano al Collegio,
assorbite le ulteriori e distinte censure pure dedotte, di accogliere
tutti e tre i ricorsi in esame e, per l’effetto, di annullare gli atti
con gli stessi avversati.
3) – Per il Ministero appellante la sentenza sarebbe erronea e dovrebbe essere riformata.
Rileva,
in particolare, il patrocinio erariale che non sarebbero condivisibili
le argomentazioni del TAR in merito alla tardività dell’azione
disciplinare ed alla atipicità del provvedimento di sospensione del
procedimento amministrativo.
Sotto
il primo profilo, l’Ufficio competente ad attivare l’attività
istruttoria sarebbe venuto a conoscenza dei fatti ritenuti censurabili
solo con atto risalente al 14 agosto 1998, mentre il conferimento
dell’incarico al funzionario istruttore sarebbe intervenuto poco dopo (4
novembre 1998); sicché il lasso di tempo intercorso tra la conoscenza
dei fatti e l’attivazione dell’inchiesta disciplinare, se correlato alla
peculiarità e complessità della vicenda, testimonierebbero l’osservanza
di quei criteri di ragionevolezza e tempestività che a torto il TAR ha
ritenuto violati.
L’organo
competente non sarebbe rimasto affatto inerte avendo, invece, agito in
modo tempestivo e congruo, essendo stata, del resto, all’interessato
notificata la contestazione degli addebiti subito dopo la nomina del
funzionario istruttore; del resto, il legislatore non avrebbe fissato
alcun termine perentorio ai fini dell’avvio dell’azione disciplinare,
indicando solo una regola di ragionevole prontezza e tempestività che
nella specie sarebbe stata pienamente osservata, dovendo, del resto,
essere offerta alla P.A., prima di disporre l’inchiesta, attraverso una
preliminare ricognizione, di verificare se l’infrazione sia di gravità
tale da comportare la possibilità di irrogare sanzioni sospensive o
espulsive, tenuto conto della gravità dei fatti; e, nella specie, la
complessità e delicatezza della vicenda avrebbero imposto la particolare
prudenza usata dall’amministrazione, che, del resto, ha tenuto conto di
quanto rilevato dal GIP nel decreto di archiviazione che ha concluso la
vicenda.
Quanto
all’altro punto della sentenza, l’operato della P.A. – che ha sospeso
l’azione disciplinare, sarebbe stato pienamente legittimo e adottato a
tutela dello stesso incolpato, essendosi ritenuto corretto e doveroso
non portare a compimento l’inchiesta fino a che non fosse stato
possibile acquisire tutti gli atti da parte del magistrato penale; con
la conseguenza che, mediante la contestata sospensione procedimentale,
sarebbe stato possibile assumere le determinazioni finali in un quadro
di completezza istruttoria che, altrimenti, con pregiudizio per lo
stesso interessato, non sarebbe stato dato conseguire; è stato, così,
anche rispettato il principio di economicità degli atti, essendo stati
conservati tutti i passaggi fino a quel momento compiuti, che hanno
consentito una celere definizione della vicenda non appena riattivata
l’inchiesta amministrativa; il TAR, infine, non avrebbe tenuto debito
conto del fatto che l’Amministrazione ha avuto notizia di un
procedimento penale nei confronti dell’incolpato e che durante la fase
delle indagini preliminari la stessa PA. ha, sì, la facoltà di iniziare e
portare a termine l’attività sanzionatoria, ma solo qualora disponga di
tutti gli elementi necessari che rendano perseguibile il comportamento
del dipendente indipendentemente dall’esito dell’azione penale; sicché
sarebbe legittimo l’operato della stessa dal momento che la conoscenza
degli atti penali, coperti da segreto istruttorio, era strettamente
funzionale al corretto proseguimento ed alla esaustiva conclusione
dell’inchiesta disciplinare.
4)
– Resiste l’appellato che insiste, nelle proprie difese, per il rigetto
dell’appello e la conferma della sentenza impugnata, facendo valere,
all’occorrenza, anche le ulteriori censure di primo grado, assorbite dal
TAR e qui ribadite.
5)
– Ritiene il Collegio che siano da condividere le censure formulate
dall’appellante; ma che, non di meno, l’originario ricorso debba essere
accolto, sebbene per motivi, svolti in primo grado ed ivi assorbiti,
diversi da quelli accolti dal TAR.
In
particolare, quanto alla tempestività dell’inizio del procedimento
disciplinare, può osservarsi, invero, che l’art. 103 t.u. imp. civ. St.
n. 3 del 1957, che prevede che la contestazione degli addebiti avvenga
“subito”, deve essere interpretato nel senso che il legislatore non ha
inteso vincolare l'amministrazione all'osservanza di un termine fisso,
ma ha indicato una regola di ragionevole prontezza e tempestività nella
contestazione, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei
fatti ed alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo
svolgimento effettivo dell'iter procedurale e preordinata ad un
equo contemperamento delle esigenze sia dell'amministrazione pubblica
di procedere agli accertamenti preliminari dei fatti disciplinari con
ponderata valutazione della gravità e complessità dei fatti medesimi,
sia della parte privata, onde non siano rese più gravose le modalità
della difesa a causa della eccessiva distanza di tempo dal verificarsi
dei fatti oggetto di contestazione; non si può legittimamente procedere
alla contestazione di addebiti dopo lungo tempo dall'accertamento dei
fatti, ove il ritardo non si fondi specificamente sulla particolarità
della situazione accertata o sulla complessità delle acquisizioni
istruttorie (cfr. tra le tante, Sezione IV, 5 agosto 2003, n. 4535; 14
marzo 2005, n. 1045).
Ebbene,
è vero che, nella specie, le circostanze dedotte a fondamento della
contestazione degli addebiti risalivano al 1997 e che in quello stesso
anno erano state oggetto di attività ispettiva, mentre la contestazione
stessa è del 6 novembre 1998; non di meno, l’Amministrazione ha
correttamente inteso attivarsi solo nel momento in cui il GIP del
Tribunale di Trieste, con decreto di archiviazione n. 617/98 RG.GIP e
n. 1919/97 RGNR del 22 maggio 1998, ha disposto, su conforme richiesta
del P.M., l’archiviazione del procedimento penale instaurato nei
confronti di altri soggetti; in tale decreto, invero, erano contenute
una serie di considerazioni che involgevano direttamente l’odierno
appellato e che l’Autorità di P.S. ha ritenuto che potessero assumere
specifica rilevanza ai fini disciplinari.
In
particolare, ricevuta notizia delle determinazioni ora dette, il
Direttore della DIA di Padova, con nota del 13 agosto 1998, n.
125/PERS/B1/78, prot. n. 29910/98, ne ha trasmesso copia al Capo della
Polizia perché esaminasse, sotto il profilo disciplinare, il
comportamento tenuto dall’odierno appellato nell’ambito della vicenda,
così come descritto nei detti atti giudiziari.
Il
4 novembre il Capo della Polizia ha incaricato il funzionario
istruttore che, dopo due giorni, ha proceduto alla contestazione degli
addebiti.
Ebbene,
deve ritenersi che, nella specie, l’operato dell’amministrazione sia
stato conforme al disposto del richiamato art. 103 del t.u. n. 3/1957.
Sebbene,
infatti, le vicende che hanno occasionato l’avvio del procedimento
disciplinare siano state esaminate, tra l’altro, in occasione della
visita ispettiva effettuata dal Dirigente nell’ottobre del 1997 (come
emerge dalla nota del funzionario istruttore in data 1° dicembre 1998,
indirizzata al Capo della Polizia), non di meno le stesse erano oggetto
di un procedimento penale caratterizzato da aspetti particolarmente
delicati (anche in quanto fatti oggetto di una significativa campagna di
stampa e di alcune interrogazioni parlamentari); per l’effetto, appare
conforme a normali criteri di prudenza che l’organo competente all’avvio
dell’azione disciplinare non abbia avviato subito questa; la stessa
relazione ispettiva consigliava, al riguardo, di non dare corso
immediato all’azione disciplinare, in attesa degli esiti del
procedimento penale, mentre consigliava solo l’adozione, nelle more, di
talune misure di cautela; la pendenza del procedimento penale
giustificava pienamente, del resto, il mancato avvio dell’azione
disciplinare medesima fino alla definizione del procedimento stesso;
ciò, del resto, in piena conformità con i principi che discendono dal
disposto di cui all’art. 11 del DPR 25 ottobre 1981, n. 737, a mente del
quale “quando l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della
pubblica sicurezza viene sottoposto, per gli stessi fatti, a
procedimento disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve essere
sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza
passata in giudicato”; nella specie, la pendenza del procedimento penale
per fatti che involgevano, comunque, l’appellato, anche se non nella
veste di indagato o di imputato, giustificavano pienamente, nel cennato
contesto generale, il mancato avvio dell’azione disciplinare; tanto più
ove si consideri che se, nel corso del procedimento instaurato in sede
penale, fosse stata riconosciuta la validità dei comportamenti tenuti
dall’interessato, non sarebbero neppure sussistiti i presupposti per
avviare l’azione disciplinare; e che, per converso, se questa fosse
stata avviata, ciò si sarebbe prestato a malevole interpretazioni e,
soprattutto, al sospetto di pressioni sullo stesso funzionario volte a
condizionarne il comportamento in seno alla vicenda penale stessa.
Nel
momento in cui, quindi, i locali organi della Polizia di Stato hanno
conosciuto l’esito della vicenda penale, conclusasi con la detta
archiviazione, gli stessi hanno sollecitamente quanto correttamente
informato il Capo della Polizia dei relativi esiti; e deve ritenersi che
il Capo della Polizia abbia, poi, affidato l’incarico al funzionario
istruttore in un termine congruo, tenuto conto sia dei principi
giurisprudenziali anzidetti, sia della complessità e delicatezza della
vicenda, che hanno prudentemente e non illogicamente indotto gli organi
di vertice della Polizia di Stato a valutare con attenzione le
risultanze della vicenda penale, nonché gli atti in proprio possesso, al
fine di decidere se avviare o meno l’azione disciplinare; questa è
stata iniziata dopo meno di tre mesi dal momento in cui il Capo della
Polizia ha avuto la cennata comunicazione da parte della DIA di Padova; e
un termine siffatto non appare, invero indice della violazione dei
cennati principi normativi discendenti dall’art. 103 del t.u. n. 3 del
1957, bensì di cautela e attenta valutazione e ponderazione preliminare
delle risultanze fascicolari.
6)
- Quanto, poi, alla disposta sospensione del procedimento disciplinare,
essa appare pure conforme alla disciplina di settore e, in particolare,
al citato art. 11 del DPR. n. 737 del 1981.
Giova
ricordare, al riguardo, che tale sospensione è correlata ad una nuova
vicenda penale che ha fatto seguito alla precedente, in cui l’odierno
appellato si è trovato coinvolto, stavolta, in forma diretta; in
particolare, la Procura della Repubblica di Padova, a seguito di
richieste documentali avanzate – attraverso il funzionario istruttore –
dallo stesso originario ricorrente (richieste documentali concernenti,
tra l’alto, le dichiarazioni rese nell’ambito del procedimento
conclusosi con la predetta archiviazione da parte del GIP di Trieste),
ha precisato, in due occasioni, che “presso quest’Ufficio è pendente
fascicolo processuale n. 2357/98 R.G. notizie di reato, nei confronti di
@@@@@@@ @@@@@@@ e..………in ordine ai medesimi fatti di cui alla nota
retroindicata” e che “gli atti richiesti non sono allo stato acquisibili
da codesta Autorità, poiché coperti da segreto istruttorio, essendo in
corso indagini preliminari a carico dei nominati in oggetto, nell’ambito
del fascicolo processuale 2357/98 RG notizie di reato”.
L’impossibilità
di acquisire detti rilevanti atti (richiesti, del resto, dal medesimo
incolpato in funzione delle predisposizione delle proprie difese e
determinanti, comunque, ai fini della definizione dell’iter disciplinare) ha giustificato l’adozione del provvedimento soprassessorio di cui si discute.
Tale determinazione appare, peraltro, conforme all’ordinamento di settore.
Al
riguardo è stato ritenuto, dalla Sezione, con decisione dai cui
contenuti non vi è ragione di discostarsi (6 ottobre 2005, n. 5421),
che la nozione di “procedimento penale” recepita dall’art. 11
del d.P.R. n. 737/1981 non va ristretta alle sole fasi processuali in
cui si determina l’ascrizione della “notitia criminis” ad un
soggetto determinato (inizio dell’azione penale in senso formale), ma è
comprensivo anche delle precedenti attività istruttorie e di indagine in
base alle quali può pervenirsi o all’istanza di archiviazione o alla
formale richiesta di rinvio a giudizio per il prosieguo dell’accusa;
l’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 enuclea, invero, una norma di garanzia
chiamata ad operare in raccordo con l’art. 653 c.p.p. che, nel testo
vigente all’epoca di adozione degli atti di cui è controversia,
attribuiva alla sentenza penale di assoluzione efficacia di giudicato
nel giudizio di responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche
autorità quanto all’accertamento che il fatto non sussiste e che
l’imputato non lo ha commesso. Non ha senso, quindi, distinguere, agli
effetti dell’applicazione dell’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981,
all’interno del processo penale le fasi procedimentali di istruttoria ed
indagine indirizzate verso un soggetto determinato rispetto al momento
di inizio formale dell’azione penale, poiché in entrambi i casi ricorre
l’ eadem ratio sottesa all’art. 11, che è quella di prevenire
antinomie fra gli esiti del procedimento penale e di quello disciplinare
e di consentire all’inquisito di avvalersi della pronunzia assolutoria a
discarico dell’addebito di trasgressione del codice disciplinare.
Inoltre – è anche precisato nella decisione ora detta - stabilisce l’art. 61 c.p.p. che “i
diritti e le garanzie dell’imputato si estendono alla persona
sottoposta alle indagini preliminari. Alla stessa persona si estende
ogni altra disposizione relativa all’imputato, salvo sia diversamente stabilito”;
ebbene, dalla su riferita disposizione si ricava un principio di
carattere ordinamentale che parifica i diritti e le garanzie
dell’inquisito quale sia la fase del procedimento penale in cui esso sia
coinvolto; detto principio esplica, quindi, effetto anche in ordine al
diritto dell’indagato di veder subordinata, secondo quanto stabilito
dall’art. 653 c.p.p., la definizione del giudizio disciplinare all’esito
del giudizio penale, per ciò che attiene all’insussistenza del fatto
addebitato ed alla mancata commissione dello stesso.
Da
tanto consegue che correttamente, come dedotto dall’appellante,
l’Amministrazione ha sospeso, nell’interesse stesso dell’incolpato -
richiedente, tra l’altro, gli atti stessi di cui si discute - il
procedimento disciplinare avviato onde attendere l’esito del
procedimento penale ed evitare che, nelle more di questo, potesse essere
assunta, in sede disciplinare, una determinazione non conforme a quanto
emergente dal procedimento penale medesimo.
7)
– La fondatezza dei motivi d’appello (con la conseguente riforma della
sentenza appellata) induce, naturalmente, all’esame delle ulteriori
censure svolte in primo grado, assorbite dal TAR e qui integralmente
riproposte dall’appellato.
Con
la prima di tali censure (svolta con il primo degli originari ricorsi)
viene denunciata – sotto altro profilo - la violazione dell’art. 19 del
DPR n. 737/1981, in base al quale l’inchiesta dev’essere conclusa entro
il termine di quarantacinque giorni, prorogabile una sola volta di
quindici giorni a richiesta motivata dell’istruttore; l’inchiesta è
stata iniziata in data 4 novembre 1998, onde avrebbe dovuto essere
conclusa entro il termine del 19 dicembre 1998, prorogabile – se vi
fosse stata tempestiva richiesta – sino al 3 gennaio 1999; di qui, da un
lato, la procedura disciplinare dovrebbe ritenersi perenta per
violazione dei termini massimi previsti dalla legge; dall’altro lato, il
provvedimento di sospensione dell’inchiesta stessa, oltre che
illegittimo, sarebbe, a sua volta, tardivo, giacché è stato notificato
solo in data 18 gennaio 1999, quando il termine massimo per la chiusura
dell’inchiesta si sarebbe ormai esaurito; ciò tanto più che la
rappresentazione della pretesa causa sospensiva risaliva alla nota del
dott. Di Guida del 1° dicembre 1998, ben precedente al termine massimo
di chiusura dell’inchiesta.
La censura è infondata.
È
vero che il termine di cui all’art. 19, settimo comma, del DPR n. 737
del 1981 è un termine perentorio, come si desume, tra l’altro, dalla
previsione della possibilità di proroga limitata ad una sola volta, per
un periodo di 15 giorni, e subordinata alla necessità di una richiesta
motivata del funzionario istruttore (cfr. la decisione della Sezione 16
settembre 2005, n. 4785); non di meno, il termine di quarantacinque
giorni di cui sopra è riferito alle conclusioni dell’inchiesta affidata
al funzionario istruttore e, precisamente, alla trasmissione della sua
relazione “all’autorità che ha disposto l’inchiesta”, giusta il
terzultimo comma dell’art. 19 cit. (cfr. la decisione della Sezione IV
n. 4464 del 15 giugno 2004); e che lo stesso risulta nella specie
pienamente rispettato, il funzionario istruttore avendo trasmesso il 2
dicembre 1998 la propria relazione al Capo della Polizia; relazione alla
quale è seguito il legittimo provvedimento soprassessorio di cui si è
detto.
8)
- Con il secondo degli originari ricorsi ha dedotto il ricorrente (con
censura reiterata in sede di memoria difensiva d’appello) che, anche a
voler ritenere che
la sospensione del procedimento disciplinare fosse stata legittimamente
disposta in data 18 gennaio 1999, non di meno la riapertura del
procedimento sarebbe stata tardiva, in quanto il nuovo provvedimento di
archiviazione (nella specie involgente direttamente la persona del
ricorrente stesso) è del 18 novembre 2000, mentre il provvedimento del
Capo della Polizia di riapertura dell’inchiesta è del 14 marzo 2001.
Tale censura è pure priva di consistenza.
Anche
in questo caso vale, infatti, quanto sopra rilevato con riguardo
all’operatività del disposto di cui all’art. 103 del t.u. n. 3 del 1957
(il tempo trascorso tra la data di adozione del decreto di archiviazione
e quella di riapertura dell’azione disciplinare non appare, invero,
sempre tenuto conto della estrema complessità e delicatezza della
vicenda, tale da far ritenere violati i principi di celerità contenuti
nella norma anzidetta); con l’aggiunta che l’interessato non ha fornito
indicazione alcuna in ordine al momento in cui il decreto di
archiviazione stesso è stato materialmente portato a conoscenza degli
organi della Polizia di Stato; momento a partire dal quale poteva essere
riavviato il procedimento disciplinare sospeso e che era onere
dell’interessato indicare ai fini di un concreto apprezzamento circa la
reale consistenza della censura in questione.
9)
- Secondo l’originario ricorrente non vi sarebbe, comunque, dubbio che
con la riapertura del procedimento disciplinare non avrebbe potuto
accordarsi un nuovo termine intero per la durata complessiva massima
dell’inchiesta, sicché illegittimamente sarebbe stato assegnato al
funzionario istruttore un nuovo termine di quarantacinque giorni per
concludere l’inchiesta stessa, senza ad esso sottrarre il periodo di
giorni venticinque già utilizzato in precedenza dall’autorità
procedente.
Il
motivo è fondato in quanto, dopo che è stata disposta la riapertura
dell’inchiesta, il funzionario istruttore deve provvedere a concluderla
entro e non oltre il termine di legge assegnatogli - della cui
perentorietà si è detto - comprendente, peraltro, anche il periodo di
tempo già utilizzato prima della disposta sospensione.
Ciò
anche ad evitare che ripetute sospensioni e riprese procedurali possano
diluire irragionevolmente e rendere, tra l’altro, del tutto incerto, il
termine stesso assegnato per la conclusione dell’istruttoria,
potendosi, altrimenti, risolvere il comportamento della P.A., in un
atteggiamento meramente dilatorio e manifestamente elusivo del termine
stesso.
Non
a caso, del resto, il legislatore parla di sospensione e non di
interruzione del procedimento disciplinare; con la conseguenza che, alla
sua ripresa, non può non tenersi conto del periodo di tempo già in
precedenza utilizzato, da sommare a quello residuo entro il quale
l’attività istruttoria deve concludersi.
Nella
specie, prima di sospendere il procedimento era già stato consumato, ai
fini dell’attività istruttoria, un periodo pari a giorni 25 (decorrente
dal momento dell’apertura dell’istruttoria – 6 novembre 1998 – a quello
di inoltro della relazione, contenente la richiesta di sospensione del
procedimento, inviato dal funzionario istruttore al Capo della Polizia),
con la conseguenza che il procedimento stesso avrebbe dovuto essere
ultimato nel termine di ulteriori giorni venti dalla sua riapertura, con
possibilità di richiesta di proroga di 15 giorni aggiuntivi; proroga
che, nella specie, non risulta essere stata neppure richiesta.
Viceversa,
l’istruttoria è stata riaperta con decreto del Capo della Polizia in
data 14 marzo 2001, seguito dalla comunicazione all’interessato della
riapertura stessa da parte del funzionario istruttore (nota del 21 marzo
2001) e ultimata solo il 2 maggio 2001; mentre avrebbe dovuto essere
ultimata entro il 3 aprile (o il 18 aprile in caso di applicabilità
della proroga di giorni 15) prendendo a riferimento la predetta data del
decreto 14 marzo 2001, o, a tutto concedere, una settimana dopo ove si
voglia prendere a riferimento la predetta nota del funzionario
istruttore diretta all’incolpato.
Né – è da notarsi infine - il ritardo nella conclusione dell’iter
istruttorio può, in qualche misura, essere addebitato all’incolpato,
dal momento che il medesimo, portato a conoscenza della ripresa
procedimentale, ha tempestivamente quanto sollecitamente inviato al
funzionario istruttore le proprie difese scritte.
In
ogni caso, il termine di legge risulta, quindi, violato; donde la
fondatezza della censura in esame che porta, in via consequenziale e
derivata, all’illegittimità del provvedimento sanzionatorio impugnato.
10)
– Appare, peraltro, fondata anche la doglianza che contesta la
legittimità degli apprezzamenti in concreto operati
dall’amministrazione.
Questa, infatti, nell’operare le valutazioni che conducono alla comminazione della sanzione disciplinare, gode di ampia
discrezionalità; non di meno, le determinazioni assunte non sono
sottratte – sotto il profilo sintomatico dell’eccesso di potere - al
vaglio di ragionevolezza e coerenza logica da parte del giudice
amministrativo.
Sennonché,
come dedotto dall’originario ricorrente e odierno appellato, il
comportamento dal medesimo tenuto nella complessa vicenda in esame non è
stato ritenuto connotato da alcun elemento di rilevanza penale; se il
GIP di Trieste (nella richiesta di archiviazione dal medesimo formulata)
aveva espresso apprezzamenti critici (poi ripresi e trascritti dalla
Commissione di disciplina, ma non aventi, appunto, rilievo penale) nei
confronti dell’interessato in merito alle registrazioni di suoi colloqui
telefonici con due altri ufficiali di Polizia, non di meno, sempre con
riguardo all’operato del dott. @@@@@@@, la Corte d’Assise di Venezia ha,
successivamente (con sentenza n. 3/97, depositata il 22 gennaio 1998,
relativa al processo per il delitto che aveva occasionato le iniziative
assunte dall’originario ricorrente), ritenuto che la versione dei fatti
offerta dal predetto poteva apparire, sul piano logico, credibile; e il
GIP di Padova, con decreto di archiviazione in data 20 novembre 2000
(reso in sede di giudizio per calunnia intentato nei confronti
dell’odierno appellato da parte di uno dei due ufficiali di Polizia la
cui telefonata con il dott. @@@@@@@ questi aveva, appunto, registrato)
ha ritenuto che la registrazione della telefonata e la sua trasmissione
all’A.G., per “provare l’avvenuta conversazione ed il tenore della
stessa”, fossero legittime.
Ora,
in presenza delle più recenti valutazioni dell’Autorità Giudiziaria
circa l’operato dell’odierno appellato, non poteva, la Commissione di
disciplina, ai fini dell’incolpazione, limitarsi a dare significativa
rilevanza alle affermazioni fatte dal GIP di Trieste e non tenere,
invece, in alcun conto le più recenti pronunce della Corte d’Assise
Veneziana e del GIP di Padova, favorevoli al medesimo incolpato.
In
particolare, se i due organi giudiziari da ultimo detti hanno
considerato non censurabile l’operato dell’originario ricorrente e, anzi
hanno ritenuto che legittimamente il medesimo avesse operato le
contestate registrazioni per avvalorare (all’occorrenza) quanto indicato
nel rapporto-denuncia dal medesimo trasmesso all’Autorità Giudiziaria
in merito alle presunte notizie di reato che aveva ritenuto di avere
acquisito nel corso dei detti colloqui telefonici (che le avrebbero
confermate), sarebbe stato preciso onere del medesimo organo
disciplinare valutare espressamente anche tali apprezzamenti
dell’Autorità giudiziaria – di contenuto oggettivamente non conforme
alle valutazioni fatte dal GIP triestino – per verificare se gli stessi
potessero o meno incidere sull’esito del giudizio disciplinare; donde il
difetto di istruttoria e di motivazione che vizia, per questa parte,
l’atto sanzionatorio impugnato.
Atto
sanzionatorio che poggia, invero, sulle seguenti basi accusatorie (da
riguardarsi, peraltro, nella loro globalità, dal momento che la sanzione
inflitta appare manifestamente il frutto di considerazioni correlate al
cumulo delle imputazioni che seguono, tenuto conto dello stretto legame
consequenziale che le unisce; sicché il venire meno di una di esse non
può che travolgere l’impianto motivazionale della sanzione e, quindi, la
sanzione stessa):
- non avere, l’incolpato, osservato i doveri di subordinazione (avendo
inoltrato autonomamente all’A.G. il documento presentato al superiore
gerarchico);
- l’avere tenuto, l’incolpato, un comportamento assolutamente
censurabile registrando, all’insaputa dell’interessato, una
conversazione avuta col superiore gerarchico al solo fine di carpirgli
eventuali ammissioni che avvalorassero quanto aveva affermato nella
relazione del 24 aprile 1997 ed acquisire elementi a sostegno della sua
tesi concernente la falsità della relazione ufficiale;
- che non può trovare accoglimento la giustificazione addotta circa
l’impossibilità da parte sua di effettuare preliminari accertamenti in
ordine a quanto riferitogli e che era suo dovere riferire, invece,
subito all’A.G. perché altro ufficiale di Polizia gliene aveva, in
precedenza, parlato.
Ebbene,
se anche dovesse rimanere fermo il primo di detti capi, non di meno il
provvedimento impugnato appare destinato ad essere travolto in relazione
all’accoglimento della censura come sopra appena ritenuta fondata e
meritevole di accoglimento; accoglimento che travolge, evidentemente, il
secondo dei capi ora detti e, con esso, tutto l’impianto
dell’incolpazione, basata sulla censurabilità di comportamenti che in
sede penale sono stati ritenuti, invece, come si è visto, legittimi da
parte delle Autorità anzidette, senza che la P.A. abbia avvertito
l’esigenza di comparare dette conclusioni con quelle, di segno
parzialmente opposto, desumibili da un precedente atto giudiziario.
Né
si dica che la P.A. sarebbe stata libera di valutare – ai fini
disciplinari - i comportamenti dell’incolpato indipendentemente dalle
valutazioni di essi fatte da parte del giudice penale; al contrario,
essa, nella specie, ha fondato il proprio apprezzamento negativo circa
il comportamento tenuto dall’incolpato facendo essenziale riferimento
proprio ai rilievi formulati dal GIP di Trieste; pertanto, non avrebbe
potuto esimersi, agli stessi fini, dal prendere in espressa
considerazione, ai fini della formulazione del giudizio definitivo,
anche le valutazioni espresse dagli altri due organi giudiziari di cui
si è detto, stante, altrimenti, la contraddittorietà del suo operato.
11)
– Per i motivi che precedono il presente appello va respinto, con la
conferma dell’accoglimento, pur con differente motivazione, del ricorso
di primo grado.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, respinge
l’appello in epigrafe, confermando, con diversa motivazione,
l’accoglimento del ricorso di primo grado.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 giugno 2007 con l’intervento dei sigg.ri:
-
Presidente
-
Consigliere Segretario
-
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il....11/10/2007
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
-
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero..............................................................................................
a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria
N.R.G. 9315/2005
FF
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