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martedì 26 agosto 2014

Cassazione: sono interferenze illecite le foto nelle case degli inquisiti Anche se non sono state riprese persone, le foto all'interno delle case degli inquisiti costituiscono una interferenza illecita nella vita privata.



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Cass. pen. Sez. V, (ud. 27-11-2008) 17-12-2008, n. 46509
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

Con Sentenza resa il 6.7.2007 il Tribunale di Rovigo, in composizione monocratica, ha condannato, avendo assolto tutti gli altri imputati (giornalisti, fotografi e direttore responsabile del giornale), l'Isp. @@@@@@@ della locale Squadra Mobile quale colpevole dei reati - uniti dal vincolo della continuazione - di violazione di domicilio commessa da pubblico ufficiale ed interferenze illecite nella vita privata.
La vicenda riguarda l'accusa mossa all'ufficiale di @@@@@@@ incaricato di eseguire la misura cautelare nei confronti di tal P.M., accusato di abusi sessuali su minori: costui abitava in (OMISSIS) in una casa ove abitualmente dimorava anche Q.G., la sua convivente. Egli aveva arrestato, in applicazione di misura cautelare, il P. ed aveva avuto disposizione dal superiore (al seguito di conferenza stampa sulla operazione) di consentire a giornalisti e fotografi di riprendere la scuola ove costui operava (e dove avrebbe, secondo l'accusa, perpetrato gli abusi) e, dall'esterno, l'abitazione in (OMISSIS).
Sennonchè il L. non soltanto accompagnò cronisti presso l'abitazione del P. (dopo averli condotti alla scuola ove egli insegna), secondo le indicazioni del superiore, ma quivi prelevò le chiavi dell'uscio di casa, lasciate dal P. su una mensola esterna e, contrariamente all'ordine ricevuto, aperto la porta di entrata (che era stata chiusa a chiave) consentì ai cronisti di introdursi all'interno, in tal modo permise loro di visitare i locali e di scattare fotografie dei luoghi e delle cose che vi erano contenute, come oggetti personali, gabbie di gatti, ecc.. Tanto risultò in servizi pubblicati sui quotidiani locali ed anche da trasmissioni televisive.
Di qui le accuse di abuso dei poteri e di violazione del domicilio e della riservatezza segnalate dalla querela di Q.G., che poi si costituiva parte civile.
La Corte d'appello di Venezia, investita del gravame sia del L. sia della Parte civile, modificava, con sentenza resa il 6.5.2008, la originaria imputazione ed assolveva il L. dal reato di violazione di domicilio, qualificando il fatto quale abuso di ufficio ex art. 323 c.p. ed anche quale interferenza illecita nella vita privata ai sensi dell'art. 615 bis c.p. (riducendo la complessiva pena inflitta dal Tribunale).
Avverso la sentenza della Corte lagunare interpongono ricorso:
- la difesa del L. eccependo:
1) la nullità della sentenza per violazione dell'art. 521 c.p.p. avendo la Corte qualificato il fatto come abuso di ufficio, fattispecie che richiede la cognizione del giudice collegiale, non come nel caso di specie di quello monocratico;
2) la carenza di adeguata motivazione circa la ricorrenza della fattispecie di cui all'art. 323 c.p. considerando che il prelievo della chiave della porta di ingresso era consentito a chiunque si fosse trovato nei paraggi senza presupporre una situazione che privilegiasse il pubblico ufficiale nell'azione di favore ai terzi;
3) (motivo subordinato rispetto ai precedenti mezzi) la prescrizione del delitto di cui all'art. 323 c.p., fatto che non risulta esser stato ab origine contestato;
4) erronea applicazione dell'art. 615 bis c.p., poichè la norma tutela la vita famigliare, non già l'area in cui la vita si svolge;
5) carente motivazione sull'addebito di violazione dell'art. 615 bis c.p. ed, in particolare, sulla consapevolezza che il L. disponesse che i giornalisti avrebbero divulgato le immagini captate presso l'abitazione;
6) carenza di motivazione circa la sussistenza del danno morale in capo alla parte civile, non essendo chiarito a quale delle condotte ascritte al L. sia da ricondursi il danno lamentato;
7) carenza di motivazione sulla durata della pena accessoria, una volta ridotta quella principale - la difesa della Parte Civile (ai soli effetti civili, in assenza di impugnazione del PM.) rilevando:
1) l'erronea applicazione dell'esimente del diritto di cronaca nei confronti di C.C., nonchè dei fotografi e giornalisti che avevano acceduto all'abitazione (cfr. motivi successivi) poichè l'abusivo ingresso e ripresa dell'interno dell'abitazione della Q. non serbava interesse alcuno ai fini del reato ascritto a costui (negativa era stata la perquisizione);
2) la carenza di motivazione sui rilievi esposti in sede di appello sulla posizione di LI., la quale era stata esclusa dal Procuratore Generale quale interlocutore nella veste di fotografo del periodico (OMISSIS) (e che forse ebbe a cedere le immagini ad altro quotidiano), per la quale vi era identificazione effettuata dai CC. di Rovigo; al riguardo impugnando Ordinanza che rigettava l'acquisizione di documento di incarico per effettuare servizio fotografico per conto del (OMISSIS);
3) l'erronea applicazione della norma penale, art. 57 c.p., nei confronti del direttore responsabile, LE.Ma., del (OMISSIS) attesa l'applicazione anche nei suoi confronti della scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca;
4) l'erronea applicazione dell'art. 51 c.p. nei confronti di R.R., agente di PG., per l'attività svolta all'interno dell'abitazione dopo che si erano esaurite le incombenze di indagine, non potendosi apprezzare la ricorrenza dell'esimente dell'art. 51 c.p. trattandosi di ordine palesemente illegittimo, nè risultando conforto probatorio all'ipotesi di un mero errore putativo;
5) l'erronea applicazione della legge penale nell'aver ritenuto il L. responsabile della violazione dell'art. 323 c.p., quando egli stesso era compartecipe alla violazione dell'art. 615 c.p.; nonchè l'erroneo ridimensionamento della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali patiti dalla Q. attesa la natura denigratoria delle condizioni dell'abitazione ove risiedeva anche la Q. e l'inconsistenza delle ragioni apportate al riguardo dalla Corte veneziana.
6) l'inosservanza della legge processuale per avere taciuto sul motivo che si doleva della condotta processuale del primo giudice che aveva impedito alla Q. di deporre in udienza sull'ammontare del danno patito.
Il difensore della parte civile Q. faceva pervenire per l'odierna udienza memoria protesa ad escludere la maturazione della prescrizione prima della decisione di appello (anche per la definizione della competenza per materia interna alla Corte) e per segnalare che unico scopo del ricorso dell'imputato è il raggiungimento delle soglie prescrittive.
Il difensore di R. insta con memoria per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso della parte civile (anche se con motivazione che risulta più aderente ad un ricorso verso provvedimento cautelare reale).
Il difensore del L., con memoria, ribadiva l'estinzione del reato per prescrizione ed instando per l'annullamento delle statuizioni civilistiche.
All'odierna udienza sono presenti per la Parte Civile ricorrente l'Avv. Mario Salvatori di Ostiglia; in sostituzione dell'avv. Filippo Sgubbi per C., Li. e Le. l'avv. Gino Bottiglioni di Bologna, come da delega che deposita; per R. l'avv. Gino Bottiglioni di Bologna come da nomina che deposita in questa sede.
Il Procuratore Generale (nella persona del Cons. Oscar Cetrangolo) per L. chiede l'annullamento senza rinvio dell'impugnata decisione per prescrizione e la conferma delle statuizioni civili.
Chiede l'annullamento con rinvio in relazione al ricorso della Parte Civile Q..
L'avv. Salvatori si riporta al ricorso insistendo per l'accoglimento e chiede l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio. L'avv. Battaglini chiede il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

I ricorsi sono ammissibili: del tutto infondata è la richiesta di dichiarazione di inammissibilità contenuta nella Memoria pervenuta il 21.11.2008 dalla difesa di R.R. che, d'altra parte, non risulta di agevole comprensione, sembrando riferirsi piuttosto all'impugnazione di una misura cautelare reale.
I reati per cui intervenne condanna del L. sono estinti per prescrizione. La causa estintiva non è maturata alla data 27.11.2007, secondo il decorso "naturale", bensì - in forza di sospensioni del processo di primo grado - a quella del 25.7.2008 (così recependo le fondate considerazioni rese dalla memoria 10.11.2008 dell'avv. Salvadori e quella 21.10.2008 circa la sospensione occorsa in primo grado), epoca successiva alla sentenza della Corte d'Appello. Pertanto, non si riscontra rilevanza del "motivo subordinato rispetto ai motivi 1-2" del ricorso della difesa di L.. Ma neppure fondamento del medesimo, poichè i termini, prima della nuova formulazione dell'accusa, contestata in sede di giudizio di secondo grado, erano stati interrotti dalle cadenze processuali relative alla precedente ipotesi accusatoria, che si fondava, tuttavia, sulla medesima imputazione per la quale non era maturata estinzione, sicchè in alcun modo poteva ravvisarsi a quell'epoca rinuncia dello Stato alla persecuzione penale del reato.
Conseguentemente, la sentenza deve annullarsi senza rinvio, ai sensi dell'art. 620 c.p.p., lett. a).
Occorre, tuttavia, vagliare il fondamento dei ricorsi permanendo interesse per la possibile ipotesi di cui all'art. 129 c.p.p., comma 2, e quanto agli effetti civili, ai sensi dell'art. 622 c.p.p..
Il ricorso avanzato dalla difesa dell'Isp. V. è infondato.
Infatti - con richiamo al primo mezzo - l'inosservanza dell'art. 521 e la nullità prevista dall'art. 522 c.p.p., dipende, con verifica da effettuarsi caso per caso, dal mutamento nei tratti essenziali, dell'oggetto della contestazione, da cui sia dipesa la menomazione alle facoltà difensive dell'imputato verso l'accusa. Nel caso in esame, invece, il fatto dedotto nelle configurazioni dell'art. 615 cpv. c.p. e artt. 323 e 615 bis c.p. è, per il profilo storico e naturalistico, il medesimo. La mutazione attenne esclusivamente alla qualificazione giuridica dello stesso episodio. Per esso il L. ha potuto dispiegare idonea ed attenta difesa, presenziando alle udienze processuali ed interponendo puntuali impugnazioni. Non è dato riscontrare effettivo pregiudizio dei diritti della difesa.
Neanche ha fondamento l'ulteriore prospettazione dell'asserita patologia processuale: la modifica della contestazione è intervenuta nel giudizio di secondo grado, davanti ad un giudice collegiale. Non è apprezzabile, quindi, la violazione della competenza funzionale, dovendosi valutare, le condizioni relative alla capacità del giudice al momento della decisione che questi pronuncia; nè, al proposito, si scorge un pregiudizievole riflesso indotto dal primo giudizio.
L'addebito (originariamente contestato) giudicato dal tribunale, è attribuito alla competenza del giudice monocratico. Vi stato, pertanto, rispetto delle regole sulla competenza, senza alcuna violazione (a quel momento) delle regole processuali.
Pure il secondo mezzo è manifestamente infondato: esso suppone, per l'integrazione del delitto di abuso di ufficio ex art. 323 c.p. la necessità di una condizione che favorisca lo sviamento dei poteri del p.u., situazione privilegiata che il ricorrente nega nella vicenda qui esaminata. Ma l'assunto è errato: lo sviamento dei poteri è espressamente tratteggiato nelle decisioni di merito, allorquando i giudici rammentano che il L. non aveva alcuna ragione d'ufficio nè era legittimato dal superiore nella visita degli interni dell'abitazione, al cui interno potè far accedere i cronisti ben conoscendo il luogo ove il P. ripose le chiavi di casa (avendo raccomandato al sottufficiale di curarsi dei gatti custoditi nella sua abitazione). Il possesso dello stabile (in ragione delle investigazioni ivi svolte) e delle chiavi di entrata, situazione che era legittima per le funzioni pubbliche rivestite dall'imputato, venne strumentalizzato per fini con esse incompatibili e, comunque, contrastanti con l'autorizzazione ricevuta dal superiore (che aveva autorizzato la sola ripresa dall'esterno dell'edificio).
Di qui lo sviamento dei poteri, quale uso distorto dei poteri funzionali e dei compiti inerenti al suo servizio, finalizzato alla lesione del diritto abitativo e della relativa riservatezza esistente in capo ai titolari, tratti costitutivi della fattispecie incriminatrice.
Non è ulteriormente consentito in questa fase disquisire per quali ragioni L. consentì ai giornalisti di entrare nella casa (indagine che il Procuratore Generale riterrebbe utile, secondo la richiesta di udienza), trattandosi di valutazione del fatto, irrilevante, una volta riscontrata l'oggettiva commissione dell'illecito. Si osserva soltanto - anche in risposta al motivo che lamenta la mancata motivazione sulla rappresentazione in capo all'Ispettore delle condotte dei cronisti e fotografi, in seguito all'apertura della porta della casa del P. - che la sentenza della Corte veneziana è integrata dalla decisione del tribunale di Rovigo, come si rileva dall'espresso e diviso richiamo al suo contenuto. Dalla sentenza del primo giudice (che giustamente si sofferma sulla circostanza, Sent. trib. pag. 8 e ss., 10) si apprende che le immagini furono accompagnate dalla in equivoca frase "che vediate voi", anche su questo aspetto, quindi, la motivazione mantiene aderenza alle risultanze assunte nella motivazione nella ricostruzione e tanto, per un verso, preclude di fornire interesse all'ipotesi che chiunque altro avrebbe potuto impossessarsi delle chiavi e fornisce giustificazione alla intenzionalità del prevenuto nel realizzare l'abusivo e dannoso ingresso degli estranei nella dimora.
E' corretta la qualificazione fornita dalla Corte territoriale al fatto, nè ha possibilità di accoglimento la forzosa separazione della fattispecie dell'art. 323 c.p. da quella dell'art. 615 c.p. (e 615 bis c.p.) nel contesto del concorso di persone. Manca (ed è stato, anzi escluso dalle sentenze impugnate) la prova attestante una pregressa richiesta dei cronisti, domanda che sia stata preceduta, accompagnata da sollecitazioni poste in essere dal privato per l'ottenimento del provvedimento favorevole da parte del L..
Ma anche priva di fondamento è la censura alla configurazione dell'art. 615 bis c.p.. Infatti, in tema di interferenza illecita nella vita privata è essenziale precisare che l'oggetto materiale del reato si concreta in notizie o immagini attinenti alla vita privata di terze persone. La lettera normativa non si polarizza, dunque, direttamente "sulla vita privata", ma su quanto possa restituire al lettore qualsiasi informazione al riguardo. Pertanto integra il reato non soltanto l'illecita captazione di vicende che si svolgono in una abitazione privata, ma anche la cornice in cui si svolge l'esistenza della persona, in quello spazio, cioè, di esclusiva disponibilità in cui è garantita un'area di intimità e di riservatezza della stessa. Assume rilievo penale, quindi, anche la sola ripresa di fotografie di un domicilio privato - pur privo di persone - in cui abitualmente si svolge o si sia svolta la vita di una o più persone. Del resto, nel caso in esame, le fotografie ritrassero non soltanto il "contenitore", ma anche oggetti delle persone che vi dimoravano, come un articolo di vestiario della Q. e la visita incriminata consentì ai giornalisti di esprimere giudizi sulle modalità di tenuta dell'ordine domestico dell'abitazione, riferendo conseguentemente ragguagli (non del tutto lusinghieri) sulle abitudini di vita dei suoi abitanti. E' del tutto corretta, dunque, la formulazione dell'accusa.
La Corte dissente dall'impostazione dei ricorrenti quanto alle ritenute o contestate esimenti putative, riconosciute a favore dei giornalisti, fotografi e del direttore del giornale.
Non è ovviamente consentito riconoscere e legittimare l'esercizio del diritto di cronaca quando si esplichi con modalità non permesse dall'ordinamento o, ancor più, quando utilizzi notizie e immagini ottenute in spregio alla norma di legge (cfr. art. 615 bis c.p., comma 2). Ma le decisioni segnalano che i cronisti incorsero nell'erronea convinzione che l'ufficiale di PG. avesse ricevuto incarico di consentire loro di introdursi nello stabile. Si trattava, dunque, di un errore sul fatto, e precisamente sulle premesse di fatto che portarono al loro comportamento, diversa essendo stato l'ordine del superiore. Con logica, immune da censura, le decisioni di merito ricordano la plausibile ragione che milita a favore di siffatta lettura ed, esattamente, stando alle risultanze esposte dalle impugnate decisioni:
i componenti della Squadra Mobile, avevano eseguito l'operazione che aveva comportato la disponibilità dell'immobile di P./ Q., al cui interno era occorso l'arresto e la perquisizione;
i giornalisti avevano accolto l'invito del L. a seguirli, al termine di una conferenza stampa in questura (tenuta dal superiore dell'imputato), e furono accompagnati (mediante automobili di servizio della questura) sia alla scuola ove operava il P. sia alla dimora di questi;
i cronisti avevano scorto all'interno dell'abitazione altro pubblico ufficiale, il R., che era entrato anch'egli nella casa;
Ritenuti di trovarsi in una situazione di liceità, essi avevano ivi esercitato il diritto di cronaca.
La giustificazione giudiziale lascia adito nè a violazione della legge penale nè a carenza o illogicità di argomentazione. Essa giova anche alla posizione del Direttore LE.. Il direttore del quotidiano è tenuto, per la posizione di garanzia assegnatagli a prevenire: trattandosi di un errore che si radicava nella fase precedente al servizio giornalistico (limiti della autorizzazione assegnata al L. nel condurre sul luogo i cronisti), poichè gli atti non palesano prova alcuna che egli fosse stato informato dei limiti dell'incarico conferito dal preposto all'Isp. L., non è dato vedere violazione ai suoi doveri di controllo ed impedimento dell'evento dannoso, non emergendo dal contesto del reportage alcun sintomo di allerta, sul quale parametrare la condotta di negligente inerzia.
Alla stregua delle pregresse considerazioni, il fatto che cronisti abbiano acceduto ad una privata dimora non realizzava in sè un fatto di inequivoca portata illecita. Invero una volta rammentata la ragionevole supposizione del consenso all'introduzione e permanenza di costoro all'interno della dimora, consenso espresso da chi - in quel momento - legittimamente disponeva del possesso dell'immobile e del suo interno (quale appartenente all'ufficio preposto all'arresto dell'imputato ed alle indagini), risulta priva di rilievo anche l'osservazione (propria del ricorso di Parte Civile) per cui la stessa intrusione dei cronisti nelle pertinenze (giardino circostante la casa) realizzava già in sè la violazione di domicilio, una volta ritenuto (erroneamente) che il L. si attenesse alle disposizioni ricevute; nè a tanto osta la oggettiva riservatezza che connota la fase delle indagini preliminari da cui desumere la evidente ed eloquente illiceità del comportamento a cui fornì consenso il L., attesa la facoltà consacrata nell'art. 329 c.p.p., comma 2 che autorizza - in vista di migliori risultati investigativi - gli inquirenti alla pubblicazione (e, quindi, alla divulgazione) di notizie afferenti alle indagini (pur coperte da segreto investigativo), facendo venire meno la relativa riservatezza (anche ai fini dell'art. 114 c.p.p., u.c..).
Ancora. Quanto precede supera le censure di Parte civile rivolte al trattamento della posizione di LI., doglianze che, oltretutto, riguardano in massima parte il fatto, cioè, la valutazione delle prove acquisite e vagliate ragionevolmente dai giudici di merito sulla attribuibilità alla medesima degli scatti fotografici incriminati.
Del pari, immune da critica risulta la valutazione giudiziale della posizione di R.: la motivazione delle due decisioni rammenta che non esiste prova che egli fosse al corrente della natura dell'ordine che l'Isp. L. aveva ricevuto, degli esiti della perquisizione domiciliari, dell'assenza di ulteriori istanze investigative onde escludere ogni residuo vincolo istruttorio sull'immobile e sui beni in esso detenuti, ecc. Essa, pertanto, ragionevolmente conclude che l'imputato operò non già nella situazione cagionata da errore di diritto, bensì dall'erronea (ed incolpevole) rappresentazione dei limiti dell'incarico assegnato al suo superiore. Al contempo, giustamente è stata considerata argomentazione plausibile la difesa espressa dal prevenuto, focalizzata sull'incarico di evitare che i cronisti potessero manomettere o danneggiare quanto esistente all'interno della casa.
La decisione assolutoria risulta immune da vizio argomentativo.
Per quanto attiene alla quantificazione del danno per il cui risarcimento occorse condanna, si sono appuntate le critiche sia della difesa di L. sia della Parte Civile. Ma entrambe senza fondamento. La giustificazione sulle determinazioni assunte è ben presente al riguardo nella sentenza impugnata. Gli argomenti assunti sono ragionevoli e logici. Nel resto la valutazione di merito risulta insindacabile in seno al giudizio di legittimità (la Corte territoriale giustifica la riduzione del quantum, ammettendo l'esistenza del danno morale, ma ritenendolo non così rilevante, come ritenuto dal primo giudice, attesa la polarizzazione dei commenti giornalistici sul P. e non sulla sua convivente). Nè è dato scorgere patologia processuale nell'asserito ostacolo frapposto dal primo giudice alle indicazioni che Q. avrebbe voluto offrire a descrizione del pregiudizio: basti osservare che lo stesso ricorrente (nel pregresso atto di gravame) ebbe ad osservare che "il giudice avrebbe potuto avvalersi delle deposizioni rese dalla signora Q. in data 7.5.2003 e 3.11.2004 avanti il Giudice dr. S., nelle quali veniva illustrato il danno patrimoniale subito dalla persona offesa... e delle memorie ex art. 121 c.p.p....", circostanza che rende irrilevante l'impedimento lamentato.
Da ultimo rileva il ricorrente che la pena per il reato principale è stata, nel grado d'appello, ridotta e che, conseguentemente, deve ridursi anche la durata delle pene accessoria inflitte. Ma tanto si realizza automaticamente per la correlazione disposta dalla legge per le pene accessorie temporanee la cui durata non è espressamente indicata, senza necessità di un provvedimento che faccia esplicito riferimento alle pene accessorie e dia esplicita indicazione, una volta che il dispositivo contenga la misura della sanzione principale inflitta dal giudice (art. 37 c.p.). Le preoccupazioni del ricorrente non possono trovare espressione in una statuizione del dispositivo, pertanto, inutile.
All'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata deve conseguire per l'imputato l'esclusione della sua condanna alle spese del procedimento di impugnazione. Ma tanto non esime il L. dalla condanna per le spese effettivamente sostenute dalla Parte Civile, che deve vedersi compensata per le spese occorse nel resistere al gravame avanzato nei suoi confronti e nel sostenere la causa delle sue legittime pretese civili. Dette spese - in carenza di espressa domanda della parte, ma considerando la sua presenza e partecipazione al processo con ricorsi e memorie - si liquidano in Euro 1.000 oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di L. per essere i reati estinti per sopravvenuta prescrizione. Rigetta il ricorso del L. agli effetti civili. Rigetta il ricorso della Parte Civile Q.. Condanna il L. alla rifusione delle spese della Parte Civile che liquida in complessivi Euro 1.000,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2008

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