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martedì 26 agosto 2014

Cassazione: Legittimo il licenziamento disciplinare contestato a distanza di quattro mesi dai fatti addebitati Nessuna violazione del principio di immediatezza della contestazione: confermata la massima sanzione ad un dipendente di un'azienda telefonica per l'uso privato e continuativo del cellulare di servizio



(Sezione lavoro, sentenza n. 29480/08; depositata il 17 dicembre)
Cass. civ. Sez. lavoro, 17-12-2008, n. 29480
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 30 novembre 2005 la Corte d'appello di Roma confermava la decisione emessa dal Tribunale nella parte contenente l'accertamento della legittimità del licenziamento intimato dalla s.p.a. Telecom Italia al dipendente D.A., e la riformava accogliendo la domanda di condanna al pagamento dell'indennità di mancato preavviso gli accessori di cui all'art. 429 c.p.c., Quanto alla legittimità del licenziamento, la Corte osservava come non risultassero controversi i fatti addebitati al D., il quale, contravvenendo ad un impegno sottoscritto il 22 settembre 1999, aveva fra il 30 novembre 1999 ed il 31 ottobre 2000 inviato, con l'apparecchio telefonico di servizio ed anche fuori dell'orario di lavoro 13.269; brevi messaggi (SMS) per un importo complessivo di L. 3.291.840.
Quanto alla legittimità del procedimento disciplinare, la Corte d'appello notava che dalle testimonianze raccolte risultava essere stato regolarmente affisso il codice disciplinare ed aggiungeva che in ogni caso il grave danno arrecato rendeva sanzionarle il prolungato comportamento lesivo della disciplina d'impresa imposta dall'art. 2106 c.c..
Nè era stato violato il principio di immediatezza della contestazione giacchè il periodo trascorso fra il 31 ottobre 2000 ed il febbraio 2001, tempo della contestazione dell'addebito, era servito al controllo puntuale delle migliaia di messaggi inviati nell'arco di quasi un anno. Contro questa sentenza ricorre per cassazione il D. mentre la s.p.a. Telecom Italia resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Col primo motivo il ricorrente lamenta l'omessa pronuncia, da parte della Corte d'appello, su "un aspetto determinante" del suo primo motivo di gravame, vale a dire sul fatto che il comportamento indisciplinato in questione era colpito con una sanzione soltanto conservativa dal contratto collettivo per il 1996 - 1999, applicabile fino al 30 settembre 2000, e col licenziamento solo dal contratto collettivo successivo; ne derivava l'illegittimità del licenziamento, inflitto anche per comportamento precedente il 30 settembre 2000 e in definitiva sproporzionato.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente per cassazione, il quale invocando l'art. 112 c.p.c., denunci l'omessa pronuncia su una questione di fatto e/o di diritto da lui ritualmente prospettata, ha l'onere non solo di indicare l'atto processuale con cui egli prospettò la questione ma anche di precisarne il contenuto ai sensi dell'art. 366 c.p.c., nn 3 e 4, e così, se egli lamenti l'omesso esame di clausole contrattuali, di riprodurle, in modo che la Corte possa controllare direttamente rilevanza e fondatezza della doglianza. Non essendosi il ricorrente attenuto a questo principio, il motivo di ricorso non può essere esaminato.
Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, ed in particolare del principio di immediatezza della contestazione disciplinare, avvenuta ad alcuni mesi di distanza dall'ultimo fatto contestato "senza uno specifico motivo obiettivamente valido, da accertare e valutare rigorosamente".
Il motivo non è fondato.
L'invocata L. n. 300 del 1970, art. 7, detta alcune disposizioni procedimentali per l'irrogazione di sanzioni disciplinari al lavoratore subordinato, la quale non può avvenire senza previa contestazione dell'addebito ed audizione e difesa (comma 2) con eventuale assistenza di un rappresentante sindacale (comma 3). In ogni caso i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa, (comma 5).
Benchè questo art. 7, non prescriva espressamente l'immediatezza della contestazione, ossia la sua formulazione subito dopo l'accertamento del fatto illecito, questa Corte ha da tempo ravvisato la corrispondente regola sulla base di interpretazione non letterale ma sistematica. Nel caso in cui si tratti di licenziamento per giusta causa soggettiva, ossia senza necessità di preavviso, la necessità di una "causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria" del rapporto di lavoro, richiesta dall'art. 2119 c.c., comma 1, può fondatamente ed in concreto ritenersi insussistente qualora il datore di lavoro non abbia osservato la regola qui in questione.
Nel caso di specie, tuttavia, il licenziamento cit. ex art. 2119 c.c., è stato escluso dalla Corte d'appello e sul punto la sentenza non è stata impugnata. Quanto al licenziamento per giustificato motivo (L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3), la regola dell'immediatezza della contestazione è fondata anzitutto sulle esigenze difensive del lavoratore, prima nel procedimento disciplinare di cui al cit. art. 7, e poi nell'eventuale procedimento giudiziario, le quali vengono frustrate dall'ingiustificato indugio del datore di lavoro nella comunicazione dell'addebito (Cass. 24 giugno 1995 n. 7178, 13 giugno 2006 n. 13621).
Poichè l'incolpazione ritardata, siccome pregiudizievole al diritto dell'incolpato a difendersi, si traduce nell'illegittimità del conseguente licenziamento, l'incolpazione tempestiva è elemento costitutivo del diritto di licenziare (Cass. 6 settembre 2006 n. 19159, 15 giugno 2006 n. 111000, 20 giugno 2006 n. 14113) e ciò esclude che sul lavoratore gravi l'onere di provare lo specifico pregiudizio difensivo e comporta al contrario che questo ben possa essere ravvisato dal giudice attraverso l'officioso e prudente apprezzamento delle circostanze.
Infine la contestazione formulata a notevole distanza di tempo dal fatto addebitato può fondare la presunzione di mancanza di concreto interesse del datore di lavoro all'esercizio del potere di recesso (Cass. 23 giugno 1999 n. 6408) o, e in altre parole, di pretestuosità del motivo addotto. Questa ragione giustificativa della regola di immediatezza della contestazione è pressochè coincidente con quella che connette l'onere di tempestività al principio di buona fede oggettiva e più specificamente al dovere di non vanificare la consolidata aspettativa, generata nel lavoratore, di rinuncia all'esercizio del potere disciplinare. Si tratta di una sorta di decadenza dal potere (nel sistema tedesco: Verwirkung), derivante dalla violazione del più generale divieto di venire contra factum proprium (vedi Cass. 10 novembre 1997 n. 11095).
In ogni caso la regola in discorso dev'essere intesa in senso relativo ossia tenendo conto delle ragioni oggettive che possono ritardare la percezione o il definitivo accertamento e valutazione dei fatti contestati, soprattutto quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di fatti che, convergendo a comporre un'unica condotta, esigono una valutazione unitaria: in tal caso l'intimazione del licenziamento può seguire l'ultimo di questi fatti, anche ad una certa distanza temporale dai fatti precedenti (Cass. 1 aprile 2000 n. 3948, 6 settembre 2007 n. 18711, 20 ottobre 2007 n. 22066, con riferimento all'incolpazione per reiterato uso del telefono aziendale per fini personali, 1 gennaio 2008 n. 282, 27 marzo 2008 n. 7983).
Da aggiungere che il prudente indugio del datore di lavoro, ossia la ponderata e responsabile valutazione dei fatti può e deve precedere la contestazione anche nell'interesse del prestatore di lavoro, che sarebbe palesemente colpito da incolpazioni avventate o comunque non sorrette da una sufficiente certezza da parte del datore di lavoro (Cass. 11 gennaio 2006 n. 241, 18 gennaio 2007 n. 1101).
Nel caso di specie la Corte d'appello ha ritenuto che la necessità di controllare i più di tredicimila messaggi telefonici non solo nella riferibilità all'attuale ricorrente ma anche nell'estraneità ai motivi di servizio (parte di essi erano stati trasmessi durante l'orario di lavoro) giustificasse la contestazione dell'addebito a distanza circa quattro mesi (31 ottobre 2000 - febbraio 2001) dall'ultimo fatto addebitato, e tale plausibile valutazione non è censurabile nel giudizio di legittimità.
Le questioni sollevate dal ricorrente in memoria, e relative a pretese disparità di trattamento fra lavoratori o alla rilevanza penalistica della vicenda in questione, non possono essere esaminate perchè estranee ai motivi di ricorso nonchè introduttive di fatti non accertati nel giudizio di merito.
Rigettato il ricorso, le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in Euro 24,00, oltre ad Euro millecinquecento per onorario, più spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 6 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2008

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