Gli Stati Uniti sono sull'orlo di una crisi profonda. Provo a mettere in fila alcune ragioni di una simile situazione. In primo luogo la gigantesca montagna di debiti che il governo federale e l'economia Usa stanno accumulando da tempo sembra aver raggiunto un livello difficilmente sostenibile perché la dollarizzazione con cui si finanzia quel debito sconta difficoltà sempre più evidenti, aggravate dalla politica dei dazi, a cominciare da quelli contro la Cina: troppi debiti con l'estero mal si conciliano con dazi aggressivi. La finanziarizzazione e la conseguente polarizzazione della ricchezza nella popolazione statunitense cominciano a rendere le disuguaglianze troppo marcate: sembra sparita ogni forma di buona occupazione, i salari restano molto bassi e l'inflazione, che ha beneficiato solo i profitti, erode il potere d'acquisto. Così il Pil, al netto dell'inflazione, ristagna e rende il debito ancora più pesante. In questo senso i guadagni di Borsa, garantiti dalle Big Three, finiscono sempre più nelle mani di pochi. C'è poi la dura campagna elettorale per l'elezione del presidente che vede una spaccatura profonda nella finanza statunitense e che mette a rischio lo strapotere dei super fondi, a lungo protetti da un asse privilegiato con i dem di Biden e dalla politica monetaria di Powell. Gli alti tassi Fed garantivano il monopolio della liquidità ai detentori del risparmio gestito - leggi Big Three- , ma ora quei tassi stanno strangolando l'economia reale. In queste condizioni, è ripartita la volatilità con scommesse contro la tenuta delle big tech, fino ad oggi iper protette proprio dalla liquidità delle Big Three. Se poi aggiungiamo la fine del carry trade giapponese che, per effetto dei tassi bassi, consentiva agli speculatori di prendere a prestito soldi a Tokyo per comprare titoli americani, e l'acuirsi delle tensioni geopolitiche in troppe aree del pianeta non più disposte ad accettare la gestione unilaterale a stelle e strisce, appare chiaro perché la crisi americana rischia di essere pesantissima. (Alessandro Volpi, Prof di Storia Contemporanea all'università di Pisa)
T.me/GiuseppeSalamone
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