LAVORO (RAPPORTO) - SANITA' E SANITARI
Trib. ####################, 27-09-2007
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 700 e 414 c.p.c., i ricorrenti indicati in epigrafe, tutti dipendenti della ASL di #################### (con mansioni alcuni di ausiliare, altri di Ota ed altri ancora di infermieri generici ovvero professionali) adivano il Giudice del Lavoro di questo Tribunale esponendo: di essere personale "turnista" operante su turni diurni e notturni nell'ambito di vari reparti del presidio ospedaliero di ####################; di avere sempre espletato un orario notturno articolato dalle ore 22.00 alle ore 6.00 e della durata, pertanto, di otto ore; di essere stati destinatari di una disposizione di servizio prot. N. 13905 del 23/10/03 con la quale, con decorrenza 01/11/03, la ASL di #################### disponeva la variazione del turno notturno elevando la durata dello stesso dalle otto alle nove ore (cioè dalle 22.00 alle 7.00 con diminuzione della durata del turno diurno di un'ora); di ritenere tale disposizione illegittima in quanto adottata in violazione della normativa vigente in materia di orario di lavoro notturno di cui all'art. 13 D.L.vo n. 66/03; di ritenere pertanto la condotta datoriale lesiva dell'integrità psicofisica dei lavoratori con violazione della norma di cui all'art. 2087 c.c. a causa del sistematico superamento del limite legale di otto ore, tenuto anche conto del fatto che la professione infermieristica rientrava nella categoria dei c.d. "lavori usuranti" secondo il decreto L.vo n. 374/93; di ritenere infine, che la variazione dell'orario di lavoro notturno non fosse dovuta a necessità organizzative della P.A. o ad esigenze dell'utenza quanto, piuttosto, ad una scelta aziendale che consentisse di evitare di corrispondere i buoni pasto ai dipendenti che espletavano il turno diurno, a seguito della riduzione di questo da otto a sette ore lavorative; che infatti con la medesima disposizione impugnata la ASL contravveniva a quanto concordato nel Regolamento approvato dalla ASL - previa concertazione con le OO.SS. e le RSU - con deliberazione n. 1873/2000 in
ordine al diritto di accesso alla mensa del personale comparto sanità atteso che a decorrere dal maggio 2003 non riconosceva più ai ricorrenti il diritto a percepire il relativo buono mensa; che infine la ASL - nel variare i turni di lavoro ed al fine di uniformare tali turni - stabiliva anche una variazione dei "paletti delle timbrature" di entrata e di uscita in 7,5 minuti prima ed in 7,5 minuti dopo rispetto a quelli in precedenza adottati di 15 minuti in entrata ed in uscita, in tal modo violando quanto stabilito dall'accordo stipulato nel 2001 in sede di contrattazione integrativa aziendale (art. 3 lett. 9) ed anche dal CCNL per omessa preventiva informazione e concertazione con le organizzazioni sindacali in merito alla variazione degli orari di lavoro.
Conclusivamente, ritenendo illegittima la condotta datoriale sotto tutti i profili evidenziati, i ricorrenti chiedevano nel merito - previa disapplicazione della disposizione di servizio prot. 13905 del 23 ottobre 2003 nonché, della missiva prot. 45454 del 20.10.03 di trasmissione del verbale aziendale 16 ottobre 2003 - volersi: a) accertare e dichiarare il diritto dei ricorrenti ad essere adibiti a turni di notte comunque rispettosi del limite legale di otto ore giornaliere o quale media settimanale e per l'effetto, orinare alla ASL di adibire i ricorrenti alla turnazione di notte con orario 22.00-6.00 precedentemente assegnato o altro analogo previa concertazione con le OO.SS. e le RSU in ogni caso compatibile con il limite legale di otto ore, fatte salve, in ogni caso e comunque, sempre motivate eccezionali contingenti emergenze; b) accertare e dichiarare l'illegittimità della riduzione da 15 minuti a 7.30 minuti dei tempi prescritti per il passaggio delle consegne e previa
disapplicazione degli atti adottati, ordinare alla ASL di ripristinare la disciplina precedente in conformità dell'accordo integrativo aziendale e fino a diversa pattuizione tra le parti; c) accertare e dichiarare altresì l'illegittimità della mancata consegna dei buoni pasto e, per l'effetto, condannare la ASL alla corresponsione degli stessi sulla base dell'effettivo orario di lavoro espletato.
Si costituiva in giudizio la ASL di #################### depositando memoria con la quale chiedeva il rigetto della avversa domanda siccome destituita di fondamento. Osservava nel merito che la modificazione unilaterale dell'orario di lavoro esprimeva a un legittimo ius variandi del datore di lavoro essendo attinente alla materia dell'organizzazione degli uffici ex art. 2 comma 1 D.L.vo n. 165/01 ed essendo il relativo provvedimento adottato, un atto a carattere generale c.d. di macro-organizzazione non sindacabile dal giudice ordinario; che il lavoro notturno è disciplinato unitariamente, da ultimo, dal D.Lvo n. 66/03, normativa cui si aggiunge la regolamentazione convenzionale rinvenibile nella contrattazione collettiva; che in particolare, per quanto attiene al lavoro notturno, lo stesso ai sensi dell'art. 12 deve essere concordato tra le parti ovvero comunicato alle organizzazioni sindacali soltanto laddove introdotto per la prima volta in azienda; che, risultava indimostrata, da parte dei
ricorrenti, di essere "lavoratore notturno" ovvero di rientrare nella definizione di cui all'art. 1 del D.L.vo citato per il quale: "è lavoratore notturno il lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno; che, ai sensi dell'art. 13 l'orario di lavoro dei lavoratori notturni è sì fissato in otto ore nelle 24 ore, ma tale limite può essere anche superato purché come dato medio sia rispettato in un periodo di riferimento contenuto nei contratti collettivi; che altresì lo stesso art. 4 fissa in 48 ore la durata massima settimanale della prestazione lavorativa, computabile anche su base media con riferimento ad un periodo non superiore a quattro mesi: che inoltre l'art. 26 del CCNL quadriennio 1998/01, nel caso di lavoro articolato in turni continuativi sulle 24 ore, disponeva anche che, nel preventivo rispetto di adeguati periodi di riposo tra i turni
per consentire il recupero psicofisico, la durata della prestazione può anche essere di dodici ore continuative a qualsiasi titolo prestate; che, infine, l'art. 10 del C.I.A. (del 29/09/01) stabilisce che svolgono lavoro notturno i lavoratori tenuti ad operare su turni a copertura delle 24 ore... quanto alla durata della prestazione rimane salvaguardata l'attuale organizzazione del lavoro dei servizi assistenziali che operano nei turni a copertura delle 24 ore; che in ogni caso, ai lavoratori è corrisposta l'indennità prevista dall'art. 45 comma 9 del CCNL per il lavoro notturno prestato, a fronte del disagevole ed usurante servizio.
Conclusivamente, la convenuta sosteneva che, stante il rinvio del D.L.vo n. 66/03 al CCNL, la durata del lavoro notturno nel comparto SSN può essere stabilita, nel massimo, fino a 12 ore, purché nel quadrimestre di riferimento (D. L.vo) o su base annua (ccnl) la media non sia superiore ad 8 ore per turno; che la variazione dei tempi di passaggio delle consegne da un turno all'altro in entrata ed in uscita e la loro concreta modulazione erano in ogni caso rimesse al potere dispositivo del datore di lavoro.
All'udienza del 27/09/07 il Giudice (il quale, con ordinanza emessa ai sensi dell'art. 700 c.p.c. confermata dal Tribunale in sede di reclamo, aveva accolto le domande attoree limitatamente al divieto di variazione dell'orario di lavoro relativo al turno notturno) ritenuta la causa documentalmente istruita nonché vertente su questioni interpretative di diritto, decideva la stessa all'esito della discussione orale dei difensori delle parti, emettendo separato provvedimento di cui dava lettura in aula.
Motivi della decisione
Le domande attoree sono fondate e possono essere accolte per le ragioni di seguito precisate.
Innanzitutto, va affermata nel caso di specie, la giurisdizione del giudice ordinario essendo la controversia volta a contestare in via principale la legittimità della nuova organizzazione datoriale dell'orario di lavoro siccome destinata ad incidere negativamente sul diritto alla salute dei lavoratori coinvolti ovvero su posizioni che sono indiscutibilmente di diritto soggettivo. Inoltre, atteso che, pur in presenza di atti amministrativi presupposti c.d. di macro-organizzazione (i quali fissano, in via generale, i criteri e le modalità di organizzazione del lavoro ex art. 2 D.L.vo n. 165/01) è consentito al giudice ordinario la loro disapplicazione ai sensi dell'art. 63 comma 1 D.L.vo n. 165/01 - laddove gli stessi siano rilevanti ai fini della decisione e concretamente lesivi degli interessi dei ricorrenti - va affermata la competenza di tale giudice (secondo la regola generale di cui all'art 63 citato) ogni qual volta si tratti di controversia, quale quella in esame, avente ad
oggetto un rapporto di lavoro contrattualizzato ex art. 2 commi 2 e 3 d.l.vo 165/01 ovvero non compreso tra quelli che l'art. 3 della stessa normativa riserva ancora al regime del diritto pubblico.
Passando all'esame del merito, risulta la violazione, da parte della ASL convenuta, dell'art. 13 del D.L.vo n. 66/03 e dell'art. 2087 c.c. nonché l'illegittimità della delibera aziendale n. 13905 del 23/10/03 in quanto pregiudizievole della salute dei lavoratori, dovendosi condividere le argomentazioni difensive addotte sul punto dai ricorrenti a sostegno dell'illegittimità delle deliberazioni datoriali.
Innanzitutto, e contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della ASL, va detto che i ricorrenti - i quali pacificamente e "normalmente" svolgono la professione infermieristica assicurando la prestazione lavorativa sia durante i turni diurni che notturni sulla base delle disposizioni datoriali - rientrano nella nozione di "lavoratore notturno" di cui alla normativa citata. Quest'ultima, dopo avere definito all'art. 1 il lavoro notturno come "periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le cinque", fornisce due accezioni, tra loro alternative, del "lavoratore notturno". Quest'ultimo è infatti: 1) qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo abituale ovvero, 2) qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro. In difetto di disciplina collettiva è
considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno". Non può allora non ritenersi che quantomeno la prima accezione - che in quanto posta in via alternativa e non subordinata rispetto alla seconda ha la stessa valenza giuridica di quest'ultima - si attagli alla posizione lavorativa dei ricorrenti i quali, pertanto, a ragione possono essere definiti lavoratori notturni, pur senza avere svolto almeno 80 giorni lavorativi di notte nel corso di un anno (la definizione di lavoratore notturno riferibile ai lavoratori in oggetto è stata peraltro ribadita anche dalla Direttiva del Parlamento e del Consiglio Europeo 2003/88 CE prodotta in atti, all'art. 2 delle Definizioni).
Passando all'esame del D.L.vo n. 66/03 - il quale, come è noto, ha riformato la disciplina in materia di orario di lavoro abrogando, salvo che per le norme espressamente richiamate, le disposizioni precedentemente vigenti - lo stesso all'art. 13 con riferimento alla durata del lavoro notturno recita al comma 1: "l'orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore in media nelle ventiquattro ore, salva l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite".
Tale articolo inoltre, al successivo comma 3 prevede: "entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali... viene stabilito un elenco delle lavorazioni che comportano rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali, il cui limite è di otto ore nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore".
Orbene, non vi è dubbio che la ratio della norma sia quella di assicurare ai lavoratori notturni una tutela idonea a garantirne e preservarne l'integrità psicofisica (tale esigenza di tutela è ricavabile anche dal tenore del successivo art. 14 della legge citata), attraverso la previsione di limiti di durata della prestazione di lavoro notturna, il superamento dei quali non è consentito in quanto pone a rischio la salute e la sicurezza degli stessi. Tuttavia, se chiaro è l'intento perseguito dal legislatore nel prevedere la disposizione in oggetto, non altrettanto chiaro, né di agevole ed immediata comprensione, risulta essere il suo tenore letterale. L'art. 13 infatti al comma 1 sembrerebbe introdurre, un limite di durata - otto ore in media nelle 24 ore - non più fisso (come il precedente art. 4 del D.L.vo n. 532/99) bensì variabile in ragione dell'eventuale previsione, da parte dei contratti collettivi cui espressamente rinvia, di un periodo di riferimento più ampio sul
quale calcolare detta media; dall'altro, prevede un limite fisso di otto ore nell'arco delle ventiquattro ore solo per determinate lavorazioni considerate "rischiose" ovvero "usuranti", da individuarsi con successivi decreti ministeriali. Ebbene, con riguardo al periodo temporale stabilito dal primo comma dell'art. 13, rilevato che — come correttamente osservato dalla difesa attorea - non vi è allo stato alcuna previsione nei contratti collettivi di un qualunque periodo sul quale calcolare la media (superiore alle 24 ore e da riferirsi esclusivamente al servizio notturno e non all'orario massimo di servizio globalmente considerato comprensivo anche del turno diurno e pomeridiano) né essendo chiarito il concetto di "media" sulla quale calcolare le otto ore di lavoro notturno; non risultando altresì espressamente indicato dalla norma in oggetto il periodo di riferimento che consenta di determinare tale media, deve concludersi nel senso che il limite previsto dalla norma sia in
realtà un limite fisso e non variabile, non potendo avere alcun significato il termine "in media" utilizzato dal legislatore nella prima parte del comma 1 dell'art. 13. In sostanza, la lacuna normativa appena rilevata - non colmabile attraverso il ricorso alle disposizioni del contratto collettivo che nulla prevedono a riguardo - deve far propendere per la tesi, (nel caso di specie, certamente più favorevole ai lavoratori), secondo cui l'unità di calcolo ovvero il periodo di riferimento delle otto ore di lavoro notturno debba essere determinato dalle ventiquattro ore. D'altra parte, la stessa norma nel suo quinto comma, ha esplicitato chiaramente quanto ha invece taciuto al primo comma laddove, con riferimento al settore della pianificazione non industriale, ha indicato il periodo di riferimento entro cui calcolare le otto ore come media, prevedendo che essa debba essere riferita alla settimana lavorativa. Inoltre, a riprova della correttezza della tesi interpretativa sostenuta
dai ricorrenti e condivisa da questo Giudice, per la quale non sia possibile superare il limite di otto ore di lavoro notturno nelle ventiquattro ore lavorative, si pone la circostanza per cui risulta tuttora al vaglio del Parlamento la proposta di modifica dell'art. 13 del D.L.vo n. 66/03 che, modificando la dizione attuale della norma, stabilisce che le otto ore di lavoro notturno debbano essere previste quale limite massimo ovvero assoluto nell'arco delle ventiquattro ore e non come limite medio (v. relativa allegazione agli della difesa attorea). Detta proposta legislativa, a ben vedere si pone in linea con la normativa comunitaria (Direttiva Europea n. 88/3003) la quale, rinviando agli Stati membri per la concreta disciplina della durata del lavoro notturno, prevede espressamente: "1) che l'orario di lavoro normale dei lavoratori notturni non superi le otto ore in media per periodo di ventiquattro ore; 2) che i lavoratori il cui lavoro comporti rischi particolari o rilevanti
tensioni fisiche o mentali non lavorino più di otto ore nel corso di un periodo di ventiquattro ore durante il quale effettuano un periodo di lavoro notturno".
Sotto altro profilo, la fondatezza delle doglianze attoree in ordine all'illegittimità del provvedimento aziendale impugnato, emerge dalla lettura del comma 3 dell'art. 13 citato, letto in combinato disposto con il decreto L.vo n. 374 del 1993 tuttora vigente. Va infatti osservato che la prima delle suddette norme prevede un limite fisso di durata della prestazione lavorativa notturna (che non può superare le otto ore nel corso di un periodo di 24 ore) per specifiche lavorazioni comportanti particolari rischi o rilevanti tensioni fisiche o morali da individuarsi da parte della normazione secondaria. Tuttavia, non essendo stata quest'ultima emanata, deve nelle more ritenersi applicabile il decreto L.vo n. 374/93 attuativo dell'art. 3 comma 1 lett. f della L. n. 421/92 recante benefici per le attività usuranti il quale - premesso all'art. 1 che "sono considerati lavori particolarmente usuranti quelli per il cui svolgimento è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso
e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee", alla tabella A allegata indica, tra i lavori usuranti, sia il lavoro notturno continuativo, sia, in particolare, il lavoro svolto dal personale addetto ai reparti di pronto soccorso, rianimazione e chirurgia d'urgenza vale a dire le tipologie di lavoro svolte dai ricorrenti (non può infatti revocarsi in dubbio che gli stessi - tutti infermieri professionisti - svolgano il loro lavoro anche in turni notturni avvicendati e continuativi predeterminati dal datore di lavoro. Inoltre, operano nel reparto di chirurgia generale o comunque, in reparti dove si interviene anche con chirurgia d'urgenza).
Conclusivamente pertanto, appare illegittima la delibera adottata dalla ASL in data 23/10/03 prot. N. 13905 nonché, l'atto prodromico missiva prot. N. 45454 del 20/10/03 di trasmissione del verbale di riunione aziendale del 16/10/03 in quanto posti in violazione dell'art. 13 del decreto leg.vo n. 66/03 e dell'obbligo di tutela della salute ed integrità fisica dei lavoratori di cui all'art. 2087 c.c. Tali provvedimenti, vanno pertanto disapplicati nel caso concreto laddove, modificando i turni di servizio, elevano da otto a nove ore la durata del turno notturno (dalle 22.00 alle 7.00) superando il limite quantitativo globale previsto dalla norma a tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori. Tanto più considerato che il superamento di detto limite non appare giustificato da esigenze aziendali assolutamente prevalenti e che pertanto il potere discrezionale della ASL, quanto alla determinazione delle modalità organizzative del lavoro, non risulta esercitato, nel caso di specie,
secondo le regole della buona fede e della correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., in relazione al contenuto determinato dall'art. 41 comma 2 cost.
I provvedimenti impugnati risultano altresì illegittimi pure sotto gli altri profili evidenziati in ricorso.
Lamentano i ricorrenti la violazione da parte del datore di lavoro del diritto - contrattualmente previsto - a percepire i buoni mensa. Tali buoni infatti, non sarebbero stati loro corrisposti a decorrere da maggio 2003 nonostante l'espletamento del turno di mattina per otto ore. Ancor più non sarebbero stati corrisposti a seguito della variazione dell'orario e dei turni di lavoro, essendo stato ridotto il turno di mattina da 8 a 7 ore lavorative.
La censura è fondata. Va rilevato che il Regolamento sul diritto di accesso alla mensa per il personale del comparto sanità approvato - previa concertazione con le OO.SS. e le RSU - con deliberazione della ASL di #################### n. 1873 del 12.07.00, riconosce ai dipendenti il diritto a percepire il buono pasto (in mancanza del servizio mensa) "...a fronte di una prestazione di servizio fino ad otto ore continuative" (art. 2). Il regolamento demanda poi ad un separato accordo (finora non intervenuto), per stabilire le modalità del servizio di ristoro da fornire a coloro che osservano il turno notturno. Tale buono pasto, è stato dunque corrisposto ai dipendenti dal 01.03.00 - data di decorrenza dell'accordo, e fino al maggio 2003, allorché ne è stata interrotta la corresponsione. Ebbene, non vi è dubbio che tale comportamento datoriale sia illegittimo in quanto violativo del diritto dei lavoratori a percepire un emolumento avente natura retributiva e fondato sullo svolgimento della
prestazione lavorativa. Esso, inoltre, è palesemente contrario ai doveri contrattuali di buona fede e correttezza di cui all'art. 1175 c.c. atteso che è stato attuato a seguito della variazione dell'orario di lavoro e, nella specie, di quello relativo al turno di mattina il quale, una volta diminuito da otto a sette ore (dalle 7.00 alle 14.00 anziché, come era in precedenza, dalle 6.00 alle 14.00), ha comportato il venir meno della condizione prevista dal regolamento per la fruizione del buono pasto (tale regolamento, come si è visto, richiedeva l'espletamento fino ad otto ore continuative).
Infine, le disposizioni impugnate sono illegittime nella parte in cui prevedono la riduzione del lasso di tempo per il passaggio delle consegne da un turno all'altro (da 15 a 7,5 minuti in entrata ed in uscita). Tenuto conto del fatto che il tempo di lavoro impiegato per effettuare ad ogni cambio turno il passaggio delle consegne è prestazione complementare connaturale al lavoro del turnista e che, pertanto, la determinazione di tale tempo attiene alla determinazione "dell'orario di lavoro", tali disposizioni aziendali si pongono in evidente contrasto con le norme del CCI 1998-2001 comparto sanità e del CCNL (art. 6). Non risultano infatti rispettati gli obblighi di comunicazione e concertazione con le OO.SS. e le RSU previsti dal comma 7 dell'art. 3 del CCI "al fine di omogeneizzare i criteri interpretativi ed applicativi del presente articolo e di razionalizzare gli orari delle strutture dell'Azienda". Inoltre violano il disposto del comma 9 del medesimo art. 3 secondo cui "al
personale turnista, che deve garantire il passaggio delle consegne, deve essere riconosciuta la possibilità di un quarto d'ora di sovrapposizione di presenza" (si noti che il minor tempo di 7,5 minuti previsto dalla ASL nelle delibere impugnate, non può ritenersi congruo ovvero sufficiente al fine di garantire le consegne avuto riguardo al fatto che i dipendenti ospedalieri, come nella specie i ricorrenti, al termine del proprio turno di lavoro hanno lo specifico dovere di fare le consegne a chi subentra loro, in modo tale da evidenziare a costoro tutti gli incombenti da espletare quali ad es. la necessità di una attenta osservazione e di un controllo costante dell'evoluzione delle malattie dei pazienti a rischio di complicanze, l'eventuale somministrazione di adeguate terapie ai soggetti ricoverati ecc.).
Conclusivamente allora, sulla base di tutte le argomentazioni esposte, le domande attoree possono essere accolte nei termini precisati in dispositivo.
Le spese legali relative ad entrambe le fasi del giudizio — cautelare e di merito - seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando accoglie il ricorso e, per l'effetto:
- Accerta e dichiara l'illegittimità della disposizione di servizio della ASL prot. N. 13905 del 23/10/03 nella parte in cui modifica la durata del turno notturno elevandolo dalle otto alle nove ore (dalle 22.00 alle 7.00) nonché, degli atti prodromici missiva prot. N. 45454 del 20/10/03 di trasmissione del verbale di riunione aziendale del 16/10/03 e, per l'effetto, disapplica tali atti nel caso concreto. Stante il divieto del datore di lavoro di adibire gli odierni ricorrenti alla turnazione di notte - dalle h. 22.00 alle h. 7.00 - ordina alla Azienda Unità Sanitaria Locale di #################### di riassegnare immediatamente gli stessi lavoratori all'orario notturno precedentemente assegnato (dalle ore 22.00. alle h. 6.00) o ad altro analogo, purché rispettoso del limite legale di otto ore fatte salve, sempre e comunque, motivate, eccezionali e contingenti emergenze;
Accerta e dichiara l'illegittimità delle medesime disposizioni e degli atti aziendali impugnati nella parte in cui riducono da 15 a 7,5 minuti i tempi previsti per il passaggio delle consegne e per l'effetto, disapplicati tali atti nel caso concreto, ordina alla ASL di ripristinare i tempi precedenti (di 15 minuti) quantomeno fino all'adozione di nuova e diversa pattuizione tra le parti nel rispetto delle procedure di consultazione e concertazione con le OO.SS. e le RSU previsti dal CCNL e dal CCI 1998/2001 - comparto sanità;
- accerta e dichiara illegittimo il comportamento della ASL consistito nella mancata corresponsione in favore dei ricorrenti, a decorrere dal 01.05.03, dei buoni pasto e, per l'effetto, condanna la resistente a corrispondere ai dipendenti i buoni pasto sulla base dell'effettivo orario di lavoro espletato a decorrere dalla suddetta data e fino all'1.11.03;
- condanna la ASL di #################### al pagamento delle spese processuali che si liquidano relativamente ad entrambe le fasi del giudizio cautelare, in complessivi Euro 3.000,00 (di cui Euro 2.000,00 per onorari) oltre IVA e CPA e, relativamente al presente giudizio di merito, in complessivi Euro 1.800,00 (di cui Euro 900,00 per onorari) oltre IVA e CPA da distrarsi in favore del procuratore dei ricorrenti dichiaratosi antistatario.
Così deciso in ####################, il 27 settembre 2007.
Depositata in Cancelleria, il 27 settembre 2007.