ORDINANZA N. 319
ANNO 2013
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
- Gaetano SILVESTRI
Presidente
- Luigi
MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria
NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro
CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA
”
- Sergio
MATTARELLA ”
- Mario Rosario
MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha
pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 48, comma 12, del decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice
delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni
in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge
13 agosto 2010, n. 136), promosso
dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce, nel procedimento
penale a carico di P.E., con ordinanza del 15 marzo
2012, iscritta al n. 163 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella
Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale,
dell’anno 2012.
Visti
l’atto di
costituzione di P.E., nonché l’atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza
pubblica del 3 dicembre 2013 il Giudice relatore Giuseppe
Frigo;
uditi
l’avvocato
Daniela d’Amuri per P.E. e
l’avvocato dello Stato Raffaele Tamiozzo per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
che, con ordinanza depositata il 15 marzo
2012, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 48, comma 12, del decreto legislativo 6
settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di
prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a
norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in
cui non riconosce all’autorità giudiziaria alcun margine di valutazione
discrezionale in ordine all’affidamento in custodia giudiziale dei beni mobili
sequestrati agli organi di polizia, che ne abbiano fatto richiesta per l’impiego
in attività di polizia, e ciò anche quando si tratti di beni
aziendali;
che
il giudice a quo premette di aver
affidato in custodia giudiziale agli organi di polizia, con provvedimento del 6
aprile 2011, diciotto autovetture facenti parte del patrimonio aziendale di una
impresa esercente la compravendita di autoveicoli, sottoposte a sequestro
preventivo nell’ambito di un procedimento penale relativo ad uno dei delitti di
cui all’art. 51, comma 3-bis, del
codice di procedura penale;
che
il predetto provvedimento era stato emesso sulla base dell’art. 2-undecies, comma 3-bis, della legge 31 maggio 1965, n. 575
(Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche
straniere), come modificato dall’art. 5 del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4
(Istituzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei
beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con
modificazioni, dalla legge 31 marzo 2010, n. 50, ove si stabiliva che «I beni
mobili, anche iscritti in pubblici registri, le navi, le imbarcazioni, i natanti
e gli aeromobili sequestrati sono affidati dall’autorità giudiziaria in custodia
giudiziale agli organi di polizia, anche per le esigenze di polizia giudiziaria,
i quali ne facciano richiesta per l’impiego in attività di polizia, ovvero
possono essere affidati all’Agenzia o ad altri organi dello Stato o ad altri
enti pubblici non economici, per finalità di giustizia, di protezione civile o
di tutela ambientale»: disposizione estesa dall’art. 12-sexies, comma 4-bis, del decreto-legge 8 giugno 1992, n.
306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di
contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, dalla legge
7 agosto 1992 n. 356, anche ai beni sequestrati nell’ambito di procedimenti
relativi ai delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.;
che
avverso il provvedimento la persona sottoposta alle indagini aveva proposto
opposizione, dichiarata inammissibile dal giudice rimettente con ordinanza del
28 aprile 2011;
che,
a seguito di ricorso dell’interessato, la Corte di cassazione aveva annullato
l’ordinanza, ritenendo che l’opposizione dovesse essere riqualificata come
incidente di esecuzione, sul quale, pertanto, il giudice a quo si trova chiamato a decidere;
che,
ciò premesso, il rimettente assume che, alla luce del disposto dell’art. 116,
comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, sopravvenuto nelle more, il caso oggetto
del procedimento a quo dovrebbe
ritenersi attualmente regolato dall’art. 48, comma 12, del medesimo decreto
legislativo, che reca, peraltro, una disposizione identica a quella del citato
art. 2-undecies, comma 3-bis, della legge n. 575 del
1965;
che
il giudice a quo dubita, tuttavia,
della legittimità costituzionale della norma, rilevando come la stessa non
riconosca all’autorità giudiziaria alcun potere discrezionale di valutazione di
fronte alla richiesta degli organi di polizia, intesa ad ottenere l’affidamento
in custodia giudiziale di beni mobili sequestrati, per l’impiego in attività di
polizia;
che
tale conclusione si imporrebbe alla luce del chiaro tenore letterale della
previsione normativa, la quale, per un verso, si avvale dell’indicativo presente
«sono affidati», anziché della formula «possono essere affidati» (utilizzata,
invece, con riguardo all’ipotesi dell’affidamento dei beni all’Agenzia, ad altri
organi dello Stato o ad enti pubblici non economici, per finalità di giustizia,
di protezione civile o di tutela ambientale), e, per altro verso, non specifica
i parametri che dovrebbero orientare l’esercizio di un ipotetico potere
discrezionale dell’autorità giudiziaria nella decisione sulla
richiesta;
che
la disposizione denunciata violerebbe, di conseguenza, l’art. 3 Cost.,
sottoponendo irrazionalmente al medesimo trattamento situazioni eterogenee:
l’autorità giudiziaria si troverebbe, infatti, vincolata ad accogliere la
richiesta di affidamento formulata dagli organi di polizia a prescindere dalla
destinazione funzionale dei beni sequestrati e, in particolare,
indipendentemente dal fatto che si tratti di beni non destinati all’esercizio di
un’attività imprenditoriale o, al contrario, di beni facenti parte – come nella
specie – di un complesso aziendale;
che
la norma censurata si porrebbe, altresì, in contrasto con l’art. 41 Cost., che
sancisce la libertà dell’iniziativa economica privata, in quanto l’attività
imprenditoriale potrebbe essere pregiudicata ove i beni che compongono l’azienda
ad essa strumentale, o una cospicua parte di essi, fossero affidati ad un organo
diverso da quello specificamemente deputato
all’amministrazione giudiziaria delle aziende sottoposte a sequestro, cui il
legislatore, già con l’art. 104-bis
disp. att. cod. proc. pen.,
ha demandato compiti di gestione «da intendersi in senso
dinamico»;
che
è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo, in via preliminare,
l’inammissibilità della questione per carente descrizione della fattispecie
concreta e chiedendo, altresì, nel merito, che la questione sia dichiarata
infondata;
che
si è costituito, inoltre, P.E., persona sottoposta
alle indagini nel procedimento a quo,
il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di
rilevanza o, comunque, respinta nel merito.
Considerato
che
il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce dubita, in
riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, della legittimità
costituzionale dell’art. 48, comma 12, del decreto legislativo 6 settembre 2011,
n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove
disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e
2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in cui non riconosce
all’autorità giudiziaria alcun margine di valutazione discrezionale in ordine
all’affidamento in custodia giudiziale dei beni mobili sequestrati agli organi
di polizia, i quali ne abbiano fatto richiesta per l’impiego in attività di
polizia, e ciò anche quando si tratti di beni aziendali;
che,
successivamente alla pubblicazione dell’ordinanza di rimessione, è intervenuto
l’art. 1, comma 189, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di
stabilità 2013)», il quale ha, tra l’altro, sostituito il censurato art. 48,
comma 12, del d.lgs. n. 159 del 2011;
che,
a seguito della novella, la disposizione denunciata non si occupa più
dell’affidamento in custodia giudiziale dei beni
sequestrati;
che
la materia è disciplinata, per converso, dal nuovo comma 5-bis dell’art. 40 del d.lgs. 159 del
2011, aggiunto dal medesimo art. 1, comma 189, della legge n. 228 del 2012, ove
si stabilisce che «I beni mobili sequestrati, anche iscritti in pubblici
registri, possono essere affidati dal tribunale in custodia giudiziale agli
organi di polizia che ne facciano richiesta per l’impiego nelle attività
istituzionali o per esigenze di polizia giudiziaria, ovvero possono essere
affidati all’Agenzia, ad altri organi dello Stato, ad enti pubblici non
economici e enti territoriali per finalità di giustizia, di protezione civile o
di tutela ambientale»;
che,
con specifico riguardo al tema sottoposto all’esame di questa Corte, particolare
rilievo assume l’avvenuta sostituzione della voce verbale «sono affidati» –
presente nella norma censurata previgente e che, nella ricostruzione del
rimettente, sarebbe valsa a rendere indefettibile l’affidamento dei beni
sequestrati agli organi di polizia richiedenti – con l’espressione «possono
essere affidati», utilizzata anche con riguardo all’ipotesi dell’affidamento ad
altri soggetti;
che
deve essere, di conseguenza, ordinata la restituzione degli atti al giudice a quo, affinché proceda ad una nuova
valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione
alla luce dello ius superveniens.
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
ordina
la
restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Lecce.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 10 dicembre
2013.
F.to:
Gaetano
SILVESTRI,
Presidente
Giuseppe FRIGO,
Redattore
Gabriella
MELATTI,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 17 dicembre
2013.
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