SENTENZA N. 310
ANNO 2013
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
- Gaetano SILVESTRI
Presidente
- Luigi MAZZELLA
Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 9, commi 2 e 21, primo, secondo e terzo periodo, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122,
promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione
staccata di Reggio Calabria, con ordinanza dell’8 maggio 2012, dal Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia con ordinanza del 15 giugno 2012, dal
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte con due ordinanze del 24
agosto 2012, dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione
staccata di Pescara, con ordinanza del 6 agosto 2012, dal Tribunale regionale di
giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, con ordinanze
dell’8 novembre e del 20 dicembre 2012, dal Tribunale amministrativo regionale
dell’Umbria con ordinanze del 27 febbraio e del 13 marzo 2013 e dal Tribunale
amministrativo regionale per la Puglia con ordinanza del 25 marzo 2013,
rispettivamente iscritte ai nn. 179, 197, 259, 277 e
294 del registro ordinanze 2012 ed ai nn. 3, 16, 83,
123 e 148 del registro ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 37, 39, 46 e 49, prima serie
speciale, dell’anno 2012 e nn. 2, 5, 7, 18, 23 e 26,
prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visti gli atti di costituzione di C.G. ed altri, di M.D.
ed altro, di S.S. ed altri, di B.E.M. ed altri, di
B.N. ed altri, di C.E. ed altri, di C.E. ed altri, di
C.F. ed altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito
nell’udienza pubblica del 5 novembre 2013 e nella camera di consiglio del 6
novembre 2013 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi
gli avvocati Chiara Reggio D’Aci per M.D. ed altro, per S.S. ed altri e per C.E.
ed altri, Alberto Romano per B.E.M. ed altri, Vittorio
Angiolini per B.N. ed altri, Giuliano Gruner per C.E. ed altri, Massimo Vernola per C.F. ed altri e l’avvocato dello Stato Vincenzo
Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− I Tribunali amministrativi
regionali per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, per la Lombardia
e per il Piemonte, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa del
Trentino-Alto Adige, sede di Trento, i Tribunali amministrativi regionali per
l’Umbria e per la Puglia, con distinte ordinanze di rimessione, rispettivamente
iscritte ai nn. 179, 197, 259, 277 e 294 del registro
ordinanze del 2012 e ai nn. 3, 16, 83, 123 e 148 del
registro ordinanze del 2013, hanno sollevato, nel complesso, questioni di
legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 21, primo, secondo e terzo
periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in
riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 9, 33, 34, 36, 37, 42, 53, 77 e 97
della Costituzione.
1.1.− Il TAR Calabria, sezione
staccata di Reggio Calabria, ha impugnato anche l’art. 9, comma 2, del d.l. n.
78 del 2010, in riferimento agli artt. 42 e 97 Cost.
1.2.− Il Tribunale
amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, ha
impugnato l’art. 9, commi 2 e 22, del d.l. n. 78 del 2010, – a cui faceva
seguito l’art. 2, comma 7, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre
2011, n. 148 −, in riferimento agli artt. 2 (principio di solidarietà), 3, 23,
36 e 53 Cost. (registro ordinanze n. 294 del 2012).
Tuttavia, con successivo
provvedimento di correzione di errore materiale, il rimettente ha disposto che
nella suddetta ordinanza i riferimenti normativi fossero sostituiti con
l’indicazione «art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010».
1.3.− Le questioni sono state
sollevate nel corso di giudizi promossi da docenti universitari di ruolo,
ordinari, straordinari, associati, ricercatori, nei confronti, nel complesso,
delle rispettive università degli studi, del Ministero dell’istruzione
dell’università e della ricerca, del Ministero dell’economia e delle finanze e
del Presidente del Consiglio dei ministri, per ottenere l’accertamento del
diritto alla corresponsione del proprio trattamento economico senza
l’applicazione delle misure di blocco previste dall’art. 9, comma 21, primo,
secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010.
Tali disposizioni prevedono
che «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della
legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013
ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi.
Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di
progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono
utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio
previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le
progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni
2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente
giuridici».
1.4.− I giudici rimettenti,
quanto alla rilevanza delle questioni, ritengono che la disciplina in esame
trovi diretta applicazione in ordine ai docenti universitari di ruolo, non
potendosi escludere che, per gli stessi, il sistema di progressione stipendiale
presenti caratteri di automatismo.
In particolare, il TAR
Lombardia ed il TAR Umbria (registro ordinanze n. 197 del 2012, n. 83 e n. 123
del 2013), espongono che l’applicabilità dell’art. 9, comma 21, nei confronti
dei ricorrenti, non è contraddetta dal nuovo sistema di progressione economica,
introdotto dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di
organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché
delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema
universitario), poiché la progressione stipendiale rimane prefigurabile ex ante
in quanto non subordinata ad eventi estranei alla sfera lavorativa degli
interessati, quali le determinazioni assunte in sede di contrattazione
collettiva o il superamento di selezione tra più aspiranti.
Per tutti i rimettenti,
quindi, i ricorrenti subiscono un immediato pregiudizio dalle disposizioni di
blocco in esame, ed hanno un interesse attuale a ricorrere, in ragione del
contenuto precettivo delle disposizioni censurate.
I TAR, quindi, ritengono di
dover fare applicazione delle stesse, così disattendendo uno dei motivi dei
ricorsi proposti, e sospettano le medesime di illegittimità costituzionale.
1.5.− La non manifesta
infondatezza è dedotta da ciascun Tribunale amministrativo regionale con
riguardo a più parametri costituzionali nei termini di seguito indicati.
2.− Il Tribunale
amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria
(registro ordinanze n. 179 del 2012), nell’impugnare l’art. 9, comma 21, primo,
secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 2
(dignità sociale e solidarietà), 3 (ragionevolezza, uguaglianza e
partecipazione), 36, 53 e 97 Cost., rileva come la disciplina ivi contenuta
privi i docenti universitari di utilità economiche ormai acquisite
nell’aspettativa relativa al proprio trattamento retributivo, alterando in tal
modo la disciplina di un rapporto di durata. I docenti universitari, in ragione
della riforma introdotta dalla legge n. 240 del 2010, che collega la
progressione economica a meccanismi di valutazione, non potranno contare, allo
scadere del blocco, a differenza di tutti i dipendenti non contrattualizzati, della ripresa del più favorevole regime
automatico dell’applicazione degli scatti stipendiali.
Il blocco in esame opera anche
rispetto al nuovo sistema di classi e scatti, sancito dalla legge n. 240 del
2010 e viola gli artt. 3, 97 e 36 Cost., non potendosi ravvisare alcun
automatismo nel nuovo sistema di progressione economica, che non potrà che
operare dal 2014, con nocumento per il buon andamento dell’amministrazione e
lesione del principio di proporzionalità tra la retribuzione e la qualità e
quantità del lavoro effettivamente svolto dal docente.
2.1.− Il TAR Calabria
qualifica il blocco, sia dell’adeguamento che degli scatti stipendiali, come
imposizione di natura tributaria e prospetta la violazione degli artt. 3, 97, 36
e 53 Cost.
Il Giudice amministrativo
deduce che la disciplina in esame, che disattende la proporzionalità tra
retribuzione e quantità e qualità del lavoro prestato, sarebbe in contrasto con
il principio della capacità contributiva, poiché il meccanismo del blocco
colpisce in modo maggiore i titolari di stipendi più bassi, e con quello della
progressività, atteso che il blocco colpisce nella stessa misura percentuale
tutti i docenti a prescindere dal reddito o dal numero di scatti maturati nel
triennio.
La stessa disciplina applica
una misura indistinta a classi di stipendio disomogenee senza considerare la
complessiva situazione reddituale dei soggetti incisi, presenta carattere
continuativo e opera solo rispetto ad alcune classi di persone esentando,
quindi, alcune categorie di contribuenti da tale imposizione straordinaria.
L’imparzialità e il buon
andamento dell’amministrazione sarebbero lesi dal momento che vengono
penalizzati i docenti più giovani, in contrasto con le esigenze di
valorizzazione delle giovani generazioni di ricercatori.
2.2.− La norma in esame è,
altresì, sospettata di illegittimità costituzionale, qualora se ne negasse la
natura tributaria, nella parte in cui esclude qualsiasi possibilità di
successivo recupero degli incrementi stipendiali oggetto del blocco, così
violando gli artt. 3, principi di uguaglianza e di ragionevolezza, 97 e 36 Cost.
Analogo vincolo, peraltro, non sussisterebbe per il personale contrattualizzato.
2.3.− Ad avviso del TAR
rimettente, sarebbero lesi anche gli artt. 2 e 23 Cost., in quanto viene
sacrificata la dignità sociale della persona «lavoratore-pubblico» che non può
essere considerato responsabile della crisi finanziaria, e che è soggetto alle
scelte del legislatore e del datore di lavoro.
2.4.− Sotto ulteriore profilo,
poi, il TAR Calabria, deduce la violazione degli artt. 2 e 3 Cost., in quanto il
blocco, ricondotto dal legislatore nell’alveo della riduzione di spesa,
riguarderebbe ingiustificatamente una categoria di sicura “tassabilità”,
trascurando di recuperare le imposte evase.
2.5.− Il solo art. 9, comma 2,
del d.l. n. 78 del 2010, è ritenuto lesivo degli artt. 42 e 97 Cost. Assume il
giudice a quo che qualora non si riconoscesse alle disposizioni censurate natura
tributaria, non potrebbe non rilevarsi che le stesse hanno natura
sostanzialmente espropriativa, dal momento che determinano una vera e propria
ablazione di redditi formanti oggetto di diritti quesiti, senza la previsione di
alcun indennizzo.
Le vicende espropriative
possono riguardare anche beni mobili fungibili, quali il denaro, sicché si
sarebbe in presenza di una norma-provvedimento, con conseguente violazione
dell’art. 97 Cost., avendo quest’ultima eliso la fase del procedimento, deputata
alla partecipazione degli interessati, al fine di interloquire sulla legittimità
e sull’opportunità delle scelte cui sono chiamati a contribuire.
3.− È intervenuto nel giudizio
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo il rigetto delle questioni, deducendone la non
fondatezza. La difesa dello Stato ha posto in rilievo le esigenze di
contenimento della spesa pubblica che costituiscono il fondamento delle
disposizioni in esame. Quest’ultime trovano un precedente nell’art. 7 del
decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di
previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali),
convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, che ha superato il vaglio di
legittimità costituzionale (sentenza n. 245 del
1997).
Atteso che la norma impugnata
ha toccato tutti i dipendenti del settore pubblico, modulando la portata
dell’intervento in ragione dello specifico ordinamento, non sarebbe ravvisabile
la dedotta violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
La norma in questione non
avrebbe natura tributaria in quanto destinata ad operare una riduzione di spesa
e non a realizzare un maggior gettito, né la stessa lederebbe l’art. 36 Cost.
4.− Il Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia (registro ordinanze n. 197 del 2012),
ha impugnato l’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, in riferimento agli
artt. 3, 36, 97 e 53 Cost.
La previsione del blocco alla
maturazione delle classi e scatti di stipendio per un triennio, con effetti
permanenti, infatti, determina una paralisi della progressione stipendiale dei
ricorrenti, non paragonabile alla più circoscritta misura annuale, ritenuta
legittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 245 del
1997, venendo così lesi i criteri di ragionevolezza e ponderazione posti a
presidio del principio di eguaglianza.
Il carattere non eccezionale
della disciplina impugnata troverebbe conferma anche nell’art. 16, comma 1,
lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, in quanto stabilisce la proroga fino al
31 dicembre 2014 delle misure in esame.
L’esclusione di qualsiasi
recupero comporta che i meccanismi di adeguamento riprenderanno a decorrere solo
dal 2014, con la possibile alterazione del rapporto tra valore reale della
retribuzione e aumento del costo della vita e con la conseguente lesione degli
artt. 36 e 97 Cost.
Si paleserebbe, altresì,
disparità di trattamento tra i ricorrenti e le altre categorie di dipendenti
pubblici menzionati dall’art. 9, comma 21, atteso che il legislatore non ha
distinto tra coloro che possono conseguire l’avanzamento solo a seguito di
positiva valutazione e coloro che vi hanno diritto a prescindere, per i quali,
una volta decorso il triennio, i cosiddetti automatismi stipendiali
riprenderanno a decorrere come prima.
4.1.− Anche il TAR Lombardia
prospetta la violazione dell’art. 53 Cost., con argomentazioni analoghe a quelle
prospettate dal TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria.
5.− Sono intervenuti nel
giudizio C.G. ed altri, ricorrenti nel giudizio a quo, che hanno richiamato, a
sostegno della fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, la sentenza n. 223 del
2012, con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 9, comma 22, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010, nella parte in cui dispone
che, per il personale di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per
il personale di magistratura) non sono erogati, senza possibilità di recupero,
gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012
e che per tale personale, per il triennio 2013-2015 l’acconto spettante per
l’anno 2014 è pari alla misura già prevista per l’anno 2010 e il conguaglio per
l’anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014;
nonché nella parte in cui non esclude che a detto personale sia applicato il
primo periodo del comma 21.
In particolare, gli interventori espongono che non sono ravvisabili nella
fattispecie in esame gli indici per escludere il possibile carattere arbitrario
di una normativa di blocco, e cioè la natura temporanea della misura e la
distribuzione in modo uguale (o per territorio e categorie) del carico dei
sacrifici chiesti dall’emergenza.
6.− È intervenuto nel giudizio
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo dichiararsi non fondate le questioni in esame,
con argomentazioni analoghe a quelle già esposte con riguardo all’ordinanza n.
179 del 2012, richiamando, altresì, la lettera in data 5 agosto 2011 con la
quale la Banca Centrale Europa chiedeva di assumere misure immediate e decise
per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche, valutando la riduzione
dei costi del pubblico impiego.
7.− Il Tribunale
amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara (reg. ord. n. 294 del 2012), ha sollevato questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 9, commi 2 e 22, del d.l. n. 78 del 2010, − a cui
faceva seguito l’art. 2, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre
2011, n. 148 −, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 36 e 53 Cost.
Con decreto collegiale del 30
novembre 2012, il TAR, su istanza di parte ricorrente, ha proceduto a correzione
di errore materiale, rilevando che il collegio intendeva riferirsi all’art. 9,
comma 21, del d.l. n. 78 del 2010.
Il TAR premette che analoga
questione è stata sollevata con l’ordinanza n. 701 del 2011 (ordinanza iscritta
al reg. ord. n. 46 del 2012, decisa con la sentenza n. 223 del
2012) e afferma che la normativa in questione si sostanzia in una
prestazione economica imposta in via duratura, un triennio, attuata mediante
blocchi stipendiali gravanti sui dipendenti pubblici, lasciando indenni i
lavoratori privati.
8.− Sono intervenuti in
giudizio C.E. e altri, ricorrenti nel giudizio a quo, sostenendo l’illegittimità
costituzionale dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010.
9.− È intervenuto in giudizio
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile
sia per difetto di rilevanza, in quanto le norme impugnate non sembrerebbero
applicabili alla fattispecie oggetto del giudizio a quo, dal momento che il
ricorso veniva proposto da alcuni professori o ricercatori di ruolo per il
riconoscimento del trattamento stipendiale spettante, sia perché, in relazione
alle suddette disposizioni, è intervenuta declaratoria di illegittimità
costituzionale con la sentenza n. 223 del
2012.
10.− Il Tribunale
amministrativo regionale per il Piemonte, con due ordinanze (registro ordinanze
n. 259 e n. 277 del 2012), ha impugnato l’art. 9, comma 21, primo, secondo e
terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010 in riferimento agli artt. 3, 36 e 97
Cost.
10.1.− Il TAR, in primo luogo
riporta, facendole proprie, le censure di violazione degli artt. 3, 97, 36 e 53
Cost., proposte dal TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria (registro
ordinanze n. 179 del 2012), e richiama l’ordinanza di rimessione n. 197 del 2012
del TAR Lombardia.
10.2.− In secondo luogo,
prospetta i seguenti vizi di costituzionalità.
Ad avviso del rimettente, la
norma, pur collocata in un ambito emergenziale, dà luogo alla definitiva perdita
di un triennio di anzianità, sia quale mancata percezione degli scatti che
sarebbero maturati, ma anche quale azzeramento di detto periodo di anzianità.
Sussisterebbe, quindi, ad
opera del disposto taglio lineare, focalizzato per settore di lavoratori
(pubblico impiego) e categoria (docenti universitari), una disparità di
trattamento legata alla casualità.
La Corte costituzionale
avrebbe ritenuto legittime misure di blocco, valorizzandone la limitata durata
temporale giustificata da contingenti emergenze economiche. Tali condizioni non
sarebbero ravvisabili nel caso di specie, atteso il carattere permanente,
discriminatorio e regressivo della misura, in contrasto con le finalità
dichiaratamente temporali ed emergenziali.
Quanto alla prospettata
violazione dell’art. 3, il TAR chiarisce che il congelamento della progressione
per un triennio, in ragione del meccanismo biennale della progressione
stipendiale, potrebbe colpire alcuni degli interessati due volte e che
l’uniforme ed indiscriminato blocco delle classi determina una perdita economica
più pesante per coloro che hanno una retribuzione tabellare più bassa, non
riconducibile ad un mero inconveniente di fatto.
Con riguardo alla dedotta
violazione dell’art. 36 Cost., il rimettente espone che la disposizione in esame
cronicizza e rende fisiologica una disparità retributiva a parità di mansioni ed
anzianità effettiva, ledendo, altresì, il canone dell’imparzialità e del buon
andamento dell’amministrazione.
11.− Nel giudizio iscritto al
n. 259 del registro ordinanze del 2012 sono intervenuti S.S. ed altri,
ricorrenti nel giudizio a quo, aderendo alle prospettazioni dell’ordinanza di rimessione.
Gli interventori hanno posto in evidenza come il blocco per un
triennio, senza possibilità di recupero, delle progressioni economiche
automatiche, determina una perdita sull’intera carriera futura del singolo
soggetto, con effetti regressivi che ricadono sulle fasce di stipendio più
basse.
Sussisterebbe, altresì,
disparità di trattamento rispetto ad altre categorie di personale non contrattualizzato, atteso che il comma 22 dell’art. 9 ha
stabilito per il personale di Magistratura e dell’Avvocatura dello Stato, che la
riduzione stipendiale «non opera ai fini previdenziali» e che nei confronti del
predetto personale «non si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 21,
secondo e terzo periodo» del medesimo art. 9.
Il sacrificio economico
imposto ai docenti universitari non sarebbe, altresì, adeguatamente giustificato
rispetto al contenimento della spesa pubblica, in ragione del numero dei primi
nell’ambito dei dipendenti pubblici.
Infine, le norme censurate
inciderebbero sulla regola della proporzionalità della retribuzione.
12.− Nel medesimo giudizio
iscritto al n. 259 del registro ordinanze 2012, hanno spiegato intervento, con
deduzioni difensive analoghe a quelle di S.S. e altri, anche M.D. e D.R.
13.− Nel giudizio iscritto al
n. 277 del registro ordinanze 2012 hanno spiegato intervento B.E.M. ed altri, ricorrenti nel giudizio a quo, che, in
particolare, nel censurare le disposizioni di cui all’art. 9, comma 21, secondo
periodo, hanno sottolineato come l’ordinamento universitario non preveda più un
automatismo nella progressione economica per effetto della riforma introdotta
sin dal decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180 (Disposizioni urgenti per il
diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema
universitario e della ricerca), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 9 gennaio 2009, n. 1, e che detta norma produce degli
effetti permanenti, lesivi degli artt. 36 e 97 Cost.
14.− In entrambi i giudizi è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo la non fondatezza delle
questioni, con argomentazioni analoghe a quelle già sopra riportate.
15.− Il Tribunale regionale di
giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, con due
ordinanze (registro ordinanze n. 3 e n. 16 del 2013) ha impugnato l’art. 9,
comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, in
riferimento, nel complesso, agli artt. 3 e 97 Cost., anche in relazione all’art.
9 e 36 Cost.
Il rimettente ricorda come già
in precedenza il legislatore sia intervenuto sulla retribuzione dei docenti
universitari, stabilendo la corresponsione dell’adeguamento in misura ridotta
del 70 per cento e il differimento di 12 mesi della maturazione dell’aumento
biennale o della classe di stipendio, nel limite del 2,5 per cento.
Tale successione di
interventi, ad avviso del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, ha
dato luogo ad un’inesorabile erosione del potere di acquisto di tale categoria
con la conseguente violazione degli artt. 3 e 36 Cost.
Il rimettente richiama la sentenza di questa
Corte n. 223 del 2012, da cui si desume la non conformità a Costituzione di
tutti gli interventi legislativi che, in ragione di un’emergenza finanziaria
continua e non adeguatamente governata con efficaci misure eque e strutturali,
non solo di spesa, ma anche di entrata, colpiscono a ripetizione e con effetti
duraturi le retribuzioni del pubblico impiego.
Il carattere non eccezionale
dell’intervento trova conferma nella proroga dello stesso al 31 dicembre 2014,
disposto dall’art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011.
Quindi, in presenza della
reiterazione di misure afflittive, la dichiarata natura eccezionale e
transitoria, non appare compatibile con l’art. 3 Cost., violandosi, diversamente
il principio della generalità e della ragionevolezza delle norme giuridiche.
Altro profilo di illegittimità
costituzionale per la violazione degli artt. 3 (principio di eguaglianza e
ragionevolezza), 97 (imparzialità e buon andamento dell’amministrazione), anche
con riferimento al diritto ad una retribuzione proporzionale alla quantità e
qualità del lavoro prestato (art. 36 Cost.) è ravvisato in ragione del rinvio
della riforma introdotta dalla legge n. 240 del 2010, a cui è stata data
attuazione con il d.P.R. 15 dicembre 2011, n. 232
(Regolamento per la disciplina del trattamento economico dei professori e dei
ricercatori universitari, a norma dell’articolo 8, commi 1 e 3 della legge 30
dicembre 2010, n. 240), che esclude l’automatismo delle progressioni
stipendiali.
Sussisterebbe, altresì, la
lesione dell’art. 36 Cost., in quanto il meccanismo degli scatti, specie se
legato ad una valutazione dell’attività effettivamente svolta, è collegato al
principio di proporzionalità tra la retribuzione percepita e la qualità e
quantità del lavoro effettivamente svolto.
Come già prospettato dal TAR
Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, vi sarebbe disparità di
trattamento tra gli stessi docenti universitari, in quanto si è in presenza di
una misura indistinta, con un effetto più gravoso per i docenti con minore
anzianità. Come già dedotto nelle altre ordinanze di rimessione, la prevista
esclusione di possibilità di recupero, sia per la misura di cui al primo periodo
del comma 21, che per quella di cui al secondo periodo, sarebbe irragionevole e
violerebbe gli artt. 3, 36 e 97 Cost. L’irragionevolezza della preclusione
emerge nella comparazione delle disposizioni che riguardano i dipendenti contrattualizzati, non essendo previsto un effetto simile.
16.− Sono intervenuti nel
giudizio, iscritto al n. 3 del registro ordinanze 2013, B.N. ed altri, ricorrenti nel giudizio a quo, aderendo alle
censure del TAR.
17.− È intervenuto in entrambi
i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato, che nel sostenere l’infondatezza delle
questioni, ha prospettato argomentazioni analoghe a quelle già prospettate con
riguardo agli altri giudizi.
18.− Con due ordinanze
(registro ordinanze n. 83 e n. 123 del 2013), il Tribunale amministrativo
regionale per l’Umbria, con analoghe argomentazioni, ha censurato l’art. 9,
comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, in
riferimento agli artt. 3, 9, 33, 34, 36, 37, 53, 77 e 97 Cost.
Sussisterebbe la violazione
dell’art. 3 Cost., in ragione del carattere non transeunte delle misure, come
confermato dall’art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. 98 del 2011, che
determinano una paralisi nella progressione stipendiale dei docenti
universitari, senza recupero.
Il TAR richiama la sentenza n. 223 del
2012, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’omologo blocco
stipendiale emergenziale disposto nei confronti dei magistrati.
Tale statuizione, pure
considerando le guarentigie costituzionali a tutela dell’autonomia ed
indipendenza della magistratura e del relativo trattamento economico, assume
valenza generale, poiché gli interventi del legislatore di carattere
emergenziale, istitutivi di misure che incidono in modo afflittivo sul
trattamento economico del personale pubblico, devono essere “temporalmente
delimitati”, diversamente da quanto avvenuto con il decreto-legge in questione.
Sarebbero, altresì lesi, gli
artt. 3, 36 e 97 Cost.
Il medesimo TAR, nel ricordare
la riforma introdotta dalla legge n. 240 del 2010, con argomentazioni analoghe a
quelle esposte dal TAR Calabria, deduce la lesione della tutela dell’affidamento
e il venir meno del rapporto di proporzionalità tra retribuzione e qualità del
lavoro prestato, nonché la disparità di trattamento che si viene a determinare
tra docenti universitari in ragione della diversa anzianità, con la
penalizzazione dei docenti e ricercatori con minor anzianità di servizio, e con
le altre categorie di personale in regime di diritto pubblico che continuano ad
avere un progressione economica automatica.
Anche questo TAR assume la
natura tributaria delle disposizioni censurate svolgendo argomentazioni analoghe
a quelle già sopra riportate.
Ad avviso del giudice
amministrativo non sarebbe manifestamente infondata la violazione dell’art. 77
Cost., mancando i presupposti della «necessità» e dell’«urgenza», atteso che
l’esigenza di controllo della finanza pubblica non appare di per sé condizione
necessaria e sufficiente a concretare tali requisiti, anche laddove si consideri
che la norma in esame ha lo scopo di produrre effetti a distanza di oltre sei
mesi dalla sua adozione. I vizi del decreto-legge così denunciati non possono,
peraltro, esser fatti salvi dalla legge di conversione.
Infine il TAR denuncia la
violazione degli artt. 3, secondo comma, 9, primo comma, 33 e 34 Cost., poiché
le forti decurtazioni stipendiali, penalizzano irragionevolmente il personale
docente, in contrasto con le richiamate disposizioni costituzionali che
testimoniano la rilevanza sul piano sostanziale della valorizzazione della
ricerca scientifica e dell’insegnamento, essendo in particolare, la centralità
della ricerca scientifica richiamata all’interno dei principi fondamentali.
19.− Nel giudizio iscritto al
n. 83 del registro ordinanze 2013 sono intervenuti C.E. ed altri, ricorrenti nel
giudizio a quo, aderendo alle censure prospettate dal rimettente.
In particolare gli interventori hanno evidenziato come, in ragione della misura
in esame che tocca solo una parte del personale non contrattualizzato e introduce una forma di prelievo
tributario, l’anzianità maturata nel triennio non è recuperabile, con effetti
che si ripercuotono su tutto l’arco della carriera, gravando in modo maggiore
sui soggetti più giovani.
20.− Sia in quest’ultimo, che
in quello promosso con l’ordinanza n. 123 del 2013, è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale
dello Stato, che, nel sostenere l’infondatezza delle questioni, ha prospettato
argomentazioni analoghe a quelle già prospettate con riguardo agli altri
giudizi.
21.− Il Tribunale regionale
amministrativo per la Puglia (registro ordinanze n. 148 del 2013), ha impugnato
l’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, in riferimento agli artt. 3,
36, 97 e 53 Cost.
Il TAR assume che il carattere
non contingente della misura in esame viola l’art. 3, secondo comma, Cost.
La norma lederebbe altresì i
principi di cui agli art. 3 e 53 Cost., come specificati dalla giurisprudenza
della Corte costituzionale.
Come già evidenziato nelle
ordinanze di rimessione del TAR Calabria e del TAR Lombardia il prelievo in
esame, modulato senza alcuna differenziazione, si è indirizzato verso una
categoria di contribuenti caratterizzata dall’avere la parte pubblica come
datore di lavoro, risultando esentati dall’imposizione straordinaria tutti gli
altri contribuenti pure in possesso di rilevanti redditi.
L’illegittimità della
disposizione si palesa, inoltre, per la mancata previsione di un successivo
recupero degli incrementi stipendiali oggetto del blocco, per violazione del
principio di ragionevolezza e di uguaglianza, di buon andamento e di
imparzialità dell’amministrazione e con riguardo alla proporzionalità della
retribuzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.
L’irragionevolezza della
disposizione si apprezzerebbe ancor più nel confronto con il personale contrattualizzato.
22.− Sono intervenuti in
giudizio C.F. ed altri, ricorrenti nel giudizio a quo, aderendo alle prospettazioni del rimettente e richiamando a sostegno la sentenza n. 223 del
2012.
23.− In prossimità
dell’udienza pubblica i ricorrenti nel giudizio a quo, intervenuti nel giudizio
promosso con l’ordinanza n. 197 del 2012, hanno depositato memoria con la quale
nel ribadire le difese svolte hanno osservato, in particolare, che la normativa
in questione determina un concreto pregiudizio alla vita accademica, nonché
all’esistenza personale di essi ricorrenti e la conferma del blocco sino al 2014
ne pone in luce il carattere non eccezionale e non temporaneo.
Nel giudizio promosso con
l’ordinanza n. 259 del 2012 i ricorrenti nel giudizio a quo, che hanno spiegato
intervento, hanno depositato memoria con la quale hanno posto in evidenza che la
normativa censurata determina una disciplina restrittiva in ordine alla
rilevanza della anzianità di servizio, ingiustificata in ragione del fatto che
per essi la progressione di carriera non è mai automatica ma è sempre soggetta
ad un controllo di qualità.
Nel giudizio promosso con
l’ordinanza n. 3 del 2013, B.N. ed altri, parti
ricorrenti nel giudizio a quo, intervenuti, hanno depositato memoria, in
prossimità dell’udienza, con la quale hanno prospettato la sussistenza della
lesione dell’art. 53 Cost., diversamente da quanto ritenuto dal giudice
rimettente.
Gli interventori hanno dedotto, che le misure in esame eccedono
la sfera dell’emergenza economico-finanziaria dello Stato, transitoria o,
comunque, circoscritta nel tempo, anche in ragione della intervenuta proroga
sino al 31 dicembre 2014.
Gli interventori osservano che la non contrattualizzazione del
rapporto di lavoro dei docenti universitari è stata mantenuta in conformità ai
principi dell’autonomia universitaria, di cui all’art. 33 Cost., e dunque in
vista di maggiori garanzie in ordine all’esercizio imparziale ed indipendente
della funzione.
24.− Anche la difesa dello
Stato, nei giudizi promossi con le ordinanze n. 197 e n. 259 del 2012 e n. 83 e
n. 123 del 2013, ha depositato memoria, con la quale ha posto in evidenza come
gli Stati membri dell’Unione Europea si sono assoggettati all’obbligo di
recepire nelle rispettive Costituzioni le regole impartite dal Patto di
stabilità e crescita. Successivamente, per effetto dell’entrata in vigore della
direttiva 8 novembre 2011, n. 2011/85/UE (Direttiva del Consiglio relativa ai
requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri), sono state dettate
regole minime affinché fosse garantito il rispetto da parte degli Stati
firmatari dell’obbligo, imposto direttamente dal Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea, di evitare disavanzi pubblici eccessivi.
In particolare, espone
l’Avvocatura dello Stato che la materia disciplinata dalla direttiva
costituisce, peraltro, oggetto di recente intervento normativo dell’Unione
europea, prospettato dalla proposta di regolamento recante disposizioni per il
monitoraggio e la valutazione dei progetti di bilancio e per assicurare la
correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati membri nell’eurozona [COM (2011)
821, parte del cosiddetto two pack], attualmente
all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio.
Infine ricorda come il
Trattato sulla stabilità, il coordinamento nella governance nell’Unione economica e monetaria, fatto a
Bruxelles il 2 marzo 2012, cosiddetto Fiscal compact, all’art. 3, impegni le
parti contraenti ad applicare ed introdurre, entro un anno dalla entrata in
vigore del Trattato, norme vincolanti e a carattere permanente.
Considerato in diritto
1.− I Tribunali amministrativi
regionali per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, per la Lombardia
e per il Piemonte, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa del
Trentino-Alto Adige, sede di Trento, e i Tribunali amministrativi regionali per
l’Umbria e per la Puglia, con nove ordinanze di rimessione, rispettivamente
iscritte ai nn. 179, 197, 259 e 277 del registro
ordinanze del 2012 ed ai nn. 3, 16, 83, 123 e 148 del
registro ordinanze del 2013, hanno sollevato, nel complesso, questioni di
legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 21, primo, secondo e terzo
periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in
riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 9, 33, 34, 36, 37, 42, 53, 77 e 97
della Costituzione.
1.1.− Il TAR Calabria, sezione
staccata di Reggio Calabria, ha impugnato anche l’art. 9, comma 2, del d.l. n.
78 del 2010, in riferimento agli artt. 42 e 97 Cost.
1.2.− Il Tribunale
amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con
l’ordinanza n. 294 del 2012, ha impugnato l’art. 9, commi 2 e 22, del d.l. n. 78
del 2010, in riferimento agli artt. 2, 3, 23 e 53 Cost. Tuttavia, con successivo
provvedimento di correzione di errore materiale, il rimettente ha disposto che
nella suddetta ordinanza i riferimenti normativi fossero sostituiti con
l’indicazione «art. 9 comma 21 del d.l. n. 78 del 2010».
1.3.− Le questioni hanno ad
oggetto, nella quasi totalità, le stesse norme, con argomentazioni in ampia
parte coincidenti e, pertanto, deve essere disposta la riunione dei giudizi, ai
fini di un’unica trattazione e di un’unica pronuncia.
2.− Nei giudizi
rispettivamente promossi con le ordinanze nn. 197,
259, 277 e 294 del 2012, ed ai nn. 3, 83 e 148, del
registro ordinanze 2013, sono intervenuti i ricorrenti in sede di giurisdizione
amministrativa.
Gli interventi sono
ammissibili, atteso che la giurisprudenza costituzionale ha affermato che le
parti del giudizio principale sono legittimate ad intervenire nel giudizio
incidentale di legittimità costituzionale (ex plurimis,
sentenza n. 237
del 2013).
3.− Alcuni degli intervenuti,
peraltro, nell’aderire all’ordinanza di rimessione, invocano parametri ulteriori
rispetto all’ordinanza di rimessione e, al riguardo, si deve ricordare che, per
costante orientamento di questa Corte, l’oggetto del giudizio di
costituzionalità in via incidentale è limitato alle sole norme e parametri
indicati, pur se implicitamente, nell’ordinanza e che quindi non possono essere
presi in considerazione questioni o profili di costituzionalità diversi, tanto
se siano stati dedotti ma non fatti propri dal giudice a quo, quanto se ampliano
o modificano il contenuto delle stesse ordinanze (ex multis, sentenza n. 298 del
2011).
Pertanto, le censure di
violazione dell’art. 53 Cost., prospettate da B.N. ed
altri, costituiti nel giudizio promosso con l’ordinanza n. 3 del 2013, sono
inammissibili.
4.− Deve essere anche
dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 9, comma 2, sollevata dal TAR Calabria, sezione
staccata di Reggio Calabria, in riferimento agli artt. 42 e 97 Cost., sia per
difetto di motivazione sulla rilevanza, dal momento che la controversia verte
sull’applicazione dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, e dunque il
rimettente non deve fare applicazione dell’art. 9, comma 2, sia in quanto, con
la sentenza n.
223 del 2012, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di tale
disposizione.
5.− È egualmente
manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art
9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 (così rettificata in sede di correzione di
errore materiale l’ordinanza di rimessione), sollevata dal TAR Abruzzo, sezione
staccata di Pescara, per difetto di motivazione circa la rilevanza e la non
manifesta infondatezza, atteso che le argomentazioni poste a base delle censure,
anche in ragione dell’espresso richiamo all’ordinanza di rimessione n. 701 del
2011, iscritta al n. 46 del registro ordinanze 2012 e decisa con la sentenza n. 223 del
2012, sono relative ai commi 2 e 22 del citato art. 9, di cui il TAR non è
chiamato a fare applicazione.
6.− Il vaglio di legittimità
costituzionale, dunque, si incentra sull’art. 9, comma 21, primo, secondo e
terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, che stabilisce: «I meccanismi di
adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della
legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013
ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi.
Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di
progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono
utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio
previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del
decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165 e successive modificazioni le
progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni
2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente
giuridici».
La norma, dunque, prevede per
il personale cosiddetto non contrattualizzato di cui
all’art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche),
tra cui i docenti universitari, il blocco per il triennio 2011-2013:
a) dei meccanismi di
adeguamento retributivo previsti dall’art. 24 della legge 23 dicembre 1998, n.
448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), per gli
anni 2011, 2012 e 2013;
b) degli automatismi
stipendiali (classi e scatti) correlati all’anzianità di servizio, relativi allo
stesso periodo;
c) di ogni effetto economico
delle progressioni in carriera, comunque denominate, conseguite nel periodo
2011-2013.
7.− È presente in tutte le
ordinanze la doglianza della mancanza di ragionevolezza dell’azione legislativa,
che è dedotta, nel complesso, insieme alla disparità di trattamento, alla
lesione dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione,
alla violazione del principio di proporzionalità della retribuzione, alla
lesione del principio di promozione della ricerca scientifica e del valore
dell’insegnamento.
La censura è prospettata sotto
due profili.
In primo luogo, le norme sono
sottoposte al vaglio della Corte per l’inadeguato bilanciamento, operato dal
legislatore, tra le finalità di risparmio di spesa della complessiva manovra
economica contenuta nel d.l. n. 78 del 2010 e i plurimi interessi
costituzionalmente protetti che vengono in rilievo, non potendosi ravvisare,
nella specie, per la protrazione nel tempo del blocco e per l’esclusione di
successivi recuperi, le condizioni in presenza delle quali questa Corte ha
ritenuto legittime analoghe misure (in particolare, sono richiamate le sentenze
n. 245 del
1997 e n. 223
del 2012).
In secondo luogo, i rimettenti
deducono l’irragionevolezza delle disposizioni, da un lato, per la peculiarità
del meccanismo di progressione stipendiale dei docenti universitari, che sarebbe
privo di un automatismo tout court, in ragione della riforma introdotta con la
legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle
università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per
incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario); dall’altro,
per gli effetti che le stesse determinano nell’ambito della categoria
professionale dei docenti universitari, dal momento che il carattere
indifferenziato della misura colpirebbe in modo più gravoso i ricercatori
universitari e coloro che hanno minore anzianità di servizio, nonché coloro che
nel triennio avrebbero maturato due dei previsti scatti biennali.
8.− È opportuno procedere ad
una ricognizione del quadro normativo in cui si inseriscono le disposizioni
impugnate, sia con riguardo agli specifici meccanismi di adeguamento e sviluppo
della retribuzione su cui incidono quest’ultime, sia con riguardo ad alcuni
profili dell’ordinamento universitario.
8.1.− Quanto al primo periodo
del comma 21 dell’art. 9, esso incide sul cosiddetto adeguamento stipendiale
disciplinato dall’art. 24, comma 1, della legge n. 448 del 1998, secondo cui la
retribuzione delle categorie di personale non contrattualizzato ivi indicate, tra cui i docenti e i
ricercatori universitari, è adeguata di diritto annualmente in ragione degli
incrementi medi, calcolati dall’Istituto nazionale di statistica, conseguiti
nell’anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati sulle voci retributive, utilizzate dal
medesimo Istituto per l’elaborazione degli indici delle retribuzioni
contrattuali.
Si può ricordare, in
proposito, come la giurisprudenza amministrativa abbia avuto modo di rilevare
che l’adeguamento in questione, in quanto correlato alla dinamica salariare dei
dipendenti pubblici che si avvalgono del regime della contrattazione collettiva,
costituisce sul piano sostanziale un miglioramento retributivo del tutto omologo
a quello riconosciuto per il periodo di riferimento al personale contrattualizzato (Consiglio di Stato, sezione sesta,
decisione 21 settembre 2010, n. 6991).
Il sistema di adeguamento
richiamato nell’art. 9, comma 21, primo periodo, funge, dunque, da criterio di
determinazione stipendiale indiretto e per relationem,
con fini perequativi a favore di categorie non contrattualizzate, all’andamento delle dinamiche retributive
degli altri settori del pubblico impiego.
8.2.− Nell’esaminare la
disciplina di blocco, senza possibilità di successivo recupero, del suddetto
meccanismo di adeguamento, occorre ricordare che il d.l. n. 78 del 2010, al
comma 17, dello stesso art. 9, coerentemente con la norma in esame, ha
stabilito, tra l’altro, che «Non si dà luogo, senza possibilità di recupero,
alle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012» del
personale contrattualizzato.
8.3.− La disciplina delle
classi e degli scatti legati all’anzianità di servizio dei professori e
ricercatori universitari, su cui incide il secondo periodo dell’art. 9, comma
21, del d.l. n. 78 del 2010, stabilendo che ai fini della maturazione degli
stessi non sono utili gli anni 2011, 2012 e 2013, trova fondamento nel d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza
universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione
organizzativa e didattica). Quest’ultimo articola la progressione economica dei
docenti di ruolo delle università in una serie di classi e scatti biennali di
stipendio, che incidono diversamente a seconda dell’anzianità di servizio.
In particolare, per i
professori ordinari la progressione economica si sviluppa in sei classi biennali
di stipendio, pari ciascuna all’8 per cento della classe attribuita ai medesimi
all’atto della nomina ad ordinario, ovvero del giudizio di conferma, ed in
successivi scatti biennali del 2,50 per cento, calcolati sulla classe di
stipendio finale (art. 36, quarto comma, del d.P.R. n.
382 del 1980); per i ricercatori confermati, la progressione economica si
sviluppa in sette classi di stipendio, pari ciascuna all’8 per cento del
parametro iniziale ed in successivi scatti biennali del 2,50 per cento,
calcolati sulla classe finale (art. 38, primo comma, del d.P.R. n. 382 del 1980).
Va ricordato che ai sensi
dell’art. 3-ter, comma 1, del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180
(Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e
la qualità del sistema universitario e della ricerca), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 gennaio 2009, n. 1, «Gli
scatti biennali di cui agli articoli 36 e 38 del decreto del Presidente della
Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, destinati a maturare a partire dal 1° gennaio
2011, sono disposti previo accertamento da parte della autorità accademica della
effettuazione nel biennio precedente di pubblicazioni scientifiche»; e che il
successivo comma 2 ha sancito che «I criteri identificanti il carattere
scientifico delle pubblicazioni sono stabiliti con apposito decreto del Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca, su proposta del Consiglio
universitario nazionale e sentito il Comitato di indirizzo per la valutazione
della ricerca».
Il sistema è stato poi
modificato dalla legge n. 240 del 2010: infatti, alla stregua degli artt. 6,
comma 14, e 8, comma 1, a decorrere dall’entrata in vigore dei regolamenti
attuativi della legge stessa, le classi e gli scatti sono triennali e legati
all’esito di una valutazione, le cui modalità sono da definire con apposito
regolamento (poi adottato con il d.P.R. 15 dicembre
2011, n. 232 che reca «Regolamento per la disciplina del trattamento economico
dei professori e dei ricercatori universitari, a norma dell’articolo 8, commi 1
e 3 della legge 30 dicembre 2010, n. 240»).
8.4.− Va anche ricordato che
con il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, all’art. 16, comma 1, lettera b), è stato
previsto che per le stesse finalità della legge in esame «con uno o più
regolamenti da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto
1988, n. 400, […] può essere disposta […] la proroga fino al 31 dicembre 2014
delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici
anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni previste dalle
disposizioni medesime», e che tale proroga è stata in effetti disposta con il
d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in
materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi
stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2 e 3,
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111).
9.− Così riepilogato il quadro
normativo di riferimento, può passarsi ad esaminare le censure prospettate.
10.− Non è fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e
terzo periodo, sollevata dal solo TAR Umbria (registro ordinanze nn. 83 e 123 del 2013), in riferimento all’art. 77 Cost.,
per la asserita mancanza dei presupposti di «necessità» e di «urgenza», atteso
che l’esigenza di controllo della finanza pubblica non sarebbe di per sé
condizione necessaria e sufficiente a concretare tali requisiti.
In realtà il d.l. n. 78 del
2010, che reca l’intestazione «Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica», è stato adottato ritenuta la
straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento
della spesa pubblica e per il contrasto all’evasione fiscale ai fini della
stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività
economica, esigenze che non sono concretamente contestate nelle ordinanze di
rimessione.
E d’altro canto l’art. 9,
rubricato: «Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico», e che si
inserisce nel Capo III «Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico,
invalidità e previdenza», appare del tutto coerente con tali finalità di
contenimento della spesa pubblica. In particolare, la protrazione nel tempo –
anche se
non senza limiti − delle
misure previste non contraddice la sussistenza della necessità ed urgenza,
attese le esigenze di programmazione pluriennale delle politiche di bilancio.
11.− Non sono fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e
terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, sollevate dal TAR Calabria, sezione
staccata di Reggio Calabria, dal TAR Lombardia, dal TAR Umbria e dal TAR Puglia,
in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 97, 36 e 53 Cost.
Alle disposizioni in esame,
infatti, non può riconoscersi natura tributaria, atteso che non danno luogo ad
una prestazione patrimoniale imposta, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, destinata a reperire risorse per l’erario.
La giurisprudenza della Corte,
da ultimo (sentenza n. 223 del
2012), ha precisato che gli elementi indefettibili della fattispecie
tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere diretta in via prevalente
a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto
passivo; la decurtazione non deve comportare una modifica di un rapporto
sinallagmatico; le risorse derivanti, che devono essere connesse ad un
presupposto economicamente rilevante, vanno destinate a «sovvenire» le pubbliche
spese.
Conseguentemente, non possono
trovare ingresso le censure relative al mancato rispetto dei principi di
progressività e di capacità contributiva.
12.− Non sono fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e
terzo periodo, sollevate, nel complesso, dal TAR Umbria e dal TRGA Trento, in
riferimento agli artt. 9, 33, 34 e 97 Cost.
Si ricorda in proposito come
la giurisprudenza della Corte non suffraghi la conferenza di tali parametri al
trattamento economico dei docenti universitari, atteso che con la sentenza n. 22 del
1996, si è affermato, con specifico riguardo all’art. 33 Cost., la «non
pertinenza di tale parametro al problema del trattamento economico dei docenti,
posto che l’autonomia oggetto di tale disposizione “non attiene allo stato
giuridico dei professori universitari” […], “i quali sono legati da rapporto di
impiego con lo Stato e sono di conseguenza soggetti alla disciplina che la legge
statale ritiene di adottare”».
La successiva sentenza n. 383 del
1998 ha poi affermato che «Gli artt. 33 e 34 della Costituzione pongono i
principi fondamentali relativi all’istruzione con riferimento, il primo,
all’organizzazione scolastica (della quale le università, per quanto attiene
all’attività di insegnamento sono parte: sentenza n. 195 del
1972); con riferimento, il secondo, ai diritti di accedervi e di usufruire
delle prestazioni che essa è chiamata a fornire. Organizzazione e diritti sono
aspetti speculari della stessa materia, l’una e gli altri implicandosi e
condizionandosi reciprocamente. Non c’è organizzazione che, direttamente o
almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto
a prestazione che non condizioni l’organizzazione. Questa connessione richiede
un’interpretazione complessiva dei due articoli della Costituzione».
13.− Non sono fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e
terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, sollevate da tutti i rimettenti, in
riferimento, nel complesso, agli artt. 2 (dignità sociale e solidarietà), 3
(principio di ragionevolezza e di uguaglianza, partecipazione), 36 e 97 (anche
in riferimento all’art. 9), Cost., nonché al principio dell’affidamento del
cittadino nella sicurezza giuridica, con riguardo al blocco sia
dell’adeguamento, che delle classi e degli scatti.
13.1.− Viene in proposito più
volte richiamata la sentenza n. 223 del
2012 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 22,
relativo al blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo per il personale di
magistratura.
La pronuncia evidenzia in
particolare le peculiari modalità di attribuzione dell’adeguamento, mediante
acconti e conguagli, «per il solo personale della magistratura», ed ha
riaffermato che attraverso tale meccanismo, la legge, sulla base dei principi
costituzionali, ha messo al riparo la magistratura da qualsiasi forma di
interferenza, che potesse, sia pure potenzialmente, menomarne l’autonomia e
l’indipendenza, sottraendola alla dialettica negoziale.
È su queste basi che essa ha
quindi concluso che il relativo blocco eccede l’obiettivo di realizzare un
«raffreddamento» della dinamica retributiva ed ha, invece, comportato una vera e
propria irragionevole riduzione di quanto già riconosciuto sulla base delle
norme che disciplinano l’adeguamento.
La dichiarazione di
illegittimità costituzionale del comma 22, anche nella parte in cui non esclude
che a detto personale sia applicato il primo periodo del comma 21, va quindi
ricondotta alle specificità dell’ordinamento della magistratura, specificità non
sussistenti nella fattispecie in esame.
13.2.− Le censure di
irragionevolezza, cui si connette, nella prospettazione dei rimettenti, la violazione degli ulteriori
parametri costituzionali sopra richiamati, sia per effetto del blocco
dell’adeguamento, che del blocco della progressione economica per classi e
scatti, devono essere esaminate alla luce della giurisprudenza costituzionale
che ha enunciato le condizioni di legittimità di tali meccanismi di risparmio
della spesa pubblica.
Questa Corte, in generale, ha
ravvisato nel carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo
allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e
nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, le
condizioni per escludere la irragionevolezza delle misure in questione (sentenze
n. 245 del
1997 e n. 299
del 1999, come richiamate anche nella sentenza n. 223 del
2012).
13.3.− Nella specie, quanto
all’adeguamento, il blocco è stato previsto per la durata di tre anni (poi
prorogato sino al 31 dicembre 2014), con l’espressa esclusione di successivi
recuperi.
In proposito, va ricordato
che, come in passato (art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384,
recante «Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico
impiego, nonché disposizioni fiscali», convertito, con modificazioni, dalla
legge 14 novembre 1992, n. 438), la scelta del legislatore è stata quella di
realizzare una economia di spesa e non un semplice rinvio della stessa, come si
verificherebbe se i tagli fossero recuperabili.
Ed al riguardo è opportuno
ricordare che l’esclusione della possibilità di recupero è stata prevista anche
per il blocco delle procedure previste per il personale contrattualizzato, stabilito dal comma 17 del medesimo art.
9 del d.l. n. 78 del 2010.
Peraltro il quarto periodo del
comma 21 stabilisce che «Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque
denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011,
2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente
giuridici».
Rileva, quindi, anche nel caso
in esame, quanto affermato dalla Corte con la sentenza n. 189 del
2012, laddove si è individuata la ratio legis dell’art. 9, comma 17, nella necessità di evitare che
il risparmio della spesa pubblica derivante dal temporaneo divieto di
contrattazione possa essere vanificato da una successiva procedura contrattuale
o negoziale che abbia ad oggetto il trattamento economico relativo proprio a
quello stesso triennio 2010-2012, trasformandosi così in un mero rinvio della
spesa.
A maggior ragione valgono tali
considerazioni, circa la razionalità del sistema, per la misura incidente sulle
classi e sugli scatti, poiché le disposizioni censurate non modificano il
meccanismo di progressione economica che continua a decorrere, sia pure
articolato, di fatto, in un arco temporale maggiore, a seguito dell’esclusione
del periodo in cui è previsto il blocco.
13.4.− Con particolare
riferimento poi alla ragionevolezza dello sviluppo temporale delle misure, non
ci si può esimere dal considerare l’evoluzione che è intervenuta nel complessivo
quadro, giuridico-economico, nazionale ed europeo.
La recente riforma dell’art.
81 Cost., a cui ha dato attuazione la legge 24 dicembre 2012, n. 243
(Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi
dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), con l’introduzione, tra
l’altro, di regole sulla spesa, e dell’art. 97, primo comma, Cost.,
rispettivamente ad opera degli artt. 1 e 2 della legge costituzionale 20 aprile
2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta
costituzionale), ma ancor prima il nuovo primo comma dell’art. 119 Cost.,
pongono l’accento sul rispetto dell’equilibrio dei bilanci da parte delle
pubbliche amministrazioni, anche in ragione del più ampio contesto economico
europeo.
Non è senza significato che la
direttiva 8 novembre 2011, n. 2011/85/UE (Direttiva del Consiglio relativa ai
requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri), evidenzi come «la
maggior parte delle misure finanziarie hanno implicazioni sul bilancio che vanno
oltre il ciclo di bilancio annuale» e che «Una prospettiva annuale non
costituisce pertanto una base adeguata per politiche di bilancio solide» (20°
Considerando), tenuto conto che, come prospettato anche dalla difesa dello
Stato, vi è l’esigenza che misure strutturali di risparmio di spesa non
prescindano dalle politiche economiche europee.
13.5.− Ebbene, il contenimento
e la razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui può attuarsi una
politica di riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici gravosi, quali quelli
in esame, che trovano giustificazione nella situazione di crisi economica. In
particolare, in ragione delle necessarie attuali prospettive pluriennali del
ciclo di bilancio, tali sacrifici non possono non interessare periodi, certo
definiti, ma più lunghi rispetto a quelli presi in considerazione dalle
richiamate sentenze di questa Corte, pronunciate con riguardo alla manovra
economica del 1992.
Le norme impugnate, dunque,
superano il vaglio di ragionevolezza, in quanto mirate ad un risparmio di spesa
che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione
solidaristica − sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi
statuti professionali delle categorie che vi appartengono − e per un periodo di
tempo limitato, che comprende più anni in considerazione della programmazione
pluriennale delle politiche di bilancio.
13.6.− Quanto alla lamentata
non ragionevolezza delle disposizioni impugnate poiché non incidono su coloro
che non dichiarano le proprie disponibilità economiche all’amministrazione
finanziaria, occorre rilevare che, in merito, il legislatore non potrebbe che
operare su altri piani, precipuamente fiscali, con meccanismi quindi non
comparabili con le misure in questione.
Più in generale, ove si
intenda alludere anche ad una disparità di trattamento del lavoro pubblico
rispetto a quello privato, non può non rilevarsi che le profonde diversità dello
stato giuridico (si pensi alla minore stabilità del rapporto) e di trattamento
economico escludano ogni possibilità di comparazione.
13.7.− La ragionevolezza delle
norme impugnate non viene neanche incisa dalle generiche e assertive doglianze
relative all’assenza di responsabilità dei cittadini gravati dalle misure in
esame per la situazione economica che vi ha dato luogo, e alla mancata
partecipazione degli stessi alle scelte di politica economica.
Quanto alla prospettata
disparità di trattamento rispetto ad altro personale non contrattualizzato, quale gli avvocati e procuratori dello
Stato e le Forze di polizia, si osserva che la mancata considerazione, da parte
dei rimettenti, delle specificità di ciascuna categoria professionale in regime
di diritto pubblico, priva le censure del necessario adeguato quadro di
riferimento.
13.8.− Né è ravvisabile la
lesione dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, atteso che,
come questa Corte ha più volte affermato, il legislatore può anche emanare
disposizioni che modifichino in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di
durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi
perfetti, sempre che tali disposizioni «non trasmodino in un regolamento
irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle
leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da
intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (sentenze n. 166 del 2012,
n. 302 del
2010, n.
236 e n. 206
del 2009); situazione che nella specie non può dirsi sussistente.
13.9.− In ordine alla
prospettata, connessa lesione dell’art. 36 Cost., si deve rilevare, infine,
come, secondo i principi affermati da questa Corte (sentenze n. 120 del 2012
e n. 287 del
2006), allo scopo di verificare la legittimità delle norme in tema di
trattamento economico dei dipendenti, occorra far riferimento, non già alle
singole componenti di quel trattamento, ma alla retribuzione nel suo complesso,
dovendosi avere riguardo – in sede di giudizio di non conformità della
retribuzione ai requisiti costituzionali di proporzionalità e sufficienza – al
principio di onnicomprensività della retribuzione medesima. Pertanto tale
parametro, ex se ed in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., non risulta violato,
non incidendo le disposizioni in esame sulla struttura della retribuzione dei
docenti universitari nel suo complesso, né emergendo una situazione che leda le
tutele socio-assistenziali degli interessati e dunque l’art. 2 Cost.
13.10.− Quanto al blocco delle
classi e degli scatti, non sono fondate neanche le censure volte a sostenere
l’irragionevolezza dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, per le
ricadute delle norme impugnate sulla riforma introdotta dalla legge n. 240 del
2010.
Occorre premettere al riguardo
che, come già ritenuto dai rimettenti nell’affermare la rilevanza delle
questioni, la valutazione delle attività didattiche, di ricerca e gestionali
svolte, prevista nel nuovo sistema di progressione economica, non esclude la
sussistenza di quella cadenza temporale predeterminata per la progressione, che
rende coerente l’applicazione del blocco anche in presenza della novella, come
previsto dall’art. 8, comma 1, della legge n. 240 del 2010.
Né il prospettato differimento
del sistema di valutazione, può incidere sul buon andamento delle università
degli studi. Si può ricordare, infatti, che la previsione di un vero e proprio
sistema di valutazione applicabile alle università italiane, può essere
ricondotto alla legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza
pubblica), e che con il decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni
urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2006, n. 286, il sistema è stato
ulteriormente disciplinato con l’istituzione dell’Agenzia nazionale per la
valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR).
Il meccanismo di valutazione
si inserisce, dunque, in un contesto già orientato a garantire la qualità
dell’offerta universitaria, nell’ambito del più ampio panorama europeo. Il buon
andamento dell’amministrazione universitaria, anche in riferimento all’art. 9
Cost., non è, dunque, connesso al solo sistema di avanzamento in carriera dei
docenti e ricercatori universitari, come delineato dagli artt. 6 ed 8 della
legge n. 240 del 2010, e pertanto non risulta compromesso.
13.11.− Viene infine dedotto
uno specifico profilo di illegittimità, connesso ai differenti effetti del
blocco in ragione della diversa anzianità di servizio maturata.
In proposito, va in primo
luogo rilevato che l’urgenza e l’ampiezza della manovra economica contenuta nel
d.l. n. 78 del 2010, in cui si inscrivono le norme censurate, ha interessato
l’intero comparto del pubblico impiego: la sua stessa struttura non rendeva,
dunque, possibile una frantumazione delle misure previste. D’altro canto,
considerato che la materia attiene a scelte di politica economica e sociale, che
non spetta a questa Corte valutare (sentenza n. 119 del
2012) se non nei limiti della evidente irragionevolezza, non emergono
elementi che possano indurre ad una tale conclusione.
Va infatti osservato che il
sacrificio imposto al personale docente, se pure particolarmente gravoso per
quello più giovane, appare, in quanto temporaneo, congruente con la necessità di
risparmi consistenti ed immediati.
Del resto, nel senso della non
irragionevolezza di un analogo blocco degli incrementi retributivi, si è già
pronunciata questa Corte, con la sentenza n. 245 del
1997, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 7, comma 3, del d.l. n. 384 del 1992, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 438 del 1992, questione prospettata negli stessi termini
dall’allora rimettente.
per questi
motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara la manifesta inammissibilità
della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122,
sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 36 e 53 della Costituzione, dal
Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara,
con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara la manifesta inammissibilità
della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2, del medesimo
d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge n. 122 del 2010, sollevata, in riferimento agli artt. 42 e 97 Cost., dal
Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio
Calabria, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo
periodo, del medesimo d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010, sollevate, in riferimento,
nel complesso, agli artt. 2, 3, 9, 33, 34, 36, 37, 42, 53, 77 e 97 Cost., dai
Tribunali amministrativi regionali per la Calabria, sezione staccata di Reggio
Calabria, per la Lombardia e per il Piemonte, dal Tribunale regionale di
giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, dai Tribunali
amministrativi regionali per l’Umbria e per la Puglia, con le ordinanze indicate
in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il
17 dicembre 2013.
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