minimo e massimo
Di questi tempi fa moda discutere sul salario minimo garantito, prescindendo dal valore salario nella storia italiana.
Nel 1906 le Camere del lavoro, le Leghe e le Federazioni di categoria decisero di confluire in una unica organizzazione perché l’azione negoziale doveva riguardare tutti i lavoratori, iscritti e non iscritti, dando vita alla Confederazione Generale del Lavoro; il salario assume così un valore” universalistico”.
Su iniziativa della CGdL, nel 1908 viene siglato il primo contratto collettivo nazionale di lavoro per i vetrai. Nel 1944 la Cgil esalta il principio del sindacato di classe per una vera solidarietà tra tutti i lavoratori; ha avvio la stagione degli accordi interconfederali determinanti i minimi retributivi e i diritti normativi.
Per meglio negoziare gli effetti del boom economico del dopoguerra, alla fine degli anni 50 Giuseppe Di vittorio dà il via allo sviluppo della contrattazione articolata; di categoria; di settore poi del terzo livello aziendale (1962); che vede negli elettromeccanici la punta di diamante trascinante tutta la categoria dei metalmeccanici prima, seguita poi dalle altre categorie.
Le rivendicazioni salariali diventano così strumenti di lotta anche per la modifica dei rapporti di potere tra classe padronale e classe lavoratrice: negli anni 60/70 la Fiom escogita lo sciopero articolato a ore.
Nel 1970 Luciano Lama diventa segretario generale Cgil; coniando poi la frase storica “alla vigna si chiede l’uva che può dare”. Nel 1978, propone ai lavoratori una politica di sacrifici volta a salvare l'economia italiana (dominata dalla classe padronale); il salario non è più una varabile indipendente; ma dipendente dalla dottrina del profitto; ribaltando la concezione Di Vittorio sul ruolo dei lavoratori nella gestione dell’economia e della società.
Già nel 1976 Enrico Berlinguer ci aveva messo del suo dichiarando a Gianpaolo Pansa; “Mi sento più sicuro stando di qua nella NATO”; peccato che ora non possa scrivere il secondo e attuale capitolo con attenzione al rapporto “guerra/pace “.
Inizia da questi fattori oggettivi la crisi dalla sinistra; il “veniamo da lontano e andiamo lontano“ diventa (per lo strutturale avanzare del neo liberismo democratico); “dove non si sa“, calamitati nel sistema delle disuguaglianze.
Con il formale cerimonioso intervento al congresso della Cgil, Giorgia Melone si sente autorizzata a confondere i lavoratori italiani tra salario minimo e contrattazione; tra classi e patrie; anche per la debole iniziativa sindacale.
1n 21 dei 27 Stati Europei è attuato il salario minimo; ovviamente l’Italia non c’è e rema contro gli altri: il 15 Marzo in Parlamento la Meloni ha chiuso ogni possibilità d’approvazione del salario minimo, contrabbandandolo con l’allargamento della contrattualità; mentre di fatto nel contempo allarga il principio della precarietà. Nel nostro paese su 23 milioni di occupati ben 3.200.000 sono a partite IVA (22%; 14% la media europea e l’8,8% in Germania); senza parlare del precariato in nero, il tutto parchè il precariato è una speculativa organizzazione del lavoro voluta dal padronato con l’appoggio dei liberal-individualisti e delle politiche dell’amico Governo di destra.
Ma non basta; il libero mercato sta cercando di rafforzare il suo potere inventando una nuova trappola chiamata “intelligenza artificiale Meta “; una pura operazione di mercato a danno dei lavoratori consumatori; nei comizi della Meloni non c’è traccia di questo tema; ma purtroppo non c’è neppure nei partiti della sinistra e nei sindacati.
Enrico Corti
23 marzo 2023
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