Giubbe Rosse
IL DISEGNO ISRAELIANO PER GAZA
Questa affermazione, in apparenza contraddittoria data la storica relazione di stretta collaborazione tra l'ANP e gli Stati Uniti, richiede un'analisi approfondita. Netanyahu, politico navigato, comprende la complessità dei rapporti tra Israele e gli USA e l'importanza di tale connessione per la sopravvivenza di Israele.
Le relazioni tra USA e Israele sono sempre state complesse, con l'influenza della lobby ebraica negli USA dagli anni '60-'70. Nonostante ciò, Tel Aviv è consapevole della necessità del sostegno economico e militare degli USA. Attualmente, il governo israeliano, guidato da Netanyahu, affronta sfide significative a seguito dell'attacco della Resistenza palestinese, con crescenti complicazioni sul campo, isolamento internazionale e pressioni statunitensi.
Ora, a due mesi dall’attacco della Resistenza palestinese, le cose per Israele, e per il governo Netanyahu, non si mettono particolarmente bene. La situazione sul campo è sempre più complicata (nella Striscia di Gaza gli scontri con la Resistenza si fanno sempre più frequenti, e sempre più mortali, con una crescita costante delle perdite tra le fila dell’IDF), l’isolamento internazionale cresce, e soprattutto cresce la difficoltà statunitense di sostenere a spada tratta le scelte del governo israeliano. In particolare, i punti di attrito principali sono tre.
Israele rifiuta decisamente qualsiasi apertura, anche solo formale, all’ipotesi dei due stati, che è invece il mantra propagandistico occidentale. Sia Washington che Tel Aviv sanno che questa ipotesi è nella realtà impraticabile, ma ciò nonostante Tel Aviv mantiene una netta chiusura.
La Casa Bianca vuole che l’operazione a Gaza si concluda in fretta, al massimo entro la metà di gennaio, sia perché il suo protrarsi crea imbarazzi internazionali, sia perché mette a rischio la vittoria democratica alle prossime presidenziali. Al contrario, sia il governo che l’esercito israeliano vogliono mano libera, senza limiti di tempo, nella consapevolezza che la faccenda non è risolvibile in poche settimane.
Sul futuro di Gaza, successivamente alla fine delle operazioni militari, si concretizza infine la divisione più marcata, poiché gli USA vorrebbero una occupazione militare quanto più breve possibile, seguita dall’affidamento proprio all’ANP del governo della Striscia, mentre il disegno israeliano è di ben altra natura.
In tale prospettiva, è evidente che bisogna spazzare via qualsiasi alternativa possibile, e quindi la guerra con l’ANP (che non sta partecipando in alcun modo agli scontri in Cisgiordania) serve allo scopo di eliminare in nuce l’ipotesi americana, trasformando quella che è sempre stata una sorta di amministrazione coloniale della West Bank, in un nemico dichiarato di Israele. Il che, ovviamente, prelude a sua volta al ritorno ad una amministrazione militare della Cisgiordania.
Chiaramente, tutti questi sono segnali dell’enorme debolezza, sia del governo Netanyahu che della stessa Israele. E la faccia feroce serve solo a nasconderla, sperando che passata la tempesta, tutto torni come prima.
Il che, in fondo, è il sogno dell’intero occidente.
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Netanyahu
: “Lo scenario dell’inizio della guerra in Cisgiordania è sul tavolo. Ci stiamo preparando alla possibilità di guerra con l’Autorità Palestinese.”
Questa affermazione, in apparenza contraddittoria data la storica relazione di stretta collaborazione tra l'ANP e gli Stati Uniti, richiede un'analisi approfondita. Netanyahu, politico navigato, comprende la complessità dei rapporti tra Israele e gli USA e l'importanza di tale connessione per la sopravvivenza di Israele.
Le relazioni tra USA e Israele sono sempre state complesse, con l'influenza della lobby ebraica negli USA dagli anni '60-'70. Nonostante ciò, Tel Aviv è consapevole della necessità del sostegno economico e militare degli USA. Attualmente, il governo israeliano, guidato da Netanyahu, affronta sfide significative a seguito dell'attacco della Resistenza palestinese, con crescenti complicazioni sul campo, isolamento internazionale e pressioni statunitensi.
Ora, a due mesi dall’attacco della Resistenza palestinese, le cose per Israele, e per il governo Netanyahu, non si mettono particolarmente bene. La situazione sul campo è sempre più complicata (nella Striscia di Gaza gli scontri con la Resistenza si fanno sempre più frequenti, e sempre più mortali, con una crescita costante delle perdite tra le fila dell’IDF), l’isolamento internazionale cresce, e soprattutto cresce la difficoltà statunitense di sostenere a spada tratta le scelte del governo israeliano. In particolare, i punti di attrito principali sono tre.
Israele rifiuta decisamente qualsiasi apertura, anche solo formale, all’ipotesi dei due stati, che è invece il mantra propagandistico occidentale. Sia Washington che Tel Aviv sanno che questa ipotesi è nella realtà impraticabile, ma ciò nonostante Tel Aviv mantiene una netta chiusura.
La Casa Bianca vuole che l’operazione a Gaza si concluda in fretta, al massimo entro la metà di gennaio, sia perché il suo protrarsi crea imbarazzi internazionali, sia perché mette a rischio la vittoria democratica alle prossime presidenziali. Al contrario, sia il governo che l’esercito israeliano vogliono mano libera, senza limiti di tempo, nella consapevolezza che la faccenda non è risolvibile in poche settimane.
Sul futuro di Gaza, successivamente alla fine delle operazioni militari, si concretizza infine la divisione più marcata, poiché gli USA vorrebbero una occupazione militare quanto più breve possibile, seguita dall’affidamento proprio all’ANP del governo della Striscia, mentre il disegno israeliano è di ben altra natura.
In tale prospettiva, è evidente che bisogna spazzare via qualsiasi alternativa possibile, e quindi la guerra con l’ANP (che non sta partecipando in alcun modo agli scontri in Cisgiordania) serve allo scopo di eliminare in nuce l’ipotesi americana, trasformando quella che è sempre stata una sorta di amministrazione coloniale della West Bank, in un nemico dichiarato di Israele. Il che, ovviamente, prelude a sua volta al ritorno ad una amministrazione militare della Cisgiordania.
Chiaramente, tutti questi sono segnali dell’enorme debolezza, sia del governo Netanyahu che della stessa Israele. E la faccia feroce serve solo a nasconderla, sperando che passata la tempesta, tutto torni come prima.
Il che, in fondo, è il sogno dell’intero occidente.
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