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lunedì 6 dicembre 2010

Sicurezza/ Sindacati,Forze polizia in piazza contro tagli Il 9 proteste in tutta Italia e il 13 manifestazione a Roma

Apc-*Sicurezza/ Sindacati,Forze polizia in piazza contro tagli
Il 9 proteste in tutta Italia e il 13 manifestazione a Roma

Roma, 6 dic. (Apcom) - Il 9 e il 13 dicembre poliziotti insieme a
altri operatori del comparto sicurezza (agenti penitenziari,
vigili del fuoco, forestale) attueranno proteste (il 13 con
unamnaifestazione nazionale in piazza Montecitorio a Roma) per
protestare contro la mancata approvazione alla Camera di un
emendamento al decreto sicurezza sulla specificità delle Forze di
Polizia e dei Vigili del Fuoco, che secondo i sindacati "mette
così a rischio l`operatività e l`efficienza dei servizi di ordine
e sicurezza pubblica dal 1° gennaio 2011".

Le organizzazioni sindacali della Polizia di Stato, della Polizia
Penitenziaria, del Corpo Forestale dello Stato e del Corpo
Nazionale dei Vigili del Fuoco, che hanno aderito alla protesta
hanno indetto per il 9 dicembre 2010, manifestazioni unitarie
degli operatori in tutte le province d`Italia, e
una manifestazione nazionale a Roma, in Piazza Montecitorio, il
13 dicembre.

Lo scopo della protesta - si legge in un comunicato congiunto dei
sindacati - è impedire lo smantellamento della sicurezza pubblica
e del soccorso pubblico contro le politiche finanziarie dei soli
tagli che hanno già sottratto, alle Forze di polizia, circa 2
miliardi e mezzo di euro in tre anni.

Red/Nes

061558 dic 10

SICUREZZA: SINDACATI PS IN PIAZZA, NO SMANTELLAMENTO SETTORE IL 13 MANIFESTZIONE A MONTECITORIO, TAGLIATI 2,5 MLD IN TRE ANNI




(ANSA) - ROMA, 6 DIC - I sindacati di polizia scenderanno in
piazza il prossimo 13 dicembre ''per impedire lo smantellamento
della sicurezza pubblica''. Lo comunicano i rappresentanti di 20
sigle sindacali del settore.
''Dopo il vergognoso voltafaccia del Governo e della
maggioranza che hanno ritirato alla Camera un emendamento al
decreto sicurezza sulla specificita' delle Forze di Polizia e
dei Vigili del Fuoco, mettendo cosi' a rischio l'operativita' e
l'efficienza dei servizi di ordine e sicurezza pubblica dal 1
gennaio 2011 - spiegano - le firmatarie organizzazioni sindacali
della Polizia di Stato, della Polizia Penitenziaria, del Corpo
Forestale dello Stato e del Corpo Nazionale dei Vigili del
Fuoco, hanno indetto per il 9 dicembre manifestazioni unitarie
degli operatori in tutte le province d'Italia e una
manifestazione nazionale a Roma, in Piazza Montecitorio, il 13
dicembre''.
La mobilitazione, proseguono i sindacati, mira a ''impedire
lo smantellamento della sicurezza pubblica e del soccorso
pubblico contro le politiche finanziarie dei soli tagli che
hanno gia' sottratto, alle forze di polizia, circa 2 miliardi e
mezzo di euro in tre anni; impedire che la manovra finanziaria
di quest'anno possa ulteriormente limitare l'operativita' dei
servizi delle forze di polizia e dei vigili del fuoco con la
fissazione dal 31 dicembre 2010 di un tetto massimo allo
straordinario e alle indennita' operative, anche a fronte di
maggiori esigenze di sicurezza, che non consentiranno l'impiego
dei poliziotti e dei vigili del fuoco per un limite
'ragioneristico'; affermare il diritto degli operatori delle
forze di polizia e dei vigili del fuoco, sancito dalla
Costituzione per tutti i lavoratori, a smettere di fornire
prestazioni di lavoro straordinario o connesse a maggiore
disagio o responsabilita' senza la retribuzione corrispondente;
sensibilizzare l'opinione pubblica sul comportamento
irresponsabile, verso il Paese, e vergognoso, verso gli
operatori di polizia e dei vigili del fuoco, tenuto dall'attuale
Governo, che ha sinora disatteso ogni impegno assunto in
campagna elettorale e nei documenti programmatici sui versanti
della sicurezza e delle connesse politiche per il personale''.
(ANSA).

NE
06-DIC-10 15:49 NNNN

SICUREZZA: FRIULI VENEZIA GIULIA, LIBERA CIRCOLAZIONE FORZE DELL'ORDINE SU TRENI






PER REGIONE E' UNA SPESA DI 100MILA EURO

Trieste, 6 dic. - (Adnkronos) - Proseguira' anche nel prossimo
anno la sperimentazione della libera circolazione delle forze
dell'Ordine sui treni regionali del Friuli Venezia Giulia. La ha
confermato la Giunta regionale, sulla base di un provvedimento
dell'assessore regionale alla Viabilita' e Trasporti Riccardo
Riccardi. La proroga scattera' dopo il 13 dicembre (data dell'entrata
in vigore dell'orario ferroviario invernale) e sino al 30 giugno 2011.

La libera circolazione sara' consentita agli agenti e agli
ufficiali di Pubblica Sicurezza, agli appartenenti all'Arma dei
Carabinieri, della Polizia di Stato, della Polizia penitenziaria, del
Corpo della Guardia di finanza, delle Capitanerie di porto, del Corpo
forestale dello Stato e regionale, delle Polizie locali (nell'ambito
del proprio territorio comunale), siano essi in divisa o dotati di
tesserino di riconoscimento rilasciato dai rispettivi comandi.

"Per la Regione, di fatto, si tratta di una spesa di 100mila
euro - spiega Riccardi - ma crediamo che pendolari, studenti e lo
stesso personale ferroviario gradiscano questo servizio, che viene a
rispondere alla giusta esigenza di una maggior sicurezza del
passeggero sui nostri treni".

(Afv/Pn/Adnkronos)
06-DIC-10 15:04

NNNN

COMUNICATO STAMPA - "LE FORZE DI POLIZIA IN PIAZZA PER IMPEDIRE LO SMANTELLAMENTO DELLA SICUREZZA PUBBLICA"






La notificazione a mezzo posta deve ritenersi perfezionata per il notificante con la consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario.




Il Consiglio di Stato, Sezione Quinta, Sentenza n. 8234 del 25/11/2010
FATTO e DIRITTO
1. L’Amministrazione, odierna appellante, aveva indetto pubblico concorso, per titoli ed esami, per l’assunzione a tempo indeterminato di n. 15 collaboratori professionali tecnici sanitari di laboratorio biomedico, cat.D., deliberando di esperire previamente le procedure di mobilità .
Con un unico motivo di ricorso il sig. [OMISSIS], collaboratore professionale, sanitario-tecnico di laboratorio biomedico, cat. D, in servizio a tempo indeterminato presso la Asl Bat, lamentava la violazione della normativa di settore e dei principi generali in materia di trasparenza oltre che della par condicio per non essere stati posti tutti gli interessati nella condizione di conoscere e partecipare al processo di mobilità in questione.
Il Tar, dopo avere respinto le eccezioni di irricevibilità avanzate dall’Istituto resistente, riteneva il ricorso fondato accogliendo la fondamentale tesi difensiva del ricorrente, in quanto l’amministrazione non aveva sottoposto la deliberazione con la quale si era determinata ad esperire le procedure di mobilità alle suddette forme di pubblicità.
Nell’atto di appello l’Istituto, nel censurare la sentenza del Tar, avanza plurimi motivi di doglianza ed in primis il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo per violazione ed inesatta applicazione dell’art.63 comma I del d.lgs. n.165 del 2001.
La domanda cautelare di sospensione della sentenza del Tar è stata esaminata dalla Sezione nella Camera di Consiglio del 28 settembre 2010.
Si è costituito il signor [OMISSIS] chiedendo il rigetto della misura cautelare, una pronunzia di irricevibilità dell’appello e nel merito il rigetto dello stesso.
Il Collegio ha avvisato le parti per una possibile decisione del giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 del decreto legislativo 2 luglio 2010 n.104.
2. Infondata è la eccezione di irricevibilità dell’appello avanzata dall’appellato signor [OMISSIS].
Vale infatti in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, il principio di carattere generale, derivante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002, secondo cui la notificazione a mezzo posta deve ritenersi perfezionata per il notificante con la consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario. Tale principio trova applicazione anche nell’ipotesi in cui la notifica a mezzo posta venga eseguita, anziché dall’ufficiale giudiziario, dal difensore della parte, essendo irrilevante la diversità soggettiva dell’autore della notificazione, con l’unica differenza che la data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario va in tale caso sostituita con la data di spedizione del piego raccomandato, da comprovare mediante il riscontro documentale dell’avvenuta esecuzione delle formalità richieste presso l’ufficio postale (Cass., Sez. I, 30 luglio 2009, n. 17748).
Nel caso di specie risulta agli atti che la sentenza del Tar Puglia Bari è stata notificata all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale in data 11 gennaio 2010, il ricorso in appello risulta consegnato all’ufficio postale in data 11 marzo 2010, e dunque tempestivamente.
3. Il primo motivo dedotto di difetto di giurisdizione è fondato ed assorbente ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 2 luglio 2010 n.104.
Il Tar Puglia infatti ha assunto la illegittimità dell’ intero giudizio sulla indizione del concorso pubblico per n.15 posti perché attivato senza il previo corretto espletamento della massima pubblicità della preliminare procedura di mobilità volontaria esterna.
Senonchè, come correttamente osservato dall’appellante, erano proprio le modalità di espletamento di tale preliminare procedura che andavano a ledere direttamente il ricorrente il quale infatti dichiaratamente ambiva al bene della vita rappresentato dal trasferimento per mobilità e si doleva di non averne potuto usufruire sulla scorta della delibera di GE n.130 del 2009.
Il Tar quindi ha erroneamente equiparato le procedure di mobilità volontaria esterna, -riservate ai dipendenti pubblici e comportanti, una mera variazione di un rapporto di lavoro pubblico già in essere mantenendo inalterati gli elementi originari e costitutivi (la qualifica, il profilo e le mansioni),- a quelle concorsuali aperte a tutti e finalizzate alla nuova assunzione di dipendenti pubblici e cioè alla costituzione di nuovi rapporti di pubblico impiego.
Il fatto che le procedure di mobilità fossero in qualche misura collegate e propedeutiche a quelle concorsuali non era di per sé di idonea a spostare l’ambito del dictum del giudice che, ai sensi dell’articolo 63, comma 1 del d.lgs. n.165 del 2001, è proprio del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, non venendo in applicazione il comma 4 del medesimo articolo.
In tale senso si è pronunziata anche la Corte di Cassazione che ha qualificato la natura della mobilità esterna come mera cessione di un contratto già in essere e come tale, ricompresa nella cognizione del giudice ordinario “..che ha giurisdizione sull’unico rapporto al momento della lesione dei relativi diritti” (Corte di Cass. SS. UU. Civili 12 dicembre 2006 n.26420).
4. In conclusione l’appello merita accoglimento nei sensi indicati.
Pertanto in riforma della sentenza appellata deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo spettando la giurisdizione al giudice ordinario, salvi gli effetti della translatio judicii di cui all’art. 11 comma 2 cod. proc. amm..
5. Spese ed onorari dei due gradi in relazione al petitum ed all’andamento della vicenda contenziosa possono essere compensati.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto in riforma della sentenza appellata dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo spettando la giurisdizione al giudice ordinario.
Compensa spese ed onorari.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Aldo Scola, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 25/11/2010

Infortunio a causa di un tombino sporgente non segnalato? Paga il Comune!



Cassazione Civile, Sezione Terza, Sentenza n. 23277 del 18/11/2010
Presidente Trifone – Relatore Amendola
Svolgimento del processo
I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.
[[OMISSIS]], con atto di citazione notificato il 12 gennaio 1989, convenne in giudizio il Comune di [OMISSIS] chiedendo il ristoro dei danni patiti a seguito di una caduta, determinata dallo stato di dissesto del fondo stradale.
L’ente, costituitosi in giudizio, contestò la domanda attrice.
Con sentenza del 12 febbraio 2004 il Tribunale di Napoli rigettò la domanda.
Su gravame della soccombente, la Corte d’appello l’ha invece ritenuta fondata e, per l’effetto, ha condannato il Comune di [OMISSIS] al pagamento in favore della [OMISSIS] della somma di euro 55.798,54.
Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione, illustrato anche da memoria, il Comune di [OMISSIS], formulando un solo, complesso motivo con pedissequo quesito.
Ha resistito con controricorso la [OMISSIS].
Il giudizio, rinviato a nuovo ruolo all’udienza del 19 febbraio 2006, a seguito del decesso del difensore dell’intimata, è stato trattato e deciso all’udienza odierna.
Motivi della decisione
1. Nell’unico mezzo il Comune di [OMISSIS] lamenta insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia. Oggetto della critica è il convincimento del giudice a quo in ordine alla eziologia dell’evento lesivo. Secondo la Corte territoriale, invero, l’instabilità del tombino sul quale la [OMISSIS] era andata ad inciampare costituiva evento imprevedibile, e quindi insidia per l’ignaro passante, idonea all’affermazione dell’efficienza causale della condotta della P.A. nella determinazione dell’evento.
Sostiene invece il deducente che, considerate le caratteristiche di tempo e di luogo in cui si era verificato il sinistro, l’attrice bene avrebbe potuto prevedere un pericolo per la sua incolumità e, conseguentemente, adottare tutte le cautele necessarie ad evitare che esso si materializzasse, transitando sul lato della strada non interessato dai lavori.
2. La doglianza è infondata.
È consolidata affermazione di questo giudice di legittimità che, in tema di responsabilità per danni da beni di proprietà della Pubblica amministrazione, qualora non sia applicabile la disciplina di cui all’art. 2051 cod. civ., in quanto sia accertata in concreto l’impossibilità dell’effettiva custodia del bene, a causa della notevole estensione dello stesso e delle modalità di uso da parte di terzi, l’ente pubblico risponde dei pregiudizi subiti dall’utente, secondo la regola generale dell’art. 2043 cod. civ., norma che non limita affatto la responsabilità della P.A. per comportamento colposo alle sole ipotesi di esistenza di un’insidia o di un trabocchetto. Conseguentemente, secondo i principi che governano l’illecito aquiliano, graverà sul danneggiato l’onere della prova dell’anomalia del bene, che va considerata fatto di per sé idoneo – in linea di principio – a configurare il comportamento colposo della P.A., mentre spetterà a questa dimostrare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia o l’impossibilità di rimuovere, adottando tutte le misure idonee, la situazione di pericolo (confr. Cass. 6 luglio 2006, n. 15383).
Non è superfluo aggiungere che siffatto ordine di idee ha a suo tempo ricevuto il significativo avallo della Corte costituzionale la quale, chiamata a scrutinare la conformità con gli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione degli artt. 2051, 2043 e 1227 cod. civ., ha ritenuto infondato il dubbio proprio in ragione della aderenza ai principi della Carta fondamentale del nostro Stato dell’interpretazione affermatasi nella giurisprudenza di legittimità (confr. Corte cost. n. 156 del 1999).
2.1. Principio altrettanto pacifico è poi che, allorquando si faccia valere la responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione per danni subiti dall’utente a causa delle condizioni di manutenzione di una strada pubblica, la valutazione della sussistenza di un’insidia, caratterizzata oggettivamente dalla non visibilità e soggettivamente dalla non prevedibilità del pericolo, costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente e logicamente motivato (confr. Cass. civ., 19 luglio 2005, n. 15224).
3. Venendo al caso di specie, il giudice di merito ha affermato che l’instabilità del tombino costituiva, in mancanza di qualsivoglia segnalazione dei lavori in corso e di recinzione della zona interessata, un pericolo occulto e imprevedibile, segnatamente rimarcando l’incongruità della linea difensiva della convenuta amministrazione – volta a rovesciare sull’infortunata la responsabilità dell’accaduto – alla luce del criterio, di elementare buon senso, che proprio per la mancanza di ogni segnalazione, l’utente poteva camminare indifferentemente sull’uno o sull’altro lato della strada.
Ciò significa che il decidente ha valutato, in termini che non possono essere tacciati di implausibilità e di illogicità rispetto al contesto fattuale di riferimento, la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del presidio generale di cui all’art. 2043 cod. civ. e ha poi dato del suo convincimento una motivazione esaustiva e corretta. Tanto basta perché la relativa valutazione si sottragga al sindacato di questa Corte.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in complessivi euro 4.200 (di cui euro 200 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.
Depositata in Cancelleria il 18/11/2010

Gli Stati membri possono vietare il contemporaneo esercizio di lavoro dipendente e professione di avvocato.




Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 3, n. 1, lett. g), CE, 4 CE, 10 CE, 81 CE e 98 CE, della direttiva del Consiglio 22 marzo 1977, 77/249/CEE, intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati (GU L 78, pag. 17), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica (GU L 77, pag. 36), nonché dei principi generali della tutela del legittimo affidamento e del rispetto dei diritti quesiti.
2 Detta domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Jakubowska e il sig. Maneggia in merito ad una domanda di risarcimento dei danni, controversia sfociata in un procedimento attualmente pendente dinanzi al Giudice di pace di Cortona, nelle more del quale, a carico degli avvocati che rappresentavano la sig.ra Jakubowska, è stata emessa una delibera di cancellazione dall’albo degli Avvocati di Perugia.
Contesto normativo
Il diritto dell’Unione
La direttiva 77/249
3 L’art. 1, n. 1, primo comma, della direttiva 77/249 così recita:
«La presente direttiva si applica, nei limiti e alle condizioni da essa previst[i], all’attività di avvocato esercitata a titolo di prestazione di servizi».
4 L’art. 6 della medesima direttiva prevede quanto segue:
«Ogni Stato membro può escludere gli avvocati dipendenti, legati da un contratto di lavoro ad un ente pubblico o privato, dall’esercizio delle attività di rappresentanza e di difesa in giudizio di questo ente nella misura in cui gli avvocati stabiliti in detto Stato non siano autorizzati ad esercitare tali attività».
5 Considerate le differenti versioni linguistiche di tale art. 6, e al fine di garantire che tutte queste versioni abbiano la stessa portata, i termini «ente pubblico o privato» che compaiono nella versione italiana di tale articolo devono essere intesi come riferiti alla nozione di «impresa pubblica o privata».
La direttiva 98/5
6 L’art. 3 della direttiva 98/5 così prevede:
«1. L’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente di detto Stato membro.
2. L’autorità competente dello Stato membro ospitante procede all’iscrizione dell’avvocato su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine. (...)
(...)».
7 L’art. 6, n. 1, della stessa direttiva così dispone:
«Indipendentemente dalle regole professionali e deontologiche cui è soggetto nel proprio Stato membro di origine, l’avvocato che esercita con il proprio titolo professionale d’origine è soggetto alle stesse regole professionali e deontologiche cui sono soggetti gli avvocati che esercitano col corrispondente titolo professionale dello Stato membro ospitante per tutte le attività che esercita sul territorio di detto Stato».
8 L’art. 7, n. 1, di detta direttiva così prevede:
«Se l’avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine non ottempera agli obblighi vigenti nello Stato membro ospitante si applicano le regole di procedura, le sanzioni e i mezzi di ricorso previsti nello Stato membro ospitante».
9 L’art. 8 della direttiva 98/5 così recita:
«L’avvocato iscritto nello Stato membro ospitante con il titolo professionale di origine può esercitare la professione come lavoratore subordinato di un altro avvocato, di un’associazione o società di avvocati, di un ente pubblico o privato, qualora lo Stato membro ospitante lo consenta agli avvocati iscritti con il titolo professionale che esso rilascia».
10 Considerate le differenti versioni linguistiche di tale art. 8, e al fine di garantire che tutte queste versioni abbiano la stessa portata, i termini «ente pubblico o privato» che compaiono nella versione italiana di tale articolo devono essere intesi come riferiti alla nozione di «impresa pubblica o privata».
La normativa nazionale
11 L’art. 3, secondo comma, del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore legale (Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia n. 281 del 5 dicembre 1933), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36 (Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia n. 24 del 30 gennaio 1934), così dispone:
«[L’esercizio, in particolare, della professione di avvocato è] incompatibile con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Province, dei Comuni (...) ed in generale di qualsiasi altra Amministrazione o istituzione pubblica soggetta a tutela o vigilanza dello Stato, delle Province e dei Comuni».
12 La legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica (Supplemento ordinario alla GURI n. 303 del 28 dicembre 1996), come modificata dal decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, recante misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140 (GURI n. 123 del 29 maggio 1997, pag. 5; in prosieguo: la «legge n. 662/96»), prevede, al suo art. 1, commi 56 e 56 bis, quanto segue:
«56. Le disposizioni (...) di legge e di regolamento che vietano l’iscrizione in albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno.
56 bis. Sono abrogate le disposizioni che vietano l’iscrizione ad albi e l’esercizio di attività professionali per i soggetti di cui al comma 56. Restano ferme le altre disposizioni in materia di requisiti per l’iscrizione ad albi professionali e per l’esercizio delle relative attività. Ai dipendenti pubblici iscritti ad albi professionali e che esercitino attività professionale non possono essere conferiti incarichi professionali dalle amministrazioni pubbliche; gli stessi dipendenti non possono assumere il patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione».
13 La legge 25 novembre 2003, n. 339, recante norme in materia di incompatibilità dell’esercizio della professione di avvocato (GURI n. 279 del 1° dicembre 2003, pag. 6; in prosieguo: la «legge n. 339/2003»), entrata in vigore il 2 dicembre 2003, al suo art. 1 così dispone:
«Le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 56, 56 bis e 57, della legge [n. 662/96] non si applicano all’iscrizione agli albi degli avvocati, per i quali restano fermi i limiti e i divieti di cui al regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successive modificazioni».
14 L’art. 2 della stessa legge ha il seguente tenore:
«1. I pubblici dipendenti che hanno ottenuto l’iscrizione all’albo degli avvocati successivamente alla data di entrata in vigore della legge [n. 662/96] e risultano ancora iscritti, possono optare per il mantenimento del rapporto d’impiego, dandone comunicazione al consiglio dell’ordine presso il quale risultano iscritti, entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. In mancanza di comunicazione entro il termine previsto, i consigli degli ordini degli avvocati provvedono alla cancellazione di ufficio dell’iscritto al proprio albo.
2. Il pubblico dipendente, nell’ipotesi di cui al comma 1, ha diritto ad essere reintegrato nel rapporto di lavoro a tempo pieno.
3. Entro lo stesso termine di trentasei mesi di cui al comma l, il pubblico dipendente può optare per la cessazione del rapporto di impiego e conseguentemente mantenere l’iscrizione all’albo degli avvocati.
4. Il dipendente pubblico part-time che ha esercitato l’opzione per la professione forense ai sensi della presente legge conserva per cinque anni il diritto alla riammissione in servizio a tempo pieno entro tre mesi dalla richiesta, purché non in soprannumero, nella qualifica ricoperta al momento dell’opzione presso l’Amministrazione di appartenenza. In tal caso l’anzianità resta sospesa per tutto il periodo di cessazione dal servizio e ricomincia a decorrere dalla data di riammissione».
Causa principale e questioni pregiudiziali
15 La sig.ra Jakubowska ha convenuto il sig. Maneggia dinanzi al Giudice di pace di Cortona per il pagamento di una somma di EUR 200 a titolo di risarcimento dei danni, in ragione del fatto che quest’ultimo aveva accidentalmente danneggiato l’automobile di sua proprietà.
16 Nell’ambito di tale controversia, la sig.ra Jakubowska si è fatta rappresentare dagli avv.ti. Mazzolai e Nardelli, iscritti all’albo degli Avvocati di Perugia. Questi ultimi, in quanto dipendenti pubblici con impiego a tempo parziale, rientravano nell’ambito di applicazione dell’art. 1, commi 56 e 56 bis, della legge n. 662/96.
17 Dopo l’entrata in vigore della legge n. 339/2003 e la scadenza del termine prescritto dall’art. 2, n. 1, della stessa, il consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Perugia, in pendenza del procedimento a quo dinanzi al giudice del rinvio, ha emesso due delibere che disponevano la cancellazione di detti avvocati da tale albo.
18 La sig.ra Jakubowska ha presentato una memoria nella quale chiedeva che i suoi avvocati fossero autorizzati a continuare a rappresentarla, adducendo che la legge n. 339/2003 è contraria al Trattato CE nonché ai principi generali della tutela dell’affidamento legittimo e del rispetto dei diritti quesiti.
19 In tale contesto, il Giudice di pace di Cortona ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le questioni seguenti:
«1) Se gli artt. 3, lett. g), [CE], 4 [CE], 10 [CE], 81 [CE] e 98 [CE] debbano essere interpretati in modo da ritenere che ostino ad una disciplina nazionale, quale quella risultante dagli articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003], che reintroducono l’incompatibilità all’esercizio della professione forense da parte dei dipendenti pubblici part time e negano agli stessi, pur in possesso di un’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, l’esercizio della professione disponendone la cancellazione dall’albo degli avvocati con provvedimento del competente consiglio dell’ordine degli avvocati, salvo che il pubblico dipendente opti per la cessazione del rapporto di impiego.
2) Se gli artt. 3, lett. g), [CE], 4 [CE], 10 [CE] e 98 [CE] debbano essere interpretati in modo da ritenere che ostino ad una disciplina nazionale, quale quella risultante dagli articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003] (...).
3) Se l’art. 6 della direttiva [77/294] (...) debba essere interpretato in modo da ritenere che esso osti ad una disciplina nazionale quale quella risultante dagli articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003] (...) laddove tale disciplina nazionale sia applicabile anche agli avvocati dipendenti che esercitano l’attività forense in via di libera prestazione dei servizi.
4) Se l’art. 8 della direttiva [98/5] (...) debba essere interpretato in modo da ritenere che esso non si applichi all’avvocato dipendente pubblico part time.
5) Se i principi generali di diritto [dell’Unione] della tutela del legittimo affidamento e dei diritti quesiti ostino ad una disciplina nazionale quale quella risultante dagli articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003], che introducono l’incompatibilità all’esercizio della professione forense da parte dei dipendenti pubblici part-time e si applicano anche agli avvocati già iscritti negli albi degli avvocati alla data di entrata in vigore della medesima legge (...), prevedendo all’art. 2 solo un breve periodo di “moratoria” per l’opzione imposta fra impiego ed esercizio della professione forense».
20 In risposta ai quesiti scritti che sono stati posti dalla Corte ai rappresentanti ad litem della sig.ra Jakubowska, in applicazione dell’art. 54 bis del regolamento di procedura della Corte, l’avv. Nardelli ha prodotto, con lettera del 31 maggio 2010, un’attestazione del consiglio dell’Ordine degli Avvocati dalla quale risulta che egli resta formalmente iscritto all’albo di tale Ordine fino a che a quest’ultimo sia comunicata la data di notifica della delibera del Consiglio nazionale forense recante rigetto del ricorso dell’avv. Nardelli avverso la decisione di cancellazione che lo concerne.
21 Con la stessa lettera, il sig. Nardelli ha informato la Corte che l’avv. Mazzolai aveva rinunciato alla procura conferitagli nella causa principale. Inoltre, ha fatto sapere che la sig.ra Jakubowska aveva conferito una procura ad litem all’avv. Frigessi di Rattalma al fine di rappresentarla all’udienza dinanzi alla Corte.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali
22 Preliminarmente, occorre rilevare che la circostanza che le questioni pregiudiziali non presentino alcun nesso con l’oggetto stesso dell’azione introdotta dalla sig.ra Jakubowska contro il sig. Maneggia non le rende irricevibili. Infatti, dette questioni mirano a consentire al giudice del rinvio di valutare la legittimità di una normativa nazionale la cui applicazione ha suscitato un incidente processuale nella causa principale. Dato che detto incidente fa parte di tale causa, è consentito al giudice interrogare la Corte in merito all’interpretazione delle norme del diritto dell’Unione che, a suo avviso, sono pertinenti al riguardo.
23 Senza rimettere in discussione la possibilità di un siffatto rinvio pregiudiziale, taluni governi che hanno presentato osservazioni alla Corte, nonché la Commissione europea, hanno nondimeno sollevato eccezioni d’irrecevibilità con riferimento alle questioni sottoposte dal Giudice di pace di Cortona.
24 I governi irlandese e austriaco sottolineano che tutti gli elementi della causa principale, relativi alla possibilità che i procuratori ad litem della sig.ra Jakubowska esercitino la professione forense, sono circoscritti all’interno di un solo Stato membro. I problemi di diritto dell’Unione sollevati dal giudice del rinvio sarebbero, quindi, meramente ipotetici e la domanda di pronuncia pregiudiziale dovrebbe, per questo motivo, essere dichiarata irricevibile.
25 Secondo il governo ungherese, la normativa italiana menzionata dal giudice del rinvio, comunque, esorbita dall’ambito di applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione relative all’esercizio della professione forense, dato che detta normativa nazionale riguarda i dipendenti pubblici, mentre le direttive 77/249 e 98/5 concernono l’esercizio di tale professione da parte di avvocati indipendenti o che lavorano in qualità di lavoratori subordinati di un altro avvocato, di un’associazione o di un’impresa.
26 La Commissione, per parte sua, reputa che la terza questione debba essere considerata come ipotetica e quindi irricevibile, poiché tale questione concerne l’esercizio della professione forense a titolo di prestazione di servizi, mentre la normativa in questione nel procedimento principale riguarda lo stabilimento in qualità d’avvocato.
27 La Commissione esprime anche dubbi quanto alla ricevibilità della quinta questione, alla luce del fatto che la normativa italiana con riferimento alla quale si domanda l’interpretazione di principi generali del diritto dell’Unione non è stata adottata al fine di dare esecuzione ad obblighi imposti alla Repubblica italiana da tale diritto.
28 Alla luce di queste varie eccezioni d’irricevibilità, va rammentato che le questioni pregiudiziali riguardanti il diritto dell’Unione beneficiano di una presunzione di pertinenza. Il rigetto di una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (v. in tal senso, in particolare, sentenze 5 dicembre 2006, cause riunite C 94/04 e C 202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I 11421, punto 25, nonché 1° giugno 2010, cause riunite C 570/07 e C 571/07, Blanco Pérez e Chao Gómez, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 36).
29 Orbene, quanto alla prima, alla seconda e alla quarta questione, non risulta in modo manifesto che l’interpretazione richiesta non abbia alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto dell’incidente processuale intervenuto nell’ambito della causa principale o che la questione sollevata sia di tipo ipotetico.
30 Da una parte, occorre ricordare che una legge che si estende a tutto il territorio di uno Stato membro può, eventualmente, pregiudicare il commercio tra Stati membri ai sensi dell’art. 81 CE (v., in tal senso, sentenze 19 febbraio 2002, causa C 35/99, Arduino, Racc. pag. I 1529, punto 33, nonché Cipolla e a., cit., punto 45). Di conseguenza, la prima e la seconda questione, dirette a determinare se le norme del diritto dell’Unione in materia di concorrenza ostino ad una normativa nazionale quale la legge n. 339/2003, non sono manifestamente prive di pertinenza.
31 Dall’altra parte, per quel che riguarda la quarta questione, occorre rilevare che, come è stato sostenuto all’udienza dal governo italiano e dalla Commissione, la norma sancita dall’art. 8 della direttiva 98/5 non ha solo lo scopo di accordare agli avvocati iscritti in uno Stato membro ospitante con il loro titolo professionale ottenuto in un altro Stato membro gli stessi diritti di cui godono gli avvocati iscritti in detto Stato membro ospitante con il titolo professionale ottenuto nello stesso. Invero, tale norma garantisce anche che questi ultimi non subiscano una discriminazione alla rovescia, il che potrebbe accadere se le norme loro imposte non venissero applicate anche agli avvocati iscritti in detto Stato membro ospitante con un titolo professionale ottenuto in un altro Stato membro.
32 Pertanto, il fatto che il procedimento di cancellazione dall’albo degli Avvocati di Perugia, che è alla base delle questioni pregiudiziali, riguardi avvocati che esercitano la professione di cui trattasi in Italia con il titolo professionale ottenuto in tale Stato membro non comporta assolutamente che la quarta questione sollevata sia ipotetica. Al contrario, l’interpretazione richiesta dell’art. 8 della direttiva 98/5 aiuterà il giudice del rinvio a determinare se la legge n. 339/2003 crei una discriminazione alla rovescia in contrasto con il diritto dell’Unione.
33 La ricevibilità della quarta questione pregiudiziale non è, del resto, inficiata dall’argomento del governo ungherese secondo cui la legge n. 339/2003, riguardando i dipendenti pubblici, non disciplina nessuna delle situazioni di cui all’art. 8 della direttiva 98/5, che concerne solo gli avvocati che lavorano in qualità di lavoratori subordinati «di un altro avvocato, di un’associazione o società di avvocati, di [un’impresa pubblica o privata]».
34 Al riguardo occorre ricordare che la deroga richiamata dal governo ungherese – vale a dire l’inapplicabilità del diritto dell’Unione ai dipendenti pubblici – vale unicamente per gli impieghi che comportino una partecipazione all’esercizio di pubblici poteri e che presuppongano, pertanto, l’esistenza di un particolare rapporto con lo Stato. Per contro, le norme del diritto dell’Unione in materia di libera circolazione restano applicabili ad impieghi che, pur dipendendo dallo Stato o da altri enti pubblici, non implicano tuttavia alcuna partecipazione a compiti spettanti alla pubblica amministrazione propriamente detta (v. in tal senso, in particolare, sentenze 30 settembre 2003, causa C 405/01, Colegio de Oficiales de la Marina Mercante Española, Racc. pag. I 10391, punti 39 e 40, nonché 10 dicembre 2009, causa C 345/08, Pe?la, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 31).
35 Quanto, più precisamente, alla nozione di impresa pubblica che figura all’art. 8 della direttiva 98/5, secondo giurisprudenza consolidata, allorché un ente integrato nell’amministrazione pubblica esercita attività che presentano un carattere economico e non rientrano nell’esercizio di prerogative dei pubblici poteri, esso dev’essere considerato come una siffatta impresa (v., in tal senso, sentenze 27 ottobre 1993, causa C 69/91, Decoster, Racc. pag. I 5335, punto 15; 14 settembre 2000, causa C 343/98, Collino e Chiappero, Racc. pag. I 6659, punto 33, nonché 26 marzo 2009, causa C 113/07 P, SELEX Sistemi Integrati/Commissione, Racc. pag. I 2207, punto 82).
36 Da ciò consegue che l’ambito di applicazione della legge n. 339/2003 – la quale, letta in combinato disposto con il regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, cui fa rinvio, riguarda gli avvocati iscritti all’albo di uno degli ordini degli Avvocati della Repubblica italiana che hanno anche un rapporto d’impiego presso una pubblica amministrazione o un’istituzione pubblica soggetta a tutela o a vigilanza della Repubblica italiana o di un suo ente territoriale – coincide con quello dell’art. 8 della direttiva 98/5 per quanto concerne gli avvocati impiegati da un ente che, benché soggetto a vigilanza dello Stato italiano o di uno dei suoi enti locali, costituisca un’«[impresa pubblica]».
37 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, la domanda di pronuncia pregiudiziale dev’essere considerata ricevibile per quanto concerne la prima, la seconda e la quarta questione sollevate.
38 Quanto, per contro, alla terza questione, relativa alla direttiva 77/249 e, quindi, all’esercizio della professione di avvocato a titolo di libera prestazione di servizi, si deve necessariamente constatare che una risposta della Corte a tale questione non potrebbe essere utile al giudice del rinvio. Infatti, l’incidente sollevato dinanzi a tale giudice riguarda la questione se la cancellazione di avvocati dall’albo in applicazione della legge n. 339/2003 sia compatibile con il diritto dell’Unione. Come la Commissione ha giustamente fatto osservare, nel presente contesto viene in considerazione lo stabilimento in qualità d’avvocato e, quindi, la materia disciplinata dalla direttiva 98/5, e non l’esercizio della professione forense a titolo di libera prestazione di servizi.
39 Pertanto, la domanda di pronuncia pregiudiziale dev’essere dichiarata irricevibile per quanto concerne la terza questione sollevata.
40 Con riguardo, infine, alla quinta questione, dalla decisione di rinvio risulta che, con tale questione, il Giudice di pace di Cortona invita la Corte ad esaminare, basandosi sulla sua giurisprudenza relativa ai principi della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto, la modifica in senso sfavorevole risultante, per coloro che vogliono esercitare contemporaneamente la professione forense e un impiego a tempo parziale presso un ente pubblico, dalla legge n. 339/2003, la quale ha posto fine al regime a loro più favorevole, introdotto dalla legge n. 662/96.
41 Orbene, senza che occorra statuire in merito all’argomento d’irricevibilità formulato dalla Commissione con riguardo a tale questione, basti constatare che, comunque, la Corte non può utilmente rispondervi, in mancanza degli elementi necessari per farlo.
42 Quanto al principio della certezza del diritto, per giurisprudenza consolidata una normativa che comporta conseguenze svantaggiose per i singoli dev’essere chiara e precisa, e la sua applicazione dev’essere prevedibile per gli amministrati (sentenza 14 settembre 2010, causa C 550/07 P, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 100 e giurisprudenza ivi citata). Ebbene, né la decisione di rinvio né le osservazioni presentate consentono alla Corte di stabilire sotto quale profilo o per quale ragione la chiarezza o la prevedibilità della legge n. 339/2003 sarebbero messe in discussione.
43 Tutt’al più, il giudice del rinvio ha chiarito la questione relativa a tale principio spiegando che la legge n. 339/2003 produce effetti retroattivi, effetti cui osterebbe il principio della certezza del diritto. La pretesa retroattività della legge n. 339/2003 è, tuttavia, manifestamente contraddetta dalla constatazione, anch’essa contenuta nella decisione di rinvio, che l’entrata in vigore di tale legge non pregiudica il diritto di esercizio concomitante conferito, fino a tale entrata in vigore, dalla legge n. 662/96, considerato peraltro che la legge n. 339/2003 instaura un periodo transitorio di tre anni al fine di evitare che il cambiamento da essa introdotto sia immediato.
44 Relativamente al principio della tutela del legittimo affidamento, per giurisprudenza costante gli amministrati non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali (sentenza 10 settembre 2009, causa C 201/08, Plantanol, Racc. pag. I 8343, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). Alla luce di questa giurisprudenza consolidata, una questione pregiudiziale quale la quinta questione sollevata nell’ambito del presente procedimento non può essere utilmente esaminata dalla Corte, in mancanza di una minima descrizione degli elementi dedotti nella causa principale per dimostrare che l’adozione della normativa ivi discussa configura un’ipotesi diversa da quella in cui il legislatore semplicemente modifichi, per l’avvenire, la normativa esistente.
45 Nel caso di specie, il giudice del rinvio si è essenzialmente limitato a spiegare che la legge n. 339/2003 modifica in modo particolarmente sostanziale e, per taluni, sorprendente il regime precedentemente in vigore in forza della legge n. 662/96. Ebbene, si deve constatare che il solo fatto che il legislatore abbia adottato una nuova legge e che quest’ultima sia considerevolmente diversa da quella anteriormente in vigore non offre alla Corte una base sufficiente per procedere ad un prudente apprezzamento della quinta questione.
46 Alla luce di quanto precede, la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile anche per quanto concerne la quinta questione sollevata.
Nel merito
Sulla prima e sulla seconda questione
47 Con la sua prima e la sua seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se gli artt. 3, n. 1, lett. g), CE, 4 CE, 10 CE, 81 CE e 98 CE ostino ad una normativa nazionale, quale quella risultante dagli artt. 1 e 2 della legge n. 339/2003, che nega ai dipendenti pubblici impiegati in una relazione di lavoro a tempo parziale, pur in possesso di un’abilitazione all’esercizio della professione forense, l’esercizio di tale professione, disponendone la cancellazione dall’albo degli Avvocati.
48 Se è pur vero che, di per sé, l’art. 81 CE riguarda esclusivamente il comportamento delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari emanate dagli Stati membri, nondimeno tale articolo, letto in combinato disposto con l’art. 10 CE, fa obbligo agli Stati membri di non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, che possano rendere praticamente inefficaci le regole di concorrenza applicabili alle imprese (citate sentenze Arduino, punto 34, nonché Cipolla e a., punto 46).
49 La Corte ha, in particolare, dichiarato che si è in presenza di una violazione degli artt. 10 CE e 81 CE qualora uno Stato membro imponga o agevoli la conclusione di accordi in contrasto con l’art. 81 CE, o rafforzi gli effetti di tali accordi, oppure revochi alla propria normativa il suo carattere pubblico delegando ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni di intervento in materia economica (citate sentenze Arduino, punto 35, nonché Cipolla e a., punto 47).
50 Orbene, il fatto che uno Stato membro prescriva agli organi di un’associazione professionale quali i consigli dell’Ordine degli Avvocati dei differenti fori di procedere d’ufficio alla cancellazione dell’iscrizione all’albo degli Avvocati dei membri di tale professione che siano anche dipendenti pubblici a tempo parziale e che non abbiano optato, entro un termine fisso, vuoi per il mantenimento dell’iscrizione a detto albo, vuoi per il mantenimento della relazione di lavoro con l’ente pubblico presso il quale sono impiegati, non è idoneo a dimostrare che tale Stato membro abbia revocato alla propria normativa il suo carattere pubblico. Infatti, i consigli dell’Ordine non hanno alcuna influenza per quel che riguarda l’adozione d’ufficio, prescritta per legge, delle decisioni di cancellazione.
51 Per motivi analoghi, non si può ritenere che una normativa nazionale come quella in questione nella causa principale imponga o agevoli accordi in contrasto con l’art. 81 CE.
52 Tali considerazioni non sono affatto inficiate né dall’art. 3, n. 1, lett. g), CE, che prevede l’azione dell’Unione europea per quanto concerne un regime che assicuri che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno, né dagli artt. 4 CE e 98 CE, che mirano all’instaurazione di una politica economica nel rispetto del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza.
53 Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la prima e la seconda questione sollevate nel senso che gli artt. 3, n. 1, lett. g), CE, 4 CE, 10 CE, 81 CE e 98 CE non ostano ad una normativa nazionale che neghi ai dipendenti pubblici impiegati in una relazione di lavoro a tempo parziale l’esercizio della professione di avvocato, anche qualora siano in possesso dell’apposita abilitazione, disponendone la cancellazione dall’albo degli Avvocati.
Sulla quarta questione
54 Come esposto nella decisione di rinvio, con la sua quarta questione, il Giudice di pace di Cortona domanda, in sostanza, se la possibilità lasciata dall’art. 8 della direttiva 98/5 allo Stato membro ospitante di disciplinare e, quindi, se del caso, di limitare l’esercizio di talune categorie di impieghi da parte degli avvocati iscritti in tale Stato valga anche nei confronti degli avvocati che desiderino esercitare uno di tali impieghi solo a tempo parziale.
55 Al fine di risolvere tale questione, giova rammentare anzitutto che, con l’adozione della direttiva 98/5, il legislatore dell’Unione ha inteso, in particolare, porre fine alle disparità tra le norme nazionali relative ai requisiti d’iscrizione come avvocato (sentenza 19 settembre 2006, causa C 506/04, Wilson, Racc. pag. I 8613, punto 64).
56 La Corte ha già precisato che, in considerazione di tale obiettivo della direttiva 98/5, occorre ritenere che essa proceda ad un’armonizzazione completa dei requisiti preliminari per l’iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante, requisiti essenzialmente limitati alla presentazione a tale autorità di un documento attestante l’iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro di origine (v., in tal senso, sentenza Wilson, cit., punti 65 67).
57 Tuttavia, come risulta inequivocabilmente dall’art. 6 della direttiva 98/5, l’iscrizione in uno Stato membro ospitante di avvocati che esercitano con un titolo ottenuto in uno Stato membro diverso assoggetta tali avvocati all’applicazione delle regole professionali e deontologiche in vigore nello Stato membro ospitante. Ebbene, tali regole, contrariamente a quelle relative ai requisiti preliminari per l’iscrizione, non sono state oggetto di un’armonizzazione e possono quindi divergere considerevolmente da quelle in vigore nello Stato membro d’origine. Del resto, come conferma l’art. 7, n. 1, della stessa direttiva, l’inosservanza di dette regole può portare alla cancellazione dell’iscrizione nello Stato membro ospitante.
58 Occorre constatare che l’art. 8 della direttiva 98/5 riguarda una categoria specifica delle regole professionali e deontologiche richiamate dall’art. 6 della stessa direttiva, vale a dire quelle che determinano in quale misura gli avvocati iscritti possono «esercitare la professione come lavoratore subordinato di un altro avvocato, di un’associazione o società di avvocati, di [un’impresa pubblica o privata]».
59 In considerazione degli ampi termini scelti dal legislatore dell’Unione, si deve ritenere che detto art. 8 ricomprenda tutte le regole che lo Stato membro ospitante ha introdotto al fine di prevenire i conflitti d’interesse che potrebbero, secondo le sue valutazioni, risultare da una situazione nella quale un avvocato sia, da una parte, iscritto all’albo degli Avvocati e, dall’altra, impiegato presso un altro avvocato, un’associazione o società di avvocati, un’impresa pubblica o privata.
60 Il divieto imposto dalla legge n. 339/2003 agli avvocati iscritti in Italia di essere impiegati, anche solo a tempo parziale, di un ente pubblico rientra nelle regole di cui all’art. 8 della direttiva 98/5, almeno nei limiti in cui detto divieto concerne l’esercizio concomitante della professione forense e di un impiego presso un’impresa pubblica.
61 Del resto, il fatto che la normativa così introdotta dalla Repubblica italiana possa essere considerata restrittiva non è di per sè censurabile. La mancanza di conflitto d’interessi è, infatti, indispensabile all’esercizio della professione forense ed implica, in particolare, che gli avvocati si trovino in una situazione di indipendenza nei confronti dei pubblici poteri e degli altri operatori di cui non devono subire l’influenza (v., in tal senso, sentenza 19 febbraio 2002, causa C 309/99, Wouters e a., Racc. pag. I 1577, punti 100 102). Occorre, certo, che le regole stabilite al riguardo non vadano al di là di quello che è necessario per conseguire l’obiettivo di prevenzione dei conflitti di interesse. La proporzionalità di un divieto come quello imposto dalla legge n. 339/2003 non deve, tuttavia, essere esaminata nell’ambito della presente questione, che non riguarda tale aspetto.
62 Infine, come già constatato nell’ambito dell’esame della ricevibilità di tale questione, occorre sottolineare che l’art. 8 della direttiva 98/5 implica che le norme dello Stato membro ospitante si applichino a tutti gli avvocati iscritti in tale Stato membro, a prescindere dal fatto che essi esercitino con il titolo professionale ottenuto nello stesso Stato o con quello ottenuto in un altro Stato membro.
63 Con riserva di verifica da effettuare al riguardo da parte dei giudici italiani, non risulta che la legge n. 339/2003 si applichi esclusivamente agli avvocati di origine italiana e produca in tal modo una discriminazione alla rovescia. Certamente, gli avvocati presi in considerazione da detta legge sono quelli interessati ad esercitare un impiego presso enti soggetti a tutela o a vigilanza della Repubblica italiana o dei suoi enti locali. Tuttavia, almeno nei limiti in cui si tratta di impieghi presso imprese pubbliche, gli avvocati iscritti all’albo di uno degli ordini degli Avvocati della Repubblica italiana e sui quali incide quindi il divieto di esercizio concomitante di un tale impiego possono essere non solo cittadini italiani, bensì anche cittadini di altri Stati membri.
64 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la quarta questione sollevata dichiarando che l’art. 8 della direttiva 98/5 dev’essere interpretato nel senso che lo Stato membro ospitante può imporre agli avvocati ivi iscritti e che siano impiegati – vuoi a tempo pieno vuoi a tempo parziale – presso un altro avvocato, un’associazione o società di avvocati oppure un’impresa pubblica o privata, restrizioni all’esercizio concomitante della professione forense e di detto impiego, sempreché tali restrizioni non eccedano quanto necessario per conseguire l’obiettivo di prevenzione dei conflitti di interesse e si applichino a tutti gli avvocati iscritti in detto Stato membro.
Sulle spese
65 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

1) Gli artt. 3, n. 1, lett. g), CE, 4 CE, 10 CE, 81 CE e 98 CE non ostano ad una normativa nazionale che neghi ai dipendenti pubblici impiegati in una relazione di lavoro a tempo parziale l’esercizio della professione di avvocato, anche qualora siano in possesso dell’apposita abilitazione, disponendo la loro cancellazione dall’albo degli Avvocati.
2) L’art. 8 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, dev’essere interpretato nel senso che lo Stato membro ospitante può imporre agli avvocati ivi iscritti che siano impiegati – vuoi a tempo pieno vuoi a tempo parziale – presso un altro avvocato, un’associazione o società di avvocati oppure un’impresa pubblica o privata, restrizioni all’esercizio concomitante della professione forense e di detto impiego, sempreché tali restrizioni non eccedano quanto necessario per conseguire l’obiettivo di prevenzione dei conflitti di interesse e si applichino a tutti gli avvocati iscritti in detto Stato membro.

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