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sabato 16 aprile 2011
Salute: carie si previene sin dal pancione, decalogo salva sorriso
SALUTE: CARIE SI PREVIENE SIN DAL PANCIONE, DECALOGO SALVA SORRISO =
L'ESPERTA, SI 'TRASMETTONO' AL FIGLIO
Roma, 16 apr. - (Adnkronos/Adnkronos Salute) - La prevenzione
delle carie si puo' fare fin dal pancione. "In gravidanza la donna
dovrebbe curare in modo particolare l'igiene orale, perche' se ha
delle carie dopo la nascita puo' 'trasmetterle' al figlio". Lo spiega
Antonella Polimeni, ordinario di Odontoiatria Pediatrica
dell'universita' Sapienza di Roma, dal Congresso Nazionale del
Collegio dei Docenti di Odontoiatria, chiuso oggi a Siena.
Se nella bocca della mamma prolifera la flora batterica che
provoca la carie, infatti, "questa - aggiunge l'esperta- puo' essere
passata al bimbo attraverso il contatto con la saliva fin dai primi
giorni di vita: durante l'attesa e l'allattamento e' quindi importante
assicurarsi di avere una bocca sana. Una buona norma di igiene che
sette mamme su dieci dimenticano e' poi la pulizia delle gengive del
neonato con una garza imbevuta d'acqua prima ancora che siano spuntati
i dentini. Sia le gengive che i denti da latte vanno infatti puliti
con regolarita', dopo ogni pasto".
"Troppe non lo sanno: c'e' percio' un grande bisogno di
accrescere la consapevolezza dell'importanza dell'igiene orale nei
bambini. Anche per questo abbiamo pensato di redigere un decalogo per
la salute orale dei piu' piccoli, che raccolga tutte le regole
principali per garantirsi una corretta igiene orale fin da bambini. Un
passo indispensabile per avere denti sani anche da adulti", conclude
Polimeni. (segue)
(Com-Ram/Zn/Adnkronos)
16-APR-11 19:29
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SALUTE: CARIE SI PREVIENE SIN DAL PANCIONE, DECALOGO SALVA SORRISO (2) =
(Adnkronos/Adnkronos Salute) - Ed ecco il decalogo per la salute
orale nell'infanzia
1) Pulire con una garza imbevuta d'acqua le gengive dei neonati
che non hanno ancora i dentini, dopo ogni poppata.
2) Appena spuntano i denti da latte, pulirli con una garza umida
o un dito di gomma; quando il bimbo e' un po' cresciuto, abituarlo a
lavarli con uno spazzolino morbido dopo ogni pasto. Per prendere
confidenza con lo strumento, puo' essere utile dar loro fin da
piccolissimi uno spazzolino da denti con cui giocare.
3) Da uno a tre anni e' il genitore che deve lavare i denti al
bimbo, usando uno spazzolino morbido a testina piccola e spazzolando
dalla gengiva verso il dente, almeno 5 volte.
4) Dai 4 ai 5 anni la supervisione dell'adulto resta
indispensabile.
5) Dopo la somministrazione di sciroppi se utilizzati per lunghi
periodi bisogna lavare subito i denti del bimbo. (segue)
(Com-Ram/Zn/Adnkronos)
16-APR-11 19:35
SALUTE: CARIE SI PREVIENE SIN DAL PANCIONE, DECALOGO SALVA SORRISO (3) =
(Adnkronos/Adnkronos Salute) - 6) Dopo i sei anni puo' bastare
l'uso di un dentifricio ricco di fluoro (1000 ppm) due volte al
giorno.
7) Per ridurre il rischio di carie puo' essere consigliabile la
''sigillatura'' dei solchi dei molari, attraverso una speciale vernice
che li rende resistenti ai batteri; l'operazione e' indolore.
8) L'uso del succhiotto edulcorato deve essere totalmente
evitato; il succhiotto e il biberon vanno tolti dopo i due anni e
comunque entro i tre anni, per ridurre il pericolo di malocclusioni.
9) Da evitare soprattutto durante la notte anche i biberon di
bevande zuccherine: no, ad esempio, alla camomilla zuccherata per
favorire la buonanotte.
10) No al consumo di bevande o cibi contenenti carboidrati
semplici come lattosio, saccarosio o maltosio al di fuori dei pasti se
il bambino non lava i denti subito dopo.
(Com-Ram/Zn/Adnkronos)
16-APR-11 19:43
SALUTE: COLDIRETTI, META' BIMBI BEVE GASSATO, RISCHIO CARIE =
(AGI) - Roma, 16 apr. - Il 48 per cento dei bambini consuma
bevande gassate o zuccherate ogni giorno ed e' evidente
l'importanza di intervenire, oltre sulla igiene orale, anche
sulla dieta per garantire fin da piccoli una buona salute dei
denti. E' quanto afferma la Coldiretti nel commentare lo studio
italiano presentato nel corso del Congresso Nazionale dei
docenti di Discipline Odontostomatologiche, sulla base della
seconda raccolta dati di "Okkio alla Salute". Gli alimenti che
aiutano il sorriso sono - sottolinea la Coldiretti - il latte e
tutti i suoi derivati come formaggi, gelati, yogurt e ancora
cereali, pasta, riso, verdure, carne, pesce e le uova. Al
contrario - continua la Coldiretti - tra gli alimenti che
danneggiano i denti ci sono tutti quelli che hanno molto
zucchero, come torte, caramelle e le bevande gassate
soprattutto se consumate a piccoli sorsi perche' i batteri che
vivono nella bocca metabolizzano lo zucchero trasformandolo in
acido che corrode e intacca i denti. Il consumo di bevande
zuccherate e l'abbandono tra i piu' giovani della dieta
mediterranea e' anche causa - rileva la Coldiretti -
dell'aumento dei casi di obesita' e sovrappeso in Italia dove
oltre un milione di bambini sono in sovrappeso e 400mila sono
obesi, rispettivamente il 22,9 per cento e l'11,1 per cento di
tutti i bimbi tra gli 8 e i 9 anni in Italia, secondo i dati di
"Okkio alla Salute'". La Coldiretti ha firmato un protocollo di
intesa con il Ministero dell'Istruzione, dell'Universita' e
della Ricerca che prevede l'impegno a promuovere attraverso
esperienze pilota, nel rispetto della propria autonomia e
nell'ambito delle rispettive competenze, iniziative comuni per
sensibilizzare i giovani ad un corretto comportamento civico
rispettoso dell'ambiente e delle tradizioni alimentari
italiane. Un impegno che rientra nell'ambito del progetto
"Educazione alla Campagna Amica" che nel corso dell' anno
scolastico - conclude la Coldiretti - coinvolge oltre centomila
alunni delle scuole elementari e medie che parteciperanno alle
oltre tremila lezioni in programma nelle fattorie didattiche e
agli oltre cinquemila laboratori del gusto e agli orti
didattici che saranno organizzati nelle aziende agricole e in
classe. (AGI)
Pgi
161757 APR 11
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SALUTE: ODONTOIATRI, CARIE O PLACCA PER 1 MLN E MEZZO PRIMA DEI 6 ANNI =
'VIETATO' LAVARSI DENTI A SCUOLA
Roma, 16 apr. - (Adnkronos/Adnkronos Salute) - Troppe carie o
placca nei bimbi con meno di sei anni. Un piccolo su cinque ha gia'
avuto una carie ai denti da latte e uno su tre presenta placca
batterica. In tutto un milione e mezzo di piccoli a rischio. A
lanciare l'allarme gli esperti riuniti per il Congresso Nazionale del
Collegio dei Docenti di Odontoiatria, oggi a Siena, che sottolineano
come le abitudini acquisite nell'infanzia siano le piu' importanti e
formative e che il controllo dal dentista vada effettuato al piu'
tardi entro tre anni.
Ma secondo uno studio italiano la meta' dei genitori si
accontenta che il figlio lavi i denti solo una volta al giorno e
cambia lo spazzolino al bimbo non prima di tre o quattro mesi, il 60%
da' ai piu' piccoli un 'ciuccio' con miele o zucchero, abitudine
nemica dei denti. E a scuola non si puo' mettere in pratica una
corretta igiene orale: per evitare il contagio di infezioni e malattie
attraverso lo scambio di oggetti, infatti, sarebbero necessari
spazzolini monouso, ma nessuno li fornisce. La soluzione auspicabile,
secondo gli esperti, sarebbe che "la scuola pubblica trovasse un
sistema per garantire l'igiene orale anche durante le ore di attivita'
didattica, ad esempio distribuendo spazzolini monouso, magari con
l'aiuto dei genitori".
A causa della scarsa educazione all'igiene orale solo il 43% dei
bambini lava i denti almeno una volta al giorno, l'8% non li lava mai.
Nonostante questo, pero', il 76% dei bimbi in eta' prescolare non ha
mai conosciuto la sedia del dentista.
(Com-Ram/Zn/Adnkronos)
16-APR-11 18:55
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venerdì 15 aprile 2011
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA DIARIO Diario della prova d'esame del concorso pubblico, per titoli ed esami, a complessivi n. 100 posti di allievo agente di polizia penitenziaria femminile, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno. (GU n. 30 del 15-4-2011 )
IL DIRETTORE GENERALE del personale e della formazione dell'amministrazione penitenziaria Visto il P.D.G. 7 ottobre 2010 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale - 4ª Serie speciale - «Concorsi ed esami», 29 ottobre 2010, n. 86, con il quale e' stato indetto un concorso pubblico, per titoli ed esami a complessivi cento posti di allievo agente di polizia penitenziaria femminile, riservato, ai sensi dell'art. 16, della legge 23 agosto 2004, n. 226, ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP1) ovvero in rafferma annuale, di cui al capo II della medesima legge, che, se in servizio, abbiano svolto, alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda, almeno sei mesi in tale stato o, se collocati in congedo, abbiano concluso tale ferma di un anno nelle Forze Armate; Visto il P.D.G. 13 dicembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - 4ª Serie speciale «Concorsi ed Esami» 21 dicembre 2010, n. 101 con il quale e' stata rinviata la prova d'esame del suddetto concorso; Visto il P.D.G. 11 febbraio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - 4ª Serie speciale «Concorsi ed Esami» 25 febbraio 2011, n. 16, con il quale e' stata ulteriormente rinviata la prova d'esame del suddetto concorso; Visto l'art. 7, primo comma del P.D.G. 7 ottobre 2010 circa la la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale - 4ª Serie speciale - «Concorsi ed esami» 29 ottobre 2010, n. 86, della data e della sede per l'espletamento della prova d'esame; Decreta: 1. La prova d'esame del concorso pubblico per titoli ed esami a complessivi cento posti di allieva agente di polizia penitenziaria, ruolo femminile, riservato, ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP1) ovvero in rafferma annuale, che, se in servizio, abbiano svolto, alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda, almeno sei mesi in tale stato o, se collocati in congedo, abbiano concluso tale ferma di un anno nelle Forze armate, avra' luogo presso la Scuola di formazione e aggiornamento per il personale del Corpo di polizia e dell'Amministrazione penitenziaria di Roma, via di Brava, n. 99. 2. Ciascuna candidata, alla quale non sia stata comunicata l'esclusione dal concorso, dovra' presentarsi presso la suddetta sede, munita di idoneo documento di riconoscimento e di fotocopia in carta semplice dello stesso, per sostenere la citata prova d'esame, nel giorno e nell'ora stabiliti secondo il seguente calendario. 3. La data e l'ora di convocazione per tutte le candidate e' il giorno 16 maggio 2011, alle ore 15. 4. Tutte le candidate si intendono, comunque, ammesse con riserva dell'accertamento del possesso dei requisiti richiesti, nonche' del rispetto dei termini nella presentazione della domanda, previsti dal bando del concorso. 5. Nella sede di esame, durante lo svolgimento della prova d'esame, verranno osservati gli adempimenti previsti dall'art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487 e successive modificazioni. 6. In particolare, le candidate non possono portare carta da scrivere, appunti, manoscritti, libri o pubblicazioni di qualunque specie nonche' apparecchi telefonici e/o ricetrasmittenti. 7. Le candidate che non si presenteranno nel luogo, nel giorno e nell'ora stabiliti per sostenere la prova d'esame, saranno considerate escluse dal concorso. 8. I risultati della prova d'esame saranno pubblicati a decorrere dal 26 maggio 2011 sul sito internet ufficiale del Corpo di polizia penitenziaria www.polizia-penitenziaria.it. 9. Si comunica, altresi', che la Scuola - sede per lo svolgimento della prova d'esame - non e' adeguatamente collegata con mezzi di pubblico trasporto. Si porta a conoscenza che, per agevolare l'afflusso delle candidate, questa Amministrazione ha istituto un servizio, gratuito e riservato esclusivamente alle stesse, che il giorno previsto per la prova garantira' il collegamento con la Scuola per mezzo di pullman che effettueranno la partenza dalla stazione «Muratella», posta sulla linea ferroviaria metropolitana «FM1 - Roma Tiburtina/Aeroporto di Fiumicino». Le partenze dei suddetti pullman avverranno dalle ore 13 e fino alle ore 14,30. Al termine della prova analogo servizio sara' svolto per accompagnare le candidate alla citata stazione. Il presente decreto ha valore di notifica a tutti gli effetti. Roma, 1º aprile 2011 Il direttore generale: Turrini Vita
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA DIARIO Diario della prova d'esame del concorso pubblico, per titoli ed esami, a complessivi 500 posti di allievo agente di polizia penitenziaria maschile, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP1) (GU n. 30 del 15-4-2011 )
IL DIRETTORE GENERALE del personale e della formazione dell'amministrazione penitenziaria Visto il P.D.G. 7 ottobre 2010 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale - 4ª Serie speciale - «Concorsi ed esami», 29 ottobre 2010, n. 86, con il quale e' stato indetto un concorso pubblico, per titoli ed esami a complessivi cinquecento 500 posti di allievo agente di polizia penitenziaria maschile, riservato, ai sensi dell'art. 16, della legge 23 agosto 2004, n. 226, ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP1) ovvero in rafferma annuale, di cui al capo II della medesima legge, che, se in servizio, abbiano svolto, alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda, almeno sei mesi in tale stato o, se collocati in congedo, abbiano concluso tale ferma di un anno nelle Forze armate; Visto il P.D.G. 13 dicembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - 4ª Serie speciale «Concorsi ed esami» 21 dicembre 2010, n. 101 con il quale e' stata rinviata la prova d'esame del suddetto concorso; Visto il P.D.G. 11 febbraio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - 4ª Serie speciale «Concorsi ed esami» 25 febbraio 2011, n. 16, con il quale e' stata ulteriormente rinviata la prova d'esame del suddetto concorso; Visto quanto stabilito l'art. 7, primo comma del P.D.G. 7 ottobre 2010 circa la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale - 4ª Serie speciale - «Concorsi ed esami» 29 ottobre 2010, n. 86 della data e della sede per l'espletamento della prova d'esame; Decreta: 1. La prova d'esame del concorso pubblico per titoli ed esami a complessivi cinquecento posti di allievo agente di polizia penitenziaria, ruolo maschile, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP1) ovvero in rafferma annuale che, se in servizio, abbiano svolto, alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda, almeno sei mesi in tale stato o, se collocati in congedo, abbiano concluso tale ferma di un anno nelle Forze Armate, avra' luogo presso la Scuola di formazione e aggiornamento per il personale del Corpo di polizia e dell'Amministrazione penitenziaria di Roma, via di Brava, n. 99. 2. Ciascun candidato, al quale non e' stata comunicata l'esclusione dal concorso, dovra' presentarsi presso la suddetta, munito di idoneo documento di riconoscimento e di fotocopia in carta semplice dello stesso, per sostenere la citata prova d'esame, nel giorno e nell'ora stabiliti secondo il seguente calendario. Data e ora di convocazione dei gruppi di candidati in ordine alfabetico: giorno 17 maggio 2011: ore 10 da ABATE Antonio a CAVARRA Stefano incluso; giorno 17 maggio 2011: ore 15 da CECCARELLI Giordano a DI COSIMO Innocenzo Ezio incluso; giorno 18 maggio 2011: ore 10 da DIGLIO Antonio a LAMPITELLI Nicola incluso; giorno 18 maggio 2011: ore 15 da LAMULA Domenico a NOBILE Gerlando incluso; giorno 19 maggio 2011: ore 10 da NOCE Angelo a SANTANGELO Giuseppe incluso; giorno 19 maggio 2011: ore 15 da SANTANIELLO Alfredo a ZUCCU Antonio incluso. 3. Tutti i candidati si intendono, comunque, ammessi con riserva dell'accertamento del possesso dei requisiti richiesti, nonche' del rispetto dei termini nella presentazione della domanda, previsti dal bando del concorso. 4. Lo scaglionamento e' stato determinato secondo il rigoroso ordine consecutivo delle lettere dell'alfabeto: «A» prima di «B», «B» prima di «C», «I» prima di «J», «J» prima di «K», ecc. senza tener conto dell'apostrofo e degli eventuali spazi all'interno di cognomi e nomi (D'ANDREA = DANDREA), (DE DATO = DEDATO). 5. I candidati i cui cognomi non dovessero risultare, per qualsiasi motivo, compresi in alcuno dei turni indicati, sono comunque convocati per sostenere la prova d'esame nella prima delle sedute relative alla lettera iniziale del proprio cognome. 6. Nessun candidato sara' essere ammesso alla prova d'esame in un giorno ed orario diverso da quello ad esso assegnato in relazione alla propria posizione alfabetica. 7. Nella sede di esame, durante lo svolgimento della prova d'esame, verranno osservati gli adempimenti previsti dall'art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487 e successive modificazioni. 8. In particolare, i candidati non possono portare carta da scrivere, appunti, manoscritti, libri o pubblicazioni di qualunque specie nonche' apparecchi telefonici e/o ricetrasmittenti. 9. I candidati che non si presenteranno nel luogo, nel giorno e nell'ora stabiliti per sostenere la prova d'esame, saranno considerati esclusi dal concorso. 10. I risultati della prova d'esame saranno pubblicati a decorrere del 26 maggio 2011 sul sito internet ufficiale del Corpo di polizia penitenziaria www.polizia-penitenziaria.it. 11. Si comunica, altresi', che la Scuola - sede per lo svolgimento della prova d'esame - non e' adeguatamente collegata con mezzi di pubblico trasporto. Si porta a conoscenza che, per agevolare l'afflusso dei candidati, questa Amministrazione ha istituto un servizio, gratuito e riservato esclusivamente agli stessi, che in ogni giorno previsto per le prove garantira' il collegamento con la Scuola per mezzo di pullman che effettueranno la partenza dalla stazione «Muratella», posta sulla linea ferroviaria metropolitana «FM1 - Roma Tiburtina/Aeroporto di Fiumicino». Le partenze dei suddetti pullman avverranno per la prova antimeridiana dalle ore 7,30 e fino alle ore 9 e per la prova pomeridiana dalle ore 13 alle ore 14,30. Al termine della prova analogo servizio sara' svolto per accompagnare i candidati alla citata stazione. Il presente decreto ha valore di notifica a tutti gli effetti. Roma, 1º aprile 2011 Il direttore generale: Turrini Vita
COMANDO GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA RETTIFICA Comunicato relativo al concorso del Comando Generale della Guardia di Finanza, per titoli ed esami, per il reclutamento di 1.250 allievi finanzieri, riservato ai volontari delle Forze armate in ferma prefissata di un anno (VFP1) o quadriennale (VFP4) ovvero in rafferma annuale (VFP1T), in servizio o in congedo - Anno 2011. (GU n. 30 del 15-4-2011 )
Nel bando di concorso citato in epigrafe, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4ª serie speciale - n. 25 del 29 marzo 2011, riservato, ai sensi dell'art. 2199 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ai volontari delle Forze armate, relativamente alla tabella riportata in allegato 3 al bando, recante: "Tabelle di attribuzione dei punteggi per i candidati del contingente di mare", sono risultati alcuni meri errori materiali e pertanto viene qui di seguito riportata in sostituzione integrale, la corretta tabella come segue: Parte di provvedimento in formato grafico
Tribunale "...Lavori usuranti.... Con ricorso ex art. 700 e 414 c.p.c., i ricorrenti indicati in epigrafe, tutti dipendenti della ASL di #################### (con mansioni alcuni di ausiliare, altri di Ota ed altri ancora di infermieri generici ovvero professionali) adivano il Giudice del Lavoro di questo Tribunale esponendo: di essere personale "turnista" operante su turni diurni e notturni nell'ambito di vari reparti del presidio ospedaliero di ####################; di avere sempre espletato un orario notturno articolato dalle ore 22.00 alle ore 6.00 e della durata, pertanto, di otto ore;..."
LAVORO (RAPPORTO) - SANITA' E SANITARI
Trib. ####################, 27-09-2007
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 700 e 414 c.p.c., i ricorrenti indicati in epigrafe, tutti dipendenti della ASL di #################### (con mansioni alcuni di ausiliare, altri di Ota ed altri ancora di infermieri generici ovvero professionali) adivano il Giudice del Lavoro di questo Tribunale esponendo: di essere personale "turnista" operante su turni diurni e notturni nell'ambito di vari reparti del presidio ospedaliero di ####################; di avere sempre espletato un orario notturno articolato dalle ore 22.00 alle ore 6.00 e della durata, pertanto, di otto ore; di essere stati destinatari di una disposizione di servizio prot. N. 13905 del 23/10/03 con la quale, con decorrenza 01/11/03, la ASL di #################### disponeva la variazione del turno notturno elevando la durata dello stesso dalle otto alle nove ore (cioè dalle 22.00 alle 7.00 con diminuzione della durata del turno diurno di un'ora); di ritenere tale disposizione illegittima in quanto adottata in violazione della normativa vigente in materia di orario di lavoro notturno di cui all'art. 13 D.L.vo n. 66/03; di ritenere pertanto la condotta datoriale lesiva dell'integrità psicofisica dei lavoratori con violazione della norma di cui all'art. 2087 c.c. a causa del sistematico superamento del limite legale di otto ore, tenuto anche conto del fatto che la professione infermieristica rientrava nella categoria dei c.d. "lavori usuranti" secondo il decreto L.vo n. 374/93; di ritenere infine, che la variazione dell'orario di lavoro notturno non fosse dovuta a necessità organizzative della P.A. o ad esigenze dell'utenza quanto, piuttosto, ad una scelta aziendale che consentisse di evitare di corrispondere i buoni pasto ai dipendenti che espletavano il turno diurno, a seguito della riduzione di questo da otto a sette ore lavorative; che infatti con la medesima disposizione impugnata la ASL contravveniva a quanto concordato nel Regolamento approvato dalla ASL - previa concertazione con le OO.SS. e le RSU - con deliberazione n. 1873/2000 in
ordine al diritto di accesso alla mensa del personale comparto sanità atteso che a decorrere dal maggio 2003 non riconosceva più ai ricorrenti il diritto a percepire il relativo buono mensa; che infine la ASL - nel variare i turni di lavoro ed al fine di uniformare tali turni - stabiliva anche una variazione dei "paletti delle timbrature" di entrata e di uscita in 7,5 minuti prima ed in 7,5 minuti dopo rispetto a quelli in precedenza adottati di 15 minuti in entrata ed in uscita, in tal modo violando quanto stabilito dall'accordo stipulato nel 2001 in sede di contrattazione integrativa aziendale (art. 3 lett. 9) ed anche dal CCNL per omessa preventiva informazione e concertazione con le organizzazioni sindacali in merito alla variazione degli orari di lavoro.
Conclusivamente, ritenendo illegittima la condotta datoriale sotto tutti i profili evidenziati, i ricorrenti chiedevano nel merito - previa disapplicazione della disposizione di servizio prot. 13905 del 23 ottobre 2003 nonché, della missiva prot. 45454 del 20.10.03 di trasmissione del verbale aziendale 16 ottobre 2003 - volersi: a) accertare e dichiarare il diritto dei ricorrenti ad essere adibiti a turni di notte comunque rispettosi del limite legale di otto ore giornaliere o quale media settimanale e per l'effetto, orinare alla ASL di adibire i ricorrenti alla turnazione di notte con orario 22.00-6.00 precedentemente assegnato o altro analogo previa concertazione con le OO.SS. e le RSU in ogni caso compatibile con il limite legale di otto ore, fatte salve, in ogni caso e comunque, sempre motivate eccezionali contingenti emergenze; b) accertare e dichiarare l'illegittimità della riduzione da 15 minuti a 7.30 minuti dei tempi prescritti per il passaggio delle consegne e previa
disapplicazione degli atti adottati, ordinare alla ASL di ripristinare la disciplina precedente in conformità dell'accordo integrativo aziendale e fino a diversa pattuizione tra le parti; c) accertare e dichiarare altresì l'illegittimità della mancata consegna dei buoni pasto e, per l'effetto, condannare la ASL alla corresponsione degli stessi sulla base dell'effettivo orario di lavoro espletato.
Si costituiva in giudizio la ASL di #################### depositando memoria con la quale chiedeva il rigetto della avversa domanda siccome destituita di fondamento. Osservava nel merito che la modificazione unilaterale dell'orario di lavoro esprimeva a un legittimo ius variandi del datore di lavoro essendo attinente alla materia dell'organizzazione degli uffici ex art. 2 comma 1 D.L.vo n. 165/01 ed essendo il relativo provvedimento adottato, un atto a carattere generale c.d. di macro-organizzazione non sindacabile dal giudice ordinario; che il lavoro notturno è disciplinato unitariamente, da ultimo, dal D.Lvo n. 66/03, normativa cui si aggiunge la regolamentazione convenzionale rinvenibile nella contrattazione collettiva; che in particolare, per quanto attiene al lavoro notturno, lo stesso ai sensi dell'art. 12 deve essere concordato tra le parti ovvero comunicato alle organizzazioni sindacali soltanto laddove introdotto per la prima volta in azienda; che, risultava indimostrata, da parte dei
ricorrenti, di essere "lavoratore notturno" ovvero di rientrare nella definizione di cui all'art. 1 del D.L.vo citato per il quale: "è lavoratore notturno il lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno; che, ai sensi dell'art. 13 l'orario di lavoro dei lavoratori notturni è sì fissato in otto ore nelle 24 ore, ma tale limite può essere anche superato purché come dato medio sia rispettato in un periodo di riferimento contenuto nei contratti collettivi; che altresì lo stesso art. 4 fissa in 48 ore la durata massima settimanale della prestazione lavorativa, computabile anche su base media con riferimento ad un periodo non superiore a quattro mesi: che inoltre l'art. 26 del CCNL quadriennio 1998/01, nel caso di lavoro articolato in turni continuativi sulle 24 ore, disponeva anche che, nel preventivo rispetto di adeguati periodi di riposo tra i turni
per consentire il recupero psicofisico, la durata della prestazione può anche essere di dodici ore continuative a qualsiasi titolo prestate; che, infine, l'art. 10 del C.I.A. (del 29/09/01) stabilisce che svolgono lavoro notturno i lavoratori tenuti ad operare su turni a copertura delle 24 ore... quanto alla durata della prestazione rimane salvaguardata l'attuale organizzazione del lavoro dei servizi assistenziali che operano nei turni a copertura delle 24 ore; che in ogni caso, ai lavoratori è corrisposta l'indennità prevista dall'art. 45 comma 9 del CCNL per il lavoro notturno prestato, a fronte del disagevole ed usurante servizio.
Conclusivamente, la convenuta sosteneva che, stante il rinvio del D.L.vo n. 66/03 al CCNL, la durata del lavoro notturno nel comparto SSN può essere stabilita, nel massimo, fino a 12 ore, purché nel quadrimestre di riferimento (D. L.vo) o su base annua (ccnl) la media non sia superiore ad 8 ore per turno; che la variazione dei tempi di passaggio delle consegne da un turno all'altro in entrata ed in uscita e la loro concreta modulazione erano in ogni caso rimesse al potere dispositivo del datore di lavoro.
All'udienza del 27/09/07 il Giudice (il quale, con ordinanza emessa ai sensi dell'art. 700 c.p.c. confermata dal Tribunale in sede di reclamo, aveva accolto le domande attoree limitatamente al divieto di variazione dell'orario di lavoro relativo al turno notturno) ritenuta la causa documentalmente istruita nonché vertente su questioni interpretative di diritto, decideva la stessa all'esito della discussione orale dei difensori delle parti, emettendo separato provvedimento di cui dava lettura in aula.
Motivi della decisione
Le domande attoree sono fondate e possono essere accolte per le ragioni di seguito precisate.
Innanzitutto, va affermata nel caso di specie, la giurisdizione del giudice ordinario essendo la controversia volta a contestare in via principale la legittimità della nuova organizzazione datoriale dell'orario di lavoro siccome destinata ad incidere negativamente sul diritto alla salute dei lavoratori coinvolti ovvero su posizioni che sono indiscutibilmente di diritto soggettivo. Inoltre, atteso che, pur in presenza di atti amministrativi presupposti c.d. di macro-organizzazione (i quali fissano, in via generale, i criteri e le modalità di organizzazione del lavoro ex art. 2 D.L.vo n. 165/01) è consentito al giudice ordinario la loro disapplicazione ai sensi dell'art. 63 comma 1 D.L.vo n. 165/01 - laddove gli stessi siano rilevanti ai fini della decisione e concretamente lesivi degli interessi dei ricorrenti - va affermata la competenza di tale giudice (secondo la regola generale di cui all'art 63 citato) ogni qual volta si tratti di controversia, quale quella in esame, avente ad
oggetto un rapporto di lavoro contrattualizzato ex art. 2 commi 2 e 3 d.l.vo 165/01 ovvero non compreso tra quelli che l'art. 3 della stessa normativa riserva ancora al regime del diritto pubblico.
Passando all'esame del merito, risulta la violazione, da parte della ASL convenuta, dell'art. 13 del D.L.vo n. 66/03 e dell'art. 2087 c.c. nonché l'illegittimità della delibera aziendale n. 13905 del 23/10/03 in quanto pregiudizievole della salute dei lavoratori, dovendosi condividere le argomentazioni difensive addotte sul punto dai ricorrenti a sostegno dell'illegittimità delle deliberazioni datoriali.
Innanzitutto, e contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della ASL, va detto che i ricorrenti - i quali pacificamente e "normalmente" svolgono la professione infermieristica assicurando la prestazione lavorativa sia durante i turni diurni che notturni sulla base delle disposizioni datoriali - rientrano nella nozione di "lavoratore notturno" di cui alla normativa citata. Quest'ultima, dopo avere definito all'art. 1 il lavoro notturno come "periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le cinque", fornisce due accezioni, tra loro alternative, del "lavoratore notturno". Quest'ultimo è infatti: 1) qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo abituale ovvero, 2) qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro. In difetto di disciplina collettiva è
considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno". Non può allora non ritenersi che quantomeno la prima accezione - che in quanto posta in via alternativa e non subordinata rispetto alla seconda ha la stessa valenza giuridica di quest'ultima - si attagli alla posizione lavorativa dei ricorrenti i quali, pertanto, a ragione possono essere definiti lavoratori notturni, pur senza avere svolto almeno 80 giorni lavorativi di notte nel corso di un anno (la definizione di lavoratore notturno riferibile ai lavoratori in oggetto è stata peraltro ribadita anche dalla Direttiva del Parlamento e del Consiglio Europeo 2003/88 CE prodotta in atti, all'art. 2 delle Definizioni).
Passando all'esame del D.L.vo n. 66/03 - il quale, come è noto, ha riformato la disciplina in materia di orario di lavoro abrogando, salvo che per le norme espressamente richiamate, le disposizioni precedentemente vigenti - lo stesso all'art. 13 con riferimento alla durata del lavoro notturno recita al comma 1: "l'orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore in media nelle ventiquattro ore, salva l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite".
Tale articolo inoltre, al successivo comma 3 prevede: "entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali... viene stabilito un elenco delle lavorazioni che comportano rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali, il cui limite è di otto ore nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore".
Orbene, non vi è dubbio che la ratio della norma sia quella di assicurare ai lavoratori notturni una tutela idonea a garantirne e preservarne l'integrità psicofisica (tale esigenza di tutela è ricavabile anche dal tenore del successivo art. 14 della legge citata), attraverso la previsione di limiti di durata della prestazione di lavoro notturna, il superamento dei quali non è consentito in quanto pone a rischio la salute e la sicurezza degli stessi. Tuttavia, se chiaro è l'intento perseguito dal legislatore nel prevedere la disposizione in oggetto, non altrettanto chiaro, né di agevole ed immediata comprensione, risulta essere il suo tenore letterale. L'art. 13 infatti al comma 1 sembrerebbe introdurre, un limite di durata - otto ore in media nelle 24 ore - non più fisso (come il precedente art. 4 del D.L.vo n. 532/99) bensì variabile in ragione dell'eventuale previsione, da parte dei contratti collettivi cui espressamente rinvia, di un periodo di riferimento più ampio sul
quale calcolare detta media; dall'altro, prevede un limite fisso di otto ore nell'arco delle ventiquattro ore solo per determinate lavorazioni considerate "rischiose" ovvero "usuranti", da individuarsi con successivi decreti ministeriali. Ebbene, con riguardo al periodo temporale stabilito dal primo comma dell'art. 13, rilevato che — come correttamente osservato dalla difesa attorea - non vi è allo stato alcuna previsione nei contratti collettivi di un qualunque periodo sul quale calcolare la media (superiore alle 24 ore e da riferirsi esclusivamente al servizio notturno e non all'orario massimo di servizio globalmente considerato comprensivo anche del turno diurno e pomeridiano) né essendo chiarito il concetto di "media" sulla quale calcolare le otto ore di lavoro notturno; non risultando altresì espressamente indicato dalla norma in oggetto il periodo di riferimento che consenta di determinare tale media, deve concludersi nel senso che il limite previsto dalla norma sia in
realtà un limite fisso e non variabile, non potendo avere alcun significato il termine "in media" utilizzato dal legislatore nella prima parte del comma 1 dell'art. 13. In sostanza, la lacuna normativa appena rilevata - non colmabile attraverso il ricorso alle disposizioni del contratto collettivo che nulla prevedono a riguardo - deve far propendere per la tesi, (nel caso di specie, certamente più favorevole ai lavoratori), secondo cui l'unità di calcolo ovvero il periodo di riferimento delle otto ore di lavoro notturno debba essere determinato dalle ventiquattro ore. D'altra parte, la stessa norma nel suo quinto comma, ha esplicitato chiaramente quanto ha invece taciuto al primo comma laddove, con riferimento al settore della pianificazione non industriale, ha indicato il periodo di riferimento entro cui calcolare le otto ore come media, prevedendo che essa debba essere riferita alla settimana lavorativa. Inoltre, a riprova della correttezza della tesi interpretativa sostenuta
dai ricorrenti e condivisa da questo Giudice, per la quale non sia possibile superare il limite di otto ore di lavoro notturno nelle ventiquattro ore lavorative, si pone la circostanza per cui risulta tuttora al vaglio del Parlamento la proposta di modifica dell'art. 13 del D.L.vo n. 66/03 che, modificando la dizione attuale della norma, stabilisce che le otto ore di lavoro notturno debbano essere previste quale limite massimo ovvero assoluto nell'arco delle ventiquattro ore e non come limite medio (v. relativa allegazione agli della difesa attorea). Detta proposta legislativa, a ben vedere si pone in linea con la normativa comunitaria (Direttiva Europea n. 88/3003) la quale, rinviando agli Stati membri per la concreta disciplina della durata del lavoro notturno, prevede espressamente: "1) che l'orario di lavoro normale dei lavoratori notturni non superi le otto ore in media per periodo di ventiquattro ore; 2) che i lavoratori il cui lavoro comporti rischi particolari o rilevanti
tensioni fisiche o mentali non lavorino più di otto ore nel corso di un periodo di ventiquattro ore durante il quale effettuano un periodo di lavoro notturno".
Sotto altro profilo, la fondatezza delle doglianze attoree in ordine all'illegittimità del provvedimento aziendale impugnato, emerge dalla lettura del comma 3 dell'art. 13 citato, letto in combinato disposto con il decreto L.vo n. 374 del 1993 tuttora vigente. Va infatti osservato che la prima delle suddette norme prevede un limite fisso di durata della prestazione lavorativa notturna (che non può superare le otto ore nel corso di un periodo di 24 ore) per specifiche lavorazioni comportanti particolari rischi o rilevanti tensioni fisiche o morali da individuarsi da parte della normazione secondaria. Tuttavia, non essendo stata quest'ultima emanata, deve nelle more ritenersi applicabile il decreto L.vo n. 374/93 attuativo dell'art. 3 comma 1 lett. f della L. n. 421/92 recante benefici per le attività usuranti il quale - premesso all'art. 1 che "sono considerati lavori particolarmente usuranti quelli per il cui svolgimento è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso
e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee", alla tabella A allegata indica, tra i lavori usuranti, sia il lavoro notturno continuativo, sia, in particolare, il lavoro svolto dal personale addetto ai reparti di pronto soccorso, rianimazione e chirurgia d'urgenza vale a dire le tipologie di lavoro svolte dai ricorrenti (non può infatti revocarsi in dubbio che gli stessi - tutti infermieri professionisti - svolgano il loro lavoro anche in turni notturni avvicendati e continuativi predeterminati dal datore di lavoro. Inoltre, operano nel reparto di chirurgia generale o comunque, in reparti dove si interviene anche con chirurgia d'urgenza).
Conclusivamente pertanto, appare illegittima la delibera adottata dalla ASL in data 23/10/03 prot. N. 13905 nonché, l'atto prodromico missiva prot. N. 45454 del 20/10/03 di trasmissione del verbale di riunione aziendale del 16/10/03 in quanto posti in violazione dell'art. 13 del decreto leg.vo n. 66/03 e dell'obbligo di tutela della salute ed integrità fisica dei lavoratori di cui all'art. 2087 c.c. Tali provvedimenti, vanno pertanto disapplicati nel caso concreto laddove, modificando i turni di servizio, elevano da otto a nove ore la durata del turno notturno (dalle 22.00 alle 7.00) superando il limite quantitativo globale previsto dalla norma a tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori. Tanto più considerato che il superamento di detto limite non appare giustificato da esigenze aziendali assolutamente prevalenti e che pertanto il potere discrezionale della ASL, quanto alla determinazione delle modalità organizzative del lavoro, non risulta esercitato, nel caso di specie,
secondo le regole della buona fede e della correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., in relazione al contenuto determinato dall'art. 41 comma 2 cost.
I provvedimenti impugnati risultano altresì illegittimi pure sotto gli altri profili evidenziati in ricorso.
Lamentano i ricorrenti la violazione da parte del datore di lavoro del diritto - contrattualmente previsto - a percepire i buoni mensa. Tali buoni infatti, non sarebbero stati loro corrisposti a decorrere da maggio 2003 nonostante l'espletamento del turno di mattina per otto ore. Ancor più non sarebbero stati corrisposti a seguito della variazione dell'orario e dei turni di lavoro, essendo stato ridotto il turno di mattina da 8 a 7 ore lavorative.
La censura è fondata. Va rilevato che il Regolamento sul diritto di accesso alla mensa per il personale del comparto sanità approvato - previa concertazione con le OO.SS. e le RSU - con deliberazione della ASL di #################### n. 1873 del 12.07.00, riconosce ai dipendenti il diritto a percepire il buono pasto (in mancanza del servizio mensa) "...a fronte di una prestazione di servizio fino ad otto ore continuative" (art. 2). Il regolamento demanda poi ad un separato accordo (finora non intervenuto), per stabilire le modalità del servizio di ristoro da fornire a coloro che osservano il turno notturno. Tale buono pasto, è stato dunque corrisposto ai dipendenti dal 01.03.00 - data di decorrenza dell'accordo, e fino al maggio 2003, allorché ne è stata interrotta la corresponsione. Ebbene, non vi è dubbio che tale comportamento datoriale sia illegittimo in quanto violativo del diritto dei lavoratori a percepire un emolumento avente natura retributiva e fondato sullo svolgimento della
prestazione lavorativa. Esso, inoltre, è palesemente contrario ai doveri contrattuali di buona fede e correttezza di cui all'art. 1175 c.c. atteso che è stato attuato a seguito della variazione dell'orario di lavoro e, nella specie, di quello relativo al turno di mattina il quale, una volta diminuito da otto a sette ore (dalle 7.00 alle 14.00 anziché, come era in precedenza, dalle 6.00 alle 14.00), ha comportato il venir meno della condizione prevista dal regolamento per la fruizione del buono pasto (tale regolamento, come si è visto, richiedeva l'espletamento fino ad otto ore continuative).
Infine, le disposizioni impugnate sono illegittime nella parte in cui prevedono la riduzione del lasso di tempo per il passaggio delle consegne da un turno all'altro (da 15 a 7,5 minuti in entrata ed in uscita). Tenuto conto del fatto che il tempo di lavoro impiegato per effettuare ad ogni cambio turno il passaggio delle consegne è prestazione complementare connaturale al lavoro del turnista e che, pertanto, la determinazione di tale tempo attiene alla determinazione "dell'orario di lavoro", tali disposizioni aziendali si pongono in evidente contrasto con le norme del CCI 1998-2001 comparto sanità e del CCNL (art. 6). Non risultano infatti rispettati gli obblighi di comunicazione e concertazione con le OO.SS. e le RSU previsti dal comma 7 dell'art. 3 del CCI "al fine di omogeneizzare i criteri interpretativi ed applicativi del presente articolo e di razionalizzare gli orari delle strutture dell'Azienda". Inoltre violano il disposto del comma 9 del medesimo art. 3 secondo cui "al
personale turnista, che deve garantire il passaggio delle consegne, deve essere riconosciuta la possibilità di un quarto d'ora di sovrapposizione di presenza" (si noti che il minor tempo di 7,5 minuti previsto dalla ASL nelle delibere impugnate, non può ritenersi congruo ovvero sufficiente al fine di garantire le consegne avuto riguardo al fatto che i dipendenti ospedalieri, come nella specie i ricorrenti, al termine del proprio turno di lavoro hanno lo specifico dovere di fare le consegne a chi subentra loro, in modo tale da evidenziare a costoro tutti gli incombenti da espletare quali ad es. la necessità di una attenta osservazione e di un controllo costante dell'evoluzione delle malattie dei pazienti a rischio di complicanze, l'eventuale somministrazione di adeguate terapie ai soggetti ricoverati ecc.).
Conclusivamente allora, sulla base di tutte le argomentazioni esposte, le domande attoree possono essere accolte nei termini precisati in dispositivo.
Le spese legali relative ad entrambe le fasi del giudizio — cautelare e di merito - seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando accoglie il ricorso e, per l'effetto:
- Accerta e dichiara l'illegittimità della disposizione di servizio della ASL prot. N. 13905 del 23/10/03 nella parte in cui modifica la durata del turno notturno elevandolo dalle otto alle nove ore (dalle 22.00 alle 7.00) nonché, degli atti prodromici missiva prot. N. 45454 del 20/10/03 di trasmissione del verbale di riunione aziendale del 16/10/03 e, per l'effetto, disapplica tali atti nel caso concreto. Stante il divieto del datore di lavoro di adibire gli odierni ricorrenti alla turnazione di notte - dalle h. 22.00 alle h. 7.00 - ordina alla Azienda Unità Sanitaria Locale di #################### di riassegnare immediatamente gli stessi lavoratori all'orario notturno precedentemente assegnato (dalle ore 22.00. alle h. 6.00) o ad altro analogo, purché rispettoso del limite legale di otto ore fatte salve, sempre e comunque, motivate, eccezionali e contingenti emergenze;
Accerta e dichiara l'illegittimità delle medesime disposizioni e degli atti aziendali impugnati nella parte in cui riducono da 15 a 7,5 minuti i tempi previsti per il passaggio delle consegne e per l'effetto, disapplicati tali atti nel caso concreto, ordina alla ASL di ripristinare i tempi precedenti (di 15 minuti) quantomeno fino all'adozione di nuova e diversa pattuizione tra le parti nel rispetto delle procedure di consultazione e concertazione con le OO.SS. e le RSU previsti dal CCNL e dal CCI 1998/2001 - comparto sanità;
- accerta e dichiara illegittimo il comportamento della ASL consistito nella mancata corresponsione in favore dei ricorrenti, a decorrere dal 01.05.03, dei buoni pasto e, per l'effetto, condanna la resistente a corrispondere ai dipendenti i buoni pasto sulla base dell'effettivo orario di lavoro espletato a decorrere dalla suddetta data e fino all'1.11.03;
- condanna la ASL di #################### al pagamento delle spese processuali che si liquidano relativamente ad entrambe le fasi del giudizio cautelare, in complessivi Euro 3.000,00 (di cui Euro 2.000,00 per onorari) oltre IVA e CPA e, relativamente al presente giudizio di merito, in complessivi Euro 1.800,00 (di cui Euro 900,00 per onorari) oltre IVA e CPA da distrarsi in favore del procuratore dei ricorrenti dichiaratosi antistatario.
Così deciso in ####################, il 27 settembre 2007.
Depositata in Cancelleria, il 27 settembre 2007.
Trib. ####################, 27-09-2007
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 700 e 414 c.p.c., i ricorrenti indicati in epigrafe, tutti dipendenti della ASL di #################### (con mansioni alcuni di ausiliare, altri di Ota ed altri ancora di infermieri generici ovvero professionali) adivano il Giudice del Lavoro di questo Tribunale esponendo: di essere personale "turnista" operante su turni diurni e notturni nell'ambito di vari reparti del presidio ospedaliero di ####################; di avere sempre espletato un orario notturno articolato dalle ore 22.00 alle ore 6.00 e della durata, pertanto, di otto ore; di essere stati destinatari di una disposizione di servizio prot. N. 13905 del 23/10/03 con la quale, con decorrenza 01/11/03, la ASL di #################### disponeva la variazione del turno notturno elevando la durata dello stesso dalle otto alle nove ore (cioè dalle 22.00 alle 7.00 con diminuzione della durata del turno diurno di un'ora); di ritenere tale disposizione illegittima in quanto adottata in violazione della normativa vigente in materia di orario di lavoro notturno di cui all'art. 13 D.L.vo n. 66/03; di ritenere pertanto la condotta datoriale lesiva dell'integrità psicofisica dei lavoratori con violazione della norma di cui all'art. 2087 c.c. a causa del sistematico superamento del limite legale di otto ore, tenuto anche conto del fatto che la professione infermieristica rientrava nella categoria dei c.d. "lavori usuranti" secondo il decreto L.vo n. 374/93; di ritenere infine, che la variazione dell'orario di lavoro notturno non fosse dovuta a necessità organizzative della P.A. o ad esigenze dell'utenza quanto, piuttosto, ad una scelta aziendale che consentisse di evitare di corrispondere i buoni pasto ai dipendenti che espletavano il turno diurno, a seguito della riduzione di questo da otto a sette ore lavorative; che infatti con la medesima disposizione impugnata la ASL contravveniva a quanto concordato nel Regolamento approvato dalla ASL - previa concertazione con le OO.SS. e le RSU - con deliberazione n. 1873/2000 in
ordine al diritto di accesso alla mensa del personale comparto sanità atteso che a decorrere dal maggio 2003 non riconosceva più ai ricorrenti il diritto a percepire il relativo buono mensa; che infine la ASL - nel variare i turni di lavoro ed al fine di uniformare tali turni - stabiliva anche una variazione dei "paletti delle timbrature" di entrata e di uscita in 7,5 minuti prima ed in 7,5 minuti dopo rispetto a quelli in precedenza adottati di 15 minuti in entrata ed in uscita, in tal modo violando quanto stabilito dall'accordo stipulato nel 2001 in sede di contrattazione integrativa aziendale (art. 3 lett. 9) ed anche dal CCNL per omessa preventiva informazione e concertazione con le organizzazioni sindacali in merito alla variazione degli orari di lavoro.
Conclusivamente, ritenendo illegittima la condotta datoriale sotto tutti i profili evidenziati, i ricorrenti chiedevano nel merito - previa disapplicazione della disposizione di servizio prot. 13905 del 23 ottobre 2003 nonché, della missiva prot. 45454 del 20.10.03 di trasmissione del verbale aziendale 16 ottobre 2003 - volersi: a) accertare e dichiarare il diritto dei ricorrenti ad essere adibiti a turni di notte comunque rispettosi del limite legale di otto ore giornaliere o quale media settimanale e per l'effetto, orinare alla ASL di adibire i ricorrenti alla turnazione di notte con orario 22.00-6.00 precedentemente assegnato o altro analogo previa concertazione con le OO.SS. e le RSU in ogni caso compatibile con il limite legale di otto ore, fatte salve, in ogni caso e comunque, sempre motivate eccezionali contingenti emergenze; b) accertare e dichiarare l'illegittimità della riduzione da 15 minuti a 7.30 minuti dei tempi prescritti per il passaggio delle consegne e previa
disapplicazione degli atti adottati, ordinare alla ASL di ripristinare la disciplina precedente in conformità dell'accordo integrativo aziendale e fino a diversa pattuizione tra le parti; c) accertare e dichiarare altresì l'illegittimità della mancata consegna dei buoni pasto e, per l'effetto, condannare la ASL alla corresponsione degli stessi sulla base dell'effettivo orario di lavoro espletato.
Si costituiva in giudizio la ASL di #################### depositando memoria con la quale chiedeva il rigetto della avversa domanda siccome destituita di fondamento. Osservava nel merito che la modificazione unilaterale dell'orario di lavoro esprimeva a un legittimo ius variandi del datore di lavoro essendo attinente alla materia dell'organizzazione degli uffici ex art. 2 comma 1 D.L.vo n. 165/01 ed essendo il relativo provvedimento adottato, un atto a carattere generale c.d. di macro-organizzazione non sindacabile dal giudice ordinario; che il lavoro notturno è disciplinato unitariamente, da ultimo, dal D.Lvo n. 66/03, normativa cui si aggiunge la regolamentazione convenzionale rinvenibile nella contrattazione collettiva; che in particolare, per quanto attiene al lavoro notturno, lo stesso ai sensi dell'art. 12 deve essere concordato tra le parti ovvero comunicato alle organizzazioni sindacali soltanto laddove introdotto per la prima volta in azienda; che, risultava indimostrata, da parte dei
ricorrenti, di essere "lavoratore notturno" ovvero di rientrare nella definizione di cui all'art. 1 del D.L.vo citato per il quale: "è lavoratore notturno il lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno; che, ai sensi dell'art. 13 l'orario di lavoro dei lavoratori notturni è sì fissato in otto ore nelle 24 ore, ma tale limite può essere anche superato purché come dato medio sia rispettato in un periodo di riferimento contenuto nei contratti collettivi; che altresì lo stesso art. 4 fissa in 48 ore la durata massima settimanale della prestazione lavorativa, computabile anche su base media con riferimento ad un periodo non superiore a quattro mesi: che inoltre l'art. 26 del CCNL quadriennio 1998/01, nel caso di lavoro articolato in turni continuativi sulle 24 ore, disponeva anche che, nel preventivo rispetto di adeguati periodi di riposo tra i turni
per consentire il recupero psicofisico, la durata della prestazione può anche essere di dodici ore continuative a qualsiasi titolo prestate; che, infine, l'art. 10 del C.I.A. (del 29/09/01) stabilisce che svolgono lavoro notturno i lavoratori tenuti ad operare su turni a copertura delle 24 ore... quanto alla durata della prestazione rimane salvaguardata l'attuale organizzazione del lavoro dei servizi assistenziali che operano nei turni a copertura delle 24 ore; che in ogni caso, ai lavoratori è corrisposta l'indennità prevista dall'art. 45 comma 9 del CCNL per il lavoro notturno prestato, a fronte del disagevole ed usurante servizio.
Conclusivamente, la convenuta sosteneva che, stante il rinvio del D.L.vo n. 66/03 al CCNL, la durata del lavoro notturno nel comparto SSN può essere stabilita, nel massimo, fino a 12 ore, purché nel quadrimestre di riferimento (D. L.vo) o su base annua (ccnl) la media non sia superiore ad 8 ore per turno; che la variazione dei tempi di passaggio delle consegne da un turno all'altro in entrata ed in uscita e la loro concreta modulazione erano in ogni caso rimesse al potere dispositivo del datore di lavoro.
All'udienza del 27/09/07 il Giudice (il quale, con ordinanza emessa ai sensi dell'art. 700 c.p.c. confermata dal Tribunale in sede di reclamo, aveva accolto le domande attoree limitatamente al divieto di variazione dell'orario di lavoro relativo al turno notturno) ritenuta la causa documentalmente istruita nonché vertente su questioni interpretative di diritto, decideva la stessa all'esito della discussione orale dei difensori delle parti, emettendo separato provvedimento di cui dava lettura in aula.
Motivi della decisione
Le domande attoree sono fondate e possono essere accolte per le ragioni di seguito precisate.
Innanzitutto, va affermata nel caso di specie, la giurisdizione del giudice ordinario essendo la controversia volta a contestare in via principale la legittimità della nuova organizzazione datoriale dell'orario di lavoro siccome destinata ad incidere negativamente sul diritto alla salute dei lavoratori coinvolti ovvero su posizioni che sono indiscutibilmente di diritto soggettivo. Inoltre, atteso che, pur in presenza di atti amministrativi presupposti c.d. di macro-organizzazione (i quali fissano, in via generale, i criteri e le modalità di organizzazione del lavoro ex art. 2 D.L.vo n. 165/01) è consentito al giudice ordinario la loro disapplicazione ai sensi dell'art. 63 comma 1 D.L.vo n. 165/01 - laddove gli stessi siano rilevanti ai fini della decisione e concretamente lesivi degli interessi dei ricorrenti - va affermata la competenza di tale giudice (secondo la regola generale di cui all'art 63 citato) ogni qual volta si tratti di controversia, quale quella in esame, avente ad
oggetto un rapporto di lavoro contrattualizzato ex art. 2 commi 2 e 3 d.l.vo 165/01 ovvero non compreso tra quelli che l'art. 3 della stessa normativa riserva ancora al regime del diritto pubblico.
Passando all'esame del merito, risulta la violazione, da parte della ASL convenuta, dell'art. 13 del D.L.vo n. 66/03 e dell'art. 2087 c.c. nonché l'illegittimità della delibera aziendale n. 13905 del 23/10/03 in quanto pregiudizievole della salute dei lavoratori, dovendosi condividere le argomentazioni difensive addotte sul punto dai ricorrenti a sostegno dell'illegittimità delle deliberazioni datoriali.
Innanzitutto, e contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della ASL, va detto che i ricorrenti - i quali pacificamente e "normalmente" svolgono la professione infermieristica assicurando la prestazione lavorativa sia durante i turni diurni che notturni sulla base delle disposizioni datoriali - rientrano nella nozione di "lavoratore notturno" di cui alla normativa citata. Quest'ultima, dopo avere definito all'art. 1 il lavoro notturno come "periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le cinque", fornisce due accezioni, tra loro alternative, del "lavoratore notturno". Quest'ultimo è infatti: 1) qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo abituale ovvero, 2) qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro. In difetto di disciplina collettiva è
considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno". Non può allora non ritenersi che quantomeno la prima accezione - che in quanto posta in via alternativa e non subordinata rispetto alla seconda ha la stessa valenza giuridica di quest'ultima - si attagli alla posizione lavorativa dei ricorrenti i quali, pertanto, a ragione possono essere definiti lavoratori notturni, pur senza avere svolto almeno 80 giorni lavorativi di notte nel corso di un anno (la definizione di lavoratore notturno riferibile ai lavoratori in oggetto è stata peraltro ribadita anche dalla Direttiva del Parlamento e del Consiglio Europeo 2003/88 CE prodotta in atti, all'art. 2 delle Definizioni).
Passando all'esame del D.L.vo n. 66/03 - il quale, come è noto, ha riformato la disciplina in materia di orario di lavoro abrogando, salvo che per le norme espressamente richiamate, le disposizioni precedentemente vigenti - lo stesso all'art. 13 con riferimento alla durata del lavoro notturno recita al comma 1: "l'orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore in media nelle ventiquattro ore, salva l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite".
Tale articolo inoltre, al successivo comma 3 prevede: "entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali... viene stabilito un elenco delle lavorazioni che comportano rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali, il cui limite è di otto ore nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore".
Orbene, non vi è dubbio che la ratio della norma sia quella di assicurare ai lavoratori notturni una tutela idonea a garantirne e preservarne l'integrità psicofisica (tale esigenza di tutela è ricavabile anche dal tenore del successivo art. 14 della legge citata), attraverso la previsione di limiti di durata della prestazione di lavoro notturna, il superamento dei quali non è consentito in quanto pone a rischio la salute e la sicurezza degli stessi. Tuttavia, se chiaro è l'intento perseguito dal legislatore nel prevedere la disposizione in oggetto, non altrettanto chiaro, né di agevole ed immediata comprensione, risulta essere il suo tenore letterale. L'art. 13 infatti al comma 1 sembrerebbe introdurre, un limite di durata - otto ore in media nelle 24 ore - non più fisso (come il precedente art. 4 del D.L.vo n. 532/99) bensì variabile in ragione dell'eventuale previsione, da parte dei contratti collettivi cui espressamente rinvia, di un periodo di riferimento più ampio sul
quale calcolare detta media; dall'altro, prevede un limite fisso di otto ore nell'arco delle ventiquattro ore solo per determinate lavorazioni considerate "rischiose" ovvero "usuranti", da individuarsi con successivi decreti ministeriali. Ebbene, con riguardo al periodo temporale stabilito dal primo comma dell'art. 13, rilevato che — come correttamente osservato dalla difesa attorea - non vi è allo stato alcuna previsione nei contratti collettivi di un qualunque periodo sul quale calcolare la media (superiore alle 24 ore e da riferirsi esclusivamente al servizio notturno e non all'orario massimo di servizio globalmente considerato comprensivo anche del turno diurno e pomeridiano) né essendo chiarito il concetto di "media" sulla quale calcolare le otto ore di lavoro notturno; non risultando altresì espressamente indicato dalla norma in oggetto il periodo di riferimento che consenta di determinare tale media, deve concludersi nel senso che il limite previsto dalla norma sia in
realtà un limite fisso e non variabile, non potendo avere alcun significato il termine "in media" utilizzato dal legislatore nella prima parte del comma 1 dell'art. 13. In sostanza, la lacuna normativa appena rilevata - non colmabile attraverso il ricorso alle disposizioni del contratto collettivo che nulla prevedono a riguardo - deve far propendere per la tesi, (nel caso di specie, certamente più favorevole ai lavoratori), secondo cui l'unità di calcolo ovvero il periodo di riferimento delle otto ore di lavoro notturno debba essere determinato dalle ventiquattro ore. D'altra parte, la stessa norma nel suo quinto comma, ha esplicitato chiaramente quanto ha invece taciuto al primo comma laddove, con riferimento al settore della pianificazione non industriale, ha indicato il periodo di riferimento entro cui calcolare le otto ore come media, prevedendo che essa debba essere riferita alla settimana lavorativa. Inoltre, a riprova della correttezza della tesi interpretativa sostenuta
dai ricorrenti e condivisa da questo Giudice, per la quale non sia possibile superare il limite di otto ore di lavoro notturno nelle ventiquattro ore lavorative, si pone la circostanza per cui risulta tuttora al vaglio del Parlamento la proposta di modifica dell'art. 13 del D.L.vo n. 66/03 che, modificando la dizione attuale della norma, stabilisce che le otto ore di lavoro notturno debbano essere previste quale limite massimo ovvero assoluto nell'arco delle ventiquattro ore e non come limite medio (v. relativa allegazione agli della difesa attorea). Detta proposta legislativa, a ben vedere si pone in linea con la normativa comunitaria (Direttiva Europea n. 88/3003) la quale, rinviando agli Stati membri per la concreta disciplina della durata del lavoro notturno, prevede espressamente: "1) che l'orario di lavoro normale dei lavoratori notturni non superi le otto ore in media per periodo di ventiquattro ore; 2) che i lavoratori il cui lavoro comporti rischi particolari o rilevanti
tensioni fisiche o mentali non lavorino più di otto ore nel corso di un periodo di ventiquattro ore durante il quale effettuano un periodo di lavoro notturno".
Sotto altro profilo, la fondatezza delle doglianze attoree in ordine all'illegittimità del provvedimento aziendale impugnato, emerge dalla lettura del comma 3 dell'art. 13 citato, letto in combinato disposto con il decreto L.vo n. 374 del 1993 tuttora vigente. Va infatti osservato che la prima delle suddette norme prevede un limite fisso di durata della prestazione lavorativa notturna (che non può superare le otto ore nel corso di un periodo di 24 ore) per specifiche lavorazioni comportanti particolari rischi o rilevanti tensioni fisiche o morali da individuarsi da parte della normazione secondaria. Tuttavia, non essendo stata quest'ultima emanata, deve nelle more ritenersi applicabile il decreto L.vo n. 374/93 attuativo dell'art. 3 comma 1 lett. f della L. n. 421/92 recante benefici per le attività usuranti il quale - premesso all'art. 1 che "sono considerati lavori particolarmente usuranti quelli per il cui svolgimento è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso
e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee", alla tabella A allegata indica, tra i lavori usuranti, sia il lavoro notturno continuativo, sia, in particolare, il lavoro svolto dal personale addetto ai reparti di pronto soccorso, rianimazione e chirurgia d'urgenza vale a dire le tipologie di lavoro svolte dai ricorrenti (non può infatti revocarsi in dubbio che gli stessi - tutti infermieri professionisti - svolgano il loro lavoro anche in turni notturni avvicendati e continuativi predeterminati dal datore di lavoro. Inoltre, operano nel reparto di chirurgia generale o comunque, in reparti dove si interviene anche con chirurgia d'urgenza).
Conclusivamente pertanto, appare illegittima la delibera adottata dalla ASL in data 23/10/03 prot. N. 13905 nonché, l'atto prodromico missiva prot. N. 45454 del 20/10/03 di trasmissione del verbale di riunione aziendale del 16/10/03 in quanto posti in violazione dell'art. 13 del decreto leg.vo n. 66/03 e dell'obbligo di tutela della salute ed integrità fisica dei lavoratori di cui all'art. 2087 c.c. Tali provvedimenti, vanno pertanto disapplicati nel caso concreto laddove, modificando i turni di servizio, elevano da otto a nove ore la durata del turno notturno (dalle 22.00 alle 7.00) superando il limite quantitativo globale previsto dalla norma a tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori. Tanto più considerato che il superamento di detto limite non appare giustificato da esigenze aziendali assolutamente prevalenti e che pertanto il potere discrezionale della ASL, quanto alla determinazione delle modalità organizzative del lavoro, non risulta esercitato, nel caso di specie,
secondo le regole della buona fede e della correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., in relazione al contenuto determinato dall'art. 41 comma 2 cost.
I provvedimenti impugnati risultano altresì illegittimi pure sotto gli altri profili evidenziati in ricorso.
Lamentano i ricorrenti la violazione da parte del datore di lavoro del diritto - contrattualmente previsto - a percepire i buoni mensa. Tali buoni infatti, non sarebbero stati loro corrisposti a decorrere da maggio 2003 nonostante l'espletamento del turno di mattina per otto ore. Ancor più non sarebbero stati corrisposti a seguito della variazione dell'orario e dei turni di lavoro, essendo stato ridotto il turno di mattina da 8 a 7 ore lavorative.
La censura è fondata. Va rilevato che il Regolamento sul diritto di accesso alla mensa per il personale del comparto sanità approvato - previa concertazione con le OO.SS. e le RSU - con deliberazione della ASL di #################### n. 1873 del 12.07.00, riconosce ai dipendenti il diritto a percepire il buono pasto (in mancanza del servizio mensa) "...a fronte di una prestazione di servizio fino ad otto ore continuative" (art. 2). Il regolamento demanda poi ad un separato accordo (finora non intervenuto), per stabilire le modalità del servizio di ristoro da fornire a coloro che osservano il turno notturno. Tale buono pasto, è stato dunque corrisposto ai dipendenti dal 01.03.00 - data di decorrenza dell'accordo, e fino al maggio 2003, allorché ne è stata interrotta la corresponsione. Ebbene, non vi è dubbio che tale comportamento datoriale sia illegittimo in quanto violativo del diritto dei lavoratori a percepire un emolumento avente natura retributiva e fondato sullo svolgimento della
prestazione lavorativa. Esso, inoltre, è palesemente contrario ai doveri contrattuali di buona fede e correttezza di cui all'art. 1175 c.c. atteso che è stato attuato a seguito della variazione dell'orario di lavoro e, nella specie, di quello relativo al turno di mattina il quale, una volta diminuito da otto a sette ore (dalle 7.00 alle 14.00 anziché, come era in precedenza, dalle 6.00 alle 14.00), ha comportato il venir meno della condizione prevista dal regolamento per la fruizione del buono pasto (tale regolamento, come si è visto, richiedeva l'espletamento fino ad otto ore continuative).
Infine, le disposizioni impugnate sono illegittime nella parte in cui prevedono la riduzione del lasso di tempo per il passaggio delle consegne da un turno all'altro (da 15 a 7,5 minuti in entrata ed in uscita). Tenuto conto del fatto che il tempo di lavoro impiegato per effettuare ad ogni cambio turno il passaggio delle consegne è prestazione complementare connaturale al lavoro del turnista e che, pertanto, la determinazione di tale tempo attiene alla determinazione "dell'orario di lavoro", tali disposizioni aziendali si pongono in evidente contrasto con le norme del CCI 1998-2001 comparto sanità e del CCNL (art. 6). Non risultano infatti rispettati gli obblighi di comunicazione e concertazione con le OO.SS. e le RSU previsti dal comma 7 dell'art. 3 del CCI "al fine di omogeneizzare i criteri interpretativi ed applicativi del presente articolo e di razionalizzare gli orari delle strutture dell'Azienda". Inoltre violano il disposto del comma 9 del medesimo art. 3 secondo cui "al
personale turnista, che deve garantire il passaggio delle consegne, deve essere riconosciuta la possibilità di un quarto d'ora di sovrapposizione di presenza" (si noti che il minor tempo di 7,5 minuti previsto dalla ASL nelle delibere impugnate, non può ritenersi congruo ovvero sufficiente al fine di garantire le consegne avuto riguardo al fatto che i dipendenti ospedalieri, come nella specie i ricorrenti, al termine del proprio turno di lavoro hanno lo specifico dovere di fare le consegne a chi subentra loro, in modo tale da evidenziare a costoro tutti gli incombenti da espletare quali ad es. la necessità di una attenta osservazione e di un controllo costante dell'evoluzione delle malattie dei pazienti a rischio di complicanze, l'eventuale somministrazione di adeguate terapie ai soggetti ricoverati ecc.).
Conclusivamente allora, sulla base di tutte le argomentazioni esposte, le domande attoree possono essere accolte nei termini precisati in dispositivo.
Le spese legali relative ad entrambe le fasi del giudizio — cautelare e di merito - seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando accoglie il ricorso e, per l'effetto:
- Accerta e dichiara l'illegittimità della disposizione di servizio della ASL prot. N. 13905 del 23/10/03 nella parte in cui modifica la durata del turno notturno elevandolo dalle otto alle nove ore (dalle 22.00 alle 7.00) nonché, degli atti prodromici missiva prot. N. 45454 del 20/10/03 di trasmissione del verbale di riunione aziendale del 16/10/03 e, per l'effetto, disapplica tali atti nel caso concreto. Stante il divieto del datore di lavoro di adibire gli odierni ricorrenti alla turnazione di notte - dalle h. 22.00 alle h. 7.00 - ordina alla Azienda Unità Sanitaria Locale di #################### di riassegnare immediatamente gli stessi lavoratori all'orario notturno precedentemente assegnato (dalle ore 22.00. alle h. 6.00) o ad altro analogo, purché rispettoso del limite legale di otto ore fatte salve, sempre e comunque, motivate, eccezionali e contingenti emergenze;
Accerta e dichiara l'illegittimità delle medesime disposizioni e degli atti aziendali impugnati nella parte in cui riducono da 15 a 7,5 minuti i tempi previsti per il passaggio delle consegne e per l'effetto, disapplicati tali atti nel caso concreto, ordina alla ASL di ripristinare i tempi precedenti (di 15 minuti) quantomeno fino all'adozione di nuova e diversa pattuizione tra le parti nel rispetto delle procedure di consultazione e concertazione con le OO.SS. e le RSU previsti dal CCNL e dal CCI 1998/2001 - comparto sanità;
- accerta e dichiara illegittimo il comportamento della ASL consistito nella mancata corresponsione in favore dei ricorrenti, a decorrere dal 01.05.03, dei buoni pasto e, per l'effetto, condanna la resistente a corrispondere ai dipendenti i buoni pasto sulla base dell'effettivo orario di lavoro espletato a decorrere dalla suddetta data e fino all'1.11.03;
- condanna la ASL di #################### al pagamento delle spese processuali che si liquidano relativamente ad entrambe le fasi del giudizio cautelare, in complessivi Euro 3.000,00 (di cui Euro 2.000,00 per onorari) oltre IVA e CPA e, relativamente al presente giudizio di merito, in complessivi Euro 1.800,00 (di cui Euro 900,00 per onorari) oltre IVA e CPA da distrarsi in favore del procuratore dei ricorrenti dichiaratosi antistatario.
Così deciso in ####################, il 27 settembre 2007.
Depositata in Cancelleria, il 27 settembre 2007.
Cassazione "...Cantiere abusivo. Vigili troppo oberati non son responsabili per non aver sorvegliato. Un cantiere abusivo viene sequestrato, ma i vigili non controllano per oltre 50 gg; il che consente all'impresa edile di riprendere e ultimare i lavori. Nessuna responsabilità penale se i vigili sono oberati dalla mole di lavoro. ..."
Cassazione "...esser stata costretta a lavorare come bibliotecaria in locali male areati, polverosi e privi di riscaldamento, la prolungata esposizione al fumo passivo dei colleghi,..."
fumo
RESPONSABILITA' CIVILE
Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., 16-02-2011, n. 3789
Fatto - Diritto ####################Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/10/2010 dal Consigliere Relatore Dott. FILIPPO CURCURUTO. E' presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.
che:
La Corte d'Appello di Cagliari, confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di ########################################, docente di scuola materna, volta ad ottenere il risarcimento dei danni da dequalificazione professionale e da "mobbing" subiti a causa della condotta dell'istituto scolastico presso il quale aveva prestato la propria opera.
Il giudice del merito ha ritenuto anzitutto coperta da giudicato la statuizione del primo giudice secondo la quale nella dequalificazione professionale della docente era da escludere qualsivoglia responsabilità della amministrazione scolastica.
La Corte d'Appello ha infatti notato che il tribunale aveva accertato che l'esonero dell'interessata dall'attività di insegnamento, peraltro da lei stessa sollecitato con contestuale richiesta di adibizione a mansioni di bibliotecaria, era dipeso unicamente da giudizio di inidoneità formulato dal competente collegio medico, e che, successivamente, la mancata utilizzazione della #################### nel coordinamento delle attività pedagogiche, incarico da lei richiesto con istanza del 1 settembre 1997, non poteva esser considerata fonte di danno alla professionalità, essendo la #################### rimasta assente per malattia in via continuativa dalla detta data sino alla richiesta di dispensa dal servizio, poi disposta con provvedimento del 30 giugno 1998.
Ciò premesso, la Corte di merito ha osservalo che era mancato uno specifico motivo di impugnazione sorretto da argomentazioni volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico della statuizione, e che a tal fine non poteva valere il generico riferimento contenuto nell'atto d'appello alla violazione dell'art. 2103 c.c. per l'illegittima dequalificazione professionale consistente nel progressivo svuotamento delle mansioni, come pure la mera riproposizione delle conclusioni formulate nel ricorso introduttivo.
Il giudice d'appello, inoltre, ha ritenuto infondati i rilievi dell'appellante avverso il rigetto della domanda di condanna al risarcimento del danno da mobbin#################### Premesse le doglianze della #################### - l'esser stata costretta a lavorare come bibliotecaria in locali male areati, polverosi e privi di riscaldamento, la prolungata esposizione al fumo passivo dei colleghi, l'esser stata presa di mira con affissione all'interno dei locali di lavoro di manifesti chiaramente allusivi alla sua situazione di dipendente frequentemente ammalata, e perciò assente per lunghi periodi, e di obiettivo contenuto intimidatorio - la Corte d'appello, all'esito di ampia e puntuale motivazione ha escluso tuttavia che la ####################, sulla quale gravava il relativo onere probatorio, avesse dimostrato la sussistenza di tali fatti o la loro riconducibilità alla responsabilità dell'amministrazione.
######################################## chiede la cassazione di questa sentenza con un ricorso nel quale sono ravvisabili due diversi motivi.
L'amministrazione resiste con controricorso e chiede che il ricorso avversario sia dichiarato inammissibile per non conformità all'art. 366 bis c.####################c. e sia comunque respinto siccome infondato.
Con il primo motivo di ricorso è denunziata violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost., comma 6, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
Si censura la statuizione della Corte d'Appello relativa all'asserita formazione del giudicato, osservando che nell'appello era stato fatto riferimento alla violazione dell'art. 2103 c.c. e si erano richiamati gli specifici punti già evidenziati nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Nel quesito ex art. 366 bis c.####################c. si chiede a questa Corte di dire se il richiamo alle specifiche norme di legge violate con collegamento ai fatti ed ai motivi già dedotti nei singoli punti indicati nel ricorso introduttivo sia sufficiente per considerare detta contestazione valida censura del provvedimento di cui si chiede la riforma nel giudizio di appello.
Il motivo non sembra meritevole di accoglimento.
Anzitutto non viene in alcun modo riportata la parte dell'atto d'appello dalla quale dovrebbe emergere la specifica censura nei confronti della statuizione di primo grado.
Inoltre, la valutazione della idoneità del gravame a mettere effettivamente in discussione le statuizioni della sentenza impugnata spetta al giudice d'appello, che sul punto, si è espresso con specifiche ed adeguate valutazioni contro le quali, come del resto emerge anche dalla sostanziale genericità del quesito. non vi è alcuna puntuale censura.
Con il secondo motivo di ricorso si critica la statuizione della Corte di merito circa l'insussistenza di qual si voglia elemento di prova idoneo a configurare la violazione delle disposizioni contenute nell'art. 2087 c.c. e si addebita in particolare alla sentenza di non aver dato alcun conto della censura concernente la mancata ammissione da parte del giudice di primo grado di una c.t.u. medico legale. tale motivo non pare meritevole di accoglimento ove si consideri che la Corte d'appello ha, in sostanza, puntualmente argomentato anche in ordine alla richiesta consulenza tecnica, osservando che questa avrebbe potuto avere ingresso solo se fosse rimasta accertata l'esistenza dei fatti lesivi denunziati nonchè delle specifiche responsabilità del datore di lavoro in ordine agli stessi, situazioni entrambe escluse.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente alle spese del giudizio.
####################Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese in Euro 30 per esborsi oltre ad Euro 2000 per onorari, nonchè accessori di legge.
RESPONSABILITA' CIVILE
Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., 16-02-2011, n. 3789
Fatto - Diritto ####################Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/10/2010 dal Consigliere Relatore Dott. FILIPPO CURCURUTO. E' presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.
che:
La Corte d'Appello di Cagliari, confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di ########################################, docente di scuola materna, volta ad ottenere il risarcimento dei danni da dequalificazione professionale e da "mobbing" subiti a causa della condotta dell'istituto scolastico presso il quale aveva prestato la propria opera.
Il giudice del merito ha ritenuto anzitutto coperta da giudicato la statuizione del primo giudice secondo la quale nella dequalificazione professionale della docente era da escludere qualsivoglia responsabilità della amministrazione scolastica.
La Corte d'Appello ha infatti notato che il tribunale aveva accertato che l'esonero dell'interessata dall'attività di insegnamento, peraltro da lei stessa sollecitato con contestuale richiesta di adibizione a mansioni di bibliotecaria, era dipeso unicamente da giudizio di inidoneità formulato dal competente collegio medico, e che, successivamente, la mancata utilizzazione della #################### nel coordinamento delle attività pedagogiche, incarico da lei richiesto con istanza del 1 settembre 1997, non poteva esser considerata fonte di danno alla professionalità, essendo la #################### rimasta assente per malattia in via continuativa dalla detta data sino alla richiesta di dispensa dal servizio, poi disposta con provvedimento del 30 giugno 1998.
Ciò premesso, la Corte di merito ha osservalo che era mancato uno specifico motivo di impugnazione sorretto da argomentazioni volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico della statuizione, e che a tal fine non poteva valere il generico riferimento contenuto nell'atto d'appello alla violazione dell'art. 2103 c.c. per l'illegittima dequalificazione professionale consistente nel progressivo svuotamento delle mansioni, come pure la mera riproposizione delle conclusioni formulate nel ricorso introduttivo.
Il giudice d'appello, inoltre, ha ritenuto infondati i rilievi dell'appellante avverso il rigetto della domanda di condanna al risarcimento del danno da mobbin#################### Premesse le doglianze della #################### - l'esser stata costretta a lavorare come bibliotecaria in locali male areati, polverosi e privi di riscaldamento, la prolungata esposizione al fumo passivo dei colleghi, l'esser stata presa di mira con affissione all'interno dei locali di lavoro di manifesti chiaramente allusivi alla sua situazione di dipendente frequentemente ammalata, e perciò assente per lunghi periodi, e di obiettivo contenuto intimidatorio - la Corte d'appello, all'esito di ampia e puntuale motivazione ha escluso tuttavia che la ####################, sulla quale gravava il relativo onere probatorio, avesse dimostrato la sussistenza di tali fatti o la loro riconducibilità alla responsabilità dell'amministrazione.
######################################## chiede la cassazione di questa sentenza con un ricorso nel quale sono ravvisabili due diversi motivi.
L'amministrazione resiste con controricorso e chiede che il ricorso avversario sia dichiarato inammissibile per non conformità all'art. 366 bis c.####################c. e sia comunque respinto siccome infondato.
Con il primo motivo di ricorso è denunziata violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost., comma 6, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
Si censura la statuizione della Corte d'Appello relativa all'asserita formazione del giudicato, osservando che nell'appello era stato fatto riferimento alla violazione dell'art. 2103 c.c. e si erano richiamati gli specifici punti già evidenziati nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Nel quesito ex art. 366 bis c.####################c. si chiede a questa Corte di dire se il richiamo alle specifiche norme di legge violate con collegamento ai fatti ed ai motivi già dedotti nei singoli punti indicati nel ricorso introduttivo sia sufficiente per considerare detta contestazione valida censura del provvedimento di cui si chiede la riforma nel giudizio di appello.
Il motivo non sembra meritevole di accoglimento.
Anzitutto non viene in alcun modo riportata la parte dell'atto d'appello dalla quale dovrebbe emergere la specifica censura nei confronti della statuizione di primo grado.
Inoltre, la valutazione della idoneità del gravame a mettere effettivamente in discussione le statuizioni della sentenza impugnata spetta al giudice d'appello, che sul punto, si è espresso con specifiche ed adeguate valutazioni contro le quali, come del resto emerge anche dalla sostanziale genericità del quesito. non vi è alcuna puntuale censura.
Con il secondo motivo di ricorso si critica la statuizione della Corte di merito circa l'insussistenza di qual si voglia elemento di prova idoneo a configurare la violazione delle disposizioni contenute nell'art. 2087 c.c. e si addebita in particolare alla sentenza di non aver dato alcun conto della censura concernente la mancata ammissione da parte del giudice di primo grado di una c.t.u. medico legale. tale motivo non pare meritevole di accoglimento ove si consideri che la Corte d'appello ha, in sostanza, puntualmente argomentato anche in ordine alla richiesta consulenza tecnica, osservando che questa avrebbe potuto avere ingresso solo se fosse rimasta accertata l'esistenza dei fatti lesivi denunziati nonchè delle specifiche responsabilità del datore di lavoro in ordine agli stessi, situazioni entrambe escluse.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente alle spese del giudizio.
####################Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese in Euro 30 per esborsi oltre ad Euro 2000 per onorari, nonchè accessori di legge.
Corte Costituzionale "...In particolare, per quanto riguarda l’Eurojust quale organo sovranazionale, va osservato che la decisione istitutiva, agli art. 6, 7 e 9, attribuisce ad esso, per quel che qui interessa: a) il potere di richiedere provvedimenti alle autorità competenti degli Stati membri interessati, senza che tali richieste abbiano effetto vincolante per dette autorità; b) funzioni di assistenza alle autorità nazionali (informative; di coordinamento delle indagini e delle azioni penali, su richiesta delle suddette autorità); c) funzioni di «sostegno», nei casi espressamente previsti, a indagini o azioni penali riguardanti le autorità competenti di un solo Stato membro; d) il potere di «accesso alle informazioni contenute nel casellario giudiziale nazionale o in qualsiasi altro registro del proprio Stato membro come previsto dall’ordinamento interno del suo Stato per un magistrato del pubblico ministero, un giudice o un funzionario di polizia con pari prerogative» (art. 9, paragrafo 4). ..."
SENTENZA N. 136
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge 14 marzo 2005, n. 41 (Disposizioni per l’attuazione della decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 del Consiglio dell’Unione europea, che istituisce l’Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio nel procedimento vertente tra Carmen Manfredda, il Ministero della giustizia ed altri con ordinanza depositata il 21 giugno 2010, iscritta al n. 268 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti gli atti di costituzione di Carmen Manfredda, del Consiglio superiore della magistratura e di Francesco Lo Voi, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 marzo 2011 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi gli avvocati Angelo Clarizia per Carmen Manfredda, Massimo Luciani per il Consiglio superiore della magistratura, Salvatore Pensabene Lionti per Francesco Lo Voi e l’avvocato dello Stato Enrico Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso di un giudizio riguardante l’impugnazione del provvedimento del Ministro della giustizia con il quale è stato designato il membro nazionale presso l’Eurojust, della deliberazione del Consiglio superiore della magistratura e del decreto del suddetto Ministro con i quali è stato, rispettivamente, deliberato e decretato il collocamento fuori del ruolo organico della magistratura del magistrato designato quale membro nazionale presso l’Eurojust, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanza depositata il 21 giugno 2010, ha sollevato, in riferimento agli artt. 105 e 110 della Costituzione, questione di legittimità dei commi 1 e 2 dell’art. 2 della legge 14 marzo 2005, n. 41 (Disposizioni per l’attuazione della decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 del Consiglio dell’Unione europea, che istituisce l’Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità), per i quali: «Il membro nazionale distaccato presso l’Eurojust è nominato con decreto del Ministro della giustizia tra i giudici o i magistrati del pubblico ministero, che esercitano funzioni giudiziarie, o fuori del ruolo organico della magistratura, con almeno venti anni di anzianità di servizio. Il magistrato che esercita funzioni giudiziarie è collocato fuori del ruolo organico della magistratura» (comma 1); «Ai fini della nomina, il Ministro della giustizia, acquisite le valutazioni del Consiglio superiore della magistratura in ordine ad una rosa di candidati nell’ambito della quale provvederà ad effettuare la nomina stessa, richiede al medesimo Consiglio il collocamento del magistrato designato fuori del ruolo organico della magistratura o, nel caso di magistrato già in posizione di fuori ruolo, comunica al Consiglio superiore della magistratura la propria designazione» (comma 2).
1.1. – Il giudice rimettente premette, in punto di fatto, che: a) l’impugnazione è stata proposta da un magistrato che, a séguito dell’interpello del Ministro della giustizia, aveva presentato la propria candidatura a membro nazionale presso l’Eurojust; b) la ricorrente ha dedotto due motivi di ricorso: 1) carenza di motivazione e manifesta illogicità della nomina del magistrato designato; 2) illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 2 e 3, della legge n. 41 del 2005, per contrasto con gli artt. 101, 104, 107 e 110 Cost.; c) a sostegno dell’illegittimità costituzionale, la ricorrente argomenta che l’Eurojust – le cui funzioni di coordinamento delle indagini e delle azioni penali tra le autorità nazionali competenti degli Stati membri dell’Unione europea sarebbero analoghe a quelle attribuite, a livello nazionale, alla Direzionale nazionale antimafia – svolge una attività di natura giudiziaria e non amministrativa e che i poteri del membro nazionale hanno anch’essi natura giudiziaria, di talché l’attribuzione al Ministro della giustizia, da un canto, dei poteri di nomina, di revoca e di proroga del mandato del membro nazionale e, d’altro canto, del potere di indirizzargli direttive (comma 3 dell’art. 2 della legge n. 41 del 2005), si pongono in contrasto con i princípi posti dalla Costituzione a garanzia dell’indipendenza della magistratura e della separazione dei poteri; d) il resistente Ministero della giustizia ha dedotto l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale del comma 3 dell’art. 2 della legge n. 41 del 2005, giacché tale comma non riguarda la nomina del membro nazionale, e, nel merito, l’infondatezza della questione di legittimità prospettata dalla ricorrente, poiché l’Eurojust, agendo – diversamente dalla Direzione nazionale antimafia – a livello sovranazionale, affiancherebbe alle funzioni giudiziarie, «che pure possono essere in parte riconosciute […], le funzioni amministrative che involgono i rapporti tra gli Stati membri, di elevato significato politico»; e) il resistente Consiglio superiore della magistratura ha chiesto che sia sollevata questione di legittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 2 della legge n. 41 del 2005 in quanto lesivi «dell’autonomia costituzionale conferita al Consiglio» e in contrasto con gli artt. 3, 104, 105, 107, 110 e 112 Cost.; f) il magistrato controinteressato nel giudizio principale ha dedotto l’irrilevanza della questione relativa al comma 3 dell’art. 2 e la manifesta infondatezza di quella relativa al comma 2 dello stesso articolo, sul rilievo che l’«Eurojust esercita una funzione amministrativa diretta semplicemente a “stimolare e migliorare” il coordinamento delle indagini tra le competenti autorità degli Stati membri, “prestando assistenza” in varie attività».
1.2. – Il medesimo giudice rimettente premette poi, in punto di diritto, che: a) i commi 1 e 2 dell’art. 2 della legge n. 41 del 2005, «attribuiscono al Ministro della Giustizia il sostanziale potere di scelta del membro nazionale presso l’Eurojust», atteso che, se è vero che il Ministro della giustizia sceglie il membro nazionale nell’àmbito di una rosa di candidati sulla quale ha acquisito le valutazioni del Consiglio superiore della magistratura, tale scelta rappresenta comunque un «potere tipicamente discrezionale»; b) dalla disciplina dettata dall’Unione europea – in particolare, dagli artt. 6, 7, 9, par. 3, 9-bis e 9-ter, della decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 (Decisione del Consiglio che istituisce l’Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità), nel testo modificato dalla decisione 2009/426/GAI del 16 dicembre 2008 (Decisione del Consiglio relativa al rafforzamento dell’Eurojust e che modifica la decisione 2002/187/GAI che istituisce l’Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità) e dall’art. 85 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – risulta «come sia fortemente presente la connotazione giudiziaria» dell’attività del membro nazionale e come egli «sia chiamato a svolgere attività sostanzialmente proprie del magistrato, sia pure nell’ambito di un’organizzazione di cooperazione internazionale».
1.3. – Poste tali premesse, il giudice a quo afferma che dalle disposizioni costituzionali «che vengono maggiormente in rilievo nella fattispecie», cioè dagli artt. 104, primo comma, 105, 107 e 110 Cost., si ricava «che, in ragione del principio di separazione tra i poteri dello Stato, i provvedimenti afferenti allo status dei magistrati […] spettano necessariamente all’organo di autogoverno [della magistratura], mentre i provvedimenti afferenti all’organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia spettano necessariamente all’organo politico, vale a dire al Ministero della giustizia». Poiché il membro nazionale presso l’Eurojust svolge «attività sostanzialmente proprie del magistrato», sia pure nell’àmbito di un organismo sovranazionale, il provvedimento di nomina dello stesso «sembra incidere sullo status del magistrato». Pertanto, «il bilanciamento dei valori costituzionali affermati dagli artt. 105 e 110 della Costituzione dovrebbe portare ad escludere ogni intervento determinante del potere esecutivo sulla deliberazione [di nomina], con conseguente attribuzione del potere di scelta [del membro nazionale] all’organo di autogoverno nel rispetto delle competenze differenziate e nell’ambito di un rapporto di collaborazione tra i due poteri dello Stato, come evidenziato dalla […] sentenza della Corte costituzionale 30 dicembre 2003, n. 380». Il giudice rimettente afferma, quindi, la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 2 della legge n. 41 del 2005, «almeno in relazione agli artt. 105 e 110 Cost.», articoli ai quali fa esclusivo riferimento nella parte dispositiva dell’ordinanza.
1.4. – Quanto alla rilevanza, il Tribunale rimettente specifica che, dei due motivi di ricorso avanzati dalla ricorrente – manifesta illogicità e carenza di motivazione della nomina del controinteressato, da un lato, ed illegittimità costituzionale dei commi 2 e 3 dell’art. 2 della legge n. 41 del 2005, dall’altro – il secondo è logicamente prioritario rispetto al primo, «involgendo una questione di competenza all’emanazione del provvedimento impugnato». La dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme censurate, inoltre, comporterebbe «l’illegittimità dell’atto in quanto adottato da un organo incompetente, e […] la fondatezza del ricorso e il suo accoglimento».
2. – La parte ricorrente nel giudizio principale si è costituita nel giudizio di legittimità costituzionale, riportandosi alle argomentazioni svolte nell’ordinanza di rimessione e chiedendo che la questione sia dichiarata fondata.
3. – Anche il magistrato controinteressato nel giudizio principale si è costituito nel giudizio di costituzionalità, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
Il suddetto controinteressato fonda tale richiesta su due argomenti. In primo luogo, i parametri evocati dal rimettente – in particolare, l’art. 105 Cost. – non sarebbero applicabili alla fattispecie, dal momento che essi «hanno riguardo esclusivamente ai componenti la magistratura ordinaria» e, sul piano oggettivo, all’«esercizio della funzione giudiziaria o giurisdizionale affidata a tali giudici nell’ambito dell’ordinamento interno» e non anche alle ipotesi nelle quali, come nel caso dell’Eurojust, pur trattandosi della nomina di un magistrato ordinario e dell’esercizio di una funzione giudiziaria, quest’ultima è esercitata nell’ambito «di un organismo […] dell’Unione europea», «nel quale gli Stati membri sono rappresentati dai Governi». La scelta del membro nazionale dell’Eurojust compete, quindi, al potere esecutivo – che presiede ai rapporti internazionali – e, specificamente, al Ministro della giustizia e non al Consiglio superiore della magistratura, «che non ha potere di rappresentanza “esterna ed internazionale”». In secondo luogo, in base alla legislazione interna e dell’Unione europea antecedente alla decisione 2009/426/GAI (alla quale gli Stati membri devono conformare la propria legislazione, «se necessario», entro il termine, non ancora scaduto, del 4 giugno 2011), l’Eurojust eserciterebbe funzioni amministrative e non giudiziarie.
4. – Si è costituito, altresí, il Consiglio superiore della magistratura, resistente nel giudizio principale, chiedendo che la questione sia dichiarata fondata.
Secondo tale parte, gli artt. 104, 105, 107, primo comma, e 110 Cost. riservano al Consiglio superiore della magistratura, a garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura da ogni altro potere, tutti i provvedimenti di assegnazione e destinazione dei magistrati a qualsivoglia incarico, ufficio o funzione ed escludono che tali provvedimenti possano essere adottati dal Ministro della giustizia. Da tali disposizioni costituzionali e dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (sono citate le sentenze n. 379 del 1992 e n. 380 del 2003) risulterebbe l’illegittimità delle norme censurate, le quali, nel riservare al Ministro della giustizia la scelta del membro nazionale presso l’Eurojust, attribuirebbero all’Esecutivo il potere di nominare un magistrato a un delicato ufficio, con conseguente suo obbligatorio collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura. L’illegittimità costituzionale delle norme censurate, con riferimento agli artt. 105, 110 e 112 Cost. – illegittimità già «palese» alla stregua della decisione 2002/187/GAI, che, sempre secondo il suddetto Consiglio superiore, attribuirebbe all’Eurojust «funzioni strettamente connesse alla giurisdizione» (artt. 6, 7 e 9, commi 3 e 4, nel loro testo originario) – emergerebbe ancora piú chiaramente alla luce dei «caratteri giudiziari (e non solo amministrativi) delle funzioni assolte» dall’Eurojust in forza sia della decisione 2009/426/GAI (modificativa della decisione istitutiva dell’organo) sia dell’art. 85 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (il quale contempla la possibilità che, mediante regolamenti, sia attribuito all’Eurojust il compito di «esercitare direttamente l’azione penale»).
5. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata «inammissibile ovvero infondata».
Secondo l’intervenuto, i parametri evocati non sono violati dalle norme censurate, ove si consideri che la destinazione del magistrato all’incarico di membro nazionale dell’Eurojust non deriva da un atto meramente discrezionale del Ministro, incidente sullo status del magistrato, ma da un piú complesso iter, nel quale il decreto di nomina presuppone non solo il vaglio del Consiglio superiore della magistratura sulla richiesta di collocamento fuori ruolo «proveniente da altra amministrazione», ma anche la delibera dello stesso Consiglio che, sola, può determinare tale collocamento fuori ruolo. Né dagli artt. 105 e 110 Cost. potrebbe desumersi l’esistenza, in capo al Consiglio superiore della magistratura, «di un potere di individuazione dei magistrati dei quali altre amministrazioni intendano avvalersi»; potere che l’ordinamento positivo mai prevede. La conformità alla Costituzione delle norme censurate si desumerebbe, infine, dal carattere «internazionale» dell’Eurojust; carattere che imporrebbe «di non ritenere applicabili tout court le stesse regole che disciplinano la composizione degli uffici giudiziari nazionali» e, quindi, di escludere che il Consiglio superiore della magistratura abbia «il potere di vincolare la composizione di un organismo di diritto internazionale». Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, le argomentazioni del rimettente si baserebbero su un erroneo inquadramento delle funzioni e della natura dell’Eurojust, che – come dimostrato dalla decisione istitutiva 2002/187/GAI, dalla legge n. 41 del 2005 e dalla decisione 2009/426/GAI – «non ha poteri sovrapponibili a quelli dell’autorità giudiziaria», ma «esercita in prevalenza compiti di natura amministrativa». «Decisive», infine, sarebbero le differenze tra l’Eurojust e la Direzione nazionale antimafia, derivanti dalla diversità del «contesto in cui si inquadrano le due entità: esclusivamente interno quello della Direzione Nazionale Antimafia, i cui compiti, proprio per tale ragione, non possono avere altro che finalità giudiziarie; internazionale quello di Eurojust, per il quale invece risultano decisamente prevalenti le funzioni amministrative che involgono i rapporti tra gli Stati membri: rapporti che tra l’altro, possono anche avere elevato significato politico».
6. – In prossimità della pubblica udienza, la ricorrente nel giudizio principale ha depositato una memoria illustrativa, con la quale ribadisce la richiesta di dichiarare non fondata la questione.
Ad avviso di tale parte privata, alla luce sia della decisione istitutiva – in particolare, dell’art. 9, paragrafi 1 (secondo cui «nessuna deroga è prevista per lo status giuridico dei magistrati»), 3 e 4 – sia dell’art. 85 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, l’Eurojust «svolge a livello internazionale lo stesso tipo di attività di coordinamento esplicato in Italia dalla Direzione Nazionale Antimafia», cosicché non si comprenderebbe come detta attività «possa essere dal nostro stesso legislatore fatta regredire, con la legge 41/2005, alla stregua di funzione amministrativa». D’altro canto, dalla stessa legge n. 41 del 2005 emergerebbe la natura giudiziaria delle funzioni svolte dal membro nazionale dell’Eurojust, come sarebbe confermato: a) dai poteri che gli sono riconosciuti dall’art. 5; b) dalla possibilità di accedere alle informazioni giudiziarie prevista dall’art. 7, comma 1, lettera a); c) dal fatto che solo l’assistente del membro nazionale che sia un magistrato e non anche quello che sia un funzionario dell’amministrazione della giustizia può sostituire il membro nazionale. L’esclusiva competenza del Ministro della giustizia in ordine alla designazione ad un incarico di natura giudiziaria, incidente, quindi, sullo status del magistrato, e la limitazione delle funzioni del Consiglio superiore della magistratura «a mero riscontro di idoneità», si porrebbero quindi, all’evidenza, in contrasto «con il titolo IV della Costituzione» che assicura l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e che esclude che «un magistrato sia nominato soltanto dal Ministro della Giustizia, che è organo del Governo».
7. – In prossimità della data fissata per la discussione in udienza pubblica, anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria, nella quale ribadisce le conclusioni precedentemente formulate.
7.1. – La parte pubblica deduce, anzitutto, la carenza della motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza della questione relativa al comma 1 dell’art. 2 della legge n. 41 del 2005, osservando che il rimettente «non ha indicato alcun motivo per il quale […] sarebbe costituzionalmente illegittima la nomina effettuata con decreto del Ministro della giustizia».
7.2. – Detta questione sarebbe comunque manifestamente infondata, «sia perché il decreto ministeriale è la forma tipica di emanazione di numerosissimi atti e provvedimenti pubblici (anche relativi alla nomina di magistrati […]), sia perché nel caso in esame la norma di cui […] si chiede la dichiarazione di incostituzionalità è in realtà quella riguardante la procedura che conduce alla nomina del membro nazionale, e non già l’atto finale della procedura medesima».
7.3. – Quanto alla infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale già dedotta nell’atto di intervento, essa troverebbe conferma nelle seguenti ulteriori considerazioni: a) l’Eurojust è un organo dell’Unione europea – nel contesto del quale il membro nazionale «è destinato a rappresentare lo Stato» – le cui funzioni sono disciplinate e sono svolte nell’àmbito dell’ordinamento dell’Unione Europea, con la conseguenza che le norme della Costituzione, in quanto poste «a garanzia dell’indipendenza dei magistrati nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali nazionali […] non trovano […] identica applicazione quando si procede alla nomina di un magistrato destinato a svolgere funzioni in un ordinamento diverso da quello italiano»; b) le direttive del Ministro della giustizia ai magistrati, vietate nell’ordinamento nazionale, «sono perfettamente legittime» in «quello comunitario di Eurojust»; c) la procedura di nomina del membro nazionale è stata «fissata proprio dal Consiglio Superiore della Magistratura»; d) gli obiettivi dell’Eurojust sono soltanto di «”sostegno” alle autorità nazionali degli Stati membri»; e) le funzioni dell’Eurojust, anche se «ampliate» dalla decisione 2009/426/GAI (il cui termine di attuazione nell’ordinamento interno non è, peraltro, ancora scaduto), «sono prevalentemente amministrative», mentre, in ogni caso, «quelle giudiziarie non sempre sono di esclusiva prerogativa dei magistrati e, comunque, possono trovare applicazione fuori dall’Italia», con la conseguenza che esse «non impongono […] che la nomina del membro nazionale debba essere effettuata direttamente dal Consiglio Superiore della Magistratura, anziché dal Ministro della Giustizia […] organo dello Stato italiano che cura gli interessi, anche politici, nei rapporti internazionali e comunitari».
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio dubita – in riferimento agli artt. 105 e 110 della Costituzione – della legittimità dei commi 1 e 2 dell’art. 2 della legge 14 marzo 2005, n. 41 (Disposizioni per l’attuazione della decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 del Consiglio dell’Unione europea, che istituisce l’Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità), i quali, nel disciplinare la nomina del membro nazionale dell’Eurojust, prevedono che: a) «Il membro nazionale distaccato presso l’Eurojust è nominato con decreto del Ministro della giustizia tra i giudici o i magistrati del pubblico ministero, che esercitano funzioni giudiziarie, o fuori del ruolo organico della magistratura, con almeno venti anni di anzianità di servizio. Il magistrato che esercita funzioni giudiziarie è collocato fuori del ruolo organico della magistratura» (comma 1); b) «Ai fini della nomina, il Ministro della giustizia, acquisite le valutazioni del Consiglio superiore della magistratura in ordine ad una rosa di candidati nell’ambito della quale provvederà ad effettuare la nomina stessa, richiede al medesimo Consiglio il collocamento del magistrato designato fuori del ruolo organico della magistratura o, nel caso di magistrato già in posizione di fuori ruolo, comunica al Consiglio superiore della magistratura la propria designazione» (comma 2).
Ad avviso del Tribunale rimettente, le norme denunciate violano gli evocati parametri perché attribuiscono al Ministro della giustizia, anziché al Consiglio superiore della magistratura, «il sostanziale potere di scelta del membro nazionale presso l’Eurojust». Secondo il giudice a quo, infatti, la designazione di tale membro implica la destinazione di un magistrato ordinario a svolgere attività di natura giudiziaria, «sostanzialmente proprie del magistrato» del pubblico ministero, e pertanto si risolve in un provvedimento che, in quanto incidente sullo status del magistrato, la Costituzione riserva al Consiglio superiore della magistratura.
2. – In via preliminare, l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione avente ad oggetto il comma 1 dell’art. 2 della legge n. 41 del 2005, per carente motivazione sulla non manifesta infondatezza. Al riguardo, l’Avvocatura sostiene che il rimettente «non ha indicato alcun motivo per il quale […] sarebbe costituzionalmente illegittima la nomina effettuata con decreto del Ministro della giustizia».
L’eccezione non può essere accolta.
Il giudice rimettente denuncia il comma 1 dell’art. 2 della legge n. 41 del 2005 in ragione non della forma del provvedimento previsto da tale disposizione («decreto del Ministro della giustizia»), ma della esclusiva attribuzione al Ministro – e non al Consiglio superiore della magistratura – del potere sostanziale di «nomina»; attribuzione stabilita, secondo l’interpretazione del medesimo rimettente, dal combinato disposto dei commi 1 e 2 del suddetto articolo. Ne deriva che la questione sollevata investe entrambi i commi denunciati e che, pertanto, l’ordinanza di rimessione risulta adeguatamente motivata anche in relazione al comma 1 del citato art. 2.
3. – Nel merito, la questione non è fondata.
Il rimettente propone le sue censure seguendo una precisa scansione argomentativa. Egli interpreta: a) gli art. 105 e 110 Cost., nel senso che riservano al Consiglio superiore della magistratura, e non al Ministro della giustizia, l’effettiva decisione in ordine ai provvedimenti che, conferendo funzioni proprie della magistratura ordinaria a magistrati ordinari, incidono sul loro status; b) le disposizioni denunciate, nel senso che riservano al Ministro della giustizia l’effettiva decisione sulla nomina del membro italiano presso l’Eurojust; c) il quadro normativo riguardante l’Eurojust, nel senso che al membro nazionale presso tale organo sono attribuite (come componente dell’organo o come membro dotato di «poteri giudiziari» da esercitarsi nel territorio statale) funzioni «sostanzialmente proprie del magistrato» del pubblico ministero. Lo stesso rimettente conclude affermando che la nomina del membro italiano da parte del Ministro, invece che del Consiglio superiore della magistratura, si pone in contrasto con gli evocati parametri, perché costituisce «assegnazione», ai sensi dell’art. 105 Cost., di un magistrato del pubblico ministero per l’esercizio delle funzioni requirenti sue proprie.
Tali presupposti interpretativi devono essere distintamente esaminati.
4. – Il presupposto interpretativo di cui alla lettera a) del punto 3, relativo alla sostanziale spettanza al Consiglio superiore della magistratura della decisione in ordine alle assegnazioni dei magistrati ordinari che svolgono le loro funzioni nell’ordinamento giudiziario italiano, è coerente con l’interpretazione che questa Corte ha costantemente fornito dei parametri evocati. Essa ha precisato, infatti, che i provvedimenti previsti dall’art. 105 Cost. riguardanti i magistrati ordinari – esercitino essi funzioni giudicanti o requirenti – rientrano nelle competenze del Consiglio superiore della magistratura, anche se sono adottati nella forma del decreto del Capo dello Stato controfirmato dal Ministro ovvero, nei casi stabiliti dalla legge, del decreto del Ministro (ex plurimis, sentenza n. 168 del 1963). È sufficiente, sotto questo profilo, ribadire quanto affermato nella sentenza n. 142 del 1973, secondo cui l’autonomia dell’ordine giudiziario, cui fa riferimento l’art. 104, primo comma, Cost., «indica […] la disciplina diversificata che la Costituzione riserva, e vuole sia riservata, per quanto attiene allo stato giuridico dei magistrati dell’ordine giudiziario, sia garantendo loro direttamente l’inamovibilità, nei sensi e alle condizioni di cui all’art. 107, comma primo, sia sottraendoli, anche per quel che concerne tutte le vicende del predetto stato, ad ogni dipendenza da organi del potere esecutivo. Strumento essenziale di siffatta autonomia, e quindi della stessa indipendenza dei magistrati nell’esercizio delle loro funzioni, che essa è istituzionalmente rivolta a rafforzare, sono le competenze attribuite al Consiglio superiore dagli artt. 105, 106 e 107 Cost., nelle quali deve rientrare ogni provvedimento che direttamente o indirettamente possa menomarla».
5. – Con l’interpretazione di cui alla lettera b) del punto 3, il rimettente assume che, in base alla legge italiana attuativa della decisione istitutiva, il «sostanziale potere di scelta del membro nazionale presso l’Eurojust» compete al Ministro della giustizia; e ciò in quanto spetta a quest’ultimo sceglierlo nell’àmbito di una rosa di candidati – formata dallo stesso Ministro, secondo la prassi finora seguita –, dopo l’acquisizione del parere obbligatorio, ma non vincolante, del Consiglio superiore della magistratura in ordine ai candidati.
Tale interpretazione è corretta, perché corrisponde alla lettera ed alla ratio dei commi 1 e 2 dell’art. 2 della legge n. 41 del 2005, i quali non solo attribuiscono espressamente al Ministro della giustizia il potere di «nomina» del membro nazionale presso l’Eurojust, ma precisano anche che tale potere è esercitato dopo l’acquisizione delle «valutazioni» espresse dal Consiglio superiore della magistratura su una rosa di candidati e, quindi, evidenziano che la nomina costituisce l’esito di una scelta operata dal Ministro. Del resto, né il rimettente né le parti del giudizio principale né la prassi finora seguita nell’applicazione della legge n. 41 del 2005 hanno mai posto in dubbio che l’individuazione del membro nazionale presso l’Eurojust sia effettuata, anche sul piano sostanziale, dal Ministro.
6. – La premessa interpretativa di cui alla lettera c) del punto 3, che riveste un ruolo centrale nel complessivo argomentare del giudice a quo, è invece priva di fondamento. Infatti, contrariamente all’assunto del rimettente, le funzioni proprie del membro nazionale presso l’Eurojust non possono essere ricondotte a quelle giudiziarie «sostanzialmente proprie del magistrato» del pubblico ministero.
Per giungere a tale conclusione è necessario individuare le funzioni che la decisione istitutiva e la normativa di attuazione attribuiscono all’Eurojust ed ai suoi membri, considerati questi sia come componenti dell’organo sia come autorità esercitanti «poteri giudiziari» nell’àmbito territoriale statale. Una volta individuate tali funzioni, occorrerà valutare se esse siano riconducibili a quelle giudiziarie che il magistrato del pubblico ministero esercita nel nostro ordinamento e se siano conseguentemente applicabili le norme interne previste per l’assegnazione di dette funzioni e, in particolare, anche quelle che la Costituzione pone a garanzia dell’indipendenza della magistratura (ivi compreso l’art. 105 Cost.).
Al riguardo, va precisato che i limiti del thema decidendum impongono di circoscrivere l’esame alle norme applicabili nel giudizio principale (testo originario della decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002, recante «Decisione del Consiglio che istituisce l’Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità»; legge n. 41 del 2005), senza considerare la normativa dell’Unione europea citata dalle parti, ma non ancora attuata, e cioè: a) la decisione 2009/426/GAI del 16 dicembre 2008 (Decisione del Consiglio relativa al rafforzamento dell’Eurojust e che modifica la decisione 2002/187/GAI che istituisce l’Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità), per la quale il termine di attuazione concesso agli Stati membri scadrà il 4 giugno 2011; b) l’art. 85, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, secondo cui «il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti», allo stato non ancora adottati, «determinano la struttura, il funzionamento, la sfera d’azione e i compiti» dell’Eurojust.
Ciò premesso, occorre ora esaminare, in primo luogo, le norme di fonte europea e successivamente quelle interne di attuazione.
6.1. – Muovendo dalla normativa dell’Unione europea, va rilevato che l’Eurojust è un organo dell’Unione dotato di personalità giuridica, istituito dalla decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002, secondo cui tale organo è composto da membri nazionali, distaccati da ciascuno Stato «in conformità del proprio ordinamento giuridico», aventi «titolo di magistrato del pubblico ministero, giudice o funzionario di polizia con pari prerogative» (art. 2, paragrafo 1). Le funzioni dell’Eurojust possono essere esercitate tramite un collegio, composto dai membri nazionali (art. 10, paragrafo 1), oppure tramite i singoli componenti del collegio medesimo, che agiscono in nome e per conto dello stesso Eurojust. La decisione istitutiva non attribuisce a detto organo alcuna funzione giudicante né prevede che svolga attività strumentali all’esercizio di funzioni giudicanti di altri organi sovranazionali. Dispone, invece, che l’Eurojust assuma come referenti gli uffici requirenti o giudicanti dei singoli Stati e si rivolga a tali uffici per favorire il coordinamento delle indagini e delle azioni penali, avanzare istanze non vincolanti e proporsi come ausilio per la cooperazione (artt. 5, 6 e 7). A differenza degli organi giurisdizionali attualmente previsti dall’ordinamento dell’Unione europea o internazionale, l’Eurojust opera, dunque, in via strumentale rispetto all’attività delle autorità giudiziarie degli Stati, sollecitandole a svolgere in modo più efficace e coordinato la «lotta contro le forme gravi di criminalità».
La decisione, oltre ad attribuire le suddette funzioni all’Eurojust in quanto organo sovranazionale, prevede, al paragrafo 3 dell’art. 9, che ciascuno Stato «definisce la natura e la portata» di ulteriori poteri (definiti «giudiziari»), che esso «conferisce» al proprio membro nazionale. Tali poteri, secondo quanto osservato nella nota n. 9404/02, JAI, Eurojust 16, emessa dal Segretariato generale del Consiglio dell’Unione europea in data 14 giugno 2002, sono esercitati dal membro nazionale nell’àmbito territoriale statale «in [..] nome e per conto del proprio Stato».
Ai fini dello scrutinio di costituzionalità, assume poi particolare rilievo il fatto che il paragrafo 1 dell’art. 2 della decisione istitutiva stabilisce che il “distacco” dei membri nazionali presso l’Eurojust deve avvenire «in conformità» dell’ordinamento giuridico di ciascuno Stato.
Dal carattere strumentale dei cómpiti dell’Eurojust rispetto all’attività delle autorità giudiziarie statali, dalla menzione di «poteri giudiziari» conferibili ai membri nazionali nei rispettivi àmbiti territoriali, nonché dal rinvio agli ordinamenti interni per il “distacco” dei membri nazionali, consegue la necessità di accertare se nelle funzioni attribuite all’Eurojust ed ai suoi membri siano rinvenibili quegli elementi che, nell’ordinamento costituzionale italiano, consentono di qualificare come giudiziarie – e non amministrative – le funzioni esercitate dal pubblico ministero e giustificano, quindi, la previsione di garanzie di autonomia e di indipendenza; e cioè l’esercizio dell’azione penale e le attività ad esso preordinate.
6.1.1. – In particolare, per quanto riguarda l’Eurojust quale organo sovranazionale, va osservato che la decisione istitutiva, agli art. 6, 7 e 9, attribuisce ad esso, per quel che qui interessa: a) il potere di richiedere provvedimenti alle autorità competenti degli Stati membri interessati, senza che tali richieste abbiano effetto vincolante per dette autorità; b) funzioni di assistenza alle autorità nazionali (informative; di coordinamento delle indagini e delle azioni penali, su richiesta delle suddette autorità); c) funzioni di «sostegno», nei casi espressamente previsti, a indagini o azioni penali riguardanti le autorità competenti di un solo Stato membro; d) il potere di «accesso alle informazioni contenute nel casellario giudiziale nazionale o in qualsiasi altro registro del proprio Stato membro come previsto dall’ordinamento interno del suo Stato per un magistrato del pubblico ministero, un giudice o un funzionario di polizia con pari prerogative» (art. 9, paragrafo 4).
Tali poteri e funzioni non sono riconducibili a quelli giudiziari propri dei magistrati del pubblico ministero.
Innanzitutto, con riferimento alle richieste indirizzate alle competenti autorità nazionali, la loro natura non vincolante impedisce di riscontrare in esse i connotati propri dell’autonomo esercizio di funzioni giudiziarie requirenti, costituendo, invece, espressione di poteri strumentali all’esercizio di dette funzioni, che restano riservate, in via esclusiva, alle autorità giudiziarie nazionali.
Inoltre, con riferimento alle indicate attività di «assistenza», «collaborazione», «sostegno» o «coordinamento» svolte dall’Eurojust nei confronti delle autorità nazionali in ordine alle indagini ed alle azioni penali, la genericità di tali formule linguistiche, nonché la carenza dei suddetti connotati delle funzioni giudiziarie requirenti inducono a qualificare tali attività come amministrative. In particolare, quanto alla funzione di «coordinamento», essa – contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente nel giudizio principale – è qualitativamente diversa da quella, di natura giudiziaria, affidata in Italia al Procuratore nazionale antimafia in base all’art. 371-bis del codice di procedura penale. È sufficiente al riguardo sottolineare che, nell’esercizio dell’attività di «coordinamento», l’Eurojust non dispone di poteri analoghi a quelli – ben piú incisivi – propri del Procuratore nazionale, il quale può: a) applicare temporaneamente magistrati della Direzione nazionale e delle direzioni distrettuali antimafia; b) impartire ai procuratori distrettuali «specifiche direttive alle quali attenersi per prevenire o risolvere contrasti riguardanti le modalità secondo le quali realizzare il coordinamento nell’attività di indagine»; c) riunire «i procuratori distrettuali interessati al fine di risolvere i contrasti che, malgrado le direttive specifiche impartite, sono insorti e hanno impedito di promuovere o di rendere effettivo il coordinamento»; d) disporre «con decreto motivato […] l’avocazione delle indagini relative a taluno dei delitti indicati nell’art. 51 comma 3-bis quando non hanno dato esito le riunioni disposte al fine di promuovere o rendere effettivo il coordinamento e questo non è stato possibile» (lettere b, f, g, h del comma 3 dell’art. 371-bis cod. proc. pen.).
Con riferimento, infine, alle informazioni giudiziarie desumibili da pubblici registri, si è già osservato che, in base alla decisione istitutiva, il membro nazionale dell’Eurojust può accedere ad esse «come previsto dall’ordinamento interno del suo Stato per un magistrato del pubblico ministero, un giudice o un funzionario di polizia con pari prerogative» (art. 9, paragrafo 4). Va tuttavia rilevato che la possibilità di accesso diretto a tali informazioni – opportunamente limitata a soggetti qualificati, allo scopo di ostacolare una incontrollata diffusione di dati – non integra, di per sé, esercizio di funzioni giudiziarie e non le caratterizza, ma costituisce solo un ausilio utile all’autorità procedente, amministrativa o giudiziaria che sia. Ciò è confermato dalla circostanza che diversi ordinamenti nazionali (tra cui proprio quello italiano, in base all’art. 118 cod. proc. pen.) consentono anche ad autorità non giudiziarie l’accesso alle suddette informazioni, in misura piú o meno ampia, senza che ciò muti la natura amministrativa dell’attività da esse svolta.
6.1.2. – Quanto alle attribuzioni del membro dell’Eurojust quale autorità che esercita poteri nel territorio dello Stato, si è già ricordato che, in forza dell’art. 9, paragrafo 3, della decisione: «Ciascuno Stato membro definisce la natura e la portata dei poteri giudiziari che conferisce al proprio membro nazionale sul proprio territorio. Esso definisce inoltre il diritto del membro nazionale di agire nei confronti delle autorità giudiziarie straniere, conformemente agli impegni assunti sul piano internazionale». Tale formulazione consente di ritenere facoltativa per gli Stati l’attribuzione di tali poteri, dovendo il verbo «definisce» essere inteso nel senso che spetta allo Stato precisare l’an ed il quantum dell’attribuzione dei «poteri giudiziari». La decisione – vincolante, ma priva di effetti diretti, secondo il disposto dell’art. 34, paragrafo 2, lettera c, del Trattato sull’Unione europea, nel testo in vigore dal 1° febbraio 2003 al 30 novembre 2009, applicabile ratione temporis alla fattispecie – lascia perciò ai singoli Stati la scelta, in sede di attuazione, di attribuire o no ai membri nazionali poteri giudiziari.
6.1.3. – Resta pertanto dimostrato che la decisione istitutiva – diversamente da quanto sostenuto dal giudice rimettente – non attribuisce alcun potere tipicamente giudiziario all’organo sovranazionale, né impone ai singoli Stati di attribuire ai loro membri nazionali «poteri giudiziari» da esercitare nei rispettivi territori.
6.2. – Passando ora all’esame delle fonti normative interne, va osservato che la legge n. 41 del 2005, nell’attuare la decisione del Consiglio 2002/187/GAI, non ha attribuito funzioni giudiziarie né all’organo Eurojust né al membro di questo quale autorità esercitante poteri nel territorio nazionale. Infatti, secondo quanto dichiarato nella relazione illustrativa al disegno di legge governativo (Atti Camera dei deputati, XIV legislatura, n. 4293), il legislatore, per un verso, ha riconosciuto che i poteri dell’Eurojust quale organo sovranazionale «differiscono profondamente ed ontologicamente da quelli di direttiva e di intervento diretto […] attribuiti, nell’ambito dell’ordinamento nostrano, alla Direzione nazionale antimafia»; per altro verso, ha inteso confinare in una dimensione meramente amministrativa i poteri del membro italiano dell’Eurojust («non ha ritenuto di conferire […] poteri giudiziari»).
6.2.1. – Riguardo all’organo sovranazionale, la legge di attuazione attribuisce al membro italiano di esso, quale componente del collegio, poteri che corrispondono sostanzialmente a quelli previsti dalla decisione istitutiva e che, per le ragioni sopra dette, non sono riconducibili a quelli propri dei magistrati del pubblico ministero (punto 6.1.1.).
In particolare, quanto alle informazioni giudiziarie, va rilevato che: a) innanzitutto, l’accesso ad esse da parte del membro nazionale dell’Eurojust avviene non in via diretta, ma solo per il tramite di una decisione dell’autorità giudiziaria competente, la quale può rigettare la relativa richiesta con decreto ricorribile per cassazione (art. 7, commi 1 e 2, della legge n. 41 del 2005); b) in secondo luogo, come visto, nell’ordinamento italiano (al pari dell’ordinamento dell’Unione europea), il potere di accesso alle informazioni giudiziarie, anche nell’ipotesi in cui sia riservato al pubblico ministero (come per il registro degli indagati), non costituisce un elemento caratterizzante della funzione giudiziaria; c) in terzo luogo, come pure già accennato, il medesimo potere non sempre è riservato all’autorità giudiziaria, con la conseguenza che la sua attribuzione al membro nazionale presso l’Eurojust non sarebbe sufficiente, da sola, a qualificare come giudiziarie le funzioni svolte da tale membro. Il comma 1 dell’art. 118 cod. proc. pen. consente, invero, anche al Ministro dell’interno – cioè ad un’autorità che, senza alcun dubbio, non può essere qualificata come giudiziaria – di ottenere, «anche in deroga al divieto stabilito dall’art. 329, copie di atti di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto, ritenute indispensabili per la prevenzione dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza», nonché l’autorizzazione «all’accesso diretto al registro previsto dall’art. 335».
6.2.2. – Per quel che concerne le attribuzioni del membro dell’Eurojust da esercitare nell’àmbito del territorio italiano, si è visto (al punto 6.2.) che il legislatore – facendo uso della facoltà accordatagli dalla normativa dell’Unione europea ricordata al punto 6.1.2. – ha preferito attuare la decisione del Consiglio nel senso di non conferire a detta autorità alcun «potere giudiziario» nel territorio dello Stato. Coerente con questa impostazione è la previsione della possibilità, per il Ministro della giustizia, di indirizzare al membro nazionale, tramite il Capo del Dipartimento per gli affari di giustizia, direttive per l’esercizio delle sue funzioni (art. 2, comma 3, della legge n. 41 del 2005); direttive che sarebbero evidentemente incompatibili con il riconoscimento al membro nazionale dell’Eurojust della qualità di autorità giudiziaria, dotata di autonomia ed indipendenza costituzionalmente garantite.
7. – Esclusa, sulla base delle argomentazioni svolte in precedenza, la natura giudiziaria delle funzioni dell’Eurojust e dei membri nazionali, viene meno la premessa principale su cui si fonda la censura formulata dal rimettente e, con essa, la fondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 2 della legge 14 marzo 2005, n. 41 (Disposizioni per l’attuazione della decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 del Consiglio dell’Unione europea, che istituisce l’Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità), sollevata, in riferimento agli artt. 105 e 110 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 aprile 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2011.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: MELATTI
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