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mercoledì 2 marzo 2011

I.N.P.D.A.P. (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica) Nota 28-2-2011 n. 11 Detrazioni per carichi di famiglia riferite all'anno 2010. Indicazioni operative per il pagamento dei Caf e professionisti convenzionati con l'Inpdap. Emanata dall'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, Direzione generale, Direzione centrale previdenza, Direzione centrale ragioneria e finanza.





Nota 28 febbraio 2011, n. 11 (1).

Detrazioni per carichi di famiglia riferite all'anno 2010. Indicazioni operative per il pagamento dei Caf e professionisti convenzionati con l'Inpdap.

(1) Emanata dall'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, Direzione generale, Direzione centrale previdenza, Direzione centrale ragioneria e finanza.



Ai


Direttori delle sedi provinciali e territoriali

Ai


Responsabili delle ragionerie locali

Ai


Caf

Ai


Dirigenti generali centrali e regionali

Ai


Direttori regionali

Agli


Uffici autonomi di Trento e Bolzano

Ai


Coordinatori delle consulenze professionali
 

Loro sedi




Con riferimento alla nota n. 2712 del 16 febbraio 2011 diramata dall'Ufficio I della D.C. Previdenza, si chiariscono con la presente, come di consueto ed in continuità con la procedura operativa seguita negli anni precedenti, gli aspetti operativo contabili riferiti alla campagna DETRA 2010.

Come è noto, i soggetti abilitati che hanno sottoscritto la convenzione con l'Istituto hanno provveduto alla certificazione della dichiarazione per familiari a carico dei pensionati che si sono avvalsi del loro servizio ed hanno validato i codici fiscali comunicati dagli stessi, provvedendo anche al successivo inoltro, per via telematica, all'INPDAP ai fini dell'aggiornamento delle relative posizioni pensionistiche.

Le modalità applicative volte al pagamento del compenso per l'attività di certificazione e trasmissione spettante ai soggetti abilitati che hanno sottoscritto la relativa convenzione per l'anno 2009, 2010 e 2011, riproducono le istruzioni fornite con riferimento alla campagna DETRA 2009.

I compensi vengono corrisposti dall'Istituto previa emissione di regolare fattura da parte degli stessi.

Gli aspetti amministrativi dell'operazione sono stati illustrati con precedente nota 4 febbraio 2010, n. 1 della D.C. Previdenza.

Per l'evasione dei pagamenti corrispondenti, i CAF devono trasmettere le fatture emesse nei confronti dell'Istituto alla Segreteria del Direttore Centrale Previdenza presso la Direzione Generale INPDAP, Via Ballarin, 42 - 00142 Roma.

I professionisti sottoscrittori della specifica convenzione con l'Istituto devono, invece, trasmettere le fatture emesse per l'attività svolta agli Uffici INPDAP territorialmente competenti.

I dati che consentono una corretta fatturazione sono visualizzabili da parte dei CAF nell'area loro riservata sul sito internet dell'Istituto (www.inpdap.gov.it. al link anno 2010 - report/fatturazione 2010. Il numero delle dichiarazioni inviate è riportato sull'ultima colonna del report anzidetto.

I professionisti abilitati coinvolti che hanno prestato la loro attività, ai fini di una corretta fatturazione delle prestazioni convenzionate rese, devono visualizzare tramite la funzione "Sintesi dichiarazioni della Sede e dei Professionisti Convenzionati, nell'apposita sezione loro dedicata sul sito internet dell'Istituto (www.inpdap.gov.it), il numero delle dichiarazioni "acquisite con carichi di famiglia".

Si precisa che sulle fatture emesse deve essere indicato il numero del certificato digitale Entratel. Le cifre inerenti la spesa relativa ai compensi spettanti per la certificazione, la compilazione e l'inoltro delle dichiarazioni rese dai pensionati, ai fini della fruizione delle detrazioni fiscali, dovranno essere impegnate dagli uffici interessati in conto competenza 2011.

A tale scopo, si rende noto che con l'applicativo "detrazioni d'imposta" (Detra), accessibile da parte degli operatori abilitati dal sito intranet dell'Istituto attraverso la funzione "Sintesi dichiarazioni della Sede e dei Professionisti Convenzionati", è possibile verificare, da parte dei Centri di Responsabilità che abbiano ricevuto fatture per l'operazione DETRA 2010, il numero delle dichiarazioni effettivamente acquisite e certificate dai soggetti abilitati che hanno sottoscritto la relativa convenzione (colonna "acquisite con carichi di famiglia").

Il compenso da corrispondere ai soggetti convenzionati è pari a euro 2,52 per effetto dell'adeguamento all'indice di variazione dei prezzi al consumo, rilevato per l'anno precedente dall'Istat (0,7%), oltre IVA ed eventuale contributo alle casse di previdenza professionali, per ogni dichiarazione trasmessa. Nella fattura devono essere indicati separatamente gli importi derivanti dall'adeguamento di cui sopra.

L'importo, come sopra definito, è da imputare alla posizione finanziaria S1131602 e andrà determinato sulla Gestione CPDEL (Se. Co. 06) [1] sulla base di un unico specifico atto autorizzativo adottato dai dirigenti titolari dei singoli Centri di Responsabilità competenti (D.C. Previdenza per il corrispettivo relativo ai CAF, Uffici Inpdap provinciali e territoriali per i compensi spettanti ai professionisti).

Sarà, successivamente, cura dei responsabili amministrativi competenti assicurare, nei termini prescritti dal Regolamento di Amministrazione e Contabilità INPDAP, la registrazione sul sistema informativo SAP R/3 di un unico impegno cumulativo intestato all'apposito fornitore unico "Diversi - Operazione DETRA" codificato con il numero 401806.

Si precisa che le occorrenze previsionali necessarie all'assunzione degli impegni e all'emissione dei conseguenti ordinativi di pagamento saranno assegnate dall'Ufficio I della Direzione Centrale Ragioneria e Finanza, sulla base delle richieste effettuate, con le consuete modalità, dai Centri di responsabilità interessati.

L'atto dirigenziale determinativo degli impegni in questione è soggetto alle ordinarie verifiche di regolarità amministrativo contabili del servizio di ragioneria e di cui all'art. 31 del RAC.

La liquidazione degli importi da corrispondere ai singoli soggetti convenzionati dovrà avvenire a seguito di ricezione di regolare fattura da parte degli stessi.

I servizi amministrativi competenti dovranno procedere, ai fini della liquidazione, all'adozione dell'atto liquidatorio corrispondente, il quale presuppone il preventivo riscontro che il numero delle dichiarazioni fatturate siano coincidenti con quelle risultanti dall'applicativo "detrazioni d'imposta" (Detra).

Sulla base dell'atto liquidatorio di cui sopra, i servizi amministrativi dovranno accertare e contestualmente liquidare, in conto competenza 2011, sulla posizione finanziaria E4110102 della gestione CPDEL (Se.Co, 06), le ritenute erariali relative ai compensi da corrispondere.

Successivamente, gli stessi servizi amministrativi dovranno procedere alla registrazione della liquidazione dell'importo lordo (comprensivo dell'IVA e dell'eventuale contributo alle casse di previdenza professionali) utilizzando, in quota parte corrispondente a ciascuna fattura da pagare, l'impegno in precedenza assunto cumulativamente.

Le due liquidazioni (quella relativa alla ritenuta e quella relativa all'importo lordo dovuto) saranno incluse dal servizio di ragioneria nel medesimo ordinativo e costituiranno l'importo netto da pagare. L'atto liquidatorio, debitamente sottoscritto dal responsabile del procedimento, dovrà essere completato con l'indicazione in calce degli estremi di registrazione delle liquidazioni sul sistema SAP e successivamente trasmesso al servizio di ragioneria, accompagnato da specifica distinta di cassa contenente gli estremi identificativi del soggetto o, nel caso di pagamento plurimo con unico mandato, dei soggetti beneficiari del corrispettivo, le modalità di pagamento e l'importo netto spettante a ciascuno di essi.

Il servizio di ragioneria, dopo avere effettuata la consueta verifica per l'ordinazione del pagamento di cui all'art. 31 del RAC, provvedere all'emissione del mandato di pagamento comunicandone gli estremi al servizio amministrativo competente.

Si precisa che il servizio di ragioneria competente all'ordinazione del pagamento a favore dei CAF convenzionati è l'Ufficio 2 della D.C. Ragioneria e Finanze al quale la D.C. Previdenza trasmetterà i fascicoli completi della documentazione di spesa ai fini degli adempimenti corrispondenti alle relative attribuzioni. Si rappresenta la necessità di portare a conoscenza ai professionisti che hanno sottoscritto la convenzione i contenuti della presente nota operativa.


[1] Gli Uffici Centrali provvederanno a determinare l'importo dovuto sulla gestione CTPS. Non si dovrà procedere a compensazioni tra Gestioni.


Il Dirigente generale della direzione centrale previdenza

Dott. Giorgio Fiorino


Il Dirigente generale della direzione centrale ragioneria e finanza

Dott. Giuseppe Beato

condominio Infiltrazioni d'acqua: tutti i condomini rispondono dei danni per omessa manutenzione del terrazzo




COMUNIONE E CONDOMINIO
Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-01-2011, n. 941
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

Ca.Lu. e C.B. convenivano in giudizio R.G., T.C.L., F.S. e il condominio di (OMISSIS) chiedendone la condanna al rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione di lavori necessari ad eliminare le infiltrazioni idriche manifestatesi nei box e nelle mura perimetrali. Gli attori esponevano: di essere proprietari di un appartamento al primo piano dell'edificio condominiale in questione con annesso piano di calpestio esterno; di aver ricevuto pressione dai proprietari dei box sottostanti al detto piano di calpestio di eliminare le cause dei fenomeni infiltrativi; di aver proceduto ai necessari lavori per eliminare l'inconveniente sostenendo la spesa complessiva di L. 48.077.00 per lavori sul lastrico e di L. 1.300.000 per opere relative al muro perimetrale; di aver quindi diritto al rimborso della quota pari ai 2/3 della spesa relativa ai lastrico dai proprietari dei box sottostanti ed al rimborso ex art. 123 c.c. della spesa sostenuta per il muro perimetrale del condominio.

I convenuti si costituivano e chiedevano il rigetto della domanda.

Con sentenza n. 30565/2002 l'adito tribunale di Roma, eseguita la disposta c.t.u. rigettava la domanda rilevando che nella specie non era applicabile l'art. 1226 c.c. posto che detto articolo riguardava il criterio di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico conseguenti alla sua vetustà mentre le infiltrazioni in questione dovevano imputarsi a vizi costruttivi indebitamente tollerali dagli attori che non avevano agito nei confronti del costruttore.

Avverso la detta sentenza i soccombenti attori proponevano appello al quale resistevano tutti gli appellati.

Con sentenza 2/3/2005 la corte di appello di Roma, in accoglimento del gravame e in riforma del"impugnata decisione, condannava R. G., T.C.L., F.S. e il condominio a versare agli appellanti le somme per ciascun appellato determinate.

La corte di appello osservava: che il lastrico solare a livello e l'adiacente giardino svolgevano la funzione di copertura dei box del fabbricato per cui l'obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione gravava anche sui condomini proprietari dei box con ripartizione delle relativi spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c. non rilevando a tal fine la necessità, con gli interventi riparatori, del ripristino delle strutture preesistenti o della modifica o dell'integrazione in conseguenza dei vizi o della carenze costruttive originarie: che, come emergeva dalla c.t.u., le infiltrazioni non erano dovute a cattiva o negligente manutenzione imputabile ai proprietari del lastrico solare; che le opere eseguite dagli appellanti avevano in parte risolto il problema delle infiltrazioni in quanto finalizzate alla impermeabilizzazione ex novo del lastrico solare: che pertanto i proprietari dei box sottostanti il lastrico avevano l'obbligo di contribuire, in proporzione delle
rispettive quote, alle spese (determinate dal c.t.u. in L. 38.552.800) sostenute dagli appellanti secondo le disposizioni di cui all'art. 1226 c.c.; che quindi gli appellati andavano condannati al pagamento in favore degli appellati delle somme per ciascuno determinate sulla base delle rispettive quote millesimali; che il condominio andava condannato al pagamento in favore degli appellanti - per la spesa sostenuta per le mura perimetrali - di L. 1.300.00 previa detrazione della quota spettante agli stessi appellanti a norma dell'art. 1123 c.c..

La cassazione della sentenza della corte di appello di Roma è stata chiesta da R.G. e da T.C.L. con ricorso affidato a due motivi. C.B. e Ca.Lu. hanno resistito con controricorso ed hanno depositato memoria. Gli intimati F.S. e condominio di (OMISSIS) non hanno svolto attività difensiva in sede di legittimità.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso il R. e la T.C. denunciano violazione dell'art. 1134 c.c. deducendo che il C. e la Ca. hanno sostenuto spese per cose comuni senza la preventiva autorizzazione dell'amministratore o del condominio per cui il giudice di appello avrebbe dovuto far riferimento al citato art. 1134 c.c. e non agli artt. 1123 e 1126 che si riferiscono solo al criterio di ripartizione e presuppongono l'imputabilità della spesa ai condomini. La detta questione è stata affrontata nella comparsa di costituzione in primo grado per cui i condomini non sono tenuti a rimborsare una spesa decisa unilateralmente - e senza autorizzazione - da uno solo di essi.

La censura non può trovare accoglimento in quanto relativa ad una questione che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta (nè è stato dedotto dai ricorrenti) essere stata riproposta in appello, come pur sarebbe stato necessario, ex art. 346 c.p.c..

Al riguardo è sufficiente osservare che, come è noto, le domande proposte in via subordinata e ritenute assorbite dall'accoglimento della domanda principale, pur non necessitando di riproposizione attraverso una impugnazione incidentale, devono comunque essere richiamate in maniera esplicita in qualsiasi scritto del giudizio di secondo grado, entro l'udienza di precisazione delle conclusioni, pena l'effetto di tacita rinuncia sancito dall'art. 346 c.p.c.. Detto onere non risulta essere stato rispettato dai ricorrenti.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'articolo 1126 ex. e vizi di motivazione sostenendo che nella specie - come affermato dal giudice di primo grado - non è applicabile il detto articolo dovendosi attribuire la causa delle infiltrazioni non a "vetustà" ma a vizi costruttivi dell'immobile come peraltro ammesso dagli stessi attori nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado. Il C. e la Ca. sono quindi colpevoli per il mancato azionamento della garanzia prevista dalla legge nei confronti del costruttore e non possono far valere nei confronti degli altri condomini diritti che avrebbero dovuto far valere verso il costruttore. Nella sentenza impugnata tale fondamentale aspetto della controversia non risulta affrontato, nulla argomentandosi in merito alla questione dei vizi strutturali o di costruzione. La corte di appello non ha spiegato le ragioni per le quali, in contrasto con il tribunale, ha ritenuto imputabile ai C. la responsabilità per la mancala
eliminazione delle cause del danno conseguente alla indebita tolleranza manifestata in ordine a difetti originari di progettazione o di esecuzione di opera.

Anche questo motivo deve essere disatteso posto che la corte di appello ha fatto corretta applicazione dei seguenti principi più volte affermati nella giurisprudenza di legittimità:

- i singoli proprietari delle varie unità immobiliari comprese in un edificio condominiale, sono a norma dell'art. 1317 c.c., (salvo che risulti diversamente dal titolo) comproprietari delle parti comuni, tra le quali il lastrico solare, assumendone la custodia con il correlativo obbligo di manutenzione;

- il lastrico solare, anche se attribuito in uso esclusivo o di proprietà esclusiva di uno dei condomini, svolge funzione di copertura del fabbricato e perciò l'obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione, sempre che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condomino, grava su tutti i condomini, con ripartizione delle relative spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c.; di conseguenza il condominio risponde, quale custode ex art. 2051 c.c., dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico solare, non rilevando a tal fine che i necessari interventi riparatori o ricostruttivi non consistano in un mero ripristino delle strutture preesistenti, ma esigano una specifica modifica od integrazione in conseguenza di vizi o carenze costruttive originarie, salva in questo caso l'azione di rivalsa nei confronti del costruttore-venditore;

- in tema di condominio di edifici il lastrico solare - anche se attribuito in uso esclusivo, o di proprietà esclusiva di uno dei condomini - svolge funzione di copertura del fabbricato e perciò, l'obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione, sempre che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condomino, grava su tutti, con ripartizione delle spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c.. Ne consegue che il condominio, quale custode ex art. 205 c.c. - in persona dell'amministratore, rappresentante di tutti i condomini tenuti ad effettuare la manutenzione, ivi compreso il proprietario del lastrico o colui che ne ha l'uso esclusivo - risponde dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico solare. A tal fine i criteri di ripartizione delle spese necessarie non incidono sulla legittimazione dei condominio nella sua interezza e del suo amministratore, comunque tenuto a provvedere alla conservazione dei
diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio ai sensi dell'art. 1130 c.c..

- l'obbligo del singolo condomino di contribuire in misura proporzionale al valore della sua unità immobiliare alle spese necessarie per la manutenzione e riparazione delle parti comuni dell'edificio e alla rifusione dei danni subiti dai singoli condomini nelle loro unità immobiliari, a causa dell'omessa manutenzione o riparazione delle parti comuni, trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio e non nella specifica condotta illecita ad esso attribuibile, potendo tale condotta, ove provata, esclusivamente far sorgere a suo carico l'obbligo di risarcire il danno complessivamente prodotto ex art. 2043 c.c.. Tale principio trova applicazione anche quando i danni derivino da vizi e carenze costruttive dell'edificio, salva l'azione di rivalsa, ove possibile, nei confronti del costruttore.

- il lastrico solare anche se attribuito in uso esclusivo o di proprietà esclusiva di uno dei condomini, svolge funzione di copertura del fabbricato e perciò l'obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione, sempre che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condomino, grava su tutti i condomini, con ripartizione delle relative spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c. di conseguenza il condominio risponde, quale custode ex art. 2051 c.c. dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico solare non rilevando a tal fine che i necessari interventi riparatori o ricostruttivi non consistano in un mero ripristino delle strutture preesistenti, ma esigano una specifica modifica od integrazione in conseguenza di vizio carenze costruttive originarie.

La Corte d'appello ha puntualmente applicato al caso di specie i detti principi affrontando specificamente - al contrario di quanto dedotto dai ricorrenti nel motivo in esame - la diversa tesi fatta propria dal primo giudice e ritenuta infondata alla luce dei sopra riportati principi. La corte di merito ha peraltro evidenziato che, comunque, come chiarito dal c.t.u., le opere eseguite dai C. - Ca. avevano riguardato "la risoluzione delle problematiche infiltrative in quanto effettivamente finalizzate alla impermeabilizzazione ex nova del lastrico solare ed al conseguente ripristino dei luoghi senza introduzione di particolari innovazioni o miglioramenti rispetto allo stato ante operam se non l'abbattimento della vetustà dei materiali".

Da ciò l'infondatezza sotto tutti gli aspetti della censura in esame: del tutto insussistenti sono pertanto le asserite violazioni di legge e i lamentati vizi di motivazione.

Il ricorso va di conseguenza rigettato con la condanna dei soccombenti ricorrenti in solido al pagamento, in favore dei resistenti, delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore dei resistenti C.B. e C. L., delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 2.000.00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.

condominio Nuove costruzioni prive di parcheggi: l'acquirente ha diritto al risarcimento danni




COMUNIONE E CONDOMINIO
Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-01-2011, n. 346
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

I coniugi R.G., - S.T.; + ALTRI OMESSI convenivano avanti il Tribunale di Patti i germani A., B. e D. M.T..

Premettevano gli attori di avere acquistato, con separati atti, dai convenuti alcuni appartamenti, facenti parte dell'edificio da essi costruito in via (OMISSIS), in base al progetto approvato con le concessioni edilizie n. 103 e n. 104 del 7.8.1976; che tale progetto prevedeva, tra l'altro, la realizzazione di due parcheggi, di cui uno nel piano cantinato ed uno esterno, nonchè di un portico ad uso collettivo a piano terra; che i germani D., pur eseguendo le opere previste, ne avevano mutato la destinazione e in particolare avevano utilizzato come garage per alloggio di autovetture di terzi il parcheggio del piano cantinato ed avevano eliminato il portico edificandovi dei magazzini, omettendo, inoltre, di realizzare il parcheggio esterno ed eseguendo una sopra elevazione sull'ultimo terrazzo di copertura, con aggravamento delle parti comuni dell'edificio.

Gli attori premettevano ancora che, nei rispettivi atti di trasferimento, ad eccezione di quello stipulato con i coniugi R. - S., i convenuti avevano illegittimamente escluso dalla vendita ogni diritto sul piano cantinato, sul portico collettivo e sull'ultima copertura destinata a terrazza; che tali atti erano per questa parte nulli in quanto in contrasto con norme imperative e con il progetto approvato.

Premesso quanto sopra, gli attori chiedevano che i convenuti fossero condannati a cedere al giusto prezzo ed ai coniugi R. - S. gratuitamente, la quota di parcheggio loro spettante per legge, a ripristinare il portico collettivo, a trasferire ai predetti coniugi R. - S. il diritto all'ultima copertura- terrazzo, nonchè a risarcire i danni cagionati con la loro illegittima condotta.

Con successiva citazione, notificata il 14.1.1986 gli stessi attori, tranne Le.Ca., convenivano sempre avanti il Tribunale di Patti L.A., quale comproprietario del terreno su cui sorgeva l'edificio e venditore unitamente con i D., delle singole unità immobiliari, da essi acquistati proponendo le medesime domande.

Successivamente alla riunione delle due cause si costituivano i convenuti contestando le domande attrici e chiedendo, in via subordinata, riconvenzionalmente la condanna degli attori al pagamento del giusto prezzo per il parcheggio nonchè l'annullamento per errore del contratto stipulato con i coniugi R. - S..

Il Tribunale di Patti, con sentenza parziale n. 253/88, rigettava la domanda proposta da Le.Ca., quale procuratrice di D. V., nei confronti dei convenuti D. e dichiarava interamente compensate tra le parti le spese del giudizio;

dichiarava, inoltre, il diritto reale d'uso degli altri attori sugli spazi destinati a parcheggio, facenti parte del fabbricato di proprietà dei convenuti, con il diritto di questi ultimi ad ottenere l'integrazione del prezzo di vendita degli appartamenti venduti agli attori; dichiarava ancora ammissibile la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti nei confronti degli attori R.G. e S.T. e disponeva, infine, con separata ordinanza per il proseguo del giudizio, rinviando al definitivo per le spese del giudizio.

Avverso detta sentenza proponevano appello i convenuti e, i coniugi R. - S., anche appello incidentale.

Con sentenza n. 165 del 19.12.1991 la Corte di Appello di Messina rigettava l'appello incidentale proposto dai coniugi R. - S. e, in parziale accoglimento dell'appello principale proposto dai convenuti, condannava Le.Ca. al pagamento in favore dei germani D. e di L.A. delle spese del giudizio di primo grado e di quello di appello; condannava i coniugi R. - S. al pagamento in favore dei germani D. e di L.A. delle spese del giudizio, confermava nel resto la impugnata sentenza, condannando gli appellanti al pagamento in favore degli appellati delle spese del giudizio di appello.

Nel giudizio di primo grado, dopo la rimessione della causa sul ruolo, veniva disposta ed espletata CTU e depositata pure altra relazione integrativa a chiarimento dei quesiti sollevati dalle parti; mentre, prima che venisse dichiarata l'interruzione del giudizio, gli attori provvedevano a chiamare in causa gli eredi del convenuto L.A. (deceduto nelle more) rimasti contumaci.

Con sentenza 5/12/2002 l'adito tribunale rigettava la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti nei confronti dei coniugi R. - S. dichiarando valido in ogni sua parte il contratto notar Paternità 18/4/1980 riconoscendo perciò i coniugi comproprietari pro quota delle parti comuni.

Conseguentemente ordinava ai convenuti il ripristino del portico mediante l'eliminazione di tutte le opere che ne avevano alterato l'originaria destinazione come specificato dal c.t.u..

Ordinava ai convenuti di rilasciare le aree destinate a parcheggio relative al fabbricato sito in (OMISSIS) in favore dei coniugi R.G. e + ALTRI OMESSI secondo la relazione del C.T.U. ing. Be. e previo pagamento ai convenuti, a titolo di integrazione del prezzo di vendita dei singoli appartamenti da ciascuno di essi acquistato e a titolo di corrispettivo per il diritto reale d'uso sugli spazi destinati a parcheggio della complessiva somma di Euro 5.949,58 per ciascun posto auto scoperto ed Euro 7.139,50 per ciascun posto auto coperto, ad eccezione per i coniugi R. - S. cui il diritto andava riconosciuto senza corresponsione di corrispettivo.

Condannava, i convenuti a pagare a titolo di risarcimento danni per il mancato uso del posto macchina per tutti gli attori e, per i coniugi R. - S., anche per il mancato godimento delle parti comuni nonchè, ai sensi dell'art. 1127 c.c., tutte le somme come per ciascuno indicate in motivazione, tenuto conto delle compensazioni tra i vari crediti da ciascuna parte vantati.

Condannava i convenuti alle spese del giudizio.

Avverso la detta sentenza i D. - L. proponevano appello al quale resistevano gli appellati.

Con sentenza 6/3/2007 la corte di appello di Messina, in parziale riforma dell'impugnata decisione, dichiarava che nessuna somma era dovuta dai D. - L. a titolo di risarcimento danni per la mancata disponibilità del posto macchina, tranne per i coniugi S. - R.. Osservava la corte di merito: che, secondo gli appellanti, gli attori non avevano ancora pagato l'integrazione del prezzo per cui non avevano diritto al risarcimento del danno; che tale doglianza era fondata dovendosi distinguere la titolarità del diritto in questione (da riconoscere al momento della compravendita dell'immobile) dal concreto godimento dello stesso esercitabile solo dopo il pagamento del prezzo sullo spazio parcheggio e ciò in applicazione del principio del sinallagma contrattuale non potendosi riconoscere nei contratti a prestazioni corrispettive il godimento di un diritto senza il pagamento del corrispettivo; che nella specie il prezzo fissato nel contratto di compravendita non poteva riferirsi allo spazio
parcheggio escluso dal contratto; che gli appellanti, con la lettera 21/3/1985, si erano dichiarati disposti a vendere ai prezzi correnti il posto macchina senza ricevere alcuna risposta; che pertanto, il diritto di godimento sul bene parcheggio andava disconosciuto sino al momento del pagamento del prezzo per cui il danno lamentato andava ritenuto insussistente; che, in relazione alla posizione dei coniugi S. - R., gli appellanti avevano impugnato la sentenza per la parte che aveva riguardato il riconoscimento gratuito del loro diritto al posto macchina, all'uso del portico e alla proprietà della copertura destinata a terrazzo;

che, secondo gli appellanti, il tribunale aveva errato per aver ritenuto che tutte le pattuizioni contenute nel preliminare - nel quale era stato precisato che le zone previste in progetto ad uso collettivo restavano di pertinenza esclusiva del proprietario - fossero state modificate ed annullate con la stipula dell'atto pubblico nel quale era detto che "con l'appartamento vengono vendute pro quota le parti condominiali dell'edificio come per legge e compreso il diritto di stendere la biancheria sulla terrazza di copertura dell'intero edificio nella zona a ciò destinata dai venditori"; che, a dire degli appellanti, si trattava di una clausola equivoca e generica e di stile per cui l'interpretazione della stessa andava fatta collegandosi al contenuto del preliminare; che peraltro i D. - L. avevano sostenuto che i portici, la terrazza ed il posto macchina non dovevano considerarsi di proprietà comune, ma di esclusiva proprietà di essi appellanti risultando ciò dal titolo, ossia dal
preliminare, mentre l'atto pubblico costituiva un adempimento parziale delle obbligazioni convenute nel preliminare;

che, invece, al contrario di quanto sostenuto dagli appellanti, i contraenti, sottoscrivendo il contratto definitivo contenente la clausola relativa al trasferimento pro quota in favore dei coniugi acquirenti delle parti condominiali, avevano inteso realizzare detto trasferimento provvedendo a regolare i loro interessi in modo diverso da come avevano fatto con il preliminare; che, al fine di stabilire la sussistenza o meno di un titolo contrario alla presunzione di comunione stabilita dall'art. 1117 c.c., bisognava fare riferimento all'atto costitutivo del condominio e al contratto di vendita del (OMISSIS) nel quale il diritto dei coniugi acquirenti non era stato escluso; che il riferimento al regolamento condominiale non era pertinente e, in ogni caso, nel regolamento predisposto nel 1998 il piano cantinato, il portico e la terrazza risultavano inclusi tra le parti condominiali posto che all'art. 1 era precisato che rientravano tra le parti comuni tutto quanto era da considerarsi
comune ex art. 1117 c.c.; che pertanto bene aveva fatto il tribunale ad escludere l'integrazione del prezzo già pagato in quanto quello corrisposto doveva considerarsi comprensivo dei corrispettivo per il trasferimento della proprietà pro quota del parcheggio; che dal riconoscimento del diritto di comproprietà sulle parti comuni discendeva l'infondatezza delle doglianze relative alla conseguente statuizione di ripristino, risarcimento danni e di pagamento dell'indennità ex art. 1127 c.c.; che la previsione del diritto di stendere la biancheria nella zona del terrazzo a ciò destinata dai venditori andava intesa come una limitazione, accettata dai compratori, delle più ampie facoltà comprese nel diritto di proprietà; che gli appellanti andavano condannati al pagamento in favore dei coniugi R. - S. delle spese del giudizio di secondo grado; che le spese tra gli appellanti e gli altri appellati andavano compensate per la metà ponendosi l'altra metà a carico degli appellanti.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Messina è stata chiesta - con ricorso affidato a tre motivi - da D. A., + ALTRI OMESSI .

Hanno resistito con controricorso S.T. (in proprio e quale erede di R.G. parte del giudizio di secondo grado), + ALTRI OMESSI . I resistenti (ad eccezione di S.T.) hanno proposto ricorso incidentale sorretto da un solo motivo. I D. - L. hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memorie. All'udienza dei 27/4/2010 questa Corte - rilevato che non risultava depositato l'atto di pubblica/ione del testamento di D.B. - ha disposto l'integrazione del contraddittorio mediante notifica del ricorso principale agli eredi di D.B.. I ricorrenti hanno tempestivamente notificato e depositato il ricorso agli eredi di D.B. risultanti dalla allegata copia del verbale di pubblicazione del testamento del D..
Motivi della decisione

Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti a norma dell'art. 335 c.p.c..

Con il secondo motivo del ricorso principale (il primo motivo va esaminato dopo gli altri riguardando le spese del giudizio tra i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali con l'esclusione dei coniugi R. - S.) i D. - L. denunciano violazione degli artt. 1117, 1322, 1362 e seg. e 2932 c.c., nonchè vizi di motivazione, deducendo che dal principio richiamato dalla corte di appello inerente la diversa regolamentazione degli interessi tra preliminare e definitivo non discende la conseguenza inerente l'individuazione di un titolo contrario alla presunzione di condominialità. Le due questioni operano su piani diversi. Con riguardo ai rapporti tra preliminare e definitivo la corte di appello avrebbe dovuto fare applicazione del principio secondo il quale, nell'ipotesi in cui il contratto definitivo non esaurisca gli obblighi a contrarre previsti nel preliminare, occorre accertare la volontà negoziale delle parti valutando tra l'altro il contenuto di detto preliminare. Nella specie
è stata omessa l'indagine circa la volontà delle parti. La corte di merito ha errato nel ritenere che tutte le pattuizioni contenute nel preliminare fossero modificate ed annullate con la stipula del contratto definitivo. In particolare numerosi patti contenuti nel preliminare (nel dettaglio indicati) non sono stati estinti ed assorbiti con il definitivo in virtù della clausola di stile contenuta in detto definitivo e riportata nella sentenza impugnata. L'analitica disciplina contenuta nel preliminare non è stata riprodotta nel definitivo: tra i due contratti non vi è quindi sovrapposizione per incompatibilità delle clausole in quanto l'inclusione o l'esclusione di alcune parti dell'edificio dalla comunione condominiale non è stata affrontata dalla generica clausola di stile contenuta nel definitivo, clausola che, per ricostruire la volontà dei contraenti, andava interpretata ricollegandosi al contenuto del preliminare. Inoltre è errato il riferimento esclusivo all'art. 1117
c.c. posto che la presunzione di cui a detto articolo non si estende ai portici ed al cantinato. Al fine di risolvere il problema della condominialità dei detti beni va fatto riferimento all'atto costitutivo del condominio ed al regolamento di condominio. Con il primo - atto di permuta 2/7/1979 - è stato escluso qualsiasi diritto dell'acquirente al cantinato, al piano terreno (portico) ed "alla terrazza, riconoscendosi solo il diritto di stenditoio su 60 mq. di terrazzo. Il titolo contiene quindi una regolamentazione che supera la presunzione di cui all'art. 1117 c.c.. Anche l'art. 1 del regolamento condominiale - correttamente interpretato - e le carature millesimali inducono a desumere l'esclusione dei portici e del cantinato dai beni condominiali. Avendo accettato il regolamento di condominio i coniugi R. - S. non potevano essere considerati proprietari pro quota di beni non inclusi tra i tra le parti comuni. La comproprietà pro quota del terrazzo deve poi essere esclusa dalla
stessa formulazione della clausola contrattuale in base alla corretta interpretazione alla luce del canone di cui all'art. 1362 c.c., comma 1.

Al termine del motivo i ricorrenti hanno formulato i conseguenti, conferenti e coerenti quesiti di diritto ed hanno indicato il fatto controverso in relazione al quale hanno denunciato il vizio di motivazione.

Il motivo è fondato nei sensi e nei limiti di seguito precisati.

Occorre innanzitutto osservare che - come sopra ampiamente riportato nella parte narrativa che precede - con l'atto di appello i D. - L. censurarono la sentenza di primo grado sostenendo che la generica ed equivoca clausola contenuta nel definitivo (testualmente trascritta nella sentenza impugnata e sopra ripetuta) andava interpretata ricollegandosi al contenuto del contratto preliminare nel quale le parti avevano precisato che i portici la terrazza ed il posto macchina non dovevano considerarsi di proprietà comune ma di esclusiva proprietà dei promittenti alienanti.

La detta tesi difensiva degli appellanti è stata ritenuta infondata dalla corte di merito la quale ha affermato che con il contratto definitivo - contenente la detta clausola - le parti avevano inteso regolare i loro interessi in modo diverso da come fatto - con il preliminare. La corte di appello ha anche aggiunto che nella specie non sussistevano titoli contrari alla presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c. atteso che il diritto dei coniugi R. - S. sui beni comuni non era stato escluso nel contratto definitivo e che per ritenere il contrario non era pertinente il richiamo al regolamento condominiale ed alle tabelle millesimali.

Ciò posto rileva la Corte che il punto centrale della controversia tra i D. - L. ed i coniugi R. - S. debba essere individuato nell'interpretazione del contratto definitivo e, in particolare e principalmente, nella più volte menzionata clausola definita dai ricorrenti principali "equivoca, generica e di stile".

Al riguardo la motivazione sviluppata nella sentenza impugnata a sostegno della interpretazione data alla clausola non si sottrae alle critiche che sono state mosse dai ricorrenti principali nel motivo in esame.

In proposito va evidenziato che se è vero che nella giurisprudenza di legittimità è prevalente il principio - applicato dalla corte di appello - secondo cui, una volta adempiuto l'obbligo nascente dal preliminare medesimo e stipulato, quindi, il contratto definitivo, è solo a quest'ultimo che occorre far riferimento quale fonte dei diritti e degli obblighi contrattuali: al contratto preliminare va riconosciuta la funzione di obbligare reciprocamente le parti alla stipulazione del contratto definitivo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva.

E' del pari vero, però che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, il detto principio non può trovare applicazione nell'ipotesi in cui il contratto definitivo non esaurisca gli obblighi a contrarre previsti nel preliminare, occorrendo in tal caso accertare la volontà negoziale delle parti valutando tra l'altro il contenuto di detto preliminare (nei sensi suddetti sentenza 9/7/1999 n. 7206 relativa ad una fattispecie analoga a quella in esame).

Nella specie nessuna indagine risulta essere stata svolta dalla corte di appello al fine di accertare l'avvenuto o il non avvenuto esaurimento degli obblighi a contrarre specificati nel preliminare.

La corte di appello ha interpretato la volontà negoziale delle parti richiamando semplicisticamente la menzionata clausola senza tener conto del detto orientamento giurisprudenziale e senza far alcun riferimento al contenuto del contratto preliminare come invece sarebbe stato necessario al fine di accertare l'effettiva volontà delle parti anche in ordine alla esatta identificazione dell'oggetto del contratto definitivo ed alla intenzione dei contraenti di apportare rilevanti e consistenti modifiche a quanto concordato nel contratto preliminare ed ivi analiticamente e dettagliatamente specificato. In particolare, tra l'altro, la corte territoriale - come dedotto dai ricorrenti principali - nell'interpretare il contratto definitivo e la più volte menzionata clausola: non ha considerato che al contratto definitivo era stata allegata la planimetria solo dell'appartamento e non dell'edificio con l'indicazione delle parti comuni; non ha fatto alcun cenno alla situazione dei luoghi con
riferimento alle parti in questione (portico, terrazzo, spazi destinati a parcheggio) al momento della stesura del definitivo; non ha indicato il prezzo concordato dalle parti nel contratto preliminare e quello pattuito nel contratto definitivo (spiegando il perchè dell'eventuale mancata modifica di tale prezzo malgrado la rilevante differenza dell'oggetto dei due contratti).

Va aggiunto che la corte di appello - nell'interpretare la citata clausola contenuta nel contratto definitivo concernente la vendita pro quota, con l'appartamento, delle "parti condominiali dell'edificio come per legge....." con particolare riferimento al posto macchina, al portico e alla copertura destinata a terrazza - non ha tenuto conto dei seguenti principi più volte affermati da questa Corte:

- la presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c. postula la destinazione delle cose elencate in tale norma al godimento o al servizio del condominio, mentre viene meno allorchè si tratti di un bene dotato di propria autonomia ed indipendenza e pertanto non legato ad una destinazione di servizio rispetto all'edificio condominiale, in quanto, non trattandosi di presunzione assoluta, essa rimane vinta dalla destinazione particolare cosi come da un titolo contrario (sentenza 7/7/2003 n. 10700);

- il diritto di condominio sulle parti comuni dell'edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l'esistenza dell'edificio stesso, ovvero che siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune. Di tali parti, l'art. 1117 c.c. contiene un'elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa, con la conseguenza che la disposizione in parola può essere integrata "ab estrinseco" se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno, in questi casi, il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacchè la destinazione particolare del bene prevale sull'attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario (sentenza 28/2/2007 n. 4787);

- nel condominio, caratterizzato dalla coesistenza nell'edificio di una pluralità di piani o porzioni di piano di proprietà esclusiva, l'attribuzione della proprietà comune sancita dall'art. 1117 c.c. trova fondamento nel collegamento strumentale ed accessorio fra le cose, i servizi e gli impianti indicati dalla norma citata e le unità immobiliari appartenenti ai. singoli proprietari, giacchè presupposto della comunione è che i beni indicati dall'art. 1117 c.c. per caratteri materiali e funzionali, siano necessari per l'esistenza e l'uso delle singole proprietà ovvero siano oggettivamente destinati in modo stabile al servizio e al godimento collettivo (sentenza 29/11/2004 n. 22408);

- in tema di condominio, le parti comuni di un edificio formano oggetto di un compossesso pro indiviso che si esercita diversamente a seconda che le cose, gli impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle singole unità immobiliari, a cui sono collegati materialmente o per destinazione funzionale (come ad esempio per suolo, fondazioni, muri maestri, facciata, tetti, lastrici solari, oggettivamente utili per la statica), oppure siano utili soggettivamente, sicchè la loro unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipenda dall'attività dei rispettivi proprietari (come ad esempio per scale, portoni, anditi, portici, stenditoi, ascensore, impianti centralizzati per l'acqua calda o per aria condizionata); pertanto, nel primo caso l'esercizio del possesso consiste nel beneficio che il piano o la porzione di piano - e soltanto per traslato il proprietario - trae da tali utilità, nel secondo caso nell'espletamento della predetta attività da parte
del proprietario (sentenza 28/4/2004 n. 8119).

Il giudice di appello, pur se tra le parti sussisteva contestazione in ordine alla natura condominiale o meno del portico, del terrazzo e dei posti auto ed alla destinazione oggettiva e permanente di tali beni (per ubicazione e struttura) a servizio di tutti i condomini o di uno solo, ha ritenuto tali beni compresi tra le parti comuni dell'edificio condominiale sulla base della riportata clausola del contratto definitivo trascurando del tutto l'indagine sulla destinazione effettiva dei beni in questione con riferimento alle deduzioni ed alle allegazioni degli appellanti e non svolgendo quindi in proposito alcuna valutazione.

Tale carenza assume rilievo - sia in relazione all'interpretazione della volontà negoziale secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e seg. c.c., sia in relazione all'art. 1117 c.c., - alla luce dell'orientamento consolidato di questa Corte secondo cui la presunzione di cui all'art. 1117 c.c. postula la destinazione delle cose elencate in tale norma al godimento od al servizio del condominio, mentre viene meno allorchè si tratti di un bene dotato di propria autonomia ed indipendenza e pertanto non legato da una destinazione di servizio rispetto all'edificio condominiale.

Va inoltre segnalata la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha prima dichiarato che non era pertinente il richiamo al regolamento condominiale ed alle tabelle millesimali ed ha poi affermato che nel regolamento condominiale (predisposto del 1998, ossia ben oltre il contratto definitivo del 1980) "il piano cantinato, il portico e la terrazza" risultavano inclusi tra le parti condominiali. Peraltro la corte di appello è pervenuta a tale conclusione in virtù di una del tutto immotivata interpretazione dell'art. 1 del regolamento condominiale omettendo di riportare il contenuto di tale articolo e senza far alcun riferimento in ordine all'approvazione del regolamento da parte di tutti i condomini e, in particolare, dei coniugi R. - S..

Analogamente nella sentenza impugnata, pur affermandosi - come sopra riportato - che "al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione stabilita dall'art. 1117 c.c. occorre far riferimento all'atto costitutivo di condominio e al contratto di vendita", non si fornisce alcun chiarimento in ordine al contenuto dell'atto costitutivo del condominio.

Dall'accoglimento del secondo motivo del ricorso principale discente logicamente l'assorbimento del terzo con il quale i D. - L. denunziano vizio di omessa pronunzia, vizio di violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alle statuizioni, con cui la corte d'appello, avendo ritenuto sussistente il diritto di comproprietà pro - quota spettante ai coniugi R. - S. sia sugli spazi (piano cantinato e spazio esterno) destinati a parcheggio dell'edificio condominiale sito in via (OMISSIS) sia sulle parti comuni di detto edificio non escluse dalla vendita (portico ad uso collettivo a piano terra e terrazzo di copertura), ha disatteso le doglianze sollevate da essi D. - L. in ordine al riconoscimento in favore dei citati coniugi R. - S.: del diritto sugli spazi-parcheggio senza pagamento di integrazione del corrispettivo; del diritto al risarcimento del danno conseguente al mancato godimento degli stessi spazi-parcheggio; del diritto al risarcimento del danno conseguente al mancato
godimento delle altre parti comuni dell'edificio non escluse dalla vendita (portico ad suo collettivo a piano terra e terrazzo di copertura); infine del diritto al ripristino del portico a piano terra secondo la destinazione originaria prevista in progetto (portico ad uso collettivo).

Infatti dalla sopra rilevata fondatezza del secondo motivo del ricorso principale deriva inevitabilmente l'assorbimento del terzo motivo poichè la corte d'appello, che ha pronunziato sul merito delle questioni inerenti la sussistenza o meno dei diritti di godimento e di risarcimento del danno spettanti ai coniugi R. - S. con riferimento agli spazi - parcheggio ed alle altre parti comuni, ha conseguentemente confermato la sentenza di primo grado concernenti le statuizioni "di ripristino, di risarcimento danno e di pagamento dell'indennità ex art. 1127 c.c." basate sul riconoscimento del diritto di comproprietà dei coniugi R. - S. sulle parti comuni in questione. Di tali questioni si dovrà occupare il giudice del rinvio dopo aver proceduto ad interpretare il contratto definitivo stipulato dalle parti e dopo aver riconosciuto o meno (all'esito di detta operazione ermeneutica) in capo agli acquirenti coniugi R. - S. il diritto di proprietà pro quota dei beni in contestazione.

Con l'unico motivo del ricorso incidentale i resistenti (ad eccezione di S.T.) hanno denunciato violazione dell'art. 872 c.c. - formulando il connesso quesito di diritto - deducendo che la corte di appello ha scisso i due momenti dell'acquisto del diritto reale sul posto macchina (individuato alla data della stipula del contratto di compravendita) e del concreto godimento di tale posto macchina (indicato all'atto del "pagamento del prezzo sullo spazio parcheggio"). Tale pronuncia viola il citato art. 872 c.c. il cui comma 2 prevede una fattispecie obbligatoria di risarcimento danni che trova applicazione anche nel caso di elusione del vincolo di destinazione delle aree destinate a parcheggio. Pertanto il venditore che non trasferisce al compratore il diritto reale d'uso sullo spazio destinato a parcheggio viola la normativa urbanistica andando incontro alla responsabilità risarcitoria prevista dalla menzionata norma. L'importo da liquidare al detto titolo va determinato con
decorrenza dalla data di stipula del contratto di compra vendita avente ad oggetto l'appartamento cui il posto macchina è destinato a servire. La corte di appello non ha considerato il principio secondo cui il sinallagma contrattuale nei contratti di compravendita di unità immobiliari con relativo posto macchina opera nel senso che gli effetti legali, dipendenti dalla inderogabilità del vincolo di destinazione urbanistica gravante sugli spazi parcheggi, si producono in egual misura per le parti contrattuali: il compratore acquista ex lege il diritto reale d'uso sulla spazio destinato a parcheggio, il venditore ha diritto ex lege all'integrazione del prezzo. Peraltro il riconoscimento in via giudiziaria del diritto reale d'uso sullo spazio destinato a parcheggio, sorgendo ex lege al momento del trasferimento dell'unità immobiliare, non può essere condizionato o subordinato all'accertamento giudiziale dell'integrazione del corrispettivo che può essere anche successivo ed
indipendente dal detto riconoscimento. Al termine del motivo i ricorrenti hanno formulato il seguente quesito di diritto:

"Dica la Suprema Corte se dal presupposto che il trasferimento del diritto reale d'uso sullo spazio destinato a parcheggio è un effetto reale ex lege del contratto di compravendita e sorge al momento della stipula di detto contratto discende la conseguenza che appunto già al momento della stipula del contratto di compravendita nasce per il condomino la facoltà di esercitare il diritto reale d'uso sullo spazio destinato a parcheggio dell'edificio condominiale, servendosi del posto - macchina di sua pertinenza, cosicchè già dallo stesso momento della stipula del contratto definitivo di compravendita viene a sussistere il danno, che scaturisce dalla lesione del detto diritto reale d'uso".

Il motivo è manifestamente fondato.

Innanzitutto va rilevato che, al contrario di quanto eccepito in via preliminare dai D. - L. nel controricorso al ricorso incidentale, correttamente i ricorrenti incidentali hanno fatto riferimento all'art. 872 c.c. ed a riguardo è appena il caso di osservare che, conformemente a quanto in proposito questa Corte ha avuto modo di affermare, l'esecuzione del contratto nullo per violazione della norma imperativa urbanistica della L. n. 765 del 1967, art. 18, essendo elusiva del vincolo di destinazione al quale è sottoposta l'area di parcheggio, è causa di danno ingiusto, risarcibile ai sensi dell'art. 872 c.c., comma 2, per coloro che di questa non abbiano potuto fare uso pur avendone il diritto (in tali sensi, tra le tante, sentenze 29/7/2008 n. 20563; 4/2/2000 n. 1248;

27/12/1994 n. 11188).

Ciò posto va evidenziato che la corte di appello si è posta in netto ed insanabile contrasto con i seguenti principi più volte affermati nella giurisprudenza di legittimità e che il Collegio condivide e fa propri:

- in tema di spazi riservati a parcheggio secondo quanto prescrive, per le nuove costruzioni, la L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 18, il riconoscimento in via giudiziaria del diritto dei proprietari acquirenti degli appartamenti dell'immobile di usufruire dell'area di parcheggio nonostante la riserva di proprietà a favore dell'alienante, originario proprietario dell'edificio, non presuppone nè è condizionato al previo accordo sulla misura della integrazione del corrispettivo della vendita degli appartamenti, nè all'accertamento giudiziale di tale integrazione, che può essere anche successivo ed indipendente dal predetto riconoscimento (sentenza 28/5/1993 n. 5979);

- in tema di contratto di compravendita di immobili cui sia stata illegittimamente sottratta la superficie destinata "ex lege" ad area di parcheggio, l'integrazione del contratto di compravendita parzialmente nullo - che si attua mediante il riconoscimento del diritto d'uso in favore dell'acquirente, ed il corrispondente riconoscimento del diritto al corrispettivo in favore dell'alienante - avviene, quanto, in particolare, al riconoscimento del corrispettivo, "ope legis" quanto all"an", ed "ope iudicis" con riferimento al "quantum" (ove sorga contestazione sul soggetto titolare dell'attribuzione ovvero sull'ammontare della liquidazione), con la conseguenza che, in quest'ultimo caso, il riequilibrio "ope iudicis" del corrispettivo originariamente pattuito ben può avvenire in un separato giudizio (sentenza 18/4/2000 n. 4977);

- in tema di aree destinate a parcheggio interne o circostanti ai fabbricati, e in presenza de vincolo di natura pubblicistica imposto dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies - che riserva l'uso diretto dei relativi spazi alle persone che stabilmente occupano le singole unità immobiliari dei fabbricati di nuova costruzione - deve escludersi che solo l'offerta del corrispettivo da parte dell'acquirente ai venditore determini l'obbligo di quest'ultimo di cedere il compossesso delle aree in questione. Nessuna traccia, infatti, esiste nella norma "de qua", di un preteso obbligo dell'acquirente di attivarsi offrendo un corrispettivo per la cessione, quale condizione per l'insorgenza dell'obbligo in capo al venditore di consentire il diritto di uso di cui si tratta (sentenza citata 29/7/2008 n. 20563).

E' quindi errata la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la sussistenza di un danno per il mancato godimento dello spazio destinato a parcheggio "sino a quando non sarà corrisposta la relativa integrazione del prezzo".

In accoglimento dell'unico motivo del ricorso incidentale la sentenza impugnata va cassata sul punto in questione dovendosi dare, riposta affermativa al quesito di diritto formulato dai ricorrenti incidentali e sopra riportato.

Dall'accoglimento del ricorso incidentale deriva l'assorbimento del primo motivo del ricorso principale che riguarda il governo delle spese del giudizio tra i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali con l'esclusione dei coniugi R. - S.. Di tale questione si dovrà occupare il giudice del rinvio dopo aver riesaminato la controversia tra le dette parti applicando il principio di diritto sopra enunciato.

In definitiva vanno accolti il secondo motivo del ricorso principale e l'unico motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del primo e del terzo motivo del ricorso principale. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla corte di appello di Catania che procederà ad un nuovo esame tenendo conto dei rilievi sopra svolti, uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati e provvedendo a colmare le evidenziate carenze, lacune e incongruità di motivazione.
P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi, accoglie il secondo motivo del ricorso principale e l'unico motivo del ricorso incidentale, assorbito il primo e il terzo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Catania.

condominio Piantare alberi da frutta rientra nel legittimo uso del giardino condominiale


Cass. civ. Sez. II, Sent., 09-02-2011, n. 3188
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

1. - Con atto di citazione notificato il 10 dicembre 1992, i coniugi G.S. e M.P., proprietari di un appartamento facente parte di una palazzina realizzata dallo IACP di Bari in (OMISSIS) di cui erano in precedenza assegna tari, convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trani, Mu.

P. e B.F. nonchè M., + ALTRI OMESSI per sentirli condannare al ripristino dello stato dei luoghi oltre che al risarcimento del danno.

Lamentavano che i convenuti, proprietari di altre unità immobiliari nello stesso edificio, avevano arbitrariamente suddiviso in quattro parti l'area pertinenziale della palazzina condominiale, piantando nella parte riservata ad ognuno alberi da frutto e fiori.

Costituitisi in giudizio, i convenuti eccepivano che la suddivisione dell'area pertinenziale dell'edificio era stata fatta in base ad un accordo unanime intervenuto con gli stessi attori più di trent'anni prima ed in via riconvenzionale chiesero la condanna di costoro alla medesima rimozione di quanto anche loro avevano del pari fatto in forza di detto accordo.

2. - L'adito Tribunale, ritenuta l'illegittimità di quanto realizzato dalle parti in causa e rilevata l'inesistenza del danno lamentato dagli attori, ne rigettò l'istanza risarcitoria ed accolse per il resto la domanda principale nonchè quella riconvenzionale e condannò sia i convenuti che gli stessi coniugi G. - M. alla rimozione di tutto quanto realizzato nell'area pertinenziale in questione.

3. - La Corte d'appello di Bari, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 30 novembre 2005, ha accolto il gravame proposto da Mu.Pa., + ALTRI OMESSI e, per l'effetto, ha accolto "la domanda di questi ultimi limitatamente alla condanna degli appellanti alla rimozione della rete metallica con i sottostanti blocchetti di tufo di recinzione", dichiarando interamente compensate le spese del grado.

3.1. - La Corte territoriale ha premesso che costituisce un dato pacifico in causa che la suddivisione del giardino di pertinenza della palazzina in cui si trovano gli appartamenti dei contendenti rinviene il suo titolo nell'accordo unanime al riguardo intervenuto tra costoro.

Ha quindi rilevato, da un lato, la piena legittimità del menzionato accordo per ciò che concerne la piantagione degli alberi da frutta e dei fiori, e, dall'altro, l'invalidità del medesimo in ordine alla suddivisione di tale bene in quattro quote riservate esclusivamente a ciascuno dei titolari delle singole unità abitative della palazzina.

Mentre, infatti, la piantagione degli alberi e dei fiori rappresenta un uso conforme alla destinazione del giardino, l'operata, suddivisione, precludendo il pari uso degli altri comunisti ed attuando la costituzione di un diritto dominicale esclusivo su ciascuna delle zone riservate individualmente ai condividenti, "si scontra, per un verso, con il ... limite alla possibilità di godimento del bene comune da parte di ciascun partecipante alla comunione o al condominio e, per l'altro verso, con la necessità dell'atto solenne per la divisione del medesimo". 4. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello M. P. ved. G. ha proposto ricorso, sulla base di due motivi.

Il ricorso è stato notificato a Mu.Pa., + ALTRI OMESSI il 4 gennaio 2007, e - a seguito di ordinanza interlocutoria di questa Corte in esito alla camera di consiglio del 15 gennaio 2010, con cui è stata disposta l'integrazione del contraddittorio - a G.L., + ALTRI OMESSI il (OMISSIS).

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione

1. - Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell'art. 1102 cod. civ. e degli artt. 113, 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3) la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia escluso, dalla restituito in integrino dell'area comune, piantagioni e/o sovrastrutture impiantate al di fuori di un regolamento condominiale; e pone la questione "se, nel diritto di godimento di cui all'art. 1102 c.c., comma 1, di un'area pertinenziale non destinata a giardino, possa essere fatta rientrare l'unilaterale trasformazione a giardino operata da un partecipante nel dissenso degli altri con l'installazione di sovrastrutture mobili o immobili o di alberi e piante e se, in relazione al secondo comma della detta norma, tale comportamento non si risolva in danno degli altri partecipanti alla comunione o al condominio e non costituisca atto idoneo a mutare il titolo di possesso sulla cosa comune".

Il secondo mezzo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, violazione degli artt. 113, 115 e 116 cod. proc. civ. e art. 1117 c.c., comma 1, n. 1), in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Ad avviso della ricorrente, non vi sarebbe traccia della destinazione a giardino dell'area pertinenziale in questione negli atti di causa, poichè l'area adiacente al fabbricato è identificata, negli atti di acquisto della proprietà, come suolo di pertinenza, senza ulteriore qualifica; inoltre, "l'allocazione, fatta dai singoli condomini, di piantagioni in un atrio comune, senza il consenso di tutte le parti", comporterebbe "l'illegittima divisione dell'atrio parte comune del fabbricato". Di qui il quesito se "possa ritenersi adeguata e corretta la motivazione che attribuisce soggettivamente all'area pertinenziale de qua la qualificazione di giardino e se non si risolva in violazione dell'art. 1117 cod. civ. il riferimento della motivazione a detta norma quale elemento
giustificante la soggettiva individuazione come giardino dell'area pertinenziale de qua in mancanza del consenso degli altri condomini e nel dissenso di uno di loro". 2. - I due motivi - i quali, stante la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente - sono infondati.

La Corte d'appello ha accertato: (a) che il suolo comune di pertinenza del fabbricato condominiale di via (OMISSIS) ha una destinazione a giardino; (b) che la piantagione, in esso, di alberi da frutta e di fiori trova il suo titolo nell'accordo unanime intervenute tra i proprietari delle singole unità abitative facenti parte del condominio; (c) che la piantagione delle essenze arboree e floreali è avvenuta in concreto in modo del tutto compatibile con la destinazione dell'area ed il godimento della medesima da parte di tutti (essendo illegittima esclusivamente la delimitazione delle singole zone del giardino comune attraverso la posa in opera di sbarramenti).

Le censure svolte dalla ricorrente muovono dalla constatazione in fatto del risultato degli accertamenti compiuti, con logico e motivato apprezzamento, dalla Corte territoriale, sul rilievo che l'area pertinenziale de qua non avrebbe una vocazione a giardino e che la destinazione sarebbe frutto di una unilaterale trasformazione, operata da un partecipante nel dissenso degli altri.

In realtà, la critica mossa sul punto appare inadeguata.

Invero, per negare che l'area comune in questione abbia una destinazione a giardino, nel motivo ci si limita a riportare l'atto di acquisto, da parte della ricorrente, della proprietà dell'appartamento facente parte della palazzina, nel quale sono indicate le parti comuni indivise, senz'altra specificazione della loro destinazione. Inoltre, non si indicano quali risultanze probatorie la Corte d'appello avrebbe male o insufficientemente valutato nel pervenire al convincimento della rispondenza della piantagione di alberi e fiori all'accordo di tutti i condomini.

Ciò posto, in tema di condominio, il potere del singolo condomino di servirsi della cosa comune incontra un duplice limite, consistente, l'uno, nel rispetto della destinazione del bene comune, che non può essere alterata dal singolo partecipante alla comunione; l'altro, nel divieto di frapporre impedimenti "agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto" (art. 1102).

Nella specie la Corte d'appello è giunta alla conclusione - argomentata ed immune da vizi logici e giuridici - che la piantagione delle essenze arboree e floreali è avvenuta in modo del tutto compatibile non solo con la destinazione dell'area, ma anche con il diritto di tutti gli altri condomini di farne parimenti uso.

Si tratta di un giudizio di fatto che, proprio in quanto adeguatamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità (Cass., Sez. 2^, 10 marzo 1981, n. 1336; Cass., Sez. 2^, 13 marzo 1982, n. 1624; Cass., Sez. 2^, 19 gennaio 2005, n. 1072).

3. - Il ricorso è rigettato.

Nessuna statuizione deve essere adottata sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

investigatori privati e vigilantes In G.U. norme e requisiti in vigore dal 16 marzo 2011



circolazione stradale Autovelox nei centri urbani: fuori legge se non collocati in strade a scorrimento veloce (link diretto al sito dell'autore)

Il legale non è obbligato a rispondere all'Ordine Nessuna sanzione disciplinare per l'avvocato che non risponde alle richieste di chiarimento.

  

> Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 28-02-2011, n. 4773
> Fatto Diritto P.Q.M.
> Svolgimento del processo
>
> Con decisione del 26 settembre 2008 il Consiglio dell'ordine degli
> avvocati di Pistoia ha irrogato all'avvocato P.A. la sanzione disciplinare
> della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per quattro
> mesi, dichiarandola responsabile di 1) "non avere fornito al Presidente
> del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Pistoia, che ne aveva fatto
> espressa richiesta con lettera inviata il 28 maggio 2007, le proprie
> deduzioni in relazione all'esposto presentato da L.P. violando con tale
> comportamento l'art. 24, n. 2 del Codice Deontologico, nonchè i doveri di
> correttezza e diligenza con cui l'avvocato deve svolgere la propria
> attività professionale sanciti dagli artt. 6 e 7 del Codice
> Deontologico"; - 2a) "avere agito in giudizio in ma la fede atteso che la
> sig.ra I.F. non era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato per la
> causa poi effettivamente promossa (azione per condanna al pagamento di
> Euro 400.000,00 quale corrispettivo di una compravendita"; - 2b) "avere
> utilizzato il provvedimento di ainmissione al patrocinio a spese dello
> Stato concesso per promuovere una causa di risarcimento danni per
> responsabilità professionale ed illecita gestione di conti correnti
> bancari contro soggetto diverso da quelli poi convenuti in giudizio,
> avendo con tale condotta violato i doveri di lealtà, correttezza e
> diligenza di cui agli artt. 6 e 8 del Codice Deontologico, con grave danno
> per l'assistita conseguente alla revoca dell'ammissione al gratuito
> patrocinio"; 3a) "avere assunto la carica di Amministratore Unico della
> società Arcadia International Service S.r.l. dal 4/3/2004 all'11/1/2007
> violando il R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 3, che prevede l'incompatibilità
> fra la carica di amministratore di una società e l'esercizio della
> professione forense"; 3b) "non avere fornito al Consiglio dell'Ordine i
> chiarimenti richiesti in relazione alla propria posizione nell'ambito
> della società Arcadia International Service S.r.l. nonostante la espressa
> richiesta contenuta nella lettera 3/1/2008 del Presidente del Consiglio
> dell'Ordine".
>
> Impugnato dall'avvocato P.A., il provvedimento è stato confermato dal
> Consiglio nazionale forense, che con decisione del 12 maggio 2010 ha
> rigettato il gravame.
>
> L'avvocato P.A. ha proposto ricorso per cassazione, in base a cinque
> motivi. Il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Pistoia non ha svolto
> attività difensive nel giudizio di legittimità.
> Motivi della decisione
>
> Con il primo e il secondo motivo di ricorso l'avvocato P.A. formula una
> stessa censura, con riferimento rispettivamente ai fatti di cui ai capi di
> incolpazione 1) e 3b): sostiene che la mancata (o incompleta) risposta
> alle richieste di chiarimenti rivoltele a proposito dei due esposti
> presentati nei suoi confronti è stata erroneamente qualificata dal
> Consiglio nazionale forense come violazione dell'art. 24 dei codice
> deontologico.
>
> La doglianza deve essere accolta.
>
> La norma citata dispone:
>
> "L'avvocato ha il dovere di collaborare con il Consiglio dell'Ordine di
> appartenenza, o con altro che ne faccia richiesta, per l'attuazione delle
> finalità istituzionali osservando scrupolosamente il dovere di verità. A
> tal fine ogni iscritto è tenuto a riferire al Consiglio fatti a sua
> conoscenza relativi alla vita forense o alla amministrazione della
> giustizia, che richiedano iniziative o interventi collegiali.
>
> 1. Nell'ambito di un procedimento disciplinare, la mancata risposta
> dell'iscritto agli addebiti comunicatigli e la mancata presentazione di
> osservazioni e difese non costituisce illecito disciplinare, pur potendo
> tali comportamenti essere valutati dall'organo giudicante nella formazione
> del proprio libero convincimento". 2. Qualora il Consiglio dell'Ordine
> richieda all'iscritto chiarimenti, notizie o adempimenti in relazione ad
> un esposto presentato da una parte o da un collega tendente ad ottenere
> notizie o adempimenti nell'interesse dello stesso reclamante, la mancata
> sollecita risposta dell'iscritto costituisce illecito disciplinare".
>
> Il Consiglio nazionale forense ha ritenuto che il secondo capoverso sia
> applicabile anche nell'ipotesi in cui i chiarimenti, le notizie o gli
> adempimenti vengano richiesti all'iscritto, come nella specie,
> relativamente a un esposto presentato nei confronti di lui stesso e
> attinente a fatti in cui sia ravvisabile un illecito disciplinare: è
> pervenuto a tale conclusione osservando che dopo l'apertura di un
> procedimento disciplinare "il dovere di collaborare ... trova un limite
> nel diritto di difesa, che è prevalente costituendo un diritto
> costituzionalmente garantito", mentre nella fase preliminare, "che trova
> la fonte nel diritto vivente formatosi nella giurisprudenza disciplinare",
> l'avvocato "da un lato ha l'obbligo (oltre al diritto) di chiarire il suo
> comportamento nei confronti dei reclamante, e dall'altro ha il dovere di
> fornire al Consiglio, investito con l'esposto del dovere di valutare la
> sussistenza delle condizioni per aprire un procedimento, elementi che
> consentano ad
> esso il pieno e corretto esercizio delle sue funzioni istituzionali che
> tutelano prioritariamente un interesse pubblico".
>
> La tesi non è condivisibile.
>
> Nella stessa decisione impugnata si riconosce che una fase preliminare del
> procedimento disciplinare "non è prevista dalla legge". In effetti, il
> R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 47, espressamente include nell'ambito
> dei "procedimenti disciplinari che siano stati iniziati" il momento della
> raccolta delle "opportune informazioni", dei "documenti... necessari" e
> delle "deduzioni che... pervengano dall'incolpato e dal pubblico
> ministero". L'istruzione predibattimentale non è dunque una fase
> precedente ed esterna al procedimento, nella quale l'avvocato sia tenuto,
> "osservando scrupolosamente il dovere di verità", a dare "sollecita
> risposta" a richieste di "chiarimenti, notizie o adempimenti" in ordine a
> fatti che possono comportare una sua responsabilità disciplinare. Così
> intesa, la norma in esame contrasterebbe con la regola, basilare del
> diritto processuale in ogni campo, del nemo tenetur cantra se edere, che è
> espressione del diritto di difesa costituzionalmente garantito e
> prevale quindi sull'esigenza del "pieno e corretto esercizio delle...
> funzioni istituzionali" dei Consigli degli ordini degli avvocati. Il
> secondo capoverso dell'art. 24 del codice deontologico forense deve
> pertanto essere interpretato - come il suo tenore testuale consente - nel
> senso che sanziona la mancata risposta dell'avvocato alla richiesta del
> Consiglio dell'ordine relativa a un esposto presentato nei confronti di un
> altro iscritto.
>
> Il principio da enunciare è dunque: "Non costituisce l'illecito
> disciplinare sanzionato dal secondo capoverso dell'art. 24 del codice
> deontologico forense la mancata risposta dell'avvocato alla richiesta del
> Consiglio dell'ordine di chiarimenti, notizie o adempimenti in relazione a
> un esposto presentato, per fatti disciplinarmente rilevanti, nei confronti
> dello stesso iscritto".
>
> Il terzo motivo di impugnazione attiene al fatto di cui al capo di
> incolpazione 3a): secondo la ricorrente l'assunzione da parte sua della
> qualità di amministratore unico della s.r.l. Arcadia International Service
> non è avvenuta in violazione del divieto sancito dal R.D.L. 27 novembre
> 1933, n. 1578, art. 3, convertito con L. 22 gennaio 1934, n. 36, poichè la
> società era "formalmente e di fatto inattiva" e "nessuna attività di
> gestione era stata posta in essere" dall'avvocato P.A..
>
> L'assunto va disatteso.
>
> La decisione impugnata, sul punto, è coerente con la giurisprudenza di
> questa Corte in materia (Cass. s.u. 5 gennaio 2007 n. 37), la quale è
> orientata nel senso che l'incompatibilità di cui si tratta è configurabile
> "laddove l'avvocato assuma la carica di presidente del consiglio di
> amministrazione e/o di amministratore delegato di società commerciale con
> attribuzione, in forza di norme di legge o di statuto, di concreti ed
> effettivi poteri di gestione o di rappresentanza", indipendentemente
> quindi dalla circostanza che la società non svolga attività e che i poteri
> suddetti non vengano di fatto esercitati. Da questo indirizzo non vi è
> ragione di discostarsi, poichè la non operatività, come correttamente ha
> osservato il Consiglio nazionale forense, è "una condizione effimera,
> priva di stabilità anche perchè soggetta a condizioni di mercato, che non
> priva la società della sua qualità di impresa, nè la sottrae agli
> adempimenti e ai controlli previsti dalla legge, ed è
> pertanto meramente contingente".
>
> Il quarto e il quinto motivo di ricorso attengono all'unitario addebito,
> articolato nei capi di incolpazione 2a) e 2b), di aver proposto una
> domanda diversa da quella per la quale la cliente I.F. era stata ammessa
> al patrocinio a spese dello Stato e di avere conseguentemente agito in
> giudizio in mala fede, con danno per l'assistita consistito nella revoca
> dei beneficio.
>
> In primo luogo viene contestata la ricostruzione, compiuta dal Consiglio
> nazionale forense, delle vicende successive alla revoca del mandato e alla
> nomina di un altro difensore: le negligenze in cui l'avvocato P.A. sarebbe
> incorsa, per essersi disinteressata del corso ulteriore del giudizio.
>
> Si tratta di deduzioni inconferenti, poichè riguardano considerazioni
> svolte bensì dal giudice a quo, ma non pertinenti al fatto che
> specificamente aveva formato oggetto di incolpazione e del quale la
> ricorrente è stata dichiarata responsabile; considerazioni quindi
> ultronee, che non risulta abbiano influito sulla scelta della specie e
> della misura della sanzione inflitta, le quali comunque dovranno essere di
> nuovo determinate nel giudizio di rinvio, tenendo conto soltanto dei fatti
> come erano stati addebitati all'avvocato P.A..
>
> Con riguardo alla diversità tra la domanda effettivamente proposta (nei
> confronti degli acquirenti di un immobile di I.F., per ottenere il
> pagamento del prezzo) e quella cui si riferiva l'ammissione al patrocinio
> a spese dello Stato (nei confronti del commercialista della stessa I., per
> ottenere il risarcimento dei danni conseguenti all'appropriazione degli
> assegni emessi dai compratori del bene e consegnati al professionista), la
> ricorrente sostiene che ingiustificamente il Consiglio nazionale forense
> ha disconosciuto che l'azione, come esercitata, corrispondeva
> all'interesse e all'intento della parte.
>
> La doglianza è infondata.
>
> L'asserita maggiore utilità e convenienza, per la cliente, della domanda
> di adempimento contrattuale in luogo di quella di risarcimento, non
> esclude la scorrettezza dell'aver utilizzato il patrocinio a spese dello
> Stato per promuovere un giudizio del tutto diverso, per causa petendi,
> petitum e personae, da quello per il quale era stato rilasciato il
> provvedimento di ammissione: di "risarcimento danni per responsabilità
> professionale e illecita gestione di c/c bancari".
>
> Accolti pertanto i primi due motivi di ricorso e rigettati gli altri, la
> decisione impugnata va cassata con rinvio al Consiglio nazionale forense.
>
> Le spese del giudizio di cassazione vengono compensate tra le parti, in
> considerazione del solo parziale accoglimento del ricorso.
> P.Q.M.
>
> La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso; rigetta gli altri;
>
> cassa la decisione impugnata; rinvia la causa al Consiglio nazionale
> forense; compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
>

Sequestro di pagine su internet: cosa bisogna sapere (link diretto al sito dell'autore)

"Per i poliziotti pochi mezzi e paghe tagliate"



martedì 1 marzo 2011

SICUREZZA MONTAGNA: ACCORDO FRA POLIZIA ITALIANA E POLACCA PREVEDE FORMAZIONE NEL SERVIZIO DI CONTROLLO SU PISTE DA SCI



SICUREZZA MONTAGNA: ACCORDO FRA POLIZIA ITALIANA E POLACCA
PREVEDE FORMAZIONE NEL SERVIZIO DI CONTROLLO SU PISTE DA SCI
(ANSA) - TRENTO, 1 MAR - Un accordo di cooperazione formativa
per il Servizio di sicurezza in montagna sulle piste da sci e'
stato siglato fra la Polizia italiana e la Polizia nazionale
polacca.
Il memorandum d'intesa e' stato firmato al Centro
addestramento alpino di Moena (Trento) dal capo della Polizia e
direttore generale della pubblica sicurezza, Antonio Manganelli,
e dal comandante in capo della Polizia nazionale della
Repubblica di Polonia, Andrzej Matejuk.
Questa collaborazione, avviata gia' nel 2006 grazie al
progetto della Comunita' europea ''Leonardo Da Vinci'' -
sottolinea l'ufficio di gabinetto della questura di Trento - ha
dato la possibilita' di formare 40 operatori della Polizia
polacca gia' impiegati nel loro Paese, nell'omologo Servizio di
sicurezza e soccorso in montagna sulle piste da sci. L'accordo
permettera' quindi di mantenere, aggiornare e migliorare
l'attivita' formativa in corso. (ANSA).

XDO/VNN
01-MAR-11 17:22 NNNN