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mercoledì 2 marzo 2011

Il legale non è obbligato a rispondere all'Ordine Nessuna sanzione disciplinare per l'avvocato che non risponde alle richieste di chiarimento.

  

> Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 28-02-2011, n. 4773
> Fatto Diritto P.Q.M.
> Svolgimento del processo
>
> Con decisione del 26 settembre 2008 il Consiglio dell'ordine degli
> avvocati di Pistoia ha irrogato all'avvocato P.A. la sanzione disciplinare
> della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per quattro
> mesi, dichiarandola responsabile di 1) "non avere fornito al Presidente
> del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Pistoia, che ne aveva fatto
> espressa richiesta con lettera inviata il 28 maggio 2007, le proprie
> deduzioni in relazione all'esposto presentato da L.P. violando con tale
> comportamento l'art. 24, n. 2 del Codice Deontologico, nonchè i doveri di
> correttezza e diligenza con cui l'avvocato deve svolgere la propria
> attività professionale sanciti dagli artt. 6 e 7 del Codice
> Deontologico"; - 2a) "avere agito in giudizio in ma la fede atteso che la
> sig.ra I.F. non era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato per la
> causa poi effettivamente promossa (azione per condanna al pagamento di
> Euro 400.000,00 quale corrispettivo di una compravendita"; - 2b) "avere
> utilizzato il provvedimento di ainmissione al patrocinio a spese dello
> Stato concesso per promuovere una causa di risarcimento danni per
> responsabilità professionale ed illecita gestione di conti correnti
> bancari contro soggetto diverso da quelli poi convenuti in giudizio,
> avendo con tale condotta violato i doveri di lealtà, correttezza e
> diligenza di cui agli artt. 6 e 8 del Codice Deontologico, con grave danno
> per l'assistita conseguente alla revoca dell'ammissione al gratuito
> patrocinio"; 3a) "avere assunto la carica di Amministratore Unico della
> società Arcadia International Service S.r.l. dal 4/3/2004 all'11/1/2007
> violando il R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 3, che prevede l'incompatibilità
> fra la carica di amministratore di una società e l'esercizio della
> professione forense"; 3b) "non avere fornito al Consiglio dell'Ordine i
> chiarimenti richiesti in relazione alla propria posizione nell'ambito
> della società Arcadia International Service S.r.l. nonostante la espressa
> richiesta contenuta nella lettera 3/1/2008 del Presidente del Consiglio
> dell'Ordine".
>
> Impugnato dall'avvocato P.A., il provvedimento è stato confermato dal
> Consiglio nazionale forense, che con decisione del 12 maggio 2010 ha
> rigettato il gravame.
>
> L'avvocato P.A. ha proposto ricorso per cassazione, in base a cinque
> motivi. Il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Pistoia non ha svolto
> attività difensive nel giudizio di legittimità.
> Motivi della decisione
>
> Con il primo e il secondo motivo di ricorso l'avvocato P.A. formula una
> stessa censura, con riferimento rispettivamente ai fatti di cui ai capi di
> incolpazione 1) e 3b): sostiene che la mancata (o incompleta) risposta
> alle richieste di chiarimenti rivoltele a proposito dei due esposti
> presentati nei suoi confronti è stata erroneamente qualificata dal
> Consiglio nazionale forense come violazione dell'art. 24 dei codice
> deontologico.
>
> La doglianza deve essere accolta.
>
> La norma citata dispone:
>
> "L'avvocato ha il dovere di collaborare con il Consiglio dell'Ordine di
> appartenenza, o con altro che ne faccia richiesta, per l'attuazione delle
> finalità istituzionali osservando scrupolosamente il dovere di verità. A
> tal fine ogni iscritto è tenuto a riferire al Consiglio fatti a sua
> conoscenza relativi alla vita forense o alla amministrazione della
> giustizia, che richiedano iniziative o interventi collegiali.
>
> 1. Nell'ambito di un procedimento disciplinare, la mancata risposta
> dell'iscritto agli addebiti comunicatigli e la mancata presentazione di
> osservazioni e difese non costituisce illecito disciplinare, pur potendo
> tali comportamenti essere valutati dall'organo giudicante nella formazione
> del proprio libero convincimento". 2. Qualora il Consiglio dell'Ordine
> richieda all'iscritto chiarimenti, notizie o adempimenti in relazione ad
> un esposto presentato da una parte o da un collega tendente ad ottenere
> notizie o adempimenti nell'interesse dello stesso reclamante, la mancata
> sollecita risposta dell'iscritto costituisce illecito disciplinare".
>
> Il Consiglio nazionale forense ha ritenuto che il secondo capoverso sia
> applicabile anche nell'ipotesi in cui i chiarimenti, le notizie o gli
> adempimenti vengano richiesti all'iscritto, come nella specie,
> relativamente a un esposto presentato nei confronti di lui stesso e
> attinente a fatti in cui sia ravvisabile un illecito disciplinare: è
> pervenuto a tale conclusione osservando che dopo l'apertura di un
> procedimento disciplinare "il dovere di collaborare ... trova un limite
> nel diritto di difesa, che è prevalente costituendo un diritto
> costituzionalmente garantito", mentre nella fase preliminare, "che trova
> la fonte nel diritto vivente formatosi nella giurisprudenza disciplinare",
> l'avvocato "da un lato ha l'obbligo (oltre al diritto) di chiarire il suo
> comportamento nei confronti dei reclamante, e dall'altro ha il dovere di
> fornire al Consiglio, investito con l'esposto del dovere di valutare la
> sussistenza delle condizioni per aprire un procedimento, elementi che
> consentano ad
> esso il pieno e corretto esercizio delle sue funzioni istituzionali che
> tutelano prioritariamente un interesse pubblico".
>
> La tesi non è condivisibile.
>
> Nella stessa decisione impugnata si riconosce che una fase preliminare del
> procedimento disciplinare "non è prevista dalla legge". In effetti, il
> R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 47, espressamente include nell'ambito
> dei "procedimenti disciplinari che siano stati iniziati" il momento della
> raccolta delle "opportune informazioni", dei "documenti... necessari" e
> delle "deduzioni che... pervengano dall'incolpato e dal pubblico
> ministero". L'istruzione predibattimentale non è dunque una fase
> precedente ed esterna al procedimento, nella quale l'avvocato sia tenuto,
> "osservando scrupolosamente il dovere di verità", a dare "sollecita
> risposta" a richieste di "chiarimenti, notizie o adempimenti" in ordine a
> fatti che possono comportare una sua responsabilità disciplinare. Così
> intesa, la norma in esame contrasterebbe con la regola, basilare del
> diritto processuale in ogni campo, del nemo tenetur cantra se edere, che è
> espressione del diritto di difesa costituzionalmente garantito e
> prevale quindi sull'esigenza del "pieno e corretto esercizio delle...
> funzioni istituzionali" dei Consigli degli ordini degli avvocati. Il
> secondo capoverso dell'art. 24 del codice deontologico forense deve
> pertanto essere interpretato - come il suo tenore testuale consente - nel
> senso che sanziona la mancata risposta dell'avvocato alla richiesta del
> Consiglio dell'ordine relativa a un esposto presentato nei confronti di un
> altro iscritto.
>
> Il principio da enunciare è dunque: "Non costituisce l'illecito
> disciplinare sanzionato dal secondo capoverso dell'art. 24 del codice
> deontologico forense la mancata risposta dell'avvocato alla richiesta del
> Consiglio dell'ordine di chiarimenti, notizie o adempimenti in relazione a
> un esposto presentato, per fatti disciplinarmente rilevanti, nei confronti
> dello stesso iscritto".
>
> Il terzo motivo di impugnazione attiene al fatto di cui al capo di
> incolpazione 3a): secondo la ricorrente l'assunzione da parte sua della
> qualità di amministratore unico della s.r.l. Arcadia International Service
> non è avvenuta in violazione del divieto sancito dal R.D.L. 27 novembre
> 1933, n. 1578, art. 3, convertito con L. 22 gennaio 1934, n. 36, poichè la
> società era "formalmente e di fatto inattiva" e "nessuna attività di
> gestione era stata posta in essere" dall'avvocato P.A..
>
> L'assunto va disatteso.
>
> La decisione impugnata, sul punto, è coerente con la giurisprudenza di
> questa Corte in materia (Cass. s.u. 5 gennaio 2007 n. 37), la quale è
> orientata nel senso che l'incompatibilità di cui si tratta è configurabile
> "laddove l'avvocato assuma la carica di presidente del consiglio di
> amministrazione e/o di amministratore delegato di società commerciale con
> attribuzione, in forza di norme di legge o di statuto, di concreti ed
> effettivi poteri di gestione o di rappresentanza", indipendentemente
> quindi dalla circostanza che la società non svolga attività e che i poteri
> suddetti non vengano di fatto esercitati. Da questo indirizzo non vi è
> ragione di discostarsi, poichè la non operatività, come correttamente ha
> osservato il Consiglio nazionale forense, è "una condizione effimera,
> priva di stabilità anche perchè soggetta a condizioni di mercato, che non
> priva la società della sua qualità di impresa, nè la sottrae agli
> adempimenti e ai controlli previsti dalla legge, ed è
> pertanto meramente contingente".
>
> Il quarto e il quinto motivo di ricorso attengono all'unitario addebito,
> articolato nei capi di incolpazione 2a) e 2b), di aver proposto una
> domanda diversa da quella per la quale la cliente I.F. era stata ammessa
> al patrocinio a spese dello Stato e di avere conseguentemente agito in
> giudizio in mala fede, con danno per l'assistita consistito nella revoca
> dei beneficio.
>
> In primo luogo viene contestata la ricostruzione, compiuta dal Consiglio
> nazionale forense, delle vicende successive alla revoca del mandato e alla
> nomina di un altro difensore: le negligenze in cui l'avvocato P.A. sarebbe
> incorsa, per essersi disinteressata del corso ulteriore del giudizio.
>
> Si tratta di deduzioni inconferenti, poichè riguardano considerazioni
> svolte bensì dal giudice a quo, ma non pertinenti al fatto che
> specificamente aveva formato oggetto di incolpazione e del quale la
> ricorrente è stata dichiarata responsabile; considerazioni quindi
> ultronee, che non risulta abbiano influito sulla scelta della specie e
> della misura della sanzione inflitta, le quali comunque dovranno essere di
> nuovo determinate nel giudizio di rinvio, tenendo conto soltanto dei fatti
> come erano stati addebitati all'avvocato P.A..
>
> Con riguardo alla diversità tra la domanda effettivamente proposta (nei
> confronti degli acquirenti di un immobile di I.F., per ottenere il
> pagamento del prezzo) e quella cui si riferiva l'ammissione al patrocinio
> a spese dello Stato (nei confronti del commercialista della stessa I., per
> ottenere il risarcimento dei danni conseguenti all'appropriazione degli
> assegni emessi dai compratori del bene e consegnati al professionista), la
> ricorrente sostiene che ingiustificamente il Consiglio nazionale forense
> ha disconosciuto che l'azione, come esercitata, corrispondeva
> all'interesse e all'intento della parte.
>
> La doglianza è infondata.
>
> L'asserita maggiore utilità e convenienza, per la cliente, della domanda
> di adempimento contrattuale in luogo di quella di risarcimento, non
> esclude la scorrettezza dell'aver utilizzato il patrocinio a spese dello
> Stato per promuovere un giudizio del tutto diverso, per causa petendi,
> petitum e personae, da quello per il quale era stato rilasciato il
> provvedimento di ammissione: di "risarcimento danni per responsabilità
> professionale e illecita gestione di c/c bancari".
>
> Accolti pertanto i primi due motivi di ricorso e rigettati gli altri, la
> decisione impugnata va cassata con rinvio al Consiglio nazionale forense.
>
> Le spese del giudizio di cassazione vengono compensate tra le parti, in
> considerazione del solo parziale accoglimento del ricorso.
> P.Q.M.
>
> La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso; rigetta gli altri;
>
> cassa la decisione impugnata; rinvia la causa al Consiglio nazionale
> forense; compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
>

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