IMPIEGO ALLE DIPENDENZE DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - ILLEGITTIMA DESTITUZIONE DALL'INCARICO - RESPONSABILITA' DELL'ENTE PER IL RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE DERIVANTE DALLA PRIVAZIONE DELLE MANSIONI
Il dott. G. A. -
inizialmente sospeso, poi dichiarato decaduto ed infine destituito
dall'impiego di primario incaricato del reparto di cardiochirurgia
infantile con provvedimenti del consiglio di amministrazione
dell'Ospedale (omissis) emessi tra il 1976 ed il 1977, e reintegrato in
servizio nel 1984 a seguito dell'annullamento di tali provvedimenti da
parte del giudice amministrativo - convenne in giudizio, con citazione
del 1987, il Comune e la Usl (omissis) e successivamente anche la
(omissis), chiedendone la condanna al risarcimento del danno, in cinque
miliardi di lire, conseguente all'assenza coatta dal servizio,
protrattasi per otto anni, danni che indicò nella perdita della
possibilità di partecipare a concorsi, di operare, di clientela e di
offerte di insegnamento universitario, nella caduta dell'immagine
professionale, nel venir meno di inviti a congressi.
Resistendo
i convenuti, con sentenza 451/93 l'adito Tribunale di Massa,
riconosciuta la legittimazione passiva della (omissis) e della Usl,
rigettò tuttavia la domanda per difetto di prova del dolo o colpa degli
amministratori pubblici che avevano emesso i provvedimenti poi
annullati.
La decisione fu confermata dalla Corte
di appello, ma la pronuncia fu cassata con rinvio da questa C. S.
(sentenza 9700/97), che affermò il principio che la p.a. è tenuta a
risarcire i danni cagionati a privati con provvedimenti poi dichiarati
illegittimi.
La causa fu riassunta dall'A., nel
1998 nei confronti della Regione (omissis) e della Asl (omissis),
nonché, ma solo per le spese di lite, del Comune di Massa.
Con
la sentenza, ora gravata, il giudice del rinvio, esclusa la
legittimazione passiva - così qualificata - dell'Azienda Usl (omissis)
ha condannato la sola Regione (omissis) quale successore nelle
obbligazioni della cessata Usl (omissis) al risarcimento del danno
liquidato in lire 350.000.000 oltre accessori, ed ha condannato l'A. al
pagamento delle spese processuali nei confronti della predetta Azienda
Per
quanto ancora interessa la Corte ha osservato che, non essendo stati
provati, e neppure prospettati, fatti configurabili come reati, non si
poneva il problema della rifusione di danni non patrimoniali; gran parte
del danno emergente, riferibile alle obbligazioni nascenti dal rapporto
di pubblico impiego, risultava già refuso a seguito di transazione per
la lesione dei diritti della personalità era equa la somma di lire 350
milioni tenuto conto della seria "ferita" alla fama ed all'immagine del
cardiochirurgo ma anche della circostanza che i provvedimenti
amministrativi sopra indicati erano stati annullati non per riconosciuta
inesistenza o falsità degli addebiti, ma solo per difetto di
motivazione, tanto che la Corte dei conti aveva mandato assolti gli
amministratori ospedalieri dell'epoca dagli addebiti oggetto del
relativo giudizio di responsabilità; mancavano prove adeguate del lucro
cessante; l'A. aveva bensì perduto la possibilità di partecipare a
concorsi, e tuttavia, per quanto concerne lo stesso ospedale (omissis),
egli, dopo la riammissione in servizio, era stato messo in condizione di
concorrere ma aveva presentato la domanda fuori termine mentre nulla
indicava un suo interesse a ricoprire posti presso altri ospedali; alla
stregua della sentenza 1712/95 delle Sezioni Unite, la rivalutazione
della somma liquidata decorreva dalla data del fatto illecito,
determinata nel 1984, mentre gli interessi, nella misura del 6%, erano
dovuti sulle somme annualmente risultanti in dipendenza della
rivalutazione Istat, con cadenza annuale a decorrere dalla data
suddetta.
Per la cassazione di tale decisione l'A.
ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, cui l'Asl e la Regione
resistono con distinti controricorsi. Quest'ultima ha contestualmente
proposto ricorso incidentale. Il Comune non ha svolto attività difensiva
il ricorrente principale ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I
due ricorsi, iscritti con numeri di ruolo diversi, devono essere
riuniti (art. 335 c.p.c.) perché investono la medesima sentenza. Il
ricorso incidentale - il cui esame dovrebbe precedere quello del ricorso
principale perché ha ad oggetto una questione, la titolarità passiva
del rapporto dedotto in giudizio, logicamente antecedente le censure
elevate dal ricorrente principale in ordine alla liquidazione del danno
ed alle spese - è inammissibile.
La Regione
(omissis), controricorrente e ricorrente incidentale, risulta infatti
rappresentata e difesa come da mandato in calce al ricorso notificato e,
dunque, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,
irritualmente, mancando la certezza dell'effettivo rilascio del mandato
in data anteriore o coeva alla notificazione dell'atto (da ultimo, Cass.
nn. 4991, 7432 e 7998 del 2002); tale modalità di conferimento resta
tuttavia valida ai soli fini della costituzione della parte e della
avvenuta partecipazione del difensore alla discussione, partecipazione
che peraltro non consente il riesame di tale questione in difetto di
valido ricorso incidentale. La Corte del merito ha negato all'A. il
risarcimento del danno non patrimoniale con il rilievo che non era stata
provata e neppure prospettata "l'insorgenza di fatti configurabili come
reato" punto della decisione investito dal primo motivo del ricorso
principale, con il quale il ricorrente deduce la violazione dell'art.
2043 c.c. osservando che egli aveva denunciato la lesione del valore
della propria persona in senso soggettivo, del proprio personalissimo
diritto alla identità personale ed alla dignità, tutelato dall'art. 2
Cost., e richiamando poi, in memoria, la sentenza n. 8828 del 2003 di
questa Corte suprema. La censura è fondata. Nel decidere come sopra alla
stregua del dato ritenuto assorbente, della non configurabilità di
ipotesi di reato a carico degli amministratori pubblici autori degli
atti amministrativi poi annullati e dai quali è derivato il danno posto a
fondamento della domanda, la Corte territoriale ha tuttavia, e sia pure
solo implicitamente, ritenuto sussistente il danno in questione.
Ciò,
del tutto legittimamente, avendo questa Corte Suprema affermato
(sentenza n. 10 del 2002) che la negazione o l'impedimento allo
svolgimento delle mansioni al pari del demansionamento professionale,
ridondano in lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione
della personalità del lavoratore anche nel luogo di lavoro determinando
un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione
dell'interessato (vedansi anche Cass., sez. lavoro, nn. 8835/91,
13299/92 11727/99, 14443/00, 12553/03): affermazioni dalle quali la
stessa Corte ha talora tratto che il danno cagionato dalla lesione di
tale diritto è risarcibile anche se esso è di natura non patrimoniale
(Cass. n. 1026/97; Cass. n. 10/02, già citata, ha precisato che
l'affermazione di un valore superiore della professionalità direttamente
collegato a un diritto fondamentale del lavoratore e costituente
sostanzialmente un bene a carattere immateriale in qualche modo supera e
integra la precedente affermazione che la mortificazione della
professionalità del lavoratore potesse dar luogo a risarcimento solo ove
fosse stata fornita la prova dell'effettiva sussistenza di un danno
patrimoniale).
Sul piano generale, deve rilevarsi
che danno patrimoniale e danno non patrimoniale furono disciplinati dal
legislatore del 1942 rispettivamente agli artt. 2043 e 2059 c.c., norma,
quest'ultima, che limitò il risarcimento ai soli "casi determinati
dalla legge": lettera della legge che ha indotto la Corte territoriale a
negare nella specie il chiesto risarcimento. Il quadro normativo è,
però, successivamente e profondamente mutato: l'art. 2 della
Costituzione, di ispirazione democratica e liberale, riconosce e
garantisce infatti i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo che
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità mentre diverse
norme ordinarie (ad esempio l'art. 2 legge n. 89 del 2001 sul mancato
rispetto del termine ragionevole di durata del processo) assicurano il
risarcimento del danno non patrimoniale oltre la previsione degli artt.
185 c.p. e 89 c.p.c. cui il citato art. 2059 si riferisce.
Sono
queste - unitamente agli interventi della Corte costituzionale, ad
esempio in materia di danno biologico - le ragioni per le quali di
recente (sentenza n. 8828 del 2003) questa stessa Corte ha affermato,
interpretando l'art. 2059 c.c. in senso conforme alle norme
costituzionali, ad esso sovraordinate, che il danno non patrimoniale,
che detta disposizione contempla, comprende oltre al danno morale
soggettivo anche ogni ipotesi in cui si verifichi un'ingiusta lesione di
un valore inerente alla persona costituzionalmente garantito, dalla
quale derivino effetti dannosi insuscettibili di valutazione economica
senza che sia necessario che tale lesione configuri reato. Tali
affermazioni devono essere condivise. Come questa C. S. ebbe a rilevare
(sent. n. 3563 del 1996), peraltro in tema di danno biologico, esso è
immanente al fatto illecito lesivo dell'integrità biopsichica del
danneggiato, a differenza delle conseguenze patrimoniali derivanti dalla
stessa lesione, trascendenti lo stesso fatto.
Tali
rilievi devono essere estesi dalla tutela del diritto alla salute alla
lesione di ogni altro valore inerente alla persona, costituzionalmente
garantito, e comportano pertanto il risarcimento del danno relativo,
indipendentemente dai riflessi patrimoniali della stessa lesione, che
costituiscono una voce di danno eventuale, autonoma ed aggiuntiva. Nella
specie il ricorrente allega la violazione non dell'art. 2059 c.c. ma
dell'art. 2043 c.c.: profilo, peraltro, non ostativo all'accoglimento
del motivo, decisiva in tal senso essendo la prospettazione di un danno
non patrimoniale. Sul punto, l'impugnata sentenza deve pertanto essere
cassata, con rinvio ad altro giudice che riesaminerà il corrispondente
motivo d'appello attenendosi a tali criteri. Con il secondo motivo il
ricorrente censura la quantificazione in lire 350 milioni del
risarcimento del danno patrimoniale all'immagine sia all'interno che
all'esterno della struttura ospedaliera, quantificazione che afferma
viziata nella motivazione.
Il motivo è infondato.
Trattasi, infatti, di liquidazione equitativa, compiuta dalla Corte
territoriale alla stregua della notorietà del danneggiato e della
condotta dei danneggianti, condotta che la stessa Corte ha valutato con
riferimento all'annullamento solo per vizi di motivazione dei
provvedimenti da essi adottati e l'assoluzione da ogni addebito di
responsabilità amministrativa, pronunciata dalla Corte dei conti.
Diversamente
da quanto preteso dal ricorrente, in tali affermazioni non è
ravvisabile alcun vizio logico o giuridico, non senza rilevare che lo
stesso ricorrente sollecita nella sostanza il riesame, inammissibile in
questa sede di legittimità, della entità del danno subito e della
corrispondente traduzione pecuniaria. Fondato è invece il terzo motivo,
con il quale il ricorrente afferma che la decorrenza di interessi e
rivalutazione doveva datare dal 1976, in cui fu allontanato dal
servizio, e non dal 1984, come invece stabilito in sentenza. Il fatto
illecito, a carattere permanente, ebbe infatti a verificarsi appunto nel
1976 e si protrasse fino al 1984 - anno della riammissione in servizio
-, donde la manifesta erroneità, sul punto, della decisione.
La
stessa Corte ha negato il risarcimento del lucro cessante con il
rilievo che, sebbene fosse astrattamente ipotizzabile, esso non era
stato però provato dall'A. con consistenti elementi dimostrativi di
un'apprezzabile diminuzione reddituale in dipendenza dei fatti di cui è
causa, ed in particolare ha affermato che egli, dopo la riammissione in
servizio, pur messo in condizioni di concorrere al primariato, presentò
la domanda fuori termine.
Con il quarto motivo il
ricorrente censura tali affermazioni addebitando alla Corte territoriale
di avergli ascritto un comportamento omissivo in realtà insussistente, e
di avere cosi travisato il fatto. La censura è inammissibile perché
l'errore addotto è da natura revocatoria e, pertanto, avrebbe dovuto
essere fatto valere nella diversa e competente sede ai sensi dell'art.
395 n. 4 c.p.c. (da ultimo, in tal senso, Cass. n. 1512/03).
L'accoglimento del primo e terzo motivo del ricorso principale non
comporta l'assorbimento del quinto motivo dello stesso ricorso, che
concerne il regolamento delle spese nei rapporti tra il ricorrente e
l'Asl, giacché, per effetto della declaratoria di inammissibilità del
ricorso incidentale si è formato il giudicato sulla insussistenza della
titolarità passiva di tale azienda nel rapporto dedotto in giudizio, e
per conseguenza la stessa non dovrà essere chiamata a partecipare al
nuovo giudizio di rinvio. Con il motivo in esame il ricorrente afferma
che la condanna al rimborso delle spese di detta azienda, pronunciata a
suo carico, è viziata nella motivazione poiché non tiene conto del fatto
che egli dovette necessariamente notificare la citazione a detta
azienda, parte dei precedenti giudizi, parte la quale aveva anche
proposto ricorso incidentale per cassazione.
Il
motivo è infondato. Il ricorrente parzialmente vittorioso nei confronti
della Regione è invece risultato totalmente soccombente nei riguardi
dell'Asl, della quale, e sia pure alternativamente con la Regione, aveva
chiesto la condanna al risarcimento del danno come risulta dalle
conclusioni trascritte nell'epigrafe della sentenza impugnata; né il
mancato esercizio del potere discrezionale di compensazione,
sostanzialmente denunciato dal ricorrente, è censurabile in questa sede.
Accolti, pertanto, il primo e terzo motivo del ricorso principale e
cassata in relazione ad essi la sentenza impugnata, le parti vanno
rimesse dinanzi ad altra sezione della stessa Corte la quale,
riesaminata la controversia nei limiti anzidetti, all'esito regolerà
anche le spese del presente giudizio nei rapporti tra ricorrente e
Regione. Nei rapporti, invece, tra ricorrente ed Asl, ricorrono giusti
motivi per compensare le spese dello stesso giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
La
Corte riuniti i ricorsi dichiara inammissibile il ricorso incidentale,
accoglie il primo e terzo motivo del ricorso principale, rigetta gli
altri motivi dello stesso ricorso, cassa in relazione la sentenza
impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Genova
anche per le spese del giudizio di cassazione nei rapporti tra
ricorrente e Regione; compensa le spese dello stesso giudizio nei
rapporti tra ricorrente ed Asl.
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