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domenica 27 ottobre 2013

TAR: Vigili del Fuoco - "accertamento del diritto ad essere inquadrati, invece, nel ruolo dei funzionari amministrativo-contabili direttori di cui al successivo art. 165 - o, in subordine, in un istituendo "ruolo direttivo speciale" come previsto per altri Corpi e Forze Armate "




IMPIEGO PUBBLICO   -   VIGILI DEL FUOCO
T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 03-10-2013, n. 8566
IMPIEGO PUBBLICO
Carriera
inquadramento

VIGILI DEL FUOCO


Fatto - Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3746/2006, proposto da:
(Lpd) e altri, rappresentati e difesi dagli avv. -
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede è domiciliato ex lege, in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del decreto di inquadramento nelle qualifiche del ruolo dei sostituti direttori amministrativi contabili ai sensi dell'art. 162 co 1 D.Lgs. n. 217 del 2005;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 maggio 2013 il dott. Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con il ricorso in esame i funzionari amministrativi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco ricorrenti, premettono:
-di provenire dalla stessa area C- Direttiva di cui al CCNL Comparto Aziende e Amministrazioni Autonome 1998/2001 sottoscritto il 24.5.2000 - nel quale era confluito il personale appartenente al profilo professionale di Responsabile amministrativo e Responsabile amministrativo-contabile della VII qualifica funzionale con qualifica di ispettore amministrativo (C1) direttore amministrativo (C2) e coordinatore amministrativo (C3);
- che l'accesso alla predetta qualifica era riservato a soggetti in possesso del diploma di scuola media superiore ai sensi dell'art. 21 del D.P.R. n. 335 del 1990;
-che in tale area direttiva era stato inquadrato tutto il personale con funzioni direttive - compreso il personale assunto dall'esterno - per il quale era invece prescritto il possesso del diploma di laurea- - che era subordinato al solo ruolo della dirigenza;
-che il D.Lgs. n. 217 del 2005, nel disciplinare l'ordinamento del personale del Corpo in attuazione della legge delega n. 252/2004, ha introdotto una distinzione nell'ambito del personale in servizio sulla base del titolo di studio, inquadrando nel ruolo dei funzionari amministrativo-contabili direttori con qualifica di ispettore amministrativo, direttore amministrativo e coordinatore amministrativo solo il personale in possesso della laurea magistrale (inquadrati rispettivamente nella qualifica di "funzionario amministrativo - contabile vice-direttore", "funzionario amministrativo-contabile direttore" e "funzionario amministrativo-contabile direttore-vicedirigente") (art. 165), relegando il personale diplomato con le medesime qualifiche nel ruolo dei Collaboratori e Sostituti direttori amministrativo-contabili, inferiore a quello direttivo precedentemente occupato, inquadrandoli rispettivamente nelle nuove qualifiche di "sostituto direttore amministrativo-contabile", "sostituto direttore amministrativo-contabile-capo", "sostituto direttore amministrativo-contabile-capo esperto" (art. 162).
Tanto premesso, i ricorrenti:
- impugnano il decreto del Ministero dell'Interno del 24.11.2005 nonché tutti i provvedimenti applicativi della normativa di riordino del Corpo, in particolare quelli con cui è stato disposto il re-inquadramento degli stessi nelle qualifiche del ruolo dei Collaboratori e Sostituti direttori amministrativo-contabili ai sensi dell'art. 162 del d.lvo in contestazione;
- chiedono l'accertamento del diritto ad essere inquadrati, invece, nel ruolo dei funzionari amministrativo-contabili direttori di cui al successivo art. 165 - o, in subordine, in un istituendo "ruolo direttivo speciale" come previsto per altri Corpi e Forze Armate - con conseguente condanna dell'Amministrazione alla ricostruzione di carriera ed al pagamento delle differenze retributive, con interessi e rivalutazione monetaria;
- previa remissione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale degli artt. 162 e 165 del D.Lgs. 13 ottobre 2005, n. 217 precitati per violazione dei principi e criteri stabili dalla legge delega n. 252/2004 e dell'art. 76 Cost, nonchè per violazione degli artt. 3, 4, 35, 36 e 97 Cost. nonché dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, in quanto sviluppo applicativo del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.; del principio di buon andamento e di imparzialità.
In sostanza i ricorrenti denunciano l'illegittimità della discriminazione ex novo introdotta sulla base del titolo di studio che, a loro avviso, potrebbe operare solo nei confronti del personale da assumere, ma non di quello già dipendente ed inquadrato nell'area comune con i laureati con cui condivide qualifica, posizione professionali e mansioni. Diversamente disponendo, la norma in esame opererebbe un ingiustificato ed iniquo "demansionamento" dei funzionari diplomati, determinandone la retrocessione rispetto a posizioni dagli stessi già conseguite. E per giunta senza neppure prevedere alcuna forma di avanzamento o progressione di carriera al ruolo superiore riservato ai laureati. In tal modo si perpetrerebbe un'irragionevole disparità di trattamento rispetto al personale laureato nei confronti dei quali fino ad oggi non sussisteva alcuna distinzione. I ricorrenti deducono altresì l'irragionevole disparità di trattamento rispetto agli Ispettori Antincendi, agli Ispettori medici e Ispettori Ginnico-sportivi. Inoltre essi lamentano l'illegittimità della variazione in pejus della loro posizione per violazione della Convenzione generale OIL e del Patto di New York del 19.12.66.
L'Amministrazione resistente si è costituita con memoria formale.
La controversia all'esame del Collegio ripropone la questione di legittimità costituzionale delle norme che hanno introdotto l'inquadramento "discriminatorio" del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sulla base del titolo posseduto che è già stata affrontata dal Giudice Costituzionale.
Con riferimento ai dipendenti diplomati già inquadrati nell'area C come direttori amministrativi e coordinatori amministrativi diplomati il T.A.R. Veneto, con ordinanza n. 85 del 16/1/2007, ha ritenuto che l'art. 162 commi 2 e 3 e dell'art. 165 commi 2 e 3, D.Lgs. 13 ottobre 2005, n. 217 ("Ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a norma dell'art. 2, L. 30 settembre 2004, n. 252") nella parte in cui non prevede l' inquadramento nelle nuove qualifiche di "funzionario amministrativo-contabile direttore" e di "funzionario amministrativo-contabile direttore-vicedirigente", o comunque in un ruolo direttivo speciale, dei direttori amministrativi e dei coordinatori amministrativi privi di laurea si poneva in contrasto con gli artt. 3, 76 e e 97, Cost. (in quell'occasione si lamentava altresì la discriminazione rispetto ad altre categorie di personale non contrattualizzate, quali la Polizia di Stato, Corpo forestale dello Stato, Corpo della polizia penitenziaria). Inoltre si ravvisava un possibile contrasto con il principio di ragionevolezza di tale norma in quanto valorizzava eccessivamente il diploma di laurea rispetto all'anzianità di servizio ed alla connessa professionalità acquisita sul campo dal personale, in contrasto con la normativa previgente (tant'è che in precedenza diplomati e laureati erano inseriti in un'unica area ed accomunati da profili di professionalità equivalenti ed identità di funzioni svolte).
Con riferimento invece alla categoria dei collaboratori tecnici antincendi diplomati, il T.A.R. Reggio Calabria con ordinanza n. 388 del 7.5.2007 prospettava in termini analoghi il contrasto con gli artt. 3, 76 e 97 Cost. dell'art. 154 commi 1, 2 e 3, D.Lgs. n. 217 del 2005 (nuovo "Ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a norma dell'art. 2, L. 30 settembre 2004, n. 252"). Anche in questo caso, il rimettente riteneva che tale diposizione, nella parte in cui non prevede l' inquadramento nel nuovo ruolo direttivo con la qualifica di direttori e direttori-vicedirigenti, ovvero in un istituendo ruolo direttivo speciale, dei collaboratori tecnici antincendi della VII qualifica funzionale privi di laurea -conseguentemente collocando i diplomati in un ruolo inferiore a quello direttivo precedentemente proprio dell'area (e quindi privandoli della posizione già conseguita) -determina un'ingiustificata disparità di trattamento con i laureati con cui i diplomati in precedenza erano accomunati dall'identità di mansioni, di responsabilità ed anche di retribuzione. Con l'effetto di "mortificare" il patrimonio professionale maturato dai diplomati e con conseguente pregiudizio per il buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost. causato dalla connessa "demotivazione" di tale categoria di personale .
Con il ricorso in esame pertanto si chiede al Collegio di rimettere alla Corte Costituzionale le medesime questioni già sollevate con le ordinanze soprarichiamate e sulle quali la Corte Costituzionale s'è già pronunciata, ritenendole non fondate con la sentenza n. 192 del 2008. La richiesta, al riguardo, formulata dai ricorrenti va pertanto disattesa, non sussistendo il vizio logico di fondo denunciato dagli stessi, i quali ritengono che la Corte si sia pronunciata senza aver pienamente compreso il senso dell'ordinanza di rimessione, né individuato correttamente le disposizioni impugnate . A loro avviso la Corte avrebbe confuso la questione della dequalificazione e del demansionamento rispetto a posizioni già conseguite - per conseguenza della privazione delle mansioni precedentemente svolte e della connessa regressione in carriera del personale diplomato - sottoposta al suo esame - con la diversa problematica della pretesa ad ottenere una promozione del medesimo personale mediante inquadramento in ruolo superiore.
Il Collegio non condivide le critiche formulate dai ricorrenti. Innanzitutto va chiarito che la Corte s'è pronunciata avendo esattamente presente il contenuto dispositivo delle previsioni normative in questione: nonostante l'erronea indicazione del numero dell'articolo in contestazione, cioè il 153 (concernente la disciplina dei concorsi straordinari, che non costituiva oggetto di contestazione) citato (solo) in alcune parti della sentenza (in altre, infatti, la Corte precisa "153 recte 152"), tutto il ragionamento della Corte è incentrato sulla sostanza della disciplina dettata dal 152. Si tratta pertanto di mero errore materiale - da cui la sentenza è stata emendata con ordinanza n. 283 del 2008 - che non ha avuto alcuna influenza sul ragionamento della Corte che ha lucidamente dissipato i dubbi prospettati dai remittenti, come si evince dall'inequivoco tenore delle argomentazioni poste a fondamento della decisione, senza incorrere in alcun fraintendimento. Né è indicativo di mancata esatta comprensione dell'esatta posizione dei ricorrenti la parte della sentenza in cui la Corte esclude l'idoneità dei tertia comparationis invocati, costituiti dalla normativa che disciplina il personale di altre forze armate e di polizia, in quanto norme relative a qualifiche del personale operativo: si tratta di una precisazione evidentemente volta a dirimere i dubbi prospettati dal TAR Veneto con riferimento al personale amministrativo-contabile; appunto, sottolineando, che si tratta di disciplinare diverse categorie di personale che, proprio per la diversità delle mansioni svolte, non sono confrontabili.
Le conclusioni della Corte, peraltro, non possono certo essere rimesse in discussione in questa sede riproponendo, senza addurre ulteriori argomentazioni, le medesime questioni su cui la Consulta s'è di recente pronunciata in quanto ciò determinerebbe un'irrituale ed inammissibile richiesta alla Corte di "revocare" la propria sentenza che non trova alcuna base normativa nell'ordinamento giuridico vigente e si pone anzi in contrasto con la definitività delle pronunce del giudice delle leggi che non possono essere rimesse continuamente in discussione, a pena di una grave alterazione degli equilibri istituzionali. D'altronde, avverso la sentenza in parola è già stato proposto ricorso per revocazione che è stato archiviato dalla Corte Costituzionale con ordinanza presidenziale del 23.9.2008.
Peraltro le decisioni della Corte sono pienamente condivise dal Collegio.
Le considerazioni del TAR Veneto nella parte in cui afferma che il diploma di laurea non può essere ritenuto - di per se solo - espressivo di una superiore professionalità rispetto al diploma di scuola media superiore unito ad un'adeguata anzianità di servizio sono pienamente condivisibili. Tuttavia tale principio assume diversa valenza a seconda del tipo di attività in questione: ove trattasi di mansioni di tipo tecnico-operativo è evidente che la maggiore preparazione teorica non assicura prestazioni né equivalenti né superiori a quelli rese da personale che abbia acquisito le abilità pratiche necessarie in virtù dell'esperienza lavorativa pregressa e della preparazione professionale "sul campo" che costituiscono requisiti indispensabili per il riconoscimento di una qualifica superiore. Tuttavia va anche riconosciuto che il titolo di studio assume maggior rilievo nel caso in cui la prestazione lavorativa sia di tipo amministrativo-contabile in quanto si tratta di un'attività astratta in cui la preparazione teorica ha maggiore incidenza rispetto all'esperienza pratica. Soprattutto ove si considerino la complessità della disciplina, a seguito delle riforme della contabilità introdotte a fine anni 90, nell'ambito di un ambizioso progetto di rinnovamento dell'Amministrazione, che investe sia il personale - soprattutto attraverso la ridefinizione del ruolo del dirigenza con riconoscimento di ampia autonomia nella gestione delle risorse assegnate - sia i mezzi con cui questa viene svolta - introducendo una logica "aziendalistica" nella gestione dei beni e nella definizione del bilancio - sia infine l'azione amministrativa, anche con il superamento del sistema di controlli precedenti e l'introduzione di modelli di valutazione dei risultati. Non è questa la sede per riepilogare i profondi cambiamenti della disciplina della contabilità, dei controlli sulla relativa attività e delle conseguenze in termini di responsabilità contabile degli anni '90, essendo sufficiente ribadire che il nesso di tali epocali cambiamenti con il ridisegno organizzativo delle figure professionali coinvolte, in primis il dirigente, che ha acquisito piena autonomia nella gestione dei mezzi finanziari e delle risorse umane e materiali, con connessa responsabilità per i risultati raggiunti, e la conseguente rimodulazione dell'organizzazione anche delle professionalità dipendenti ed intermedie.
Ed è in questa prospettiva che va letta la pronuncia della Corte, che non si è limitata a dissipare i dubbi sulla legittimità costituzionale delle previsioni in contestazione - escludendo il contrasto con i principi di uguaglianza e ragionevolezza desumibili dall'art. 3 della Costituzione - mediante il mero richiamo alla sua consolidata giurisprudenza in materia di articolazione delle carriere, ribadendo che, in merito, va riconosciuta al legislatore un'ampia discrezionalità limitata solo dal divieto di scelte arbitrarie ed irragionevoli (sentenze n. 234/2007, 4/1994 e 448/93). Nello specifico caso delle norme che dispongono l'inquadramento in contestazione la Corte ha altresì espressamente precisato che una siffatta arbitrarietà non è ravvisabile alla luce delle recenti riforme del personale alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche. In tale ottica viene chiarito che "le disposizioni impugnate richiedono ragionevolmente requisiti più rigorosi per lo svolgimento di mansioni superiori (...) il diverso inquadramento del personale laureato e di quello diplomato è del tutto normale nel settore pubblico, com'è ora dimostrato dalla previsione dell'art. 17 bis del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 che -a regime - richiede il diploma di laurea per l'accesso alla vicedirigenza".
La pronuncia, pertanto, non è frutto di un abbaglio della Corte, che, secondo i ricorrenti, non si sarebbe avveduta del fatto che la pretesa fatta valere dal personale diplomato non era quella di essere inquadrato nella qualifica superiore, bensì quella di evitare la perdita di posizioni già acquisite: al contrario, essa scaturisce proprio dall'applicazione del metodo ermeneutico adottato dalla Corte, che non interpreta la norma che introduce il contestato demansionamento in una visione atomistica, come un'iniqua modifica in pejus della posizione del personale diplomato, ma la inquadra nel più ampio disegno riformatore del pubblico impiego; ed in particolare nella diversa disciplina del ruolo dirigenziale e soprattutto di quello vicedirigenziale, che attribuisce un maggior rilievo, rispetto al passato, alla preparazione teorica rispetto all'anzianità di servizio. Tant'è che quest'ultimo viene ridefinito dalla legge delega n. 252 del 2004 e proprio sulla base della prescrizione di un particolare titolo di studio per l'accesso. Tale legge infatti da un lato prevede genericamente la revisione o soppressione di ruoli, qualifiche, aree funzionali e profili professionali, dall'altro, fa specifica menzione dell'area della vicedirigenza, prescrivendo espressamente il titolo di studio e abilitativo necessario per l'accesso. E nella successiva lett. c) si dilunga proprio sulla disciplina delle qualifiche dirigenziali e dei profili operativi ad accesso riservato a laureati impartendo principi e criteri direttivi numerosi e molto più dettagliati rispetto a quelli per il restante personale. Per quest'ultima categoria di personale si limita a prevede che il riordino sia effettuato prevedendo "adeguate modalità di sviluppo verticale e orizzontale basate principalmente su qualificate esperienze professionali, sui titoli di studio e sui percorsi di formazione e qualificazione del personale". Ne discende che la riserva del ruolo professionale in parola a personale dotato di preparazione accademica pertanto risulta, piuttosto che un'arbitraria discriminazione, giustificata dalla maggiore complessità della disciplina amministrativo-contabile che questi sono chiamati ad applicare ed ancor prima dalla modificazione dei ruoli e delle responsabilità lavorative operata dalle recenti riforme ordinamentali, in particolare nel settore del pubblico impiego e della contabilità pubblica sopra richiamate. Ne discende altresì che non sussiste nemmeno la lamentata violazione del predetto criterio direttivo stabilito dalla legge di delega n. 252 del 30.9.2004: l'art. 2, co. 1, lett. b, punto 2, nel prevedere per il personale di livello non dirigenziale "adeguate modalità di sviluppo verticale e orizzontale basate principalmente su qualificate esperienze professionali, sui titoli di studio e sui percorsi di formazione e qualificazione del personale" non attribuisce ad alcuno di tali elementi importanza determinante, né impone al legislatore di attribuire lo stesso rilievo ai titoli di studio e agli altri titoli, ma solo di tener conto "principalmente" degli uni e degli altri. Con tale chiarimento della Corte, viene a perdere di consistenza la prospettata violazione dell'art. 75 Cost. in quanto la legge delega, con tale previsione, ha demandato alla discrezionale scelta del legislatore "la valorizzazione prioritaria dell'uno o dell'altro elemento a seconda delle specifiche funzioni o mansioni oggetto di inquadramento e che ciò è stato fatto in quanto il legislatore ha tenuto conto non solo della laurea, ma anche dell'esperienza professionale del personale in servizio in quanto ha proceduto ai nuovi inquadramenti muovendo dai profili professionali nei quali i dipendenti interessati erano in precedenza inquadrati e ciò implica necessariamente la valutazione dell'esperienza già acquisita dal lavoratore".
Seguendo tale impostazione ermeneutica - condivisa dal Collegio sia per quanto riguarda il metodo sia per quanto attiene ai risultati interpretativi - le norme in contestazione - e la relativa tabella di corrispondenza delle vecchie e nuove qualifiche - non costituiscono una soluzione illogica, frutto di un'istruttoria approssimativa e superficiale da parte del legislatore delegato sui contenuti e le funzioni delle diverse professionalità in questione, bensì una scelta consapevole volta a ridefinire i rapporti dei diversi ruoli operativi, direttivi, dirigenziali mutuata dal generale processo di riforma amministrativa in cui si iscrive la disciplina di settore in esame. Ed in tale prospettiva la Corte ha altresì specificato che è del tutto ininfluente il rischio che dal ventilato "demansionamento" - che tale non è nell'ottica di riforma complessiva - possa conseguire la demotivazione del personale interessato con conseguente violazione del principio di buon andamento dell'Amministrazione di cui all'art. 97 Cost., come temuto dal TAR Calabria. Anche in questo caso la Corte ha ribadito quanto già espresso al riguardo in precedenti occasioni e cioè che "l'esigenza di non demotivare il pubblico dipendente non può essere invocata come limite alle scelte del legislatore; pertanto non possono ritenersi in contrasto con l'art. 97 della Cost. interventi legislativi che impongano sacrifici al personale (cfr. sent. n. 335 del 1992). Comunque si tratta di considerazioni attinenti a conseguenze operanti esclusivamente sul piano pratico degli effetti meramente eventuali della nuova disciplina e comunque fronteggiabili con gli ordinari mezzi messi a disposizione dall'ordinamento giuridico per il caso di scarso rendimento del personale.
Tali considerazioni e conclusioni, come si è detto, non possono essere rimesse in discussione in questa sede.
Si passa pertanto ad esaminare le nuove e diverse questioni di legittimità costituzionale dedotte con il ricorso in esame relativamente all'irragionevole disparità di trattamento rispetto agli Ispettori Antincendi, agli Ispettori medici e Ispettori Ginnico-sportivi, i quali non avrebbero subito la contestata retrocessione ad una qualifica inferiore in quanto avrebbero mantenuta la qualifica direttiva pur se sprovvisti della laurea. Al riguardo il Collegio osserva innanzitutto che la questione è prospettata genericamente, senza approfondire la analogia e/o diversità delle figure professionali in questione, indicando quale unico elemento di similarità quello della comune appartenenza al ruolo di provenienza degli Ispettori. Occorre invece tener conto della specialità di alcune categorie (come nel caso degli Ispettori Ginnico-sportivi ) che, proprio per la specificità della qualificazione (atletica) richiesta e delle mansioni svolte (addestramento sportivo del personale), possono ben giustificare la disciplina derogatoria in contestazione. Ancor più inidonee ad essere assunte come termine di paragone risultano le disposizioni relative al personale appartenente agli Ispettori medici: qui manca addirittura, in radice, l'elemento accomunante del titolo di studio, trattandosi di posizione riservata necessariamente non per legge, ma per la stessa "natura delle cose", a persone in possesso del titolo di studio accademico (laurea in medicina e chirurgia) e dell'abilitazione all'esercizio della professione medica. Si tratta pertanto di profili professionali che per la loro specificità rendono ictu oculi la disciplina invocata inidonea a fungere da tertium comparationis; sicchè s'appalesa infondata la questione di legittimità costituzionale della previsione normativa ritenuta irragionevolmente discriminatoria.
Alla luce delle argomentazioni con cui sono stati dissipati i dubbi sulla legittimità costituzionale delle norme in contestazione, viene a perdere di consistenza anche la censura con cui si denuncia l'ingiustificata discriminazione del personale diplomato rispetto a quello laureato - operato con la norma che decreta il "demansionamento" del primo - in asserito contrasto con l'art. 52 co. 2 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che obbliga la PA ad adibire il dipendente alle mansioni per le quali è stato assunto, o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento; ed in violazione del principio di parità di trattamento - e correlato divieto di discriminazioni - sancito dagli artt. 15 e 16 della L. 20 maggio 1970, n. 300, dall'art. 45 co.2 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Come si è già chiarito, la norma in contestazione non si pone in contrasto con alcuna disposizione dell'ordinamento giuridico, e tantomeno con il D.Lgs. n. 165 del 2001; essa costituisce, al contrario, espressione dei principi della riforma del pubblico impiego sopra richiamati, in particolare quelli relativi alla istituzione della vice dirigenza, che giustificano il trattamento diversificato di tale personale sulla base del titolo di studio prescritto per l'accesso a tale profilo.
Ugualmente vanno disattese le censure con cui si prospetta il contrasto delle norme in esame con i principi di parità di trattamento - ed il correlativo divieto di discriminazioni - riconosciuto sul piano internazionale dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 - ratificata con L. 4 agosto 1955, n. 848 unitamente al Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 - dal Patto Internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali firmato a New York il 16 dicembre 1966 - ratificati con L. 25 ottobre 1977, n. 881 - nonché del relativo Protocollo. Si tratta infatti di strumenti volti a tutelare diritti e libertà fondamentali classici (alla vita, alla libertà personale, di espressione, diritto di difesa etc.) già da tempo riconosciuti dalle Costituzioni degli Stati moderni e recepiti anche dall'Organizzazione delle Nazioni Unite in quanto intrinsecamente connessi alla dignità della persona umana. Questi pertanto si limitano a vietare "qualunque discriminazione fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l'opinione politica o qualsiasi altra opinione, l'origine nazionale o sociale, la condizione economica, la nascita o qualsiasi altra condizione" senza, ovviamente, investire la diversa materia del pari trattamento retributivo e giuridico delle diverse qualifiche professionali, che non rientra nell'ambito dei diritti fondamentali e costituisce uno degli ambiti tradizionalmente riservati all'autodeterminazione dei singoli Stati.
Per le medesime ragioni non è ravvisabile nemmeno alcuna violazione della Convenzione internazionale del lavoro sull'uguaglianza di trattamento dei nazionali e dei non nazionali in materia di sicurezza sociale adottata a Ginevra il 28 giugno 1962 - ratificata con L. 13 luglio 1966, n. 657 - che si limita a sancire il principio di parità sotto il profilo del divieto di discriminazione in base alla nazionalità; ipotesi, quest'ultima, che non risulta essersi verificata nella fattispecie e che comunque non attiene in alcun modo alle questioni relative all'inquadramento nelle qualifiche e ruoli del personale dipendente da pubbliche Amministrazioni, che, come sopra ricordato, costituisce materia riservata al legislatore nazionale. Per completezza, va altresì aggiunto che la normativa in contestazione non è stata ritenuta neppure in contrasto né con principi sanciti dagli artt. 1, 20 e 31 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea né con il D.Lgs. n. 216 del 2003, recante Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (Consiglio di Stato, Sez. VI n. 5881 del 18.8.2010).
In conclusione, una volta dissipati i dubbi di legittimità costituzionale delle disposizioni in contestazione, il ricorso deve essere respinto in quanto il "provvedimento" di re inquadramento impugnato costituisce un atto di vincolato con cui la Pa si limita a dare mera attuazione della normativa in parola - nella parte in cui prevede con esattezza la tabella di corrispondenza delle vecchie e nuove qualifiche - mediante un'operazione "meccanica" di mera attribuzione della nuova qualifica sulla base di quella indicata come corrispondente (cd."inquadramento automatico") . E ciò è riconosciuto dagli stessi ricorrenti che non prospettano alcun errore nella trasfusione dalle qualifiche possedute a quelle corrispondenti secondo la nuova normativa e perciò incentrano l'impugnativa esclusivamente sull'illegittimità costituzionale di quest'ultima.
Il ricorso va pertanto respinto.
Sussistono giusti motivi, vista la natura interpretativa della controversia, per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Nicola D'Angelo, Consigliere
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore

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