N. 252 SENTENZA 21 ottobre - 26 novembre 2020
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Processo penale - Operazioni di polizia per la prevenzione e la
repressione del traffico illecito di stupefacenti e sostanze
psicotrope - Perquisizioni personali e domiciliari autorizzate per
telefono - Convalida successiva - Omessa previsione - Violazione
della liberta' personale e dell'inviolabilita' del domicilio -
Illegittimita' costituzionale in parte qua.
Processo penale - Prove illegittimamente acquisite (nella specie:
perquisizioni e ispezioni compiute dalla polizia giudiziaria fuori
dei casi previsti dalla legge o comunque non convalidate
dall'autorita' giudiziaria) - Inutilizzabilita' degli esiti
probatori, compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose
pertinenti al reato, nonche' la deposizione testimoniale in ordine
a tale attivita' - Omessa previsione - Denunciata irragionevolezza
e disparita' di trattamento, violazione dei diritti inviolabili
della persona, della liberta' personale, del principio di riserva
di legge, del diritto di difesa e di quello, garantito anche in via
convenzionale, al rispetto della vita privata e del domicilio della
persona - Manifesta inammissibilita' delle questioni.
- Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
art. 103, comma 3; codice di procedura penale, art. 191.
- Costituzione, artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, secondo comma, e 117,
primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e delle liberta' fondamentali, art. 8.
(GU n.49 del 2-12-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Mario Rosario MORELLI;
Giudici :Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca
ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 191 del
codice di procedura penale e dell'art. 103 del d.P.R. 9 ottobre 1990,
n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), promosso dal
Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, con sei
ordinanze del 5 luglio, del 13 settembre, del 14 settembre, del 1°
ottobre 2018, del 20 settembre 2019 e del 13 dicembre 2018, iscritte,
rispettivamente, dal n. 17 al n. 22 del registro ordinanze 2020 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 8 e 9,
prima serie speciale, dell'anno 2020.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020 il Giudice
relatore Franco Modugno;
deliberato nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020.
Ritenuto in fatto
1.- Con sei ordinanze, di tenore per larga parte analogo, il
Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, terzo
(recte: secondo) comma, e 117, primo comma, della Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 8 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, innanzitutto questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 191 del codice di procedura
penale, nella parte in cui - secondo l'interpretazione predominante
nella giurisprudenza di legittimita', qualificabile come diritto
vivente - non prevede che la sanzione dell'inutilizzabilita' delle
prove acquisite in violazione di un divieto di legge riguardi anche
gli esiti probatori - compreso il sequestro del corpo del reato o
delle cose pertinenti al reato - degli atti di perquisizione e
ispezione domiciliare e personale compiuti dalla polizia giudiziaria
fuori dai casi tassativamente previsti dalla legge, ovvero (secondo
le sole ordinanze iscritte ai numeri 17, 18, 20, 21 e 22 del r.o.
2020) non convalidati, comunque sia, dal pubblico ministero con
provvedimento motivato.
In alcune delle ordinanze, il rimettente lamenta in modo
specifico che l'inutilizzabilita' non colpisca anche le perquisizioni
e le ispezioni operate dalla polizia giudiziaria sulla base di
elementi non utilizzabili, quali le fonti confidenziali (r.o. n. 19
del 2020), o in assenza della flagranza di reato (r.o. n. 20 del
2020); ovvero autorizzate verbalmente dal pubblico ministero senza
che ne risultino le ragioni (r.o. n. 20 del 2020); ovvero effettuate
ai sensi dell'art. 103 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico
delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza) (inde: «t.u. stupefacenti»), senza aver chiesto -
come ivi prescritto - l'autorizzazione del pubblico ministero e senza
che consti l'impossibilita' di farlo (r.o. n. 21 del 2020); ovvero,
ancora, che l'inutilizzabilita' non riguardi anche la deposizione
testimoniale sulle attivita' prese in considerazione (ordinanze
iscritte ai numeri 17, 18 e 19 del r.o. 2020).
La sola ordinanza n. 22 del r.o. 2020 solleva, inoltre, in
riferimento agli artt. 13, 14 e 117, primo comma, Cost. -
quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU -, questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 103 t.u. stupefacenti, «nella
parte in cui prevede che il [pubblico ministero] possa consentire
l'esecuzione di perquisizioni in forza di autorizzazione orale senza
necessita' di una successiva documentazione formale delle ragioni per
cui l'ha rilasciata».
1.1.- Secondo quanto emerge dalle ordinanze di rimessione, il
giudice a quo e' investito, in sede dibattimentale, di processi per
reati in materia di stupefacenti (ordinanze iscritte ai numeri 17,
18, 21 e 22 del r.o. 2020), ovvero per reati contro il patrimonio
(ordinanze iscritte ai numeri 19 e 20 del r.o. 2020).
In ciascuno dei casi, la prova esclusiva o principale dei fatti
e' costituita dal sequestro del corpo del reato - secondo i casi,
sostanze stupefacenti, piante di cannabis, ovvero beni di provenienza
furtiva - rinvenuti presso l'abitazione degli imputati a seguito di
perquisizioni eseguite dalla polizia giudiziaria. Dai relativi
verbali, si desume che le perquisizioni erano state effettuate sulla
base di notizie fornite da fonti confidenziali (ordinanze iscritte ai
numeri 17, 19, 21 e 22 del r.o. 2020), o acquisite tramite una non
meglio specificata «attivita' infoinvestigativa» (r.o. n. 18 del
2020), ovvero ancora sulla base di una segnalazione della persona
offesa, in assenza di una situazione di flagranza di reato (r.o. n.
20 del 2020).
Ad avviso del rimettente, tali perquisizioni dovrebbero ritenersi
abusive, in quanto compiute fuori dai casi tassativamente indicati
dalla legge.
Riproponendo le considerazioni gia' svolte in due precedenti
ordinanze di rimessione, il giudice salentino rileva che l'art. 13
Cost. (richiamato, quanto a garanzie e forme ivi previste, dall'art.
14 Cost. con riguardo a ispezioni, perquisizioni e sequestri
domiciliari) prevede che ogni forma di limitazione della liberta'
personale - compresa quella insita nelle ispezioni e nelle
perquisizioni personali - possa essere disposta solo con «atto
motivato dell'autorita' giudiziaria e nei soli casi e modi previsti
dalla legge». A tale principio puo' derogarsi unicamente «in casi
eccezionali di necessita' ed urgenza, indicati tassativamente dalla
legge», nei quali l'autorita' di pubblica sicurezza puo' adottare
«provvedimenti provvisori» soggetti a convalida da parte
dell'autorita' giudiziaria, in difetto della quale essi «si intendono
revocati e restano privi di ogni effetto».
L'ipotesi principale che, in base alla legge ordinaria, legittima
l'intervento eccezionale delle forze di polizia e' quella della
flagranza di reato (artt. 352 e 354 cod. proc. pen.). Norme speciali
hanno, peraltro, ampliato i casi nei quali la polizia giudiziaria
puo' procedere a ispezioni e perquisizioni. Una delle fattispecie
piu' ricorrenti nella pratica - e rilevante in una parte dei giudizi
a quibus - e' quella contemplata dall'art. 103 t.u. stupefacenti, i
cui commi 2 e 3 abilitano la polizia giudiziaria a procedere - nel
corso di operazioni finalizzate alla prevenzione e alla repressione
del traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope -
rispettivamente, all'ispezione dei mezzi di trasporto, dei bagagli e
degli effetti personali, e a perquisizioni, allorche' vi sia «fondato
motivo» di ritenere che possano essere rinvenute tali sostanze e
ricorrano, altresi' - nel caso delle perquisizioni - «motivi di
particolare necessita' ed urgenza che non consentano di richiedere
l'autorizzazione telefonica del magistrato competente». Delle
operazioni deve essere data notizia, entro quarantotto ore, al
procuratore della Repubblica, il quale le convalida nelle quarantotto
ore successive, sempre che ne sussistano i presupposti.
A parere del giudice a quo, una interpretazione delle
disposizioni ora richiamate rispettosa del dettato costituzionale
imporrebbe di ritenere che il presupposto che legittima l'intervento
della polizia giudiziaria, anche fuori dai casi di flagranza nel
reato, debba possedere un «requisito minimo di comprovabilita' e
verificabilita'». Diversamente opinando, infatti, si attribuirebbe
alla polizia giudiziaria il potere di ledere «ad libitum» la liberta'
personale e domiciliare dell'individuo, vanificando il senso del
controllo dell'autorita' giudiziaria sul suo operato.
Di conseguenza, il fondato sospetto di detenzione dello
stupefacente non potrebbe essere basato su informazioni anonime o
confidenziali, le quali non sono in alcun modo verificabili dal
giudice e delle quali e' proprio per questo prevista, in via
generale, l'inutilizzabilita' (artt. 195, comma 7, 203, comma 1, e
240 cod. proc. pen.).
Cio' renderebbe illegittime le perquisizioni domiciliari di cui
si discute nei giudizi a quibus. All'atto della perquisizione, non
emergeva una situazione di flagranza del reato, ma nemmeno sussisteva
- quanto alle perquisizioni operate ai sensi dell'art. 103 t.u.
stupefacenti - un «fondato motivo» per ritenere che potessero essere
rinvenute sostanze stupefacenti: di la', infatti, dal riferimento a
inutilizzabili fonti confidenziali, o a una imprecisata «attivita'
infoinvestigativa», i verbali di perquisizione non indicano quali
elementi potessero far presumere la presenza di droga nell'abitazione
dell'imputato.
Le perquisizioni erano destinate, d'altro canto, a rimanere prive
di ogni effetto - secondo il giudice a quo - in ragione dell'assenza
di un valido provvedimento, antecedente o successivo, dell'autorita'
giudiziaria. In un caso, infatti, la perquisizione non era stata ne'
autorizzata preventivamente, ne' convalidata successivamente dal
pubblico ministero (r.o. n. 18 del 2020); in altri casi, era stata
bensi' convalidata, ma con provvedimento totalmente privo di
motivazione (ordinanze iscritte ai numeri 17, 19 e 21 del r.o. 2020);
in un altro caso ancora, era stata autorizzata oralmente e indi
convalidata, ma sempre senza motivazione (ordinanza r.o. n. 20 del
2020); in un ultimo caso, infine, era stata solo autorizzata
oralmente, di nuovo pero' senza che ne constassero le ragioni (r.o.
n. 22 del 2020).
Con particolare riguardo ai casi di avvenuta convalida, il
rimettente rileva come, pur in assenza di una esplicita previsione in
tal senso nell'art. 13 Cost., sia giocoforza ritenere che la
convalida debba essere effettuata mediante provvedimento motivato,
rimanendo altrimenti frustrata la ratio della garanzia apprestata
dalla norma costituzionale. Non avrebbe senso, d'altronde, che
quest'ultima richieda l'«atto motivato» quando l'autorita'
giudiziaria, titolare in via ordinaria del potere, incida di sua
iniziativa sulla liberta' personale, e non pure nell'ipotesi - piu'
delicata - in cui sia chiamata a verificare se la polizia giudiziaria
abbia agito fuori dai casi eccezionali nei quali la legge le consente
di intervenire.
Di conseguenza, nei casi oggetto dei giudizi principali, il
provvedimento del pubblico ministero, proprio perche' immotivato, non
eviterebbe la perdita di efficacia degli atti di polizia, stabilita
dall'art. 13 Cost. nell'ipotesi di mancata convalida da parte
dell'autorita' giudiziaria nel termine stabilito.
1.2.- Cio' posto, il giudice rimettente assume che, al lume della
previsione dello stesso art. 13 Cost., gli atti di ispezione e
perquisizione eseguiti abusivamente dalla polizia giudiziaria, o non
convalidati dall'autorita' giudiziaria con atto motivato, dovrebbero
rimanere privi di effetto anche sul piano probatorio. L'unica
efficacia perdurante nel tempo di tali atti e', infatti, quella
relativa alla loro «capacita' probatoria»: di modo che la perdita di
efficacia non potrebbe che equivalere, per essi, a quella che,
nell'art. 191 cod. proc. pen., e' qualificata come inutilizzabilita'
delle prove assunte in violazione di un divieto di legge.
Tale esito interpretativo risulterebbe, tuttavia, contraddetto
dall'indirizzo della giurisprudenza di legittimita' divenuto
«assolutamente dominante» a partire dalla sentenza della Corte di
cassazione, sezioni unite penali, 27 marzo-6 maggio 1996, n. 5021. Le
sezioni unite hanno ritenuto, infatti, valido il sequestro
conseguente a una perquisizione eseguita fuori dai casi e dai modi
previsti dalla legge, allorche' abbia ad oggetto il corpo del reato o
cose pertinenti al reato, posto che, in tal caso, il sequestro
costituisce un atto dovuto ai sensi dell'art. 253, comma 1, cod.
proc. pen., che non potrebbe essere omesso dalla polizia giudiziaria
solo a causa dell'abuso compiuto. Correlativamente, gli agenti di
polizia giudiziaria potrebbero anche testimoniare sugli esiti della
perquisizione.
1.3.- Il giudice a quo dubita, tuttavia, che l'art. 191 cod.
proc. pen., nella lettura offertane dal diritto vivente, possa
ritenersi compatibile con il dettato costituzionale.
L'interpretazione censurata si porrebbe, infatti, in contrasto
con gli artt. 13 e 14 Cost., negando concreta attuazione alla
previsione della perdita di efficacia delle perquisizioni e delle
ispezioni, nonche' dei sequestri ad esse conseguenti, ove eseguiti in
violazione dei divieti. La disciplina stabilita dall'art. 191 cod.
proc. pen. mirerebbe, in effetti, ad offrire una efficace tutela ai
diritti costituzionalmente garantiti, disincentivando le loro
violazioni finalizzate all'acquisizione della prova col prevedere
l'inutilizzabilita' dei relativi risultati. Ammettendo una
"sanatoria" ex post di tali violazioni, legata agli esiti della
perquisizione o dell'ispezione, si verrebbe, per converso, a negare
la tutela del cittadino in confronto agli abusi della polizia
giudiziaria.
L'interpretazione denunciata violerebbe anche l'art. 3 Cost.,
escludendo l'inutilizzabilita' in casi del tutto omologhi ad altri
per i quali la legge espressamente la prevede, o la giurisprudenza,
comunque sia, la riconosce: quali, ad esempio, quelli delle
intercettazioni e delle acquisizioni di tabulati del traffico
telefonico eseguite dalla polizia giudiziaria in assenza di
provvedimento motivato dell'autorita' giudiziaria. Essa darebbe
luogo, altresi', al paradosso di un sistema giuridico che vede
inefficaci ab origine le leggi incostituzionali, ma «efficacissimi»,
anche sotto il profilo probatorio, gli atti di polizia giudiziaria
compiuti in violazione dei diritti costituzionali del cittadino.
La soluzione ermeneutica censurata lederebbe anche l'art. 2
Cost., facendo si' che vengano a mancare effettive garanzie contro le
illecite compromissioni dei diritti inviolabili dell'uomo; come pure
l'art. 97, secondo comma, Cost., che sottopone in via generale
l'azione dei pubblici poteri al principio di legalita', rendendo
prevalente l'azione illegale degli organi statali, finalizzata alla
repressione dei reati, rispetto ai diritti costituzionali dei
consociati: con ulteriore violazione dell'art. 3 Cost., posto che in
un ordinamento che prevede come centrali i diritti inviolabili della
persona questi dovrebbero porsi quantomeno sullo stesso piano dei
diritti della collettivita' e dello Stato.
Un conclusivo profilo di violazione dell'art. 3 Cost. e'
ravvisato nel fatto che l'interpretazione censurata si trova
irrazionalmente a convivere con quella che riconosce
l'inutilizzabilita' di prove vietate dalla legge solo perche' non
verificabili (come nel caso degli scritti anonimi e delle fonti
confidenziali). Al riguardo, basterebbe considerare come
l'«insondabilita'» degli elementi che hanno spinto la polizia
giudiziaria a eseguire la perquisizione non consenta di escludere la
possibilita' che siano stati proprio i terzi latori della notizia
confidenziale o anonima - se non, addirittura, come talora pure e'
avvenuto, le stesse forze di polizia - a introdurre nell'abitazione
dell'imputato la res illicita, con conseguente violazione anche
dell'art. 24 Cost., per compromissione del diritto di difesa.
La lettura della norma denunciata offerta dal diritto vivente si
porrebbe in contrasto, infine, con l'art. 8 CEDU e, quindi, con
l'art. 117, primo comma, Cost., risolvendosi nella mancata adozione
di efficaci disincentivi agli abusi delle forze di polizia che
implichino indebite interferenze nella vita privata della persona o
nel suo domicilio: abusi contro i quali - secondo la giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo - il diritto interno deve,
per converso, offrire garanzie adeguate e sufficienti.
La dedotta illegittimita' costituzionale avrebbe, come necessaria
conseguenza, anche il divieto di testimonianza degli operatori di
polizia giudiziaria in ordine al risultato delle attivita' di
ispezione, perquisizione e sequestro indebitamente eseguite: divieto
che discenderebbe logicamente dalla perdita di ogni efficacia di tali
attivita'.
1.4.- Con la sola ordinanza iscritta al r.o. n. 22 del 2020 il
rimettente dubita, altresi', della legittimita' costituzionale
dell'art. 103 t.u. stupefacenti, «nella parte in cui prevede che il
[pubblico ministero] possa consentire l'esecuzione di perquisizioni
in forza di autorizzazione orale senza necessita' di una successiva
documentazione formale delle ragioni per cui l'ha rilasciata».
Nel caso di specie - secondo quanto si legge nell'ordinanza di
rimessione - la polizia giudiziaria, sulla base di informazioni
confidenziali, aveva effettuato una perquisizione presso l'abitazione
dell'imputato, che aveva portato al rinvenimento e al conseguente
sequestro di piante di cannabis.
La perquisizione era stata autorizzata dal pubblico ministero per
telefono. Poiche' l'art. 103 t.u. stupefacenti in tal caso non lo
prevede, il pubblico ministero non aveva emesso alcun provvedimento
di convalida della perquisizione, limitandosi a convalidare solo il
conseguente sequestro.
Sulla scorta delle considerazioni gia' svolte, il rimettente
reputa che la norma censurata violi, in parte qua, gli artt. 13, 14 e
117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU,
non consentendo una simile autorizzazione un controllo effettivo
sulla sussistenza delle condizioni che legittimano la perquisizione.
2.- Nei giudizi relativi alle ordinanze iscritte ai numeri 18,
19, 20, 21 e 22 del r.o. 2020, e' intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate
inammissibili o infondate.
2.1.- Con riguardo alle prime quattro ordinanze di rimessione ora
indicate, la difesa dell'interveniente eccepisce l'inammissibilita'
delle questioni per carente descrizione della fattispecie concreta,
essendosi il rimettente limitato a un sintetico riepilogo dei fatti,
senza specificare il titolo di reato per cui si procede; in tutte le
ordinanze, inoltre, il giudice a quo non avrebbe specificato in modo
chiaro e univoco da quale vizio, fra i plurimi ipotizzati,
deriverebbe l'illegittimita' della perquisizione, impedendo cosi' di
verificare se ci si trovi a fronte di ipotesi di inutilizzabilita', o
a vizi di natura diversa.
In ogni caso, i vizi indicati dal rimettente non sarebbero
riconducibili al disposto dell'art. 191 cod. proc. pen., che ha
riguardo alle sole «prove acquisite in violazione dei divieti
stabiliti dalla legge», e non anche alle prove assunte senza il
completo rispetto delle norme che le disciplinano. Si tratterebbe, in
sostanza, di semplici vizi di motivazione, i quali potrebbero
determinare solo la nullita' dell'atto, perdendo, in ogni caso,
rilievo una volta che questo sia stato convalidato dall'autorita'
giudiziaria.
Lo stesso vizio di motivazione, legato al fatto che la
perquisizione sia basata su informazioni confidenziali, risulterebbe
insussistente, giacche' - come piu' volte affermato dalla Corte di
cassazione - l'art. 203 cod. proc. pen. non precluderebbe
l'utilizzazione delle fonti confidenziali come spunto investigativo
per attivare strumenti di ricerca della prova, e in particolare
perquisizioni volte al reperimento di sostanze stupefacenti.
2.2.- Con particolare riguardo all'ordinanza iscritta al r.o. n.
21 del 2020 - emessa nell'ambito di un processo nel quale il giudice
a quo e' chiamato a convalidare l'arresto dell'imputato,
preliminarmente alla celebrazione del giudizio direttissimo -
l'Avvocatura generale dello Stato assume, ancora, che il problema
dell'utilizzabilita' o meno del sequestro del corpo del reato (droga)
resterebbe del tutto irrilevante, non dovendo il giudice stabilire se
l'imputato sia colpevole, ma solo se, in base a quanto riferitogli
dalla polizia giudiziaria, vi fosse una situazione di flagranza:
situazione insita nella detenzione stessa dello stupefacente.
2.3.- L'Avvocatura dello Stato ricorda, per altro verso, come
questa Corte abbia gia' ritenuto inammissibili analoghe questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 191 cod. proc. pen. (e' citata
l'ordinanza n. 332 del 2001) e, piu' di recente, abbia rilevato come
la soluzione prospettata dal giudice a quo finisca per trasferire
nella disciplina della inutilizzabilita' un concetto di vizio
derivato che il sistema regola esclusivamente in relazione alla
figura - ben distinta - delle nullita': operazione che implica
l'esercizio di opzioni che l'ordinamento riserva esclusivamente al
legislatore (e' citata la sentenza n. 219 del 2019, relativa a
questioni sostanzialmente sovrapponibili alle odierne).
2.4.- Nel merito, le questioni sarebbero - secondo l'Avvocatura -
in ogni caso infondate.
Almeno per le cose il cui sequestro e' obbligatorio e, in
particolare, per le cose il cui possesso integra un reato (come gli
stupefacenti), l'illegittimita' della perquisizione non potrebbe
travolgere anche l'apprensione del bene, in quanto l'omessa
apprensione determinerebbe una condizione di flagrante commissione di
un reato in capo al soggetto mantenuto nel possesso della cosa.
Proprio queste sarebbero le ragioni, del tutto condivisibili, che
sorreggono il diritto vivente, la cui legittimita' costituzionale e'
contestata dal giudice a quo.
3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha ripreso e
sviluppato tali argomenti con successive memorie, insistendo nelle
conclusioni gia' formulate.
Considerato in diritto
1.- Con sei ordinanze iscritte ai numeri da 17 a 22 del r.o.
2020, di tenore per larga parte analogo, il Tribunale ordinario di
Lecce, in composizione monocratica, dubita della legittimita'
costituzionale dell'art. 191 del codice di procedura penale, nella
parte in cui - secondo l'interpretazione accolta dalla giurisprudenza
di legittimita', qualificabile come diritto vivente - non prevede che
la sanzione dell'inutilizzabilita' delle prove acquisite in
violazione di un divieto di legge riguardi anche gli esiti probatori,
compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al
reato, degli atti di perquisizione e ispezione domiciliare e
personale compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dai casi
tassativamente previsti dalla legge, ovvero (secondo le sole
ordinanze iscritte ai numeri 17, 18, 20, 21 e 22 del r.o. 2020) non
convalidati, comunque sia, dal pubblico ministero con provvedimento
motivato.
In alcune delle ordinanze, il rimettente lamenta in modo
specifico che l'inutilizzabilita' non colpisca anche le perquisizioni
e le ispezioni operate dalla polizia giudiziaria sulla base di
elementi non utilizzabili, quali le fonti confidenziali (r.o. n. 19
del 2020), o in assenza della flagranza di reato (r.o. n. 20 del
2020); ovvero autorizzate verbalmente dal pubblico ministero senza
che ne risultino le ragioni (r.o. n. 20 del 2020); ovvero ancora
effettuate ai sensi dell'art. 103 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309
(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti
e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza) (inde: t.u. stupefacenti), senza
aver chiesto - come ivi prescritto - l'autorizzazione del pubblico
ministero e senza che consti l'impossibilita' di farlo ( r.o. n. 21
del 2020); ovvero, ancora, che non colpisca anche la deposizione
testimoniale sulle attivita' prese in considerazione (ordinanze
iscritte ai numeri 17, 18 e 19 del r.o. 2020).
Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe
anzitutto gli artt. 13 e 14 della Costituzione, in forza dei quali
l'autorita' di pubblica sicurezza puo' procedere a ispezioni
personali e a perquisizioni, personali e domiciliari, solo in casi
eccezionali di necessita' e urgenza indicati tassativamente dalla
legge, mediante atti soggetti a convalida da parte dell'autorita'
giudiziaria (da intendere come convalida motivata), in mancanza della
quale essi «restano privi di ogni efficacia»: perdita di efficacia
che implicherebbe necessariamente l'inutilizzabilita' dei loro
risultati sul piano probatorio, anche perche' solo in questo modo si
tutelerebbero efficacemente i diritti fondamentali alla liberta'
personale e domiciliare, disincentivando la loro violazione ad opera
della polizia giudiziaria per finalita' di ricerca della prova.
Risulterebbe, altresi', violato l'art. 3 Cost., sotto un duplice
profilo.
Da un lato, per l'ingiustificata disparita' di trattamento delle
ipotesi considerate rispetto a situazioni analoghe, per le quali la
sanzione dell'inutilizzabilita' e' espressamente prevista dalla legge
o riconosciuta dalla giurisprudenza, quali quelle delle
intercettazioni e dell'acquisizione di tabulati del traffico
telefonico operate dalla polizia giudiziaria in difetto di
provvedimento motivato dell'autorita' giudiziaria.
Dall'altro lato, per contrasto con il «principio di necessaria
razionalita' dell'ordinamento», venendosi a teorizzare un sistema che
considera «inefficaci ab origine le leggi incostituzionali», ma
«efficacissimi», anche sotto il profilo probatorio, gli atti di
polizia giudiziaria compiuti in violazione dei diritti costituzionali
del cittadino.
Sarebbe vulnerato anche l'art. 2 Cost., non risultando
predisposte effettive garanzie contro le illecite compromissioni dei
diritti inviolabili dell'uomo; come pure gli artt. 3 e 97, terzo
(recte: secondo) comma, Cost., venendo resa prevalente l'azione
illegale degli organi statali, finalizzata alla repressione dei
reati, rispetto ai diritti inviolabili dei consociati, posti al
centro dell'ordinamento costituzionale.
Il rimettente deduce, ancora, la violazione degli artt. 3 e 24
Cost., essendo generalmente riconosciuta l'inutilizzabilita' di prove
vietate dalla legge solo perche' non verificabili (quali gli scritti
anonimi e le fonti confidenziali), mentre, nell'ipotesi in esame, si
considerano irrazionalmente utilizzabili prove acquisite in diretta
violazione di un divieto di legge (anche costituzionale) e
caratterizzate anch'esse da una «ridotta verificabilita'», in
particolare quanto agli elementi che hanno indotto la polizia
giudiziaria a procedere alla perquisizione, con conseguente
compromissione anche del diritto di difesa dell'imputato.
Viene prospettata, infine, la violazione dell'art. 117 Cost., in
relazione all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4
agosto 1955, n. 848, giacche' verrebbero a mancare efficaci
disincentivi agli abusi delle forze di polizia che implichino
indebite interferenze nella vita privata della persona o nel suo
domicilio.
La sola ordinanza iscritta al r.o. n. 22 del 2020 solleva,
inoltre, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 103 t.u.
stupefacenti, «nella parte in cui prevede che il [pubblico ministero]
possa consentire l'esecuzione di perquisizioni in forza di
autorizzazione orale senza necessita' di una successiva
documentazione formale delle ragioni per cui l'ha rilasciata»: in tal
modo violando - secondo il rimettente - gli artt. 13, 14 e 117, primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU, posto che
una simile autorizzazione non varrebbe ad assicurare un controllo
effettivo sulla sussistenza delle condizioni che legittimano la
perquisizione.
2.- Le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche, o
in larga misura analoghe, sicche' i relativi giudizi vanno riuniti
per essere definiti con unica decisione.
3.- Riguardo alle questioni aventi ad oggetto l'art. 191 cod.
proc. pen., va rilevato che questa Corte, con la sentenza n. 219 del
2019 - successiva alle ordinanze di rimessione - si e' gia'
pronunciata su questioni sostanzialmente sovrapponibili alle odierne,
sollevate dal medesimo giudice in veste di Giudice dell'udienza
preliminare dello stesso Tribunale di Lecce.
3.1.- Nell'occasione, si e' rilevato come con la disposizione
censurata - secondo la quale «[l]e prove acquisite in violazione dei
divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate» - il
legislatore abbia inteso introdurre «un meccanismo preclusivo che
direttamente attingesse, dissolvendola, la stessa "idoneita'"
probatoria di atti vietati dalla legge», distinguendo nettamente tale
fenomeno dai profili di inefficacia conseguenti alla violazione di
una regola sancita a pena di nullita' dell'atto.
Anche tale vizio resta, peraltro, soggetto - come le nullita' -
ai paradigmi della tassativita' e della legalita'. Essendo il diritto
alla prova un connotato essenziale del processo penale, in quanto
componente del giusto processo, e' solo la legge a stabilire - con
norme di stretta interpretazione, in ragione della loro natura
eccezionale - quali siano e come si atteggino i divieti probatori,
«in funzione di scelte di "politica processuale" che soltanto il
legislatore e' abilitato, nei limiti della ragionevolezza, ad
esercitare».
Di qui l'impossibilita' - ripetutamente riconosciuta dalla
giurisprudenza di legittimita' - di riferire all'inutilizzabilita' il
regime del "vizio derivato", che l'art. 185, comma 1, cod. proc. pen.
contempla solo nel campo delle nullita' (stabilendo, in specie, che
«[l]a nullita' di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che
dipendono da quello dichiarato nullo»).
In tale cornice, il petitum del rimettente si traduceva, quindi,
nella richiesta di una pronuncia «fortemente "manipolativa"», volta a
rendere automaticamente inutilizzabili gli atti di sequestro,
«attraverso il "trasferimento" su di essi dei "vizi" che
affliggerebbero gli atti di perquisizione personale e domiciliare dai
quali i sequestri sono scaturiti, in ragione di una ritenuta non
congruita'» - in particolare, rispetto ai presupposti enunciati
dall'art. 103 t.u. stupefacenti - «dell'apparato di motivazioni
esibito dalla polizia giudiziaria a corredo degli atti in questione,
ancorche' convalidati da parte del pubblico ministero».
Cio' rendeva le questioni inammissibili, vertendosi in materia
caratterizzata da ampia discrezionalita' del legislatore (quale
quella processuale), e discutendosi, per giunta, di una disciplina di
natura eccezionale (quale appunto quella relativa ai divieti
probatori e alle clausole di inutilizzabilita' processuale).
Lo stesso assunto del giudice a quo - evocativo della cosiddetta
teoria dei "frutti dell'albero avvelenato" - secondo il quale la
soluzione proposta sarebbe stata necessaria al fine di disincentivare
le pratiche di acquisizione delle prove con modalita' lesive dei
diritti fondamentali (rendendole "non paganti"), rivelava come le
questioni coinvolgessero scelte di politica processuale riservate al
legislatore. L'obiettivo di disincentivare possibili abusi risultava,
peraltro, perseguito dall'ordinamento vigente tramite la persecuzione
diretta, in sede disciplinare o, se del caso, anche penale, della
condotta "abusiva" della polizia giudiziaria, come del resto
ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimita'.
La conclusione valeva a fortiori in rapporto alla richiesta
"collaterale" del rimettente di introdurre, ex novo, uno specifico
divieto probatorio, sancendo l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni
rese dalla polizia giudiziaria in ordine alle attivita' compiute:
«preclusione, quest'ultima, che si colloca in posizione del tutto
eccentrica rispetto al tema costituzionale coinvolto dagli artt. 13 e
14 Cost.».
3.2.- Le medesime considerazioni valgono evidentemente anche in
rapporto alle questioni sollevate dalle ordinanze di rimessione oggi
in esame, il cui impianto argomentativo ricalca ampiamente quello
delle ordinanze gia' scrutinate.
Le parziali variazioni del petitum, operate da quattro delle
ordinanze in correlazione alle peculiarita' delle vicende oggetto dei
giudizi a quibus, non mutano, nella sostanza, i termini del problema,
traducendosi in mere specificazioni ulteriori del genus delle
perquisizioni illegittime, secondo la visione del rimettente.
Le questioni concernenti l'art. 191 cod. proc. pen. vanno
dichiarate, di conseguenza, manifestamente inammissibili.
Le ulteriori eccezioni di inammissibilita' formulate
dall'Avvocatura generale dello Stato - calibrate esclusivamente su
tali questioni, anche quanto alle eccezioni sollevate nell'ambito del
giudizio relativo all'ordinanza iscritta al r.o. n. 22 del 2020 -
restano assorbite.
4.- Le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 103
t.u. stupefacenti, sollevate dalla sola ordinanza iscritta al r.o. n.
22 del 2020, sono invece fondate in riferimento agli artt. 13 e 14
Cost., nei termini di seguito indicati.
4.1.- La disposizione censurata si colloca nel novero delle
numerose norme speciali che attribuiscono alla polizia giudiziaria il
potere di compiere perquisizioni e ispezioni d'iniziativa in casi
diversi e ulteriori rispetto a quelli disciplinati dagli artt. 352 e
354 cod. proc. pen. In particolare, quanto alle perquisizioni,
l'intervento della polizia giudiziaria viene svincolato dai
presupposti dell'esistenza di una situazione di flagranza di reato,
apprezzabile ex ante, ovvero di evasione, previsti in via generale
dall'art. 352 cod. proc. pen.
Le operazioni contemplate dalle norme speciali possono avere
carattere preventivo ovvero repressivo. Le une, anche se compiute da
appartenenti alla polizia giudiziaria, prescindono dall'acquisizione
di una notizia di reato e quindi rientrano nell'attivita' della
polizia di sicurezza; le altre presuppongono invece la commissione di
un reato e si riconducono all'attivita' autonoma della polizia
giudiziaria.
Il comun denominatore di tali perquisizioni e ispezioni
"speciali" e' l'intento legislativo di apprestare strumenti di
contrasto di determinate forme di criminalita' maggiormente incisivi
di quelli prefigurati in via ordinaria dal codice di procedura
penale, attraverso l'attribuzione alla polizia giudiziaria di poteri
piu' ampi rispetto a quelli codificati.
E' questo appunto il caso dell'art. 103 t.u. stupefacenti, con il
quale il legislatore ha potenziato l'operativita' della polizia
giudiziaria onde realizzare una piu' efficace attivita' tanto di
prevenzione quanto di repressione dei traffici illeciti di
stupefacenti, prevedendo una ricerca sommaria, suscettibile di
evolvere, tuttavia, in accertamenti piu' penetranti, sino, se
necessario, alla perquisizione.
In particolare, dopo aver delineato, al comma 1, una facolta' di
visita, ispezione e controllo negli spazi doganali in capo alla
Guardia di finanza, al fine di assicurare l'osservanza delle norme
del medesimo t.u. stupefacenti, la disposizione denunciata prevede,
al comma 2, che, nel corso di operazioni per la prevenzione e la
repressione del traffico illecito di droga, gli ufficiali e agenti di
polizia giudiziaria possono procedere, «in ogni luogo», all'ispezione
dei mezzi di trasporto, dei bagagli e degli effetti personali,
«quando hanno fondato motivo di ritenere che possano essere rinvenute
sostanze stupefacenti o psicotrope». Delle operazioni compiute deve
essere redatto verbale mediante appositi moduli, da trasmettere entro
quarantotto ore alla procura della Repubblica, per la convalida nelle
quarantotto ore successive.
Il comma 3 - ed e' questa la previsione che qui particolarmente
interessa - stabilisce che gli ufficiali di polizia giudiziaria,
«quando ricorrono motivi di particolare necessita' e urgenza che non
consentono di richiedere l'autorizzazione telefonica del magistrato
competente, possono altresi' procedere a perquisizioni dandone
notizia, senza ritardo e comunque entro quarantotto ore, al
procuratore della Repubblica il quale, se ne ricorrono i presupposti,
le convalida entro le successive quarantotto ore». In assenza di
specificazioni limitative, la perquisizione puo' essere tanto
personale, quanto locale o domiciliare. E' implicito, inoltre, stante
il collegamento tra i commi 2 e 3, che anche per le perquisizioni
operino i presupposti di legittimita' indicati nel comma 2: occorre,
cioe', che sia in corso un'operazione antidroga e che sussista un
fondato motivo per ritenere che la perquisizione possa portare al
reperimento di sostanze stupefacenti.
4.2.- Il rimettente dubita della legittimita' costituzionale
della norma, nella parte in cui consente al pubblico ministero di
autorizzare oralmente l'esecuzione di perquisizioni, «senza
necessita' di una successiva documentazione formale delle ragioni»
per le quali l'autorizzazione e' stata rilasciata.
La premessa ermeneutica da cui muove il giudice a quo, e che
fonda il quesito di costituzionalita' - formulato in riferimento a un
caso nel quale il pubblico ministero aveva autorizzato
telefonicamente la perquisizione, omettendo, quindi, di convalidarla
- si presenta corretta.
La disposizione censurata appare, infatti, chiara nel senso che
le perquisizioni da essa previste sono soggette a convalida solo
quando non sia stato possibile «richiedere» (e quindi ottenere)
«l'autorizzazione telefonica del magistrato competente»:
autorizzazione che, a sua volta, tiene il luogo del decreto motivato
con il quale, ai sensi dell'art. 247, comma 2, cod. proc. pen., le
perquisizioni debbono essere ordinariamente disposte dall'autorita'
giudiziaria. Cio' risponde, peraltro, alla logica della norma,
consentendo alla polizia giudiziaria di intervenire prontamente,
sulla base anche di una semplice interlocuzione orale con il pubblico
ministero. Il decreto di perquisizione previsto dal codice di rito,
presupponendo l'esistenza di una notizia di reato (come si desume dal
comma 1 dello stesso art. 247 cod. proc. pen.), non risulterebbe,
d'altronde, neppure pertinente allorche' l'attivita' della polizia
giudiziaria assuma - come e' possibile in base alla norma censurata -
un carattere preventivo.
4.3.- In quest'ottica, la previsione normativa censurata si
rivela, tuttavia, incompatibile con il disposto degli artt. 13,
secondo comma, e 14, secondo comma, Cost.
A mente dell'art. 13, secondo comma, Cost., infatti, le
perquisizioni personali - al pari delle ispezioni personali e di ogni
altra restrizione della liberta' personale - possono essere disposte
solo «per atto motivato» dell'autorita' giudiziaria. Tale garanzia e'
estesa dall'art. 14, secondo comma, Cost. alle perquisizioni - oltre
che alle ispezioni e ai sequestri - eseguiti nel domicilio.
La motivazione dell'atto e' evidentemente funzionale alla tutela
della persona che subisce la perquisizione, la quale deve essere
posta in grado di conoscere - cosi' da poterle, all'occorrenza, anche
contestare - le ragioni per quali e' stata disposta una limitazione
dei suoi diritti fondamentali alla liberta' personale e domiciliare.
Un'autorizzazione telefonica - che, di per se', non lascia alcuna
traccia accessibile delle sue ragioni, ne' per l'interessato ne' per
il giudice - non soddisfa tale requisito. Se i motivi per i quali e'
stata consentita la perquisizione restano nel chiuso di un colloquio
telefonico tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, la tutela
prefigurata dalle norme costituzionali resta inevitabilmente
vanificata.
Al riguardo, non assume alcun rilievo la circostanza - gia' posta
in evidenza e rispondente a un consolidato indirizzo della
giurisprudenza di legittimita' - che la perquisizione prevista
dall'art. 103, comma 3, t.u. stupefacenti si differenzi da quella
ordinaria regolata dal codice di rito, potendo avere una finalita'
non solo repressiva, ma anche preventiva. Lo scopo - preventivo o
repressivo - della perquisizione costituisce, infatti, una variabile
indifferente ai fini dell'operativita' delle garanzie stabilite dagli
artt. 13 e 14 Cost. a tutela dei diritti fondamentali dell'individuo.
4.4.- Al fine di rimuovere il vulnus costituzionale denunciato,
il rimettente chiede a questa Corte di imporre al pubblico ministero
una «successiva documentazione formale» delle ragioni che lo hanno
indotto ad autorizzare oralmente la perquisizione.
Il petitum del giudice a quo non puo' essere evidentemente
recepito tal quale, posto che una simile soluzione lascerebbe nel
vago quando e come il pubblico ministero debba adempiere il su detto
obbligo.
Al tempo stesso, pero', l'intervento di questa Corte non puo'
trovare ostacolo nella circostanza che, in linea astratta, siano
prospettabili plurime soluzioni alternative per evitare il su detto
vuoto normativo. Nella sua giurisprudenza piu' recente, infatti, si
e' ripetutamente affermato che, a fronte della violazione di diritti
costituzionali, «[l]'ammissibilita' delle questioni di legittimita'
costituzionale risulta [...] condizionata non tanto dall'esistenza di
un'unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla
presenza nell'ordinamento di una o piu' soluzioni costituzionalmente
adeguate, che si inseriscano nel tessuto normativo coerentemente con
la logica perseguita dal legislatore» (sentenza n. 99 del 2019) e
idonee, quindi, a porre rimedio nell'immediato al vulnus riscontrato,
ferma restando la facolta' del legislatore di intervenire con scelte
diverse (sentenze n. 40 del 2019, n. 233, n. 222 e n. 41 del 2018, n.
236 del 2016). Occorre, infatti, evitare che l'ordinamento presenti
zone franche immuni dal sindacato di legittimita' costituzionale:
«posta di fronte a un vulnus costituzionale, non sanabile in via
interpretativa - tanto piu' se attinente a diritti fondamentali - la
Corte e' tenuta comunque a porvi rimedio» (sentenze n. 242 del 2019,
n. 162 del 2014 e n. 113 del 2011).
Nella specie, la soluzione con il piu' immediato aggancio nella
disciplina vigente - essendo questo offerto, in pratica, dalla stessa
norma censurata - e' quella di richiedere che anche la perquisizione
autorizzata telefonicamente debba essere convalidata, entro il doppio
termine delle quarantotto ore.
Tale soluzione presenta l'apparente elemento di anomalia connesso
al fatto che, in linea di principio, la convalida successiva si rende
necessaria quando e' mancato l'assenso preventivo dell'autorita'
giudiziaria: assenso che qui invece vi e' stato, anche se in forma
orale. E, pero', si tratta di assenso che - per quanto detto - non
risponde ai requisiti richiesti dall'art. 13, secondo comma, Cost.: e
proprio questo rende necessaria la convalida.
Occorre considerare, d'altro canto, che - come si e' avuto modo
di sottolineare - l'art. 103 t.u. stupefacenti amplia i poteri della
polizia giudiziaria rispetto a quanto previsto dall'art. 352 cod.
proc. pen., consentendole di eseguire perquisizioni anche in assenza
di una situazione di flagranza di reato apprezzabile ex ante. Cio'
giustifica un plus di garanzie - non pregiudizievole, peraltro,
rispetto alle esigenze di celerita' dell'operazione - imponendo alla
polizia giudiziaria di munirsi di un assenso preventivo informale del
pubblico ministero, salvo che sussistano motivi di necessita' e
urgenza che non consentano nemmeno quest'ultimo: assenso che non
esclude, peraltro, una successiva convalida formale dell'operazione,
in occasione della quale il pubblico ministero puo' avere anche modo
di verificare quanto riferitogli dalla polizia giudiziaria per
telefono, magari in modo frammentario, e comunque sia posto nella
condizione di verificare le modalita' con le quali la perquisizione
e' stata eseguita.
Ovviamente, tale soluzione presuppone che, pur in assenza di
espressa indicazione in questo senso, la convalida prevista dalla
disposizione censurata debba essere resa con provvedimento motivato.
Al riguardo, va in effetti rilevato che, pur nel silenzio
dell'art. 352, comma 4, cod. proc. pen., l'opinione prevalente e' nel
senso che anche la perquisizione "ordinaria" d'iniziativa della
polizia giudiziaria debba essere convalidata dal pubblico ministero
con decreto motivato, proprio per un'esigenza di rispetto degli artt.
13 e 14 Cost.
E' ben vero che il riferimento all'«atto motivato» e' presente
solo nel secondo comma dell'art. 13 Cost., a proposito della
perquisizione disposta ab origine dall'autorita' giudiziaria, e non
pure nel successivo terzo comma, a proposito della convalida dei
«provvedimenti provvisori» adottati dall'autorita' di sicurezza, nei
casi eccezionali di necessita' ed urgenza, tassativamente indicati
dalla legge. Ma, in proposito, coglie nel segno il rilievo del
giudice a quo, secondo cui l'esigenza della motivazione anche della
convalida deve ritenersi implicita nel dettato costituzionale,
rimanendo altrimenti frustrata la ratio della garanzia apprestata
dall'art. 13 Cost. Non avrebbe senso, in effetti, che la norma
costituzionale richieda l'«atto motivato» quando l'autorita'
giudiziaria, titolare ordinaria del potere, operi di sua iniziativa,
e non pure nell'ipotesi - piu' delicata - in cui sia chiamata a
verificare se la polizia giudiziaria abbia agito nell'ambito dei casi
eccezionali di necessita' e urgenza nei quali la legge le consente di
intervenire.
A livello di legge ordinaria, non si e' mancato di rilevare,
d'altro canto, in dottrina, come una esegesi letterale dell'art. 352,
comma 4, cod. proc. pen., il quale non richiede esplicitamente la
motivazione del decreto di convalida, determinerebbe una
ingiustificabile differenza di disciplina rispetto alla analoga
ipotesi della convalida del sequestro, per la quale invece la
motivazione e' richiesta (art. 355, comma 2, cod. proc. pen.).
Rilievo, questo, estensibile anche alla convalida prevista dalla
norma denunciata.
4.5.- Sotto altro profilo, pur essendo le censure del rimettente
rivolte in modo indistinto all'art. 103 t.u. stupefacenti, la
declaratoria di illegittimita' costituzionale deve colpire in modo
specifico il comma 3, ove e' contenuta la disposizione produttiva del
vulnus.
La pronuncia va, inoltre, limitata ai casi in cui
l'autorizzazione abbia ad oggetto una perquisizione personale o
domiciliare, perche' e' solo a queste che risultano riferite le
garanzie previste dagli artt. 13, secondo comma, e 14, secondo comma,
Cost.
4.6.- Alla luce di quanto precede, l'art. 103, comma 3, t.u.
stupefacenti va quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo
nella parte in cui non prevede che anche le perquisizioni personali e
domiciliari autorizzate per telefono debbano essere convalidate.
La censura di violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 8 CEDU, resta assorbita.
Ovviamente, anche in questo caso rimane ferma la facolta' del
legislatore di introdurre, nella sua discrezionalita', altra, e in
ipotesi piu' congrua, disciplina della fattispecie, purche'
rispettosa dei principi costituzionali.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 103, comma
3, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in
materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza), nella parte in cui non prevede che anche le
perquisizioni personali e domiciliari autorizzate per telefono
debbano essere convalidate;
2) dichiara la manifesta inammissibilita' delle questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 191 del codice di procedura
penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97,
secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo
in relazione all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4
agosto 1955, n. 848, dal Tribunale ordinario di Lecce, in
composizione monocratica, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2020.
F.to:
Mario Rosario MORELLI, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2020.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
Nessun commento:
Posta un commento