N. 162 SENTENZA 10 giugno - 22 luglio 2021
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Impiego pubblico - Personale della Polizia di Stato - Allievi e
agenti in prova - Riscontrate mancanze punibili con sanzioni
disciplinari piu' gravi della deplorazione - Espulsione dal corso -
Denunciata irragionevolezza, violazione del diritto di difesa e del
giusto procedimento - Inammissibilita' delle questioni.
- Decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335,
art. 6-ter, comma 3.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 97.
(GU n.30 del 28-7-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA,
Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6-ter,
comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982,
n. 335 (Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta
funzioni di polizia), promosso dal Tribunale amministrativo regionale
per il Friuli-Venezia Giulia nel procedimento vertente tra G. C. e il
Ministero dell'interno e altri con ordinanza del 2 marzo 2020,
iscritta al n. 114 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale,
dell'anno 2020.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2021 il Giudice
relatore Angelo Buscema;
deliberato nella camera di consiglio del 10 giugno 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza iscritta al n. 114 del registro ordinanze 2020,
il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 6-ter,
comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982,
n. 335 (Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta
funzioni di polizia), in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della
Costituzione, nella parte in cui, per gli allievi agenti e gli agenti
in prova, prevede l'espulsione dal corso a seguito del mero riscontro
di mancanze punibili con sanzioni disciplinari piu' gravi della
deplorazione.
Il giudice a quo premette di essere stato investito del ricorso
per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, del
provvedimento di espulsione dal corso di formazione per agenti della
Polizia di Stato di un allievo agente che si sarebbe reso
responsabile di una «mancanza punibile con sanzione disciplinare piu'
grave della deplorazione» e, in particolare, della violazione di cui
all'art. 6, comma quarto (recte: comma terzo), numero 8), del decreto
del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni
disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica
sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti), che punisce
con la sospensione (sanzione piu' grave della deplorazione)
l'appartenente ai ruoli dell'amministrazione della pubblica sicurezza
che abbia fatto «uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o
psicotrope risultante da referto medico legale».
Evidenzia il rimettente che, ai sensi dell'art. 55 del decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della
legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il
riordino del processo amministrativo), la domanda cautelare e' stata
respinta a causa dell'insufficiente specificazione dei profili di
periculum in mora e di concreta utilita' del provvedimento interinale
richiesto. Contestualmente, il TAR ha sollevato le citate questioni
di legittimita' costituzionale.
1.1.- Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata
violerebbe l'art. 3 Cost. per la rigida automaticita' del meccanismo
espulsivo vigente per gli allievi e per gli agenti in prova
(ragionevolezza intrinseca) e per la radicale diversita' di regime
rispetto agli agenti in servizio effettivo (disparita' di
trattamento).
Cio' in quanto, sotto il primo profilo, comminerebbe una sanzione
rigida e predeterminata a fronte di una notevole varieta' di
comportamenti, senza consentire all'Amministrazione alcuna
considerazione dei caratteri specifici dell'infrazione, della
gravita' del fatto e della colpevolezza dell'autore, ne' un
procedimento di accertamento in contraddittorio della
responsabilita'.
La violazione dell'art. 3 Cost. emergerebbe anche sotto il
profilo della disparita' di trattamento tra allievi e agenti in
prova, da un lato, e gli agenti in servizio effettivo, dall'altro. A
tale riguardo, vengono invocati quali tertia comparationis gli artt.
1, 6 e 7, nonche' 12 e seguenti del d.P.R. n. 737 del 1981, che
consentono una valutazione discrezionale dell'infrazione e
l'opportuna gradazione dell'effetto giuridico della sanzione. L'art.
l, comma secondo, del d.P.R. n. 737 del 1981, in particolare, dispone
che le sanzioni disciplinari «devono essere graduate, nella misura,
in relazione alla gravita' delle infrazioni ed alle conseguenze che
le stesse hanno prodotto per la Amministrazione o per il servizio».
Inoltre, la sanzione della sospensione per gli agenti in servizio
effettivo (art. 6, comma primo, del d.P.R. n. 737 del 1981), che
consiste nell'allontanamento dal servizio «per un periodo da uno a
sei mesi», consentirebbe elasticita' nella commisurazione della
risposta punitiva all'interno della cornice edittale. Tali
disposizioni non sarebbero, pero', applicabili all'allievo e
all'agente in prova, per i quali l'espulsione conseguirebbe sempre
alla commissione di «mancanze punibili con sanzioni disciplinari piu'
gravi della deplorazione».
1.2.- La disposizione censurata si porrebbe altresi' in contrasto
con l'art. 97 Cost. e, in particolare, con il principio del «giusto
procedimento», quale canone fondamentale dell'azione amministrativa
direttamente desumibile dai principi di legalita', buon andamento e
imparzialita'. Nel caso di specie, a parere del rimettente,
difetterebbero sia una idonea «distanza» tra ipotesi astratta e
provvedimento - essendo quest'ultimo a «rime obbligate» sulla base
del sommario riscontro di determinate condotte - sia un adeguato
spazio valutativo dei fatti e degli interessi, non essendo prevista
alcuna disciplina dell'iter procedimentale da seguire.
1.3.- Il Tribunale rimettente deduce, altresi', la violazione
dell'art. 24 Cost., atteso che, con riguardo alla sanzione
disciplinare - la cui irrogazione postula l'accertamento di
responsabilita' - il giusto procedimento dovrebbe assicurare il
diritto di difesa dell'interessato.
1.4.- In punto di rilevanza, il rimettente ritiene che il
giudizio a quo non possa essere definito indipendentemente dalla
risoluzione delle questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
6-ter, comma 3, del d.P.R n. 335 del 1982, che troverebbe diretta
applicazione in quanto, riferendosi alle «mancanze punibili con
sanzioni disciplinari piu' gravi della deplorazione»,
ricomprenderebbe il comportamento tenuto dall'allievo agente punibile
con la sanzione della sospensione.
Il TAR evidenzia, poi, che la domanda cautelare e' stata respinta
per non essere stati adeguatamente circostanziati il periculum in
mora e l'interesse ad agire in sede cautelare, in un contesto in cui
appariva altamente verosimile l'inattuabilita' pratica della misura
richiesta, cioe' l'ammissione con riserva agli esami. Sostiene,
tuttavia, il rimettente che gli effetti del provvedimento di
espulsione non sarebbero comunque irreversibili, in quanto alla
declaratoria di illegittimita' costituzionale della disposizione
censurata conseguirebbe una pronuncia di annullamento del
provvedimento di espulsione, a seguito della quale il ricorrente ben
potrebbe essere riammesso in sovrannumero ad un corso successivo,
previo eventuale riesercizio del potere sanzionatorio in senso
conforme a Costituzione.
1.6.- Il giudice a quo rappresenta, infine, di aver tentato
un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma
censurata, esegesi tuttavia preclusa dal «rigido dettato» dell'art.
6-ter, comma 3, del d.P.R. n. 335 del 1982.
2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, deducendo l'inammissibilita' e, comunque, l'infondatezza delle
questioni di legittimita' costituzionale della disposizione
censurata.
2.1.- Dopo aver ripercorso il contenuto dell'ordinanza di
rimessione, la difesa dello Stato eccepisce l'inammissibilita' del
ricorso sul rilievo che, con ordinanza del 26 febbraio 2020, n. 36,
il TAR rimettente ha respinto l'istanza cautelare «ed il relativo
provvedimento e' divenuto definitivo». Aggiunge che la situazione del
ricorrente apparirebbe ormai cristallizzata e anche una sentenza
favorevole non sarebbe idonea a reintegrare l'allievo agente nella
stessa posizione ricoperta al momento dell'espulsione nell'ambito del
corso di formazione che stava frequentando. Il tempo trascorso
dall'espulsione all'eventuale riammissione non potrebbe, difatti, che
incidere in senso negativo per il ricorrente, atteso che
l'interruzione della frequenza del corso per un periodo superiore
all'annualita' eliderebbe il requisito della necessaria continuita'
formativa, elemento indispensabile per l'accesso ai ruoli della
Polizia di Stato, nell'ambito della quale vigono rigide regole a
presidio della regolare formazione degli aspiranti.
2.2.- La difesa dello Stato sostiene, altresi', che il TAR
avrebbe omesso di verificare la possibilita' di pervenire a una
soluzione conforme a Costituzione, essendosi limitato ad affermare
che la norma censurata costituisce il «presupposto giuridico»
indefettibile per la sanzione espulsiva, senza tener conto che il
ricorrente e' stato espulso dal corso in quanto destinatario della
sanzione della sospensione dal servizio, ai sensi dell'art. 6, comma
terzo, numero 8), del d.P.R. n. 737 del 1981, alla luce del combinato
disposto di tale ultima disposizione con quella censurata, e senza
considerare che anche agli allievi e agli agenti in prova sarebbero
applicabili le norme del d.P.R. n. 737 del 1981 che disciplinano le
sanzioni e il procedimento per irrogarle.
2.3.- Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, le
questioni sollevate sarebbero altresi' inammissibili per irrilevanza,
atteso che, secondo quanto prospettato nell'ordinanza di rimessione,
il giudice a quo potrebbe addivenire a una sentenza favorevole al
ricorrente in ragione della mancata integrazione della condotta
prevista dall'art. 6, comma terzo, del d.P.R. n. 737 del 1981.
2.4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce, poi,
l'inammissibilita' delle questioni in ragione dell'incompleta
ricostruzione del quadro normativo di riferimento. Le disposizioni in
tema di procedimento disciplinare (artt. 12 e seguenti del d.P.R. n.
737 del 1981) sarebbero, difatti, applicabili, nei limiti della
compatibilita', anche agli allievi e agli agenti in prova, in virtu'
dell'espressa previsione contenuta nell'art. 33, ultimo comma, del
decreto del Ministro dell'interno del 9 marzo 1983 (Regolamento degli
Istituti di Istruzione) - non oggetto di impugnativa nel giudizio a
quo e nemmeno menzionato nell'ordinanza di rimessione - non
rilevandosi alcun elemento, anche solo di natura analogica, che osti
al riconoscimento delle garanzie minime di difesa all'allievo e
all'agente in prova incolpato di una delle violazioni disciplinari
sopra menzionate.
2.5.- Nel merito, sostiene la difesa dello Stato, non
sussisterebbe il denunciato vizio di ragionevolezza intrinseca,
sollecitandosi il sindacato di questa Corte su scelte riservate in
via esclusiva alla discrezionalita' del legislatore. Seppure la
verifica di ragionevolezza e proporzionalita' della sanzione,
ricollegata dall'art. 6-ter, comma 3, del d.P.R. n. 335 del 1982 alla
fattispecie disciplinare dell'«uso non terapeutico di sostanze
stupefacenti o psicotrope» (art. 6, comma terzo, numero 8, del d.P.R.
n. 737 del 1981), fosse da intendersi circoscritta agli effetti
immediati e diretti del provvedimento di espulsione, nella
valutazione della sussistenza del vizio di ragionevolezza intrinseca
"per sproporzione" di un trattamento sanzionatorio per sua natura non
graduabile, come appunto l'espulsione, non sarebbe sufficiente
limitarsi a rilevare che gli artt. 6 e 7 del d.P.R. n. 737 del 1981
«delineano una grande varieta' di comportamenti, in astratto certo
accomunati da una particolare gravita' e riprovevolezza, ma che
possono in concreto non esprimere un uniforme grado di offensivita'
al prestigio della funzione e al suo regolare svolgimento e non
ritenersi quindi meritevoli della massima sanzione».
L'affermazione del giudice rimettente circa l'impossibilita' di
presumere in maniera assoluta l'indegnita' alla funzione di chi
commetta mancanze punibili con sanzioni disciplinari piu' gravi della
deplorazione, anche quando l'infrazione presenti in concreto una
minima gravita' e una trascurabile offensivita' ai valori e
all'importanza del ruolo, sarebbe connotata da un cosi' alto tasso di
opinabilita' da rivelarsi inidonea a fondare un giudizio di manifesta
irragionevolezza della disposizione censurata, considerato che l'uso
di sostanze stupefacenti costituisce di per se' circostanza ostativa
alla partecipazione ai concorsi per l'arruolamento del personale
della Polizia di Stato, per difetto dei requisiti di idoneita'
psico-fisica al servizio.
Con riferimento, poi, ai ripetuti richiami contenuti
nell'ordinanza di rimessione alla giurisprudenza costituzionale in
materia di «automatismi sanzionatori», l'Avvocatura dello Stato
rileva come, nel caso di specie, sussistano specificita' proprie
della materia disciplinare, rispetto a quella penale in senso
proprio, tali per cui non sarebbe attuabile una meccanica e
indiscriminata applicazione alla prima di principi e schemi
concettuali elaborati solo con riferimento alla seconda. Benche' le
sanzioni disciplinari attengano in senso lato al diritto
sanzionatorio-punitivo - e proprio per tale ragione attraggano a se'
alcune delle garanzie che la Costituzione e il diritto sovranazionale
riservano alla pena - esse conserverebbero, tuttavia, una propria
specificita' anche dal punto di vista del loro statuto
costituzionale, potendo legittimamente rispondere, quanto meno nei
casi concernenti pubblici funzionari cui sono affidati compiti
essenziali a garanzia dello Stato di diritto, anche alla finalita' di
assicurare la definitiva cessazione dal servizio di persone
dimostratesi non idonee, o non piu' idonee, all'assolvimento dei
propri doveri.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza iscritta al n. 114 del registro ordinanze 2020,
il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 6-ter,
comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982,
n. 335 (Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta
funzioni di polizia), in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della
Costituzione, nella parte in cui, per gli allievi e gli agenti in
prova, prevede l'espulsione dal corso al mero riscontro di mancanze
punibili con sanzioni disciplinari piu' gravi della deplorazione,
senza consentire una valutazione in concreto della gravita'
dell'infrazione e una conseguente graduazione della sanzione, ne' un
procedimento di accertamento in contraddittorio della
responsabilita'.
Il giudice a quo e' stato investito del ricorso per
l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, del provvedimento
di espulsione dal corso di formazione per agenti della Polizia di
Stato di un allievo agente che si sarebbe reso responsabile di una
«mancanza punibile con sanzione disciplinare piu' grave della
deplorazione» e, in particolare, della violazione di cui all'art. 6,
comma quarto (recte: comma terzo), numero 8), del decreto del
Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni
disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica
sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti), che punisce
con la sospensione (sanzione piu' grave della deplorazione)
l'appartenente ai ruoli dell'amministrazione della pubblica sicurezza
che abbia fatto «uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o
psicotrope risultante da referto medico legale».
La domanda cautelare, proposta ai sensi dell'art. 55 del decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della
legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il
riordino del processo amministrativo), e' stata respinta.
Contestualmente, il TAR ha sollevato le citate questioni di
legittimita' costituzionale.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, e' intervenuto in giudizio,
eccependo l'inammissibilita' del ricorso sul rilievo, tra l'altro,
che, con ordinanza del 26 febbraio 2020, n. 36, il TAR ha
definitivamente respinto l'istanza cautelare avanzata.
2.- L'eccezione d'inammissibilita' sollevata dall'Avvocatura
generale dello Stato e' fondata.
Per come riferito dallo stesso rimettente, infatti, l'istanza
cautelare avanzata nel giudizio a quo e' stata rigettata a causa
dell'insufficiente specificazione dei profili di periculum in mora e
di concreta utilita' del provvedimento interinale domandato,
apparendo al TAR verosimile l'inattuabilita' pratica della misura
richiesta, cioe' l'ammissione con riserva agli esami.
L'incidente di costituzionalita' della norma censurata, dunque,
non viene proposto per decidere l'istanza cautelare di sospensione
del provvedimento impugnato, bensi' dopo il suo rigetto, al fine di
dare soluzione al giudizio «sotto il profilo del merito», ma prima
che si radichi la potesta' decisoria a esso afferente.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «perche' non si
verifichi l'esaurimento del potere cautelare del rimettente, con
conseguente inammissibilita' della questione di costituzionalita' per
irrilevanza nel giudizio a quo (ordinanze n. 150 del 2012 e n. 307
del 2011) e' necessario che il provvedimento sia "interinale"
(ordinanza n. 128 del 2010), ovvero "ad tempus" (ordinanza n. 211 del
2011), o ancora "provvisorio e temporaneo fino alla ripresa del
giudizio cautelare dopo l'incidente di legittimita' costituzionale"
(ordinanza n. 236 del 2010). Calando tali principi nel giudizio
amministrativo, come strutturato prima della riforma introdotta dal
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo
44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per
il riordino del processo amministrativo), si e' poi affermato che "se
il giudice amministrativo solleva la questione di legittimita'
costituzionale della norma relativa al merito del ricorso,
contestualmente alla decisione, senza alcuna riserva, di accoglimento
o di rigetto sulla domanda di sospensione del provvedimento
impugnato, la questione risulta, per un verso, non rilevante
nell'autonomo contenzioso sulla misura cautelare - esauritosi con la
relativa pronuncia -, e per altro verso intempestiva in rapporto alla
seconda ed eventuale sede contenziosa, posto che, prima del
perfezionamento dei requisiti processuali prescritti (domanda di
parte, assegnazione della causa per la sua trattazione), l'organo
giurisdizionale e' sprovvisto di potesta' decisoria sul merito e
sulle questioni di costituzionalita' ad esso relative, ancorche'
questa delibazione sia limitata alla non manifesta infondatezza delle
eccezioni e solo strumentale alla predetta seconda fase del giudizio"
(sentenza n. 451 del 1993)» (sentenza n. 200 del 2014).
Tali considerazioni continuano a valere, anche nel processo
amministrativo quale strutturato dopo la riforma, per l'ipotesi di
rigetto della domanda cautelare, atteso che, ai sensi dell'art. 55,
comma 11, del d.lgs. n. 104 del 2010, solo la concessione della
misura cautelare comporta l'instaurazione del giudizio di merito
senza necessita' di ulteriori adempimenti, con la conseguenza che
l'eventuale questione di legittimita' costituzionale non sarebbe
intempestiva rispetto a tale sede contenziosa, essendo (solo) in
questo caso il giudice provvisto di piena potesta' decisoria (ancora,
sentenza n. 200 del 2014).
Alla luce di quanto precede, le questioni sollevate devono essere
dichiarate inammissibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 6-ter, comma 3, del decreto del Presidente
della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335 (Ordinamento del personale
della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia), sollevate,
in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dal
Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia con
l'ordinanza in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Angelo BUSCEMA, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2021.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
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