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mercoledì 28 luglio 2021

N. 174 SENTENZA 7 - 26 luglio 2021 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Sicurezza pubblica - Controllo dell'acquisizione e della detenzione delle armi - Modifiche, per mezzo di decreto legislativo, al TULPS - Obbligo per l'armaiolo di tenere un registro delle operazioni giornaliere, nel quale devono essere indicate le generalita' delle persone con cui le operazioni stesse sono compiute - Modifica del trattamento sanzionatorio - Denunciata violazione dei criteri direttivi della legge delega - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 26 ottobre 2010, n. 204, art. 3, comma 1, lettera d), nella parte in cui modifica l'art. 35, comma 8, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. - Costituzione, art. 76. (GU n.30 del 28-7-2021 )

 


N. 174 SENTENZA 7 - 26 luglio 2021


Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 

 

Sicurezza pubblica - Controllo dell'acquisizione e  della  detenzione

  delle armi - Modifiche, per mezzo di decreto legislativo, al  TULPS

  - Obbligo per l'armaiolo di tenere  un  registro  delle  operazioni

  giornaliere, nel quale devono essere indicate le generalita'  delle

  persone con cui le operazioni stesse sono compiute -  Modifica  del

  trattamento  sanzionatorio  -  Denunciata  violazione  dei  criteri

  direttivi della legge delega - Non fondatezza della questione. 

- Decreto legislativo 26 ottobre 2010,  n.  204,  art.  3,  comma  1,

  lettera d), nella parte in cui modifica l'art.  35,  comma  8,  del

  regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. 

- Costituzione, art. 76. 

(GU n.30 del 28-7-2021 )

  

 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE 

 

composta dai signori: 

Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 

Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'

  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano

  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN

  GIORGIO, 

      

    ha pronunciato la seguente 

 

                              SENTENZA 

 

    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1,

lettera  d),  del  decreto  legislativo  26  ottobre  2010,  n.   204

(Attuazione della direttiva 2008/51/CE,  che  modifica  la  direttiva

91/477/CEE relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione

di armi), nella parte in cui - nel riformulare l'art.  35  del  regio

decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del  testo  unico  delle

leggi  di  pubblica  sicurezza)  -  prevede  al  comma  8   la   pena

dell'arresto da sei mesi a due anni e dell'ammenda da  4.000  euro  a

20.000 euro per la contravvenzione che punisce  la  violazione  degli

obblighi posti a carico dell'armaiolo dallo stesso art. 35,  promosso

dal Tribunale ordinario di Savona, sezione penale, con ordinanza  del

15 settembre 2020, iscritta al n. 16 del registro  ordinanze  2021  e

pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  7,  prima

serie speciale, dell'anno 2021. 

    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei

ministri; 

    udito nella camera di consiglio del  7  luglio  2021  il  Giudice

relatore Augusto Antonio Barbera; 

    deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2021. 

 

                          Ritenuto in fatto 

 

    1.- Con ordinanza del 15 settembre 2020 (r.o. n. 16 del 2021), il

Tribunale ordinario di  Savona,  sezione  penale,  ha  sollevato,  in

riferimento all'art. 76 della Costituzione, questione di legittimita'

costituzionale  dell'art.  3,  comma  1,  lettera  d),  del   decreto

legislativo 26 ottobre  2010,  n.  204  (Attuazione  della  direttiva

2008/51/CE,  che  modifica  la  direttiva  91/477/CEE   relativa   al

controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi). 

    La norma e' censurata nella parte in cui - nel riformulare l'art.

35 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione  del  testo

unico delle leggi di pubblica sicurezza) - prevede al comma 8 la pena

dell'arresto da sei mesi a due anni e dell'ammenda da  4.000  euro  a

20.000 euro per la contravvenzione che punisce  la  violazione  degli

obblighi posti a carico dell'armaiolo dai commi da 1 a 5 dello stesso

art. 35 TULPS, in precedenza sanzionata con la pena  dell'arresto  da

tre mesi a un anno e dell'ammenda non inferiore a lire cinquantamila. 

    2.-  Il  giudizio   principale   e'   volto   ad   accertare   la

responsabilita'  penale  di  S.  G.,  imputato  del  reato   previsto

dall'art. 35, commi 1 e 8, TULPS per avere,  in  qualita'  di  legale

rappresentante dell'omonima  armeria,  titolare  di  licenza  per  la

vendita e il deposito per fini di commercio di armi comuni da  sparo,

raccolto trentacinque armi lunghe senza annotarle nel registro  delle

operazioni giornaliere. 

    Nel  corso  del  dibattimento,  il  difensore  dell'imputato   ha

eccepito  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  comma   1,

lettera d), del d.lgs. n. 204 del 2010, che modifica l'art. 35 TULPS,

in quanto emanato in violazione dei  limiti  stabiliti  dalla  delega

approvata  con  legge  7  luglio  2009,  n.  88   (Disposizioni   per

l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia

alle Comunita' europee - Legge comunitaria 2008). 

    2.1.- In ordine alla rilevanza  della  questione,  il  rimettente

deduce che dagli esiti  dell'istruttoria  e'  emerso  che  l'imputato

ricade nella definizione normativa di «armaiolo»  prevista  dall'art.

1-bis, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 30 dicembre 1992,

n. 527 (Attuazione della direttiva 91/477/CEE relativa  al  controllo

dell'acquisizione e della detenzione di armi)  e  che  lo  stesso  ha

effettivamente omesso di annotare nel registro  richiamato  dall'art.

35, comma 1, TULPS, la detenzione  di  trentacinque  armi  da  sparo,

senza che possano al riguardo ravvisarsi ragioni per pronunciare  una

sentenza di proscioglimento. 

    Risalendo  la  condotta  contestata  al  18   aprile   2017,   la

sussunzione del fatto nella fattispecie  contravvenzionale  in  esame

comporterebbe  l'applicazione  della  sanzione  di  cui  al  comma  8

dell'art. 35 TULPS, nella versione introdotta dalla norma  censurata,

entrata in vigore il 1° luglio 2011 ex art. 8, comma 1 del d.lgs.  n.

204 del 2010. 

    Nella prospettazione del rimettente la rilevanza della  questione

discende,  quindi,  dal  fatto  che   l'invocata   dichiarazione   di

illegittimita' costituzionale comporterebbe l'immediata  reviviscenza

dell'art.  35  TULPS,  nella   sua   formulazione   precedente,   con

conseguente applicazione di un trattamento sanzionatorio piu' mite. 

    2.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza della questione,  il

rimettente deduce che l'art. 3, comma 1, lettera d),  del  d.lgs.  n.

204 del 2010 - nella parte in  cui  interviene  sull'art.  35  TULPS,

aggravando il  trattamento  sanzionatorio  della  contravvenzione  in

esame (con l'introduzione, al contempo, di modifiche  solo  marginali

al precetto) - appare in contrasto con l'art.  76  Cost.,  avendo  il

legislatore delegato  superato  i  limiti  di  oggetto  o,  comunque,

violato i principi e criteri direttivi, generali e speciali,  dettati

in materia di  sanzioni  rispettivamente  dagli  artt.  2,  comma  1,

lettera c), e 36, comma 1, lettera n), della legge n. 88 del 2009. 

    Al riguardo, il giudice a quo evidenzia che, in base all'indicato

art.  36,  comma  1,  lettera  n),   il   potere   delegato   attiene

all'«introduzione di sanzioni penali, nei limiti di pena di cui  alla

legge 2 ottobre 1967, n. 895, ed alla legge 18 aprile 1975, n. 110» e

che la previsione della sola introduzione di  nuove  sanzioni  penali

costituirebbe un preciso limite al potere  conferito  al  legislatore

delegato, che non avrebbe la possibilita' di incidere sulle  sanzioni

gia' esistenti, ne' aggravando ne' mitigando il relativo trattamento. 

    Una tale lettura sarebbe confermata dal citato art. 2,  comma  1,

lettera c), che, nel dettare i criteri generali cui deve attenersi il

legislatore  delegato  nell'introdurre  nuove  fattispecie  penali  o

illeciti amministrativi, limita la  delega  «al  di  fuori  dei  casi

previsti dalle norme penali vigenti». 

    Tale interpretazione della  legge  delega  sarebbe  ulteriormente

avvalorata  da  un  ulteriore  criterio  generale   contenuto   nella

diposizione da ultimo richiamata,  laddove  prevede  che  «[e]ntro  i

limiti di pena  indicati  nella  presente  lettera  [ammenda  fino  a

150.000 euro e arresto  fino  a  tre  anni]  sono  previste  sanzioni

identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle  leggi  vigenti

per  violazioni  omogenee  e  di  pari  offensivita'  rispetto   alle

infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi». 

    In sostanza, ad avviso del rimettente,  la  disposizione  di  cui

all'art. 2, comma 1, lettera c),  della  legge  n.  88  del  2009  si

aprirebbe con una clausola di sussidiarieta' in forza della quale  e'

escluso il potere del legislatore delegato nei casi in cui la materia

e' gia' regolata da una norma penale ed aggiungerebbe il  vincolo  di

prevedere, per le nuove  fattispecie  penali,  sanzioni  identiche  a

quelle esistenti per violazioni omogenee e di pari offensivita'. 

    Il giudice a quo osserva infine che, anche  qualora  si  volesse,

per assurdo, ritenere conferito al legislatore delegato il potere  di

incidere su sanzioni penali esistenti, il vincolo di cui all'art.  2,

comma 1, lettera c), da ultimo indicato, avrebbe comunque imposto nel

caso di specie di confermare il trattamento sanzionatorio originario,

attesa  la  continuita'  e  sostanziale  sovrapponibilita'   tra   le

fattispecie penali previste dall'art. 35 TULPS nell'attuale  versione

e in quella previgente. In proposito, il rimettente sostiene  infatti

che il d.lgs. n. 204 del 2010 si  sarebbe  limitato  a  sostituire  i

riferimenti  alle  diverse  figure   professionali   previste   dalla

disciplina in materia di armi con un richiamo alla  nozione  unitaria

di  armaiolo  e  ad  aggiungere,  rispetto  ai  precedenti  obblighi,

prescrizioni meramente accessorie che non modificano  nella  sostanza

l'area centrale del precetto penale. 

    2.3.- Da ultimo, il rimettente esclude  la  possibilita'  di  una

interpretazione  costituzionalmente  orientata   della   disposizione

censurata  mediante  il  ricorso  ai  criteri   letterale,   storico,

sistematico e teleologico, prendendo in considerazione, a tale ultimo

riguardo, anche l'art. 16 della direttiva  91/477/CEE  del  Consiglio

del 18 giugno 1991 relativa al controllo  dell'acquisizione  e  della

detenzione di armi, come modificato dalla  direttiva  2008/51/CE  del

Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008,  secondo  cui

«[g]li Stati membri stabiliscono le sanzioni da irrogare in  caso  di

violazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione  della

presente direttiva e adottano ogni misura necessaria per  assicurarne

l'esecuzione», fermo restando che «le sanzioni previste devono essere

efficaci, proporzionate  e  dissuasive».  Nemmeno  tale  disposizione

consentirebbe  invero  un'interpretazione  adeguatrice  della   norma

censurata, in ragione dell'ampia discrezionalita' che essa  riconosce

al legislatore interno nella definizione degli strumenti da  adottare

per dare effettivita' alla direttiva comunitaria. 

    3.- Con atto  depositato  il  9  marzo  2021  e'  intervenuto  in

giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e

difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la

questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata infondata. 

    L'interveniente   rammenta   anzitutto    che,    per    costante

giurisprudenza di questa Corte, al legislatore delegato  deve  essere

riconosciuto un margine  di  discrezionalita'  nell'attuazione  della

delega, sempre che il suo  intervento  ne  rispetti  la  ratio  e  si

inserisca  in  modo  coerente  nel  relativo  quadro  normativo.   In

relazione all'ipotesi di delega  finalizzata  all'attuazione  di  una

direttiva europea, vengono inoltre richiamate le pronunce secondo cui

i principi dettati dalle direttive si aggiungono  a  quelli  indicati

dal legislatore nazionale, assumendo valore di parametro interposto e

potendo cosi' autonomamente giustificare l'intervento del legislatore

delegato. 

    Fatta questa premessa generale,  l'Avvocatura  esclude  tanto  la

violazione dei principi e  criteri  generali  previsti  dall'art.  2,

comma l, lettera c), della legge n. 88  del  2009  quanto  di  quelli

specifici indicati nel successivo art. 36, comma 1, lettera.  n).  La

norma  censurata  rispetterebbe  infatti  entrambe  le  disposizioni,

avendo modificato la struttura e  il  trattamento  sanzionatorio  del

reato previsto dall'art. 35 TULPS senza superare  i  limiti  di  pena

previsti dalla legge delega e senza sovrapporsi ad altra  fattispecie

criminosa. 

    Inoltre,  l'interpretazione  dell'espressione  «introduzione   di

sanzioni  penali»  di  cui  all'art.  36,  comma   1,   lettera   n),

comprenderebbe certamente anche la modifica di  sanzioni  relative  a

reati preesistenti, considerato che, altrimenti, sarebbe stata  usata

un'espressione letterale diversa, dichiaratamente diretta a  limitare

l'intervento del legislatore delegato alla sola introduzione di nuove

figure di illecito. 

    Allo stesso riguardo, l'Avvocatura evidenzia che la  lettura  del

giudice a quo sarebbe, in ogni caso, non coerente con la ratio  della

legge delega per come individuata dalla direttiva comunitaria oggetto

di attuazione. Invero, proprio l'art. 16 della  direttiva  91/477/CEE

invocato dal rimettente, riconoscendo agli Stati membri la piu' ampia

liberta' di scelta nello stabilire sanzioni efficaci, proporzionate e

dissuasive da irrogare  in  caso  di  violazione  delle  disposizioni

nazionali adottate in attuazione  della  direttiva,  garantirebbe  al

legislatore delegato anche il  potere  di  modificare  i  trattamenti

sanzionatori di ipotesi di reato gia' esistenti. 

 

                       Considerato in diritto 

 

    1.- Con ordinanza del 15 settembre 2020 (r.o. n. 16 del 2021), il

Tribunale ordinario di  Savona,  sezione  penale,  ha  sollevato,  in

riferimento all'art. 76 della Costituzione, questione di legittimita'

costituzionale  dell'art.  3,  comma  1,  lettera  d),  del   decreto

legislativo 26 ottobre  2010,  n.  204  (Attuazione  della  direttiva

2008/51/CE,  che  modifica  la  direttiva  91/477/CEE   relativa   al

controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi), nella  parte

in cui - nel riformulare l'art. 35 del regio decreto 18 giugno  1931,

n.  773  (Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi  di  pubblica

sicurezza) - prevede al comma 8 la pena dell'arresto da  sei  mesi  a

due  anni  e  dell'ammenda  da  4.000  euro  a  20.000  euro  per  la

contravvenzione inerente la violazione degli obblighi posti a  carico

dell'armaiolo dai commi da 1 a 5  dello  stesso  art.  35  TULPS,  in

precedenza sanzionata al comma 6 con la pena dell'arresto da tre mesi

a un anno e dell'ammenda non inferiore a lire cinquantamila. 

    La norma censurata sarebbe  in  contrasto  con  l'art.  76  Cost.

perche' incide sul trattamento  sanzionatorio  della  contravvenzione

indicata, laddove i principi e i criteri direttivi dettati in tema di

sanzioni dagli artt. 2, comma 1, lettera c), e 36, comma  1,  lettera

n), della legge  delega  7  luglio  2009,  n.  88  (Disposizioni  per

l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia

alle Comunita' europee - Legge comunitaria 2008) avrebbero consentito

la sola introduzione di nuove ipotesi di reato e non la  modifica  di

sanzioni penali relative a incriminazioni gia' esistenti. 

    Il   disposto   aggravamento   del   trattamento    sanzionatorio

violerebbe, in primo luogo, il criterio  specifico  -  stabilito  per

l'attuazione della «direttiva 2008/51/CE del Parlamento europeo e del

Consiglio del 21 maggio 2008 che modifica la direttiva 91/477/CEE del

Consiglio, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione

di armi» - che imponeva al Governo di  «prevedere  l'introduzione  di

sanzioni penali, nei limiti di pena di cui alla legge 2 ottobre 1967,

n. 895, ed alla legge 18 aprile 1975, n.  110»  (art.  36,  comma  1,

lettera n), in quanto  per  sanzioni  "nuove"  dovrebbero  intendersi

esclusivamente quelle relative ad incriminazioni  introdotte  per  la

prima volta dal legislatore delegato. 

    Il  medesimo  aggravamento  contrasterebbe,  altresi',   con   il

criterio generale della delega - valido per l'attuazione di tutte  le

direttive recepite dalla legge comunitaria 2008 - che  ammetteva,  ai

sensi dell'art. 2, comma 1, lettera c),  l'introduzione  di  sanzioni

«al  di  fuori  dei  casi  previsti  dalle  norme  penali   vigenti»,

espressione   che   precluderebbe   la   modifica   del   trattamento

sanzionatorio di reati preesistenti. 

    Da ultimo, il giudice  a  quo  argomenta  invocando  il  criterio

generale delle sanzioni identiche,  sancito  dall'art.  2,  comma  1,

lettera c), della legge n. 88 del 2009, in base al quale  «[e]ntro  i

limiti di pena  indicati  nella  presente  lettera  [ammenda  fino  a

150.000 euro e arresto  fino  a  tre  anni]  sono  previste  sanzioni

identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle  leggi  vigenti

per  violazioni  omogenee  e  di  pari  offensivita'  rispetto   alle

infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi». Sul punto,  il

rimettente evidenzia  che,  se  si  volesse,  per  assurdo,  ritenere

conferito  al  legislatore  delegato  il  potere  di  incidere  sulle

sanzioni penali esistenti, il  vincolo  da  ultimo  indicato  avrebbe

comunque imposto nel caso di  specie  di  confermare  il  trattamento

sanzionatorio  originario,  attesa  la  continuita'   e   sostanziale

sovrapponibilita' tra le fattispecie  penali  previste  dall'art.  35

TULPS nell'attuale versione e in quella previgente. 

    2.- La questione non e' fondata. 

    2.1.- La giurisprudenza di questa Corte e' costante nel  ritenere

che la delega  legislativa  non  esclude  ogni  discrezionalita'  del

legislatore delegato, la quale puo' essere  piu'  o  meno  ampia,  in

relazione al grado di specificita' dei criteri  fissati  nella  legge

delega: pertanto, al  fine  di  valutare  se  lo  stesso  legislatore

delegato abbia ecceduto da tali margini di discrezionalita',  occorre

individuare la  ratio  della  delega,  per  verificare  se  la  norma

delegata sia con questa coerente (ex plurimis, sentenze  n.  142  del

2020, n. 96 del 2020 e n. 10 del 2018). 

    Al contempo, il contenuto della delega e dei relativi principi  e

criteri direttivi deve essere identificato accertando il  complessivo

contesto normativo e le finalita' che la ispirano, tenendo conto  che

i principi posti dal legislatore delegante costituiscono non solo  la

base  e  il  limite  delle   norme   delegate,   ma   strumenti   per

l'interpretazione della loro portata. Queste vanno, quindi, lette nel

significato compatibile con detti principi, i quali,  a  loro  volta,

vanno interpretati avendo riguardo alla  ratio  della  delega  ed  al

complessivo quadro di riferimento in cui si inscrivono  (sentenze  n.

170 del 2019, n. 10 del 2018 e n. 210 del 2015). 

    In punto di sanzioni, questa Corte ha altresi'  chiarito  che  il

legislatore delegante deve adottare criteri direttivi configurati  in

modo assai preciso, sia definendo la specie e l'entita' massima delle

pene, sia dettando il criterio, in se' restrittivo, del ricorso  alla

sanzione penale solo per la tutela di determinati interessi rilevanti

(sentenze n. 49 del 1999 e n. 53  del  1997,  ordinanza  n.  134  del

2003). Per la materia penale e' infatti  piu'  elevato  il  grado  di

determinatezza richiesto per le regole fissate  nella  legge  delega,

questo perche' il controllo sul rispetto dell'art. 76 Cost. da  parte

del Governo e'  anche  strumento  di  garanzia  del  principio  della

riserva di legge (art. 25, secondo comma, Cost.), che attribuisce  al

Parlamento  funzione  centrale  nella  individuazione  dei  fatti  da

sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili (sentenze n.  127

del 2017 e n. 5 del 2014). 

    2.2.- Cio' premesso, occorre evidenziare che i criteri  direttivi

contenuti nella legge delega n. 88 del 2009  per  l'attuazione  della

direttiva 2008/51/CE sono previsti sia nell'art. 2, sia nell'art. 36. 

    Nell'art.  2  sono  enunciati  i  criteri  che  hanno   carattere

generale, in quanto riferiti all'insieme dei decreti legislativi  che

dovevano  essere  adottati  dal  Governo  per  dare  attuazione  alle

numerose direttive comunitarie elencate negli allegati alla  medesima

legge. 

    I criteri specifici per il recepimento della  suddetta  direttiva

risultano  elencati   all'art.   36.   Tale   disposizione   sancisce

espressamente che nell'attuazione della direttiva  il  Governo  debba

seguire  detti  criteri  congiuntamente  a  quelli  generali  di  cui

all'art. 2. Nel caso di specie, quindi, poiche' i  criteri  specifici

non costituiscono deroga a quelli generali, entrambi sono  egualmente

posti a  base  della  delega  legislativa  e  -  dovendosi  integrare

reciprocamente - vanno coordinati per essere interpretati in  termini

unitari (sentenza n. 49 del 1999). 

    2.3.- Esaminando per primo il criterio specifico di cui  all'art.

36, comma 1, lettera n), in materia di sanzioni deve  escludersi  che

la norma censurata lo violi. 

    Esso  stabilisce  che  il  legislatore  delegato  e'   tenuto   a

«prevedere l'introduzione di sanzioni penali, nei limiti di  pena  di

cui alla legge 2 ottobre 1967, n. 895 ed alla legge 18  aprile  1975,

n. 110,  per  le  infrazioni  alle  disposizioni  della  legislazione

nazionale di attuazione della direttiva 2008/51/CE». 

    Invero, se per un verso vengono correttamente osservati gli  ampi

limiti edittali previsti dalle leggi teste' richiamate,  al  contempo

non puo' essere condivisa l'interpretazione del giudice a quo secondo

cui  la  previsione,  in  detta  disposizione,  della   delega   alla

«introduzione di sanzioni penali»  escluderebbe  la  possibilita'  di

incidere su  quelle  gia'  esistenti,  ammettendo  la  previsione  di

trattamenti sanzionatori esclusivamente se attinenti a nuove  ipotesi

di reato. 

    Tale interpretazione non risulta suffragata dalla  lettera  della

disposizione: per «introduzione di sanzioni» deve infatti  intendersi

la  loro  previsione  in  relazione  sia  a  fattispecie  previgenti,

eventualmente modificate anche nel precetto, sia a ipotesi  di  reato

inserite ex novo nell'ordinamento dal legislatore delegato. 

    La lettura del rimettente non e' comunque coerente con  la  ratio

della legge delega, rappresentata - secondo l'espressa intenzione del

legislatore - dall'attuazione della direttiva 2008/51/CE, intesa come

recepimento delle prescrizioni ivi contenute in uno con la  finalita'

di conseguire il grado piu' elevato possibile  di  ottemperanza  alle

medesime. 

    2.4.- L'analisi dei  lavori  parlamentari,  del  resto,  conferma

questa conclusione. 

    Nel parere favorevole espresso il 30 settembre 2010  allo  schema

di decreto legislativo in esame, la I Commissione  permanente  presso

la Camera dei deputati (Affari costituzionali, della  Presidenza  del

Consiglio e interni) -  con  riguardo  al  trattamento  sanzionatorio

concernente i reati  ivi  disciplinati,  inclusa  la  contravvenzione

prevista a carico dell'armaiolo dall'art. 35 TULPS - ha  riconosciuto

espressamente in capo al legislatore delegato il potere di  aggravare

le sanzioni relative a fattispecie  incriminatrici  preesistenti.  In

particolare,  nell'atto  richiamato,  si  legge  che  il  legislatore

delegato ha inteso perseguire «la finalita' pienamente  condivisibile

di conseguire il grado piu' elevato possibile  di  ottemperanza  alle

disposizioni  di  legge  in  materia   di   armi,   prevede[ndo]   un

significativo  inasprimento  delle   sanzioni   penali,   soprattutto

pecuniarie, previste dall'ordinamento per alcuni reati  connessi  con

le armi». 

    2.5.- Peraltro il criterio specifico in esame va letto alla  luce

dell'art. 16 della direttiva 91/477/CEE, come sostituito dall'art. 1,

numero  11),  della  direttiva  2008/51/CE,   che   riconosce   ampia

discrezionalita'  al  legislatore  interno  nella  definizione  degli

strumenti da adottare per dare effettivita' al provvedimento europeo,

compreso quindi quello di intervenire  sui  trattamenti  sanzionatori

previgenti. Agli Stati membri viene, infatti, conferita  liberta'  di

scelta nello stabilire le sanzioni da irrogare in caso di  violazione

delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della  direttiva,

purche' siano «efficaci, proporzionate e dissuasive». 

    2.6.- Alla stregua di quanto evidenziato,  deve  concludersi  che

non era precluso al legislatore delegato, nell'ambito dei criteri  di

cui all'art. 36, comma 1, lettera n), della legge  n.  88  del  2009,

rivedere   anche   l'impianto   sanzionatorio    delle    fattispecie

incriminatrici rientranti nell'oggetto della delega. In  particolare,

nel dare attuazione alla direttiva 2008/51/CE,  con  la  disposizione

censurata il legislatore delegato ha  proceduto  alla  riformulazione

dell'art. 35 TULPS, ampliando  l'area  penalmente  rilevante  con  la

contestuale estensione dei soggetti attivi del reato (ricondotti alla

nozione unitaria di armaiolo) e la previsione di obblighi  aggiuntivi

a carico  dei  medesimi,  ed  ha  aggravato  -  proprio  al  fine  di

assicurare l'osservanza di tali obblighi - il precedente  trattamento

sanzionatorio mediante l'individuazione di una sanzione ritenuta piu'

efficace, proporzionata e dissuasiva, nel rispetto in ogni  caso  dei

limiti di pena di cui alla citata lettera n). 

    2.7.- Non risultano nemmeno violati i criteri generali  contenuti

nell'art. 2, comma 1, lettera  c),  che  riguardano  l'attuazione  di

tutte  le  numerose  direttive  cui  il  Governo  e'  tenuto  a  dare

attuazione. 

    In questo quadro, l'inciso «al di fuori dei casi  previsti  dalle

norme penali vigenti», con cui si apre la lettera in  questione,  non

puo' intendersi - come ritiene il rimettente - nel  senso  che  dette

norme fossero tutte intangibili con preclusione  per  il  legislatore

delegato  di  incidere  sulla  legislazione  esistente,  laddove   la

medesima disposizione anzi consentiva, «ove necessario per assicurare

l'osservanza delle disposizioni contenute nei  decreti  legislativi»,

la previsione di sanzioni  penali  oltre  che  amministrative,  entro

definiti limiti qualitativi e quantitativi. Cio' sarebbe incongruo  -

come gia' statuito da  questa  Corte  con  riguardo  ad  un  criterio

direttivo analogo a quello in esame - «poiche'  la  delega  conferita

per l'attuazione di numerose direttive  comunitarie  nei  campi  piu'

diversi comportava necessariamente il potere-dovere  del  Governo  di

dettare discipline sostanziali  suscettibili  di  integrarsi  con  la

normativa preesistente nella materia, innovandola anche profondamente

ove cio' fosse richiesto dalle esigenze  di  attuazione  delle  norme

comunitarie, e quindi anche  adattando  le  previsioni  sanzionatorie

alla nuova disciplina sostanziale» (sentenza n. 456 del 1998). 

    La clausola in questione deve  quindi  interpretarsi,  «in  senso

piu' restrittivo, come intesa a precludere al Governo la possibilita'

di incidere [...] sulla disciplina penale  piu'  generale,  di  fonte

codicistica o comunque afferente ad ambiti e ad  interessi  che,  per

quanto  implicati  anche  nella  nuova  normativa,  in  essa  non  si

esauriscano» (sentenza n. 456 del 1998). 

    Cio' e' confermato dall'ultimo inciso della medesima  lettera  c)

secondo cui, «entro i limiti di pena indicati nella presente lettera»

(ammenda fino a 150.000 euro  e  arresto  fino  a  tre  anni),  «sono

previste sanzioni identiche a  quelle  eventualmente  gia'  comminate

dalle leggi vigenti per violazioni  che  siano  omogenee  e  di  pari

offensivita' rispetto alle infrazioni alle disposizioni  dei  decreti

legislativi» disciplinate dalla legislazione delegata. Il riferimento

e',  invero,  a  sanzioni  «previste  dalla  legislazione  previgente

riguardo ad oggetti diversi da quelli cui la delega  si  riferisce  e

destinate a rimanere immutate  appunto  perche'  estranee  all'ambito

della delega» (sentenza n. 456 del 1998). 

    Inoltre, posto che il criterio generale delle sanzioni  identiche

non si applica ai  rapporti  tra  norme  incriminatrici  preesistenti

rientranti nell'oggetto  della  delega  e  norme  modificative  delle

medesime, ma solo ai rapporti tra incriminazioni attinenti ad oggetti

diversi, si rivela del  tutto  erroneo  un  ulteriore  argomento  del

giudice rimettente: quello secondo cui  -  anche  ad  ammettere,  per

assurdo, che al legislatore delegato fosse  conferito  il  potere  di

modificare  norme  incriminatrici  -  il  criterio  indicato  avrebbe

imposto di confermare per la nuova fattispecie  di  cui  all'art.  35

TULPS l'originario trattamento sanzionatorio. Ed  infatti,  assumendo

rilievo nel caso di specie un'ipotesi di successione di leggi  penali

"modificativa", il criterio delle  sanzioni  identiche  e'  in  tutta

evidenza non pertinente. 

    2.8.- In conclusione qquesta Corte ritiene  che  il  Governo  non

abbia travalicato i fisiologici margini di discrezionalita' impliciti

in qualsiasi legge  di  delegazione,  essendosi  mantenuto  entro  il

perimetro sancito dal legittimo esercizio delle valutazioni  che  gli

competono nella fase di attuazione della delega, «nel rispetto  della

ratio di quest'ultima e in coerenza con esigenze sistematiche proprie

della materia penale» (sentenza n. 127 del 2017). Dal che discende la

non  fondatezza  della  questione  di  legittimita'   costituzionale,

sollevata dal Tribunale di Savona, sezione penale, dell'art. 3, comma

1, lettera d), del d.lgs.  n.  204  del  2010,  nella  parte  in  cui

modifica l'art. 35, comma 8, TULPS. 

      

 

                          per questi motivi 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE 

 

    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale

dell'art. 3, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 26  ottobre

2010, n. 204 (Attuazione della direttiva 2008/51/CE, che modifica  la

direttiva 91/477/CEE relativa al controllo dell'acquisizione e  della

detenzione di armi), nella parte in cui modifica l'art. 35, comma  8,

del regio decreto 18 giugno 1931,  n.  773  (Approvazione  del  testo

unico delle leggi di pubblica sicurezza), sollevata,  in  riferimento

all'art. 76 della Costituzione, dal Tribunale  ordinario  di  Savona,

sezione penale, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 

    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,

Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2021. 

 

                                F.to: 

                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 

                 Augusto Antonio BARBERA, Redattore 

             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 

 

    Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2021. 

 

                   Il Direttore della Cancelleria 

                        F.to: Roberto MILANA 

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