N. 174 SENTENZA 7 - 26 luglio 2021
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Sicurezza pubblica - Controllo dell'acquisizione e della detenzione
delle armi - Modifiche, per mezzo di decreto legislativo, al TULPS
- Obbligo per l'armaiolo di tenere un registro delle operazioni
giornaliere, nel quale devono essere indicate le generalita' delle
persone con cui le operazioni stesse sono compiute - Modifica del
trattamento sanzionatorio - Denunciata violazione dei criteri
direttivi della legge delega - Non fondatezza della questione.
- Decreto legislativo 26 ottobre 2010, n. 204, art. 3, comma 1,
lettera d), nella parte in cui modifica l'art. 35, comma 8, del
regio decreto 18 giugno 1931, n. 773.
- Costituzione, art. 76.
(GU n.30 del 28-7-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN
GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1,
lettera d), del decreto legislativo 26 ottobre 2010, n. 204
(Attuazione della direttiva 2008/51/CE, che modifica la direttiva
91/477/CEE relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione
di armi), nella parte in cui - nel riformulare l'art. 35 del regio
decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle
leggi di pubblica sicurezza) - prevede al comma 8 la pena
dell'arresto da sei mesi a due anni e dell'ammenda da 4.000 euro a
20.000 euro per la contravvenzione che punisce la violazione degli
obblighi posti a carico dell'armaiolo dallo stesso art. 35, promosso
dal Tribunale ordinario di Savona, sezione penale, con ordinanza del
15 settembre 2020, iscritta al n. 16 del registro ordinanze 2021 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima
serie speciale, dell'anno 2021.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 luglio 2021 il Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera;
deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 15 settembre 2020 (r.o. n. 16 del 2021), il
Tribunale ordinario di Savona, sezione penale, ha sollevato, in
riferimento all'art. 76 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera d), del decreto
legislativo 26 ottobre 2010, n. 204 (Attuazione della direttiva
2008/51/CE, che modifica la direttiva 91/477/CEE relativa al
controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi).
La norma e' censurata nella parte in cui - nel riformulare l'art.
35 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo
unico delle leggi di pubblica sicurezza) - prevede al comma 8 la pena
dell'arresto da sei mesi a due anni e dell'ammenda da 4.000 euro a
20.000 euro per la contravvenzione che punisce la violazione degli
obblighi posti a carico dell'armaiolo dai commi da 1 a 5 dello stesso
art. 35 TULPS, in precedenza sanzionata con la pena dell'arresto da
tre mesi a un anno e dell'ammenda non inferiore a lire cinquantamila.
2.- Il giudizio principale e' volto ad accertare la
responsabilita' penale di S. G., imputato del reato previsto
dall'art. 35, commi 1 e 8, TULPS per avere, in qualita' di legale
rappresentante dell'omonima armeria, titolare di licenza per la
vendita e il deposito per fini di commercio di armi comuni da sparo,
raccolto trentacinque armi lunghe senza annotarle nel registro delle
operazioni giornaliere.
Nel corso del dibattimento, il difensore dell'imputato ha
eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1,
lettera d), del d.lgs. n. 204 del 2010, che modifica l'art. 35 TULPS,
in quanto emanato in violazione dei limiti stabiliti dalla delega
approvata con legge 7 luglio 2009, n. 88 (Disposizioni per
l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia
alle Comunita' europee - Legge comunitaria 2008).
2.1.- In ordine alla rilevanza della questione, il rimettente
deduce che dagli esiti dell'istruttoria e' emerso che l'imputato
ricade nella definizione normativa di «armaiolo» prevista dall'art.
1-bis, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 527 (Attuazione della direttiva 91/477/CEE relativa al controllo
dell'acquisizione e della detenzione di armi) e che lo stesso ha
effettivamente omesso di annotare nel registro richiamato dall'art.
35, comma 1, TULPS, la detenzione di trentacinque armi da sparo,
senza che possano al riguardo ravvisarsi ragioni per pronunciare una
sentenza di proscioglimento.
Risalendo la condotta contestata al 18 aprile 2017, la
sussunzione del fatto nella fattispecie contravvenzionale in esame
comporterebbe l'applicazione della sanzione di cui al comma 8
dell'art. 35 TULPS, nella versione introdotta dalla norma censurata,
entrata in vigore il 1° luglio 2011 ex art. 8, comma 1 del d.lgs. n.
204 del 2010.
Nella prospettazione del rimettente la rilevanza della questione
discende, quindi, dal fatto che l'invocata dichiarazione di
illegittimita' costituzionale comporterebbe l'immediata reviviscenza
dell'art. 35 TULPS, nella sua formulazione precedente, con
conseguente applicazione di un trattamento sanzionatorio piu' mite.
2.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il
rimettente deduce che l'art. 3, comma 1, lettera d), del d.lgs. n.
204 del 2010 - nella parte in cui interviene sull'art. 35 TULPS,
aggravando il trattamento sanzionatorio della contravvenzione in
esame (con l'introduzione, al contempo, di modifiche solo marginali
al precetto) - appare in contrasto con l'art. 76 Cost., avendo il
legislatore delegato superato i limiti di oggetto o, comunque,
violato i principi e criteri direttivi, generali e speciali, dettati
in materia di sanzioni rispettivamente dagli artt. 2, comma 1,
lettera c), e 36, comma 1, lettera n), della legge n. 88 del 2009.
Al riguardo, il giudice a quo evidenzia che, in base all'indicato
art. 36, comma 1, lettera n), il potere delegato attiene
all'«introduzione di sanzioni penali, nei limiti di pena di cui alla
legge 2 ottobre 1967, n. 895, ed alla legge 18 aprile 1975, n. 110» e
che la previsione della sola introduzione di nuove sanzioni penali
costituirebbe un preciso limite al potere conferito al legislatore
delegato, che non avrebbe la possibilita' di incidere sulle sanzioni
gia' esistenti, ne' aggravando ne' mitigando il relativo trattamento.
Una tale lettura sarebbe confermata dal citato art. 2, comma 1,
lettera c), che, nel dettare i criteri generali cui deve attenersi il
legislatore delegato nell'introdurre nuove fattispecie penali o
illeciti amministrativi, limita la delega «al di fuori dei casi
previsti dalle norme penali vigenti».
Tale interpretazione della legge delega sarebbe ulteriormente
avvalorata da un ulteriore criterio generale contenuto nella
diposizione da ultimo richiamata, laddove prevede che «[e]ntro i
limiti di pena indicati nella presente lettera [ammenda fino a
150.000 euro e arresto fino a tre anni] sono previste sanzioni
identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti
per violazioni omogenee e di pari offensivita' rispetto alle
infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi».
In sostanza, ad avviso del rimettente, la disposizione di cui
all'art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 88 del 2009 si
aprirebbe con una clausola di sussidiarieta' in forza della quale e'
escluso il potere del legislatore delegato nei casi in cui la materia
e' gia' regolata da una norma penale ed aggiungerebbe il vincolo di
prevedere, per le nuove fattispecie penali, sanzioni identiche a
quelle esistenti per violazioni omogenee e di pari offensivita'.
Il giudice a quo osserva infine che, anche qualora si volesse,
per assurdo, ritenere conferito al legislatore delegato il potere di
incidere su sanzioni penali esistenti, il vincolo di cui all'art. 2,
comma 1, lettera c), da ultimo indicato, avrebbe comunque imposto nel
caso di specie di confermare il trattamento sanzionatorio originario,
attesa la continuita' e sostanziale sovrapponibilita' tra le
fattispecie penali previste dall'art. 35 TULPS nell'attuale versione
e in quella previgente. In proposito, il rimettente sostiene infatti
che il d.lgs. n. 204 del 2010 si sarebbe limitato a sostituire i
riferimenti alle diverse figure professionali previste dalla
disciplina in materia di armi con un richiamo alla nozione unitaria
di armaiolo e ad aggiungere, rispetto ai precedenti obblighi,
prescrizioni meramente accessorie che non modificano nella sostanza
l'area centrale del precetto penale.
2.3.- Da ultimo, il rimettente esclude la possibilita' di una
interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione
censurata mediante il ricorso ai criteri letterale, storico,
sistematico e teleologico, prendendo in considerazione, a tale ultimo
riguardo, anche l'art. 16 della direttiva 91/477/CEE del Consiglio
del 18 giugno 1991 relativa al controllo dell'acquisizione e della
detenzione di armi, come modificato dalla direttiva 2008/51/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, secondo cui
«[g]li Stati membri stabiliscono le sanzioni da irrogare in caso di
violazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della
presente direttiva e adottano ogni misura necessaria per assicurarne
l'esecuzione», fermo restando che «le sanzioni previste devono essere
efficaci, proporzionate e dissuasive». Nemmeno tale disposizione
consentirebbe invero un'interpretazione adeguatrice della norma
censurata, in ragione dell'ampia discrezionalita' che essa riconosce
al legislatore interno nella definizione degli strumenti da adottare
per dare effettivita' alla direttiva comunitaria.
3.- Con atto depositato il 9 marzo 2021 e' intervenuto in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata infondata.
L'interveniente rammenta anzitutto che, per costante
giurisprudenza di questa Corte, al legislatore delegato deve essere
riconosciuto un margine di discrezionalita' nell'attuazione della
delega, sempre che il suo intervento ne rispetti la ratio e si
inserisca in modo coerente nel relativo quadro normativo. In
relazione all'ipotesi di delega finalizzata all'attuazione di una
direttiva europea, vengono inoltre richiamate le pronunce secondo cui
i principi dettati dalle direttive si aggiungono a quelli indicati
dal legislatore nazionale, assumendo valore di parametro interposto e
potendo cosi' autonomamente giustificare l'intervento del legislatore
delegato.
Fatta questa premessa generale, l'Avvocatura esclude tanto la
violazione dei principi e criteri generali previsti dall'art. 2,
comma l, lettera c), della legge n. 88 del 2009 quanto di quelli
specifici indicati nel successivo art. 36, comma 1, lettera. n). La
norma censurata rispetterebbe infatti entrambe le disposizioni,
avendo modificato la struttura e il trattamento sanzionatorio del
reato previsto dall'art. 35 TULPS senza superare i limiti di pena
previsti dalla legge delega e senza sovrapporsi ad altra fattispecie
criminosa.
Inoltre, l'interpretazione dell'espressione «introduzione di
sanzioni penali» di cui all'art. 36, comma 1, lettera n),
comprenderebbe certamente anche la modifica di sanzioni relative a
reati preesistenti, considerato che, altrimenti, sarebbe stata usata
un'espressione letterale diversa, dichiaratamente diretta a limitare
l'intervento del legislatore delegato alla sola introduzione di nuove
figure di illecito.
Allo stesso riguardo, l'Avvocatura evidenzia che la lettura del
giudice a quo sarebbe, in ogni caso, non coerente con la ratio della
legge delega per come individuata dalla direttiva comunitaria oggetto
di attuazione. Invero, proprio l'art. 16 della direttiva 91/477/CEE
invocato dal rimettente, riconoscendo agli Stati membri la piu' ampia
liberta' di scelta nello stabilire sanzioni efficaci, proporzionate e
dissuasive da irrogare in caso di violazione delle disposizioni
nazionali adottate in attuazione della direttiva, garantirebbe al
legislatore delegato anche il potere di modificare i trattamenti
sanzionatori di ipotesi di reato gia' esistenti.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza del 15 settembre 2020 (r.o. n. 16 del 2021), il
Tribunale ordinario di Savona, sezione penale, ha sollevato, in
riferimento all'art. 76 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera d), del decreto
legislativo 26 ottobre 2010, n. 204 (Attuazione della direttiva
2008/51/CE, che modifica la direttiva 91/477/CEE relativa al
controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi), nella parte
in cui - nel riformulare l'art. 35 del regio decreto 18 giugno 1931,
n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza) - prevede al comma 8 la pena dell'arresto da sei mesi a
due anni e dell'ammenda da 4.000 euro a 20.000 euro per la
contravvenzione inerente la violazione degli obblighi posti a carico
dell'armaiolo dai commi da 1 a 5 dello stesso art. 35 TULPS, in
precedenza sanzionata al comma 6 con la pena dell'arresto da tre mesi
a un anno e dell'ammenda non inferiore a lire cinquantamila.
La norma censurata sarebbe in contrasto con l'art. 76 Cost.
perche' incide sul trattamento sanzionatorio della contravvenzione
indicata, laddove i principi e i criteri direttivi dettati in tema di
sanzioni dagli artt. 2, comma 1, lettera c), e 36, comma 1, lettera
n), della legge delega 7 luglio 2009, n. 88 (Disposizioni per
l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia
alle Comunita' europee - Legge comunitaria 2008) avrebbero consentito
la sola introduzione di nuove ipotesi di reato e non la modifica di
sanzioni penali relative a incriminazioni gia' esistenti.
Il disposto aggravamento del trattamento sanzionatorio
violerebbe, in primo luogo, il criterio specifico - stabilito per
l'attuazione della «direttiva 2008/51/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 21 maggio 2008 che modifica la direttiva 91/477/CEE del
Consiglio, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione
di armi» - che imponeva al Governo di «prevedere l'introduzione di
sanzioni penali, nei limiti di pena di cui alla legge 2 ottobre 1967,
n. 895, ed alla legge 18 aprile 1975, n. 110» (art. 36, comma 1,
lettera n), in quanto per sanzioni "nuove" dovrebbero intendersi
esclusivamente quelle relative ad incriminazioni introdotte per la
prima volta dal legislatore delegato.
Il medesimo aggravamento contrasterebbe, altresi', con il
criterio generale della delega - valido per l'attuazione di tutte le
direttive recepite dalla legge comunitaria 2008 - che ammetteva, ai
sensi dell'art. 2, comma 1, lettera c), l'introduzione di sanzioni
«al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti»,
espressione che precluderebbe la modifica del trattamento
sanzionatorio di reati preesistenti.
Da ultimo, il giudice a quo argomenta invocando il criterio
generale delle sanzioni identiche, sancito dall'art. 2, comma 1,
lettera c), della legge n. 88 del 2009, in base al quale «[e]ntro i
limiti di pena indicati nella presente lettera [ammenda fino a
150.000 euro e arresto fino a tre anni] sono previste sanzioni
identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti
per violazioni omogenee e di pari offensivita' rispetto alle
infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi». Sul punto, il
rimettente evidenzia che, se si volesse, per assurdo, ritenere
conferito al legislatore delegato il potere di incidere sulle
sanzioni penali esistenti, il vincolo da ultimo indicato avrebbe
comunque imposto nel caso di specie di confermare il trattamento
sanzionatorio originario, attesa la continuita' e sostanziale
sovrapponibilita' tra le fattispecie penali previste dall'art. 35
TULPS nell'attuale versione e in quella previgente.
2.- La questione non e' fondata.
2.1.- La giurisprudenza di questa Corte e' costante nel ritenere
che la delega legislativa non esclude ogni discrezionalita' del
legislatore delegato, la quale puo' essere piu' o meno ampia, in
relazione al grado di specificita' dei criteri fissati nella legge
delega: pertanto, al fine di valutare se lo stesso legislatore
delegato abbia ecceduto da tali margini di discrezionalita', occorre
individuare la ratio della delega, per verificare se la norma
delegata sia con questa coerente (ex plurimis, sentenze n. 142 del
2020, n. 96 del 2020 e n. 10 del 2018).
Al contempo, il contenuto della delega e dei relativi principi e
criteri direttivi deve essere identificato accertando il complessivo
contesto normativo e le finalita' che la ispirano, tenendo conto che
i principi posti dal legislatore delegante costituiscono non solo la
base e il limite delle norme delegate, ma strumenti per
l'interpretazione della loro portata. Queste vanno, quindi, lette nel
significato compatibile con detti principi, i quali, a loro volta,
vanno interpretati avendo riguardo alla ratio della delega ed al
complessivo quadro di riferimento in cui si inscrivono (sentenze n.
170 del 2019, n. 10 del 2018 e n. 210 del 2015).
In punto di sanzioni, questa Corte ha altresi' chiarito che il
legislatore delegante deve adottare criteri direttivi configurati in
modo assai preciso, sia definendo la specie e l'entita' massima delle
pene, sia dettando il criterio, in se' restrittivo, del ricorso alla
sanzione penale solo per la tutela di determinati interessi rilevanti
(sentenze n. 49 del 1999 e n. 53 del 1997, ordinanza n. 134 del
2003). Per la materia penale e' infatti piu' elevato il grado di
determinatezza richiesto per le regole fissate nella legge delega,
questo perche' il controllo sul rispetto dell'art. 76 Cost. da parte
del Governo e' anche strumento di garanzia del principio della
riserva di legge (art. 25, secondo comma, Cost.), che attribuisce al
Parlamento funzione centrale nella individuazione dei fatti da
sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili (sentenze n. 127
del 2017 e n. 5 del 2014).
2.2.- Cio' premesso, occorre evidenziare che i criteri direttivi
contenuti nella legge delega n. 88 del 2009 per l'attuazione della
direttiva 2008/51/CE sono previsti sia nell'art. 2, sia nell'art. 36.
Nell'art. 2 sono enunciati i criteri che hanno carattere
generale, in quanto riferiti all'insieme dei decreti legislativi che
dovevano essere adottati dal Governo per dare attuazione alle
numerose direttive comunitarie elencate negli allegati alla medesima
legge.
I criteri specifici per il recepimento della suddetta direttiva
risultano elencati all'art. 36. Tale disposizione sancisce
espressamente che nell'attuazione della direttiva il Governo debba
seguire detti criteri congiuntamente a quelli generali di cui
all'art. 2. Nel caso di specie, quindi, poiche' i criteri specifici
non costituiscono deroga a quelli generali, entrambi sono egualmente
posti a base della delega legislativa e - dovendosi integrare
reciprocamente - vanno coordinati per essere interpretati in termini
unitari (sentenza n. 49 del 1999).
2.3.- Esaminando per primo il criterio specifico di cui all'art.
36, comma 1, lettera n), in materia di sanzioni deve escludersi che
la norma censurata lo violi.
Esso stabilisce che il legislatore delegato e' tenuto a
«prevedere l'introduzione di sanzioni penali, nei limiti di pena di
cui alla legge 2 ottobre 1967, n. 895 ed alla legge 18 aprile 1975,
n. 110, per le infrazioni alle disposizioni della legislazione
nazionale di attuazione della direttiva 2008/51/CE».
Invero, se per un verso vengono correttamente osservati gli ampi
limiti edittali previsti dalle leggi teste' richiamate, al contempo
non puo' essere condivisa l'interpretazione del giudice a quo secondo
cui la previsione, in detta disposizione, della delega alla
«introduzione di sanzioni penali» escluderebbe la possibilita' di
incidere su quelle gia' esistenti, ammettendo la previsione di
trattamenti sanzionatori esclusivamente se attinenti a nuove ipotesi
di reato.
Tale interpretazione non risulta suffragata dalla lettera della
disposizione: per «introduzione di sanzioni» deve infatti intendersi
la loro previsione in relazione sia a fattispecie previgenti,
eventualmente modificate anche nel precetto, sia a ipotesi di reato
inserite ex novo nell'ordinamento dal legislatore delegato.
La lettura del rimettente non e' comunque coerente con la ratio
della legge delega, rappresentata - secondo l'espressa intenzione del
legislatore - dall'attuazione della direttiva 2008/51/CE, intesa come
recepimento delle prescrizioni ivi contenute in uno con la finalita'
di conseguire il grado piu' elevato possibile di ottemperanza alle
medesime.
2.4.- L'analisi dei lavori parlamentari, del resto, conferma
questa conclusione.
Nel parere favorevole espresso il 30 settembre 2010 allo schema
di decreto legislativo in esame, la I Commissione permanente presso
la Camera dei deputati (Affari costituzionali, della Presidenza del
Consiglio e interni) - con riguardo al trattamento sanzionatorio
concernente i reati ivi disciplinati, inclusa la contravvenzione
prevista a carico dell'armaiolo dall'art. 35 TULPS - ha riconosciuto
espressamente in capo al legislatore delegato il potere di aggravare
le sanzioni relative a fattispecie incriminatrici preesistenti. In
particolare, nell'atto richiamato, si legge che il legislatore
delegato ha inteso perseguire «la finalita' pienamente condivisibile
di conseguire il grado piu' elevato possibile di ottemperanza alle
disposizioni di legge in materia di armi, prevede[ndo] un
significativo inasprimento delle sanzioni penali, soprattutto
pecuniarie, previste dall'ordinamento per alcuni reati connessi con
le armi».
2.5.- Peraltro il criterio specifico in esame va letto alla luce
dell'art. 16 della direttiva 91/477/CEE, come sostituito dall'art. 1,
numero 11), della direttiva 2008/51/CE, che riconosce ampia
discrezionalita' al legislatore interno nella definizione degli
strumenti da adottare per dare effettivita' al provvedimento europeo,
compreso quindi quello di intervenire sui trattamenti sanzionatori
previgenti. Agli Stati membri viene, infatti, conferita liberta' di
scelta nello stabilire le sanzioni da irrogare in caso di violazione
delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della direttiva,
purche' siano «efficaci, proporzionate e dissuasive».
2.6.- Alla stregua di quanto evidenziato, deve concludersi che
non era precluso al legislatore delegato, nell'ambito dei criteri di
cui all'art. 36, comma 1, lettera n), della legge n. 88 del 2009,
rivedere anche l'impianto sanzionatorio delle fattispecie
incriminatrici rientranti nell'oggetto della delega. In particolare,
nel dare attuazione alla direttiva 2008/51/CE, con la disposizione
censurata il legislatore delegato ha proceduto alla riformulazione
dell'art. 35 TULPS, ampliando l'area penalmente rilevante con la
contestuale estensione dei soggetti attivi del reato (ricondotti alla
nozione unitaria di armaiolo) e la previsione di obblighi aggiuntivi
a carico dei medesimi, ed ha aggravato - proprio al fine di
assicurare l'osservanza di tali obblighi - il precedente trattamento
sanzionatorio mediante l'individuazione di una sanzione ritenuta piu'
efficace, proporzionata e dissuasiva, nel rispetto in ogni caso dei
limiti di pena di cui alla citata lettera n).
2.7.- Non risultano nemmeno violati i criteri generali contenuti
nell'art. 2, comma 1, lettera c), che riguardano l'attuazione di
tutte le numerose direttive cui il Governo e' tenuto a dare
attuazione.
In questo quadro, l'inciso «al di fuori dei casi previsti dalle
norme penali vigenti», con cui si apre la lettera in questione, non
puo' intendersi - come ritiene il rimettente - nel senso che dette
norme fossero tutte intangibili con preclusione per il legislatore
delegato di incidere sulla legislazione esistente, laddove la
medesima disposizione anzi consentiva, «ove necessario per assicurare
l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi»,
la previsione di sanzioni penali oltre che amministrative, entro
definiti limiti qualitativi e quantitativi. Cio' sarebbe incongruo -
come gia' statuito da questa Corte con riguardo ad un criterio
direttivo analogo a quello in esame - «poiche' la delega conferita
per l'attuazione di numerose direttive comunitarie nei campi piu'
diversi comportava necessariamente il potere-dovere del Governo di
dettare discipline sostanziali suscettibili di integrarsi con la
normativa preesistente nella materia, innovandola anche profondamente
ove cio' fosse richiesto dalle esigenze di attuazione delle norme
comunitarie, e quindi anche adattando le previsioni sanzionatorie
alla nuova disciplina sostanziale» (sentenza n. 456 del 1998).
La clausola in questione deve quindi interpretarsi, «in senso
piu' restrittivo, come intesa a precludere al Governo la possibilita'
di incidere [...] sulla disciplina penale piu' generale, di fonte
codicistica o comunque afferente ad ambiti e ad interessi che, per
quanto implicati anche nella nuova normativa, in essa non si
esauriscano» (sentenza n. 456 del 1998).
Cio' e' confermato dall'ultimo inciso della medesima lettera c)
secondo cui, «entro i limiti di pena indicati nella presente lettera»
(ammenda fino a 150.000 euro e arresto fino a tre anni), «sono
previste sanzioni identiche a quelle eventualmente gia' comminate
dalle leggi vigenti per violazioni che siano omogenee e di pari
offensivita' rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti
legislativi» disciplinate dalla legislazione delegata. Il riferimento
e', invero, a sanzioni «previste dalla legislazione previgente
riguardo ad oggetti diversi da quelli cui la delega si riferisce e
destinate a rimanere immutate appunto perche' estranee all'ambito
della delega» (sentenza n. 456 del 1998).
Inoltre, posto che il criterio generale delle sanzioni identiche
non si applica ai rapporti tra norme incriminatrici preesistenti
rientranti nell'oggetto della delega e norme modificative delle
medesime, ma solo ai rapporti tra incriminazioni attinenti ad oggetti
diversi, si rivela del tutto erroneo un ulteriore argomento del
giudice rimettente: quello secondo cui - anche ad ammettere, per
assurdo, che al legislatore delegato fosse conferito il potere di
modificare norme incriminatrici - il criterio indicato avrebbe
imposto di confermare per la nuova fattispecie di cui all'art. 35
TULPS l'originario trattamento sanzionatorio. Ed infatti, assumendo
rilievo nel caso di specie un'ipotesi di successione di leggi penali
"modificativa", il criterio delle sanzioni identiche e' in tutta
evidenza non pertinente.
2.8.- In conclusione qquesta Corte ritiene che il Governo non
abbia travalicato i fisiologici margini di discrezionalita' impliciti
in qualsiasi legge di delegazione, essendosi mantenuto entro il
perimetro sancito dal legittimo esercizio delle valutazioni che gli
competono nella fase di attuazione della delega, «nel rispetto della
ratio di quest'ultima e in coerenza con esigenze sistematiche proprie
della materia penale» (sentenza n. 127 del 2017). Dal che discende la
non fondatezza della questione di legittimita' costituzionale,
sollevata dal Tribunale di Savona, sezione penale, dell'art. 3, comma
1, lettera d), del d.lgs. n. 204 del 2010, nella parte in cui
modifica l'art. 35, comma 8, TULPS.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 3, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 26 ottobre
2010, n. 204 (Attuazione della direttiva 2008/51/CE, che modifica la
direttiva 91/477/CEE relativa al controllo dell'acquisizione e della
detenzione di armi), nella parte in cui modifica l'art. 35, comma 8,
del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo
unico delle leggi di pubblica sicurezza), sollevata, in riferimento
all'art. 76 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Savona,
sezione penale, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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