Appello per la pace
| ven 28 feb, 13:49 (18 ore fa) |
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Quest’anno
ricorrono i 50 anni dalla Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e
cooperazione in Europa, che il 1° agosto 1975 inaugurava quella politica
di superamento della contrapposizione frontale della guerra fredda che è
stato chiamato il dialogo est/ovest.
Gli Accordi di Helsinki
promisero la costruzione di un'Europa unita affermando che "la sicurezza
è indivisibile e la sicurezza di ogni Stato partecipante è
inseparabilmente legata a quella di tutti gli altri", con l’obiettivo di
introdurre una nuova era fondata sui diritti umani, la democrazia e lo
stato di diritto.
Questo esempio storico di collaborazione tra 35
paesi europei insieme a Urss e Usa (con la Cina osservatore) fu la
dimostrazione che l’equilibrio e la sicurezza tra le nazioni si poteva
basare non tanto sulla deterrenza atomica, ma sulla capacità di
risolvere i problemi più spinosi con il dialogo ed i trattati. Non tutti
i problemi erano risolti, ma il metodo era quello della costruzione di
un’Europa politica pacifica e plurale, che poteva operare entro un più
ampio pluralismo geopolitico.
Oggi, cinquant’anni dopo Helsinki, la
situazione si è rovesciata: l’uso della forza, la politica di potenza,
lo scontro tra imperi, le discriminazioni delle popolazioni interne agli
Stati, le invasioni armate e il terrorismo sono tornati ad essere
strumento ordinario per la risoluzione dei conflitti interstatali o
etnici; e ogni idea di risoluzione delle controversie entro uno spazio
di legalità internazionale sembra svanita. Lo dimostra non solo quanto
avviene in Ucraina, riportando la guerra al centro dell’Europa, ma anche
l’inaccettabile eccidio che si sta consumando in Palestina. Senza
ignorare le tante guerre “dimenticate”, già definite da Papa Francesco
come “terza guerra mondiale a pezzi”.
In questo scenario l’Europa,
che era nata sulle macerie della seconda guerra mondiale inglobando quel
“mai più la guerra” gridato dalla costituzione delle Nazioni Unite, si
ritrova impotente e fuori gioco. Anzi, avendo abbandonato la politica
come mezzo alto di interpretazione e governo della realtà, l’Unione
europea, per come si è costruita, soprattutto a partire dall’89 non solo
ha contribuito a svuotare di senso e di forza politica le istituzioni
internazionali, compresa sé stessa, ma ha finito per rilegittimare la
guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Beffarda lezione
politica sulla volontà di letture unilaterali della storia. La guerra è
radicata nella concezione della differenza come motivo di rapporti di
dominazione. In un tempo in cui molti uomini si sentono minacciati dalla
libertà femminile, appaiono forti i nessi tra violenza bellica e
violenza maschile contro le donne e contro chi è visto come “diverso”,
“straniero”. Anche da qui trae alimento il rilancio di identità
collettive basate su sovranismo, nazionalismo, razzismo e in generale
sulla distinzione amico/nemico.
Oggi le due guerre citate
sembrerebbero avviarsi verso fragili, anche se necessarie, tregue,
nell’assenza totale di ogni azione degli Stati dell’Europa e dell’Unione
europea, sempre più dipendenti dalle iniziative delle potenze e degli
Stati più forti, che operano in base a convenienze economiche o
interessi di parte. Scenari che preannunciano soluzioni di
prevaricazione unilaterale molto peggiori, e comunque destinate a breve
durata.
In questo quadro pieno di ulteriori e più gravi pericoli, in
cui anche le diverse istituzioni democratiche che reggono i vari paesi
stanno perdendo terreno rispetto alle spinte autoritarie o oligarchiche
che si sprigionano a livello globale, ci sembra urgente affermare che
l’unica solida e durevole via d’uscita dalla guerra appare, oggi più che
mai, soltanto quella della cooperazione e del ricorso alle istituzioni
internazionali. Trattati multilaterali e non imposti, nonché la
riaffermazione del diritto internazionale, che deve valere anche tra
nemici, rappresentano la via maestra per la soluzione dei problemi.
Ci
sembra indispensabile ribadire che la guerra rappresenta comunque un
flagello che impoverisce tutti, aumenta le ingiustizie sociali,
ambientali ed ecologiche a danno soprattutto delle classi sociali che
vivono già in grande difficoltà; produce esclusione sociale, allarga le
disuguaglianze, le nasconde (spostando l’attenzione sul conflitto) e
impedisce di risolverle.
Può apparire utopico oggi rivendicare
l’importanza del dialogo e del ricorso alla diplomazia all’interno di
una cornice di cooperazione, di fronte allo sgretolarsi di tutte le
istituzioni internazionali nate dopo la seconda guerra mondiale.
Eppure,
di fronte all’esplodere delle crisi, prima tra tutte quella
dell’unipolarismo occidentale, si impone la necessità di un diverso
ordine multipolare costruito con il contributo di tutti al fine di
costituire una garanzia per tutti.
E’ questo il ruolo proprio della
politica e del diritto internazionale. L’eclissi del diritto come
criterio regolativo della condotta degli Stati non soltanto compromette
la convivenza pacifica nelle relazioni tra Stati e tra popoli, ma
determina anche l’appannamento del ruolo e del senso del diritto interno
come criterio di orientamento delle condotte dei cittadini di fronte ai
conflitti causati dalle tante crisi che minano la coesione e il senso
di comune appartenenza alla civiltà umana.
Il recupero delle capacità
positive della politica e del diritto appare compito difficile, ma è
ineludibile. Per questo come organizzazioni della società civile
vogliamo impegnarci con tutte le nostre forze in questa direzione:
rendere consapevole l’opinione pubblica e i governanti, che senza
dialogo e cooperazione su sviluppo e sicurezza basati sulle istituzioni
internazionali, l’orizzonte immediato dei nostri paesi si ricopre di
fosche nubi.
Rivolgiamo un appello a tutte le organizzazioni
della società civile a incontrarsi per una comune iniziativa verso la
via della pace che possa essere seguita dai popoli e dai governi entro
una prospettiva multipolare e rispettosa delle diversità di tutti. C’è
bisogno di ritrovare un nuovo equilibrio nel mondo che non sia quello
preannunciato di un nuovo imperialismo globale dettato dal dominio della
forza degli Stati più potenti e, spesso, più arroganti.
Roma, 24 febbraio 2025
Fondazione Basso – Centro per la Riforma dello Stato – Fondazione Di Vittorio – Salviamo la Costituzione

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