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giovedì 30 dicembre 2010

Agenzia delle Entrate Ris. 29-12-2010 n. 140/E Interpello - Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 - IVA - Errata applicazione del meccanismo del reverse charge alle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate da un soggetto non residente - Articolo 17, secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 - Applicabilità dell'istituto del ravvedimento operoso alla sanzione prevista dall'articolo 6, comma 9-bis, terzo periodo, del D.Lgs. n. 471 del 1997. Emanata dall'Agenzia delle entrate, Direzione centrale normativa

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Ris. 29 dicembre 2010, n. 140/E (1).

Interpello - Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 - IVA - Errata applicazione del meccanismo del reverse charge alle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate da un soggetto non residente - Articolo 17, secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 - Applicabilità dell'istituto del ravvedimento operoso alla sanzione prevista dall'articolo 6, comma 9-bis, terzo periodo, del D.Lgs. n. 471 del 1997.

(1) Emanata dall'Agenzia delle entrate, Direzione centrale normativa.



Con l'interpello specificato in oggetto, concernente l'interpretazione del D.P.R. n. 633 del 1972, è stato esposto il seguente


Quesito


La società ALFA SA, con sede in Francia e rappresentante fiscale ai fini IVA in Italia (di seguito, rappresentante), fa parte del gruppo BETA e commercializza autoveicoli.

La distribuzione in Italia avviene attraverso due società dello stesso gruppo, GAMMA SPA e DELTA SPA (di seguito, cessionarie).

I veicoli sono introdotti sul territorio italiano per conto di ALFA SA e, quali operazioni assimilate agli acquisti intracomunitari (articolo 38, comma 3, lettera b), D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito con modificazioni dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427), il rappresentante provvede ai conseguenti adempimenti, compresa l'integrazione delle fatture.

Le successive operazioni di vendita operate attraverso il rappresentante nei confronti dei cessionari italiani costituiscono cessioni nazionali soggette ad IVA italiana.

Fino al 31 dicembre 2009, dette cessioni nei confronti dei cessionari italiani sono state fatturate dal rappresentante con addebito dell'IVA italiana.

A seguito dell'intervenuta sostituzione del secondo comma dell'articolo 17 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (ad opera dell'articolo 1, primo comma, lettera h), del D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18) dal 1° gennaio 2010 il rappresentante non avrebbe più dovuto emettere fatture con IVA italiana per le cessioni in argomento, trattandosi di operazioni effettuate da soggetto non residente nei confronti di soggetti passivi stabiliti in Italia, quindi, obbligatoriamente interessate dall'applicazione del meccanismo dell'inversione contabile ("reverse charge").

Tuttavia, a causa di un disguido tecnico, il rappresentante ha potuto interrompere la procedura di fatturazione solo il 6 aprile 2010.

Il rappresentante ha, successivamente, rettificato le erronee fatturazioni nei confronti dei cessionari relative al periodo 20 febbraio 2010 - 6 aprile 2010, tramite emissione di note di credito, che le menzionate società cessionarie hanno registrato provvedendo poi ad autofatturare i suddetti acquisti.

In conseguenza dell'emissione di tali note di credito, il rappresentante ha maturato un credito IVA.

Tanto premesso, l'istante chiede se, in virtù del principio generale contenuto nella disposizione sanzionatoria di cui all'articolo 6, comma 9-bis, terzo periodo, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 - che fa salvi i casi in cui l'imposta, seppur irregolarmente, sia stata assolta dal cedente o dal cessionario - sia possibile stornare le note di credito emesse dal rappresentante e contestualmente le autofatture emesse dalle cessionarie; così facendo riassumerebbero valore le fatture originariamente emesse dal rappresentante, e si realizzerebbe un maggior debito in capo al medesimo ed un corrispondente maggior credito in capo alle cessionarie.

Indipendentemente dall'eventuale storno delle note di credito, sono chiesti chiarimenti in merito al perfezionamento della procedura di ravvedimento operoso (articolo 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472) in relazione all'erronea emissione delle suddette fatture, al fine di evitare l'irrogazione delle sanzioni di cui all'articolo 6, comma 9-bis, del D.Lgs. n. 471 del 1997, sia nei confronti del rappresentante che nei confronti delle cessionarie.



Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente

L'istante è dell'avviso che il rappresentante possa legittimamente annullare le note di credito emesse in relazione al periodo 20 febbraio 2010 - 6 aprile 2010 in quanto, essendo stata l'imposta assolta, sia pure irregolarmente, la situazione IVA è da considerarsi ormai consolidata, ferma restando la solidale responsabilità delle parti per il pagamento della sanzione prevista dal citato articolo 6, comma 9-bis, del D.Lgs. n. 471 del 1997. Conseguentemente, si ritiene che le cessionarie abbiano diritto alla detrazione dell'IVA irregolarmente fatturata da parte del rappresentante nel predetto periodo.

Qualora, invece, non sia possibile stornare le note di credito, l'istante sostiene che il conseguente credito IVA maturato possa, comunque, essere chiesto a rimborso dal rappresentante ai sensi dell'articolo 38-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, in conformità al principio di neutralità proprio dell'imposta.

Infine, secondo l'interpellante, l'importo massimo di 10.000 euro irrogabile a titolo di sanzione al rappresentante o alle cessionarie per l'errata fatturazione, va considerato avendo riguardo all'importo complessivamente fatturato e non ad ogni singola fattura irregolarmente assoggettata ad IVA. Ciò posto, tale sanzione potrà essere definita, in sede di ravvedimento operoso, con il pagamento dello 0,3 per cento dell'imposta non correttamente fatturata (pari ad un decimo della sanzione ordinariamente prevista) e comunque, per un importo non eccedente 1.000 euro (pari a un decimo del predetto limite complessivo).

In seguito al ravvedimento operoso perfezionato dal rappresentante, attesa la responsabilità solidale per la medesima sanzione, le cessionarie non saranno assoggettabili ad alcuna sanzione.



Parere dell'agenzia delle entrate

L'articolo 17, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, nel testo sostituito dall'articolo 1, primo comma, lettera h), del D.Lgs. n. 18 del 2010, sancisce che "Gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, compresi i soggetti indicati all'articolo 7-ter, comma 2, lettere b) e c), sono adempiuti dai cessionari o committenti".

Tale modifica legislativa ha reso obbligatorio il meccanismo dell'inversione contabile (cd. reverse charge) per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto non residente nei confronti di un soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato. Quest'ultimo assume la qualifica di debitore dell'imposta, da assolvere mediante l'emissione di un'autofattura riportante l'indicazione dell'IVA dovuta, anche qualora il cedente o prestatore sia identificato ai fini IVA in Italia, tramite identificazione diretta o rappresentante fiscale.

Ai sensi dell'articolo 5 del D.Lgs. n. 18 del 2010, la nuova normativa si applica alle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2010, fermo restando che, come specificato nella Circ. 18 marzo 2010, n. 14/E, vengono fatti salvi i comportamenti di coloro i quali, in assenza di malafede, abbiano applicato in maniera non corretta le regole sull'inversione contabile alle operazioni poste in essere dal 1° gennaio 2010 al 19 febbraio 2010, continuando ad assolvere l'imposta con le modalità previste dalla previgente disciplina.

Ciò nonostante, anche per le operazioni effettuate dopo il 19 febbraio (e fino al 06 aprile 2010) il rappresentante ha emesso fatture con addebito dell'IVA nei confronti delle cessionarie (soggetti passivi in Italia), assolvendo, conseguentemente, la relativa imposta.

La violazione commessa dal rappresentante trova la sua disciplina sanzionatoria nella norma contenuta nell'articolo 6, comma 9-bis, terzo periodo, del D.Lgs. n. 471 del 1997, ai sensi del quale "Qualora l'imposta sia stata assolta, ancorché irregolarmente, dal cessionario o committente ovvero dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto alla detrazione ai sensi dell'articolo 19 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, la sanzione amministrativa è pari al 3 per cento dell'imposta irregolarmente assolta, con un minimo di 258 euro, e comunque non oltre 10.000 euro per le irregolarità commesse nei primi tre anni di applicazione delle disposizioni del presente periodo".

La previsione di cui al terzo periodo del comma 9-bis è stata introdotta proprio al fine di punire con una sanzione di lieve entità quei casi in cui, sebbene le operazioni siano state poste in essere in violazione del regime dell'inversione contabile, la condotta tenuta non abbia comportato alcun danno all'Erario, atteso che il tributo è stato comunque corrisposto.

In tal senso il legislatore ha fatto salvo il diritto alla detrazione ai sensi dell'articolo 19 del D.P.R. n. 633 del 1972.

Tanto premesso, si è dell'avviso che, così come l'Amministrazione finanziaria in sede di accertamento può limitarsi a contestare la sanzione, senza operare alcun recupero d'imposta né in capo al cedente, né in capo al cessionario - sempreché la stessa sia stata assolta, seppur irregolarmente - egualmente, in sede di ravvedimento la violazione commessa potrà essere sanata con il pagamento - in misura ridotta - della sola sanzione del 3 per cento dell'imposta irregolarmente assolta, senza bisogno di porre in essere ulteriori adempimenti a rettifica del comportamento tenuto.

Pertanto, nel caso in questione, al fine di sanare la violazione commessa non sarebbe stato necessario emettere le note di credito; ciò nonostante, poiché il rappresentante ha provveduto a rettificare i documenti originari al fine di ripristinare la situazione che una corretta applicazione della norma avrebbe realizzato sin dall'origine, si è dell'avviso che lo storno delle note di variazione e delle conseguenti autofatture, così come prospettato dall'istante, non sia possibile, non essendo riconducibile ad alcuna delle ipotesi indicate nell'articolo 26 del D.P.R. n. 633 del 1972.

Va da sé che il rappresentante potrà chiedere, in sede di presentazione della dichiarazione annuale IVA 2011, il rimborso del credito IVA maturato per aver emesso le note di credito, ai sensi dell'articolo 38-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, al verificarsi dei presupposti di cui all'articolo 30 del medesimo decreto.

Quanto poi all'individuazione dell'imposta di riferimento cui commisurare la sanzione da ravvedere, si osserva che la violazione, concernente l'irregolare assolvimento dell'IVA a causa dell'erronea applicazione del regime dell'inversione contabile, si realizza di fatto quando viene operata la liquidazione mensile o trimestrale: è in tale sede, infatti, che il cedente ed il cessionario procedono erroneamente alla determinazione dell'imposta relativa alle operazioni attive da "assolvere".

Di conseguenza, si è dell'avviso che la sanzione del 3% vada commisurata all'importo complessivo dell'IVA relativa alle operazioni attive irregolarmente determinata nella liquidazione mensile o trimestrale, con riguardo ad ogni singolo rapporto contrattuale tra il cedente e ciascun cessionario; laddove l'irregolarità si realizzi in più liquidazioni, si configureranno tante violazioni autonome da sanare per quante sono le liquidazioni interessate.

È evidente poi che, l'importo minimo di 258 euro e quello massimo di 10.000 euro irrogabili a titolo di sanzione, rileveranno con riferimento all'IVA sulle operazioni attive irregolarmente determinata in ciascuna liquidazione periodica (così, ad esempio, nel caso in esame bisognerà considerare le liquidazioni di marzo, aprile e maggio) e, come già chiarito, avuto riguardo ad ogni singolo rapporto contrattuale.

In particolare, il ravvedimento si perfezionerà con il pagamento da parte del cedente o del cessionario, nel termine di cui al citato articolo 13, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 472 del 1997, della sanzione ridotta pari ad un decimo del 3 per cento dell'imposta sulle operazioni attive irregolarmente determinata in ciascuna liquidazione periodica. Peraltro, non potendo essere superiore ad euro 10.000,00 la sanzione applicabile negli anni dal 2008 al 2010 per le irregolarità in questione, tale importo assoluto rileverà anche nella determinazione di quanto dovuto in misura ridotta a titolo di ravvedimento, che, quindi, non potrà superare l'importo di euro 1.000 per ciascuna violazione commessa.

Considerato, inoltre, che ai sensi del quarto periodo dell'articolo 6, comma 9-bis, del D.Lgs. n. 471 del 1997, al pagamento delle sanzioni sono tenuti solidalmente entrambi i soggetti obbligati all'applicazione del meccanismo dell'inversione contabile (cfr. Circ. 19 febbraio 2008, n. 12/E, punto 10.2), il perfezionamento del ravvedimento ad opera di uno dei contraenti produrrà i suoi effetti nei confronti dell'altro.


Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente risoluzione vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.


Il Direttore centrale

Aldo Polito



D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 17
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38-bis
D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 6
D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18, art. 1
D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18, art. 5
D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13

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