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mercoledì 16 marzo 2011

"Il futuro della previdenza complementare" ( a cura A. Finocchiaro)

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BUSINESS INTERNATIONAL TAVOLA ROTONDA “ASSICURAZIONI E AUTHORITIES” “Il futuro della previdenza complementare” Intervento di Antonio Finocchiaro Presidente della COVIP Roma, 17 febbraio 2011
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Ringrazio gli organizzatori dell’incontro per la decisione di dedicare una tavola rotonda alla previdenza complementare. 1. L’enunciato del tema ed il suo riferimento al futuro mi richiamano una frase brillante e apparentemente surreale di Paul Valery, a volte riprodotta sui muri delle nostre città: ”il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta”. Paradossalmente questa frase illustra in modo esemplare la situazione della nostra previdenza: negli anni ’60 e ’70 le prospettive delle riforme pensionistiche andavano nella direzione del “dare” a una ”platea sempre più ampia” di percipienti; prospettavano la riduzione dei tempi necessari a maturare la rendita pensionistica (ricordate le “pensioni baby?), determinando aree di privilegio (ricordate le “clausole d’oro”?); un welfare quasi sempre a carico del bilancio pubblico, con trasferimento degli oneri alle generazioni successive. Negli ultimi due decenni ci si è trovati nella spiacevole necessità di contrastare una spesa pensionistica che andava crescendo a ritmi insostenibili, di “ridurre”, “ritardare”, “togliere”, chiedendo sacrifici e pagando le conseguenze di errori e di difetti del passato. Parlare del futuro significa chiedersi:
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quali sono state le ragioni che, ovunque, hanno consigliato interventi e modifiche strutturali ai sistemi pensionistici? continuano esse a produrre effetti? qual è la situazione pensionistica dei Paesi a noi più vicini? come si pone il sistema pensionistico italiano nei confronti di questi ultimi? quali possibilità di armonizzazione esistono? quali sono stati gli effetti della più recente crisi sui sistemi pensionistici dei diversi Paesi, incluso il nostro? qual è stata la reazione agli impatti di tale crisi? qual è la reale condizione del sistema pensionistico pubblico in Italia? come incidono su di esso le misure varate dal Governo negli ultimi anni in tema di condizioni e tempi per il conseguimento della pensione obbligatoria e sul suo ammontare?
Risposte argomentate si possono trovare in due recenti documenti cui faccio rinvio:
o il capitolo 1° della relazione della COVIP per l’anno 2009, dedicato a “crisi finanziaria e fondi pensione”;
o il recente Libro Verde della Commissione europea intitolato “Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa” dal quale è ipotizzabile scaturiscano direttive e/o normative in materia pensionistica capaci di dare
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un contenuto, concreto e armonizzato a livello europeo, ai quattro concetti (trasparenza, adeguatezza, sostenibilità, sicurezza) che dovrebbero caratterizzare un qualsiasi sistema pensionistico1.
2. Come si presenta, oggi, il sistema pensionistico complementare italiano? Pur in presenza di un aumento della percezione di quanto sia sempre più debole la copertura del primo pilastro previdenziale, permane una condizione di crescita molto limitata, con un tasso di adesione non paragonabile a quello di altri Paesi. Qualcuno ha parlato di un mezzo fallimento. A mio parere, un giudizio troppo severo; è peraltro rilevabile che il sistema integrativo non costituisce ancora – come si ipotizzava alcuni anni or sono – un pilastro del welfare. A fronte di 23 milioni di possibili aderenti fra lavoratori dipendenti privati, pubblici e autonomi, gli iscritti alle forme di previdenza complementare assommavano, a fine dicembre scorso, a poco più di 5,3 milioni (5,4 punti percentuali in più rispetto a dicembre 2009): il 23 per cento del teorico, rispetto a una media europea ben più alta con punte ancora maggiori nei Paesi Bassi e in Svezia.
1 Per trasparenza va intesa la possibilità che gli interessati ricevano tutte le informazioni utili per una scelta ragionata in materia pensionistica; per adeguatezza va intesa la possibilità di mantenere, al termine dell’impegno lavorativo, uno standard di vita simile a quello goduto prima della pensione; la sostenibilità fa riferimento alla possibilità di garantire pensioni adeguate senza compromettere il bilancio sul quale pesa l’onere del sistema pensionistico; la sicurezza è da intendere come tendenziale garanzia al mantenimento nel tempo del valore reale della pensione.
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I fondi pensioni negoziali registravano, sempre a fine dicembre, un calo di 1,4 punti nelle adesioni, compensato dalla crescita dei fondi pensioni aperti (3,4) e, soprattutto, da quella dei Piani Individuali Pensionistici (PIP) cosiddetti “nuovi” (29,8). Crisi economica, riduzione dell’occupazione, mancanza di ricambio generazionale, scarsa informazione, impostazioni rigide di taluni aspetti della normativa primaria, limitata attenzione delle istituzioni e delle parti sociali impegnate da una diversa agenda delle priorità, sono le ragioni di ordine diverso che contribuiscono a spiegare la situazione attuale; una situazione in cui i lavoratori del settore pubblico continuano a essere sostanzialmente assenti. Di maggiore consistenza (12,3 per cento) l’incremento delle risorse destinate alle prestazioni complementari: a dicembre u.s. ammontavano a 82 miliardi di euro, poco meno della metà dei quali appannaggio dei fondi pensioni cosiddetti “vecchi” o “preesistenti”. I rendimenti conseguiti nell’anno 2010 risultano pari a 3,0 punti percentuali per i fondi negoziali, 4,2 per quelli aperti e 5,1 per i Piani Individuali Pensionistici nuovi: sono stati frenati, in particolare nella seconda metà dell’anno, dall’andamento dei titoli di Stato italiani ed europei. Le prime due forme pensionistiche hanno, peraltro, recuperato le perdite del 2008 con un riallineamento post-crisi abbastanza soddisfacente; i Piani Individuali Pensionistici sono vicini a farlo. Ricordo che la rivalutazione del TFR è stata nell’anno del 2,6 per cento.
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In sintesi, non emerge ancora in misura sostanziale l’auspicato orientamento a riversare nei canali previdenziali una consistente quota del risparmio delle famiglie. 3. Come si prospetta il futuro pensionistico pubblico? Le proiezioni in materia della Ragioneria generale dello Stato indicano, per il 2050, cifre lorde per le pensioni di vecchiaia notevolmente inferiori all’importo dell’ultima retribuzione. A partire dal prossimo decennio andranno in pensione i primi lavoratori cui si applicherà in toto il meccanismo contributivo. Per loro la pensione potrebbe attestarsi su un livello pari o inferiore alla metà dell’ultimo stipendio. Un ammontare destinato probabilmente a ridursi, soprattutto per le generazioni più giovani, anche a causa della frammentarietà dei percorsi lavorativi e contributivi. Nell’odierno mercato del lavoro è al tramonto la possibilità di usufruire di una pensione di anzianità.
Non va escluso, inoltre, che l’allungamento della vita media, la contrazione della natalità e la riduzione della popolazione in età lavorativa rendano necessari ulteriori ritocchi per mantenere in equilibrio i conti del sistema previdenziale pubblico2.
2 Il nostro sistema pensionistico già risente della caduta di 6,4 punti percentuali del prodotto interno lordo, registrata nel biennio 2008-2009; essa si riflette negativamente sulla rivalutazione dei versamenti contributivi da trasformare in rendita: una rivalutazione effettuata annualmente in base alla variazione media del prodotto nel precedente quinquennio. Un PIL in recessione riduce la media quinquennale perché il valore negativo si ripercuote per i cinque anni successivi.
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Alla ipotizzata sovrastima dei risultati che potranno scaturire dalle vigenti regole pensionistiche – incluse quelle varate lo scorso anno, che incidono su più fronti anche se la loro applicazione sarà graduale – si aggiunge poi la resistenza psicologica di molti lavoratori, in particolare giovani, ad aderire a forme di risparmio pensionistico, pur favorevoli sotto l’aspetto fiscale (peraltro migliorabile); una resistenza accentuata da aspettative in tema di pensioni pubbliche molto spesso irrealistiche3.
Pur tenendo conto della preoccupante condizione occupazionale che da qualche anno caratterizza il nostro Paese, ai lavoratori di oggi e a quelli di domani va detta, con franchezza, la verità anche amara sul loro futuro pensionistico. Bisogna squarciare il velo di reticenza, se non di silenzio, steso da troppo tempo. Occorre evitare il rischio che intere generazioni, cullandosi in false prospettive, si trovino poi a vivere una quarta età disagevole. Un rischio non teorico stando anche ai risultati di una recente ricerca del gruppo assicurativo Aviva che ha quantificato in 97,6 miliardi di euro annui il gap pensionistico del nostro Paese fra il 2011 e il 20504.
Va inoltre rilevato che se è vero che i più recenti interventi pensionistici consentono un più stretto collegamento tra prestazioni e contributi è anche vero che le prestazioni a regime potrebbero eccedere i contributi a causa di tre fattori: a) lo sfasamento temporale nella revisione dei coefficienti che si aggiunge al tempo (usualmente di qualche anno) necessario per l’elaborazione da parte dell’ISTAT delle tavole di mortalità; b) l’utilizzo di tavole di mortalità costruite per individui contemporanei di età differenti e non per generazioni; c) il riconoscimento, ai fini della rivalutazione dei contributi versati, della crescita del prodotto interno che, oltre all’aumento dei salari in termini reali, ingloba anche quello dell’occupazione. 3 La stima della rendita obbligatoria percepibile al termine della vita lavorativa costituisce una condizione indispensabile perché i lavoratori possano effettuare scelte calcolate in tema di pensione complementare. Naturalmente non vanno sottovalutate le difficoltà e i rischi di tali stime di cui l’INPS è perfettamente cosciente quando sostiene che è impossibile prefigurare le prestazioni previdenziali a trenta/quaranta anni dal momento del godimento, poiché le attese macroeconomiche che influenzano i coefficienti di trasformazione non sono prevedibili ma anche perché l’aspettativa di vita è in costante crescita e quindi introduce un’altra variabile non marginale. 4 Per gap pensionistico si intende la differenza tra l’importo che i lavoratori, destinati ad andare in pensione nel periodo indicato, dovrebbero risparmiare per mantenere uno stile di vita adeguato dopo il pensionamento (calcolato dall’OCSE nel 70 per cento dell’ultimo salario) e il reddito che possono oggi aspettarsi di percepire una volta in pensione.
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4. È questo il contesto, delineato in modo necessariamente sintetico, che ha spinto e spinge la COVIP a rifiutare il sostanziale immobilismo degli ultimi anni e a chiedere di rilanciare la previdenza complementare; qui mi limito a richiamare gli aspetti di maggior rilievo indicati più volte. Innanzitutto sono necessarie tre pre-condizioni, sinergiche tra loro: a) bisogna tornare (qualcuno dice iniziare) a crescere, di più e meglio, soprattutto in termini di servizi. Lo ha ricordato di recente anche il Presidente Napolitano invitando tutti a fare la propria parte. L’Italia è cresciuta in termini di PIL molto poco negli ultimi tre lustri – un tasso medio annuo inferiore di oltre un terzo rispetto a quello dell’Unione economica e monetaria- con un’accentuazione negativa nell’ultimo decennio. Per la crescita economica sono indispensabili riforme sistemiche più volte annunciate e ormai improrogabili: l’ulteriore snellimento dell’Amministrazione Pubblica e delle sue procedure, la diffusione della cultura d’impresa, maggiori liberalizzazioni, una più equa e più semplice normativa fiscale, il rilancio della ricerca, la realizzazione di infrastrutture indispensabili, rigore nei conti pubblici e nel controllo della spesa. Eventualmente iniziando da quelle riforme senza costi o a costi contenuti. Dalla ripresa è lecito attendersi più elevati livelli di produttività e di competitività che consentirebbero di agganciare quella in atto in altri Paesi e, con essa, la crescita.
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Una crescita atta a contrastare la riduzione del tenore di vita, rendere sostenibile il debito pubblico, dare alle giovani generazioni prospettive certe e a quelle meno giovani sicurezza e dignità nell’età matura; b) bisogna superare le debolezze del mercato del lavoro (dualismo, occupazione irregolare, mancata stabilizzazione dei rapporti di lavoro precario, bassa mobilità sociale) accentuate dalla crisi degli ultimi anni. Sarà probabilmente necessaria una seconda generazione di interventi volti a semplificare il corpus regolamentare stratificatosi negli anni e a porre rimedio alle debolezze del mercato del lavoro; quest’ultimo, risanato dalle attuali imperfezioni, potrebbe assicurare maggiore occupazione con più stabilità, avviando a soluzione anche l’asimmetria che talora si registra fra i profili professionali richiesti dal mercato (domanda), specie nei settori in espansione, e quelli posseduti dai giovani in cerca di occupazione ovvero da coloro che hanno perso il lavoro (offerta); è possibile che nei prossimi anni la domanda si concentrerà su figure di più alto livello e verso mansioni più qualificate;
c) è indispensabile un rilevante impegno per far crescere la cultura previdenziale dei cittadini e garantire visibilità e credibilità al sistema pensionistico integrativo. Ancor oggi, a distanza di tre quinquenni dai primi provvedimenti in materia, la situazione si caratterizza per carenza di informazioni appropriate. Ne conseguono
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ritardi nel comprendere la necessità e il valore della previdenza complementare; difficoltà ad adottare comportamenti adeguati alle reali prospettive pensionistiche; indugio nelle “non scelte”, con conseguente rinvio dell’assunzione di decisioni responsabili5. È, questa, una partita da giocare con il coinvolgimento di parti sociali, istituzioni, fondi ed evitando, nei limiti del possibile, iniziative parziali, non coordinate e prive di verifica dei risultati. 5. Nelle valutazioni della COVIP, a queste pre-condizioni dovrebbe aggiungersi, anche alla luce degli effetti della recente crisi economica, la rivisitazione dell’attuale sistema normativo al fine di promuoverne ulteriormente la semplificazione, l’organicità, la chiarezza. Non si tratta di sconvolgere quanto sin qui realizzato. Il nostro sistema complementare a contribuzione definita si caratterizza per costi relativamente bassi, rendite proporzionali agli accantonamenti effettuati dai singoli, nessun onere per le generazioni future, limitata esposizione a investimenti rischiosi (e/o a titoli tossici).Sono punti di forza la cui valenza potrebbe venire accentuata da una sapiente manutenzione evolutiva.
5 In tema di informazione/trasparenza la COVIP ha di recente messo a disposizione sul proprio sito i dati su costi e rendimenti delle forme di previdenza complementare. Ciò consente un esame puntuale dell’efficienza economica e finanziaria delle diverse forme complementari nonché confronti corretti fra i risultati conseguiti dai diversi comparti previdenziali paragonabili fra loro per grado di rischio.
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Senza entrare nei dettagli tecnici, mi limito a ricordare che è necessario operare in più direzioni: una maggiore flessibilità del sistema, il miglioramento e la razionalizzazione delle agevolazioni fiscali da allineare a quelle degli altri Paesi, una più ampia possibilità di investimenti ad alto rendimento per le forme previdenziali contenendo entro limiti accettabili l’esposizione al rischio, una più efficiente, rigorosa e trasparente governance, un incremento della tutela per gli aderenti, la riduzione dei costi amministrativi, maggiori incentivi per la diffusione delle prestazioni in forma di rendita. Tutto questo per evitare, come ricordato dal Ministro Sacconi, che si inneschi un meccanismo di fuga dalla previdenza complementare dovuto a sfiducia nei fondi da parte dei giovani. Andrebbe ulteriormente semplificato anche l’apparato regolatorio: un ecceso di dettagli normativi può rappresentare un ostacolo alla competitività e alla concorrenza fra forme pensionistiche. Per evitare un’azione disorganica potrebbe risultare opportuna la creazione di un modello previsionale capace, una volta individuati gli elementi da migliorare, di misurare l’impatto di eventuali interventi integrativi e/o correttivi.
Sul piano organizzativo, una progressiva riduzione del numero dei fondi (in particolare di quelli preesistenti e aperti), da realizzare attraverso fusioni e concentrazioni, nonché l’aumento delle intense consortili finalizzate a conseguire
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economie di scala rappresenterebbero utili contributi allo sviluppo e alla maggiore efficienza della previdenza complementare. Quanto ai fondi negoziali, andrebbe valutata la possibilità di creare un fondo intercategoriale capace di raccogliere le adesioni di lavoratori che operano nell’ambito di categorie numericamente limitate e di quelli autonomi. Qualche esempio esiste già. Per migliorare il rapporto con gli aderenti, in essere e potenziali, andrebbero individuate soluzioni idonee a tal fine.
Resta aperto il problema dei fondi complementari per il pubblico impiego; è un ritardo che danneggia in particolare i lavoratori più giovani per i quali si prospetta una pensione di molto inferiore a quella di cui vengono a fruire quanti lasciano il lavoro oggi6.Se si vuole far decollare la previdenza complementare nel settore pubblico è necessario muoversi con decisione per aprire un varco nel muro delle limitazioni esistenti.
6. Gli interventi fin qui richiamati rientrano, in larga misura, nella disponibilità delle parti sociali e delle istituzioni; per taluni aspetti appartengono al potere decisionale dei fondi. L’andamento economico degli ultimi tre anni non ha consentito di dare loro la necessaria priorità; la crisi economica ha ulteriormente compromesso le prospettive
6 Le condizioni che incidono sulla possibilità di adesione alle forme pensionistiche complementari previste dal dlgs 252/2005 sono state più volte evidenziate: applicazione della disciplina di cui al dlgs n. 124/1993, in linea generale meno favorevole rispetto a quelle ordinariamente previste per le altre categorie di lavoratori, mancato avvio della maggior parte dei fondi negoziali istituiti dalla contrattazione collettiva e destinati ai lavoratori dei vari comparti contrattualizzati, necessità per talune generazioni di dipendenti di trasformare il TFS in TFR in caso di adesione con un calcolo di convenienza non sempre agevole, trasferimento solo virtuale del TFR nei fondi, difformità delle condizioni fiscali rispetto a quelle previste per gli aderenti del settore privato.
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pensionistiche. Credo sia giunto il momento di attivarsi per indirizzare una quota maggiore del risparmio delle famiglie verso forme di accumulazione con finalità previdenziale. Un recente volume di uno scrittore francese titola: “La crisi, e poi?”. Qual è il nostro “poi”?. Una ripresa dell’attenzione, del dialogo sul tema pensioni, può servire a sensibilizzare le parti più direttamente interessate; lo sviluppo del sistema pensionistico complementare andrebbe rimesso al centro della contrattazione senza ulteriori rinvii. Lo sviluppo della localizzazione territoriale dei fondi pensione – che si caratterizza in positivo quanto a partecipazione, continuità contributiva, costi e oneri gestionali – può fornire un utile contributo in questa direzione. La stessa attenzione che, in sede europea, viene attribuita alle politiche pensionistiche, come emerge dal citato Libro Verde della Commissione europea. * * * 7. Ritengo ora doveroso soffermarmi sul ruolo che le imprese di assicurazione possono avere nello sviluppo della previdenza complementare.
A fine dicembre 2009 le Assicurazioni gestivano circa 5,2 miliardi di euro, pari al 27 per cento dei fondi accantonati nelle forme pensionistiche negoziali; una quota in crescita per effetto dell’importanza assunta dalle linee garantite: una tipologia di
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investimento per la quale le compagnie godono di un vantaggio comparato rispetto ad altri soggetti gestori (36 dei 40 mandati in essere sono assegnati a imprese di assicurazione). Per quanto riguarda i fondi aperti, facevano capo a imprese di assicurazione 55 fondi su un totale di 76, con una quota del 48,1 per cento degli aderenti a tale forma e del 45,4 per cento delle risorse gestite (per un importo pari a 2,8 miliardi di euro). I Piani Individuali Pensionistici costituiscono la forma previdenziale sulla quale le compagnie concentrano la maggiore presenza sul mercato. Fra Piani “nuovi” e “vecchi” le imprese assicurative gestivano direttamente, sempre alla fine del 2009, le posizioni pensionistiche complementari di 1,5 milioni di lavoratori dipendenti e autonomi che avevano affidato loro oltre 9 miliardi di euro. Va infine ricordato il ruolo delle Assicurazioni nel settore dei fondi preesistenti, quali istitutrici di 79 forme pensionistiche per i propri dipendenti nonché gestrici di forme pensionistiche di tipo assicurativo basate su polizze collettive, soprattutto di ramo primo: complessivamente, circa 14 miliardi di euro (pari al 36 per cento delle risorse facenti capo ai fondi preesistenti) erano gestiti secondo questa modalità. A questi vanno aggiunti 2 miliardi di euro relativi alle gestioni di ramo sesto e ad altre polizze aventi natura finanziaria.
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In sintesi, oltre un terzo degli attuali aderenti a forme complementari fa capo a imprese assicuratrici; vanno aggiunti gli iscritti ai fondi pensione negoziali e preesistenti che usufruiscono di servizi di gestione offerti dalle assicurazioni. Quanto al totale dei montanti accantonati nell’insieme dei fondi pensione, il 45 per cento è gestito dalle Assicurazioni (circa 33 miliardi di euro). Tralascio, per esigenze di tempo, il problema della realizzazione di un articolato e concorrenziale mercato delle rendite vitalizie che diventerà sempre più urgente al crescere della domanda. Siffatta condizione complessiva impone alle imprese assicuratrici notevoli responsabilità. L’investimento previdenziale non è paragonabile a un qualunque investimento finanziario. Il suo obiettivo non è la massimizzazione dei rendimenti immediati ma la graduale costruzione di una rendita per gli aderenti: un obiettivo tanto più rilevante quanto maggiore è il rischio di longevità; un obiettivo che può essere raggiunto se esiste un rapporto equilibrato fra ottimizzazione dei rendimenti di lungo periodo e contenimento del rischio, da un lato, e uno stile di gestione trasparente da parte degli operatori, dall’altro.
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8. È per questo che la COVIP sollecita le imprese assicuratrici a tenere conto della funzione sociale dei fondi pensione e a intervenire, anche in termini di costi. Con riferimento ai Piani Individuali Pensionistici, quest’ultimi, anche se si sono leggermente ridotti nel tempo, rimangono mediamente più elevati rispetto ai livelli delle altre forme previdenziali. A parità di condizioni, un punto percentuale in più rispetto al costo medio può comportare, al termine della vita lavorativa, riduzioni nella rendita dell’ordine del 10-15 per cento; salvo che il maggior onere a carico degli aderenti determini rendimenti e prestazioni tali da giustificarlo. I dati fin qui disponibili non sembrano attestare che questo sia il caso. Indubbiamente i risultati vanno valutati nel medio-lungo periodo; bisogna anche tener conto che una sostanziale riduzione dei costi incontra un vincolo nell’esistenza di reti di vendita da remunerare.
In proposito non sottovaluto l’importanza del rapporto fiduciario che si stabilisce fra promotore e possibile aderente: un rapporto che deve essere ben solido se si pensa che l’aderente non usufruisce, nella sottoscrizione di Piani Individuali Pensionistici, del contributo del datore di lavoro. Esso deve inoltre caratterizzarsi per assoluta trasparenza e imparzialità, pena il rischio di possibili contestazioni. Sta alle compagnie porre in essere le condizioni organizzative per evitare tale rischio.
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L’esperienza di altri paesi, ad esempio in termini di informazione comparativa, può soccorrere. La COVIP può impegnarsi a valutare la coerenza delle soluzioni individuate con le disposizioni normative, intervenire sulla normativa secondaria, suggerire, all’occorrenza, l’approvazione di ulteriori provvedimenti nelle sedi competenti. 9. Concludo con una semplice riflessione. Nel nostro Paese esiste ancora un’ampia platea di possibili aderenti, soggetti a forte rischio di scopertura previdenziale; in particolare fra i lavoratori autonomi, i professionisti, gli addetti alle piccole e medie imprese. Una platea che, in un quadro di leale concorrenza fra le forme pensionistiche ed evitando politiche commerciali unfair, vede nelle imprese assicurative, in tutti Voi, protagonisti di assoluto rilievo. La COVIP guarda con interesse e fiducia alle Vostre scelte.
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