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mercoledì 22 novembre 2017

N. 239 SENTENZA 26 settembre - 15 novembre 2017 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Accertamenti tecnici non ripetibili - Individuazione e prelievo di reperti utili per la ricerca del DNA - Garanzie difensive. - Codice di procedura penale, art. 360. - (GU n.47 del 22-11-2017 )



N. 239 SENTENZA 26 settembre - 15 novembre 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo   penale   -   Accertamenti   tecnici   non   ripetibili   -
  Individuazione e prelievo di reperti utili per la ricerca del DNA -
  Garanzie difensive.
- Codice di procedura penale, art. 360.


(GU n.47 del 22-11-2017 )

 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Paolo GROSSI;
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI,

     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  360  del
codice di procedura penale, promosso dalla Corte  d'assise  d'appello
di Roma, nel procedimento penale a carico di P. L., con ordinanza del
25 ottobre 2016, iscritta al n. 16  del  registro  ordinanze  2017  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  8,  prima
serie speciale, dell'anno 2017.
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  P.  L.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    udito nell'udienza pubblica del  26  settembre  2017  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi;
    uditi l'avvocato Andrea Sereni per P. L. e l'avvocato dello Stato
Maurizio Greco per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.- La Corte d'assise d'appello di Roma,  con  ordinanza  del  25
ottobre 2016 (r.o. n. 16 del 2017), ha sollevato, in riferimento agli
artt.  24  e  111  della  Costituzione,  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 360 del codice di procedura penale, «ove non
prevede che le garanzie difensive previste da detta norma  riguardano
anche le attivita' di individuazione e prelievo di reperti utili  per
la ricerca del DNA».
    Il giudice a quo premette di essere  investito  del  giudizio  di
rinvio in seguito alla pronuncia della Corte di  cassazione  che,  su
impugnazione del Procuratore generale, aveva  annullato  la  sentenza
della Corte d'assise d'appello  di  Roma  del  21  maggio  2013,  per
l'avvenuta derubricazione in concorso anomalo, ai sensi dell'art. 116
del  codice   penale,   dell'originaria   imputazione   di   omicidio
volontario.
    Il collegio rimettente ricorda che l'imputato, per  il  reato  di
omicidio aggravato, ai sensi degli artt. «61 nn. 2 e 5, 575,  576  n.
1, c.p.», e per quello di tentata rapina aggravata,  ai  sensi  degli
artt. «81, 56 - 628 commi 1 e 3 nn. 1 e 3-bis, 61  n.  5  c.p.»,  era
stato condannato alla  pena  di  22  anni  di  reclusione  e  che  la
decisione era stata riformata dalla Corte d'assise d'appello di Roma,
che aveva rideterminato la pena in 12 anni di reclusione.
    Nell'udienza del 29 maggio 2015, in  sede  di  rinvio,  la  Corte
d'assise d'appello aveva sollevato delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 360 cod. proc. pen. uguali a quelle  oggetto
del presente giudizio, e questa Corte, con ordinanza n.  118  del  23
marzo 2016, le aveva dichiarate manifestamente inammissibili.
    Ripreso il giudizio di rinvio, su  sollecitazione  dell'imputato,
la Corte d'assise d'appello  ha  riproposto  le  medesime  questioni,
rilevando che la pronuncia di inammissibilita'  non  era  preclusiva,
perche'  era  stata  determinata  da  una  carenza   di   motivazione
dell'ordinanza di rimessione.
    Secondo quanto riferisce  il  collegio  rimettente,  la  sentenza
della Corte d'assise d'appello del 21 maggio 2013 aveva posto a  base
della   derubricazione   in    concorso    anomalo    dell'originaria
contestazione di omicidio volontario «la  nullita'  (con  conseguente
inutilizzabilita' ai fini della decisione) degli atti di ispezione  e
prelievo eseguiti il 5 maggio 2010 e  delle  successive  analisi  che
avevano accertato la presenza del DNA della vittima in una traccia di
sangue nell'appartamento abitato dall'imputato il giorno del  delitto
(appartamento sito al  piano  superiore  di  quello  della  vittima),
nonche' la presenza congiunta del  DNA  della  vittima  e  di  quello
dell'imputato nelle tracce di sangue rinvenute  sul  parapetto  della
scala che portava dall'appartamento della vittima a quello abitato in
quei giorni» dall'imputato.
    La   sentenza   della   Corte   di   cassazione,   nel   motivare
l'annullamento della  decisione  della  corte  di  merito  sul  punto
relativo alla derubricazione, ha ritenuto che dagli elementi di prova
oggetto di valutazione da parte del giudice di  appello  erroneamente
erano stati espunti i risultati dell'attivita' genetica eseguita  dai
carabinieri del  Reparto  investigazioni  scientifiche  (R.I.S.)  nel
prelevare le tracce ematiche repertate il 5 maggio 2010.
    Da  cio'  conseguirebbe   la   rilevanza   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 360 cod.  proc.  pen.,  laddove
non prevede  il  rispetto  delle  garanzie  difensive  anche  per  le
attivita' di «prelievo di reperti utili per la ricerca del  DNA»,  in
quanto  l'eventuale  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale
della norma in questione «nei termini gia' proposti» comporterebbe la
nullita'  delle  attivita'  di  prelievo   delle   tracce   ematiche,
effettuate  dal  R.I.S.  il  5  maggio  2010,  con  «riflesso»  sulla
valutazione del compendio probatorio, cosi' da incidere,  quantomeno,
sulla qualificazione  della  condotta  criminosa  dell'imputato  come
omicidio volontario ovvero come concorso anomalo ai  sensi  dell'art.
116 cod. pen.
    Non costituirebbe oggetto di contestazione nel giudizio di rinvio
il fatto che l'imputato all'atto del  prelievo,  il  5  maggio  2010,
rivestisse «la qualita' d'indagato di reato (anche se formalmente non
iscritto nel registro ex art. 335 cpp)».
    La  distinzione  effettuata  dalla  Corte   di   cassazione   tra
«"rilievi"» e «"accertamenti"», per cui solo rispetto a questi ultimi
rileverebbe il requisito dell'irripetibilita', benche' conforme a  un
consolidato  orientamento  giurisprudenziale,   sarebbe   di   dubbia
legittimita' costituzionale ove fosse ritenuta applicabile  anche  ai
prelievi di materiale biologico. Infatti le operazioni di  asporto  e
raccolta di tracce di materiale genetico non potrebbero  qualificarsi
come mere attivita' esecutive, perche' gli esperti incaricati di tale
asporto e raccolta sono tenuti al  rispetto  di  «severi»  protocolli
cautelari «quali la  delimitazione  dei  percorsi  di  accesso  e  di
camminamento, l'uso di tute "ad hoc", il cambiamento di  strumenti  e
dotazione in corso d'opera, il filmaggio delle operazioni».
    Percio' queste operazioni non sarebbero  «omologabili»  ad  altre
piu' tradizionali attivita' di  repertazione.  Si  sarebbero  infatti
consolidati nella prassi articolati  e  sofisticati  protocolli  che,
implicando un rilevante tasso di valutazione tecnico-scientifica, non
consentirebbero  di  qualificare  tali  operazioni  come   «meramente
materiali e/o esecutive», in quanto costituirebbero  anch'esse  degli
«"accertamenti"»,  pur  se  di  contenuto  e  profilo   diversi   dai
successivi esami di laboratorio volti alla ricerca del DNA.
    La loro riconduzione alla categoria degli accertamenti troverebbe
un riscontro normativo nel combinato disposto degli artt. 360 e  364,
comma 5, cod. proc. pen.
    Queste disposizioni, se, da un lato, prevedono la possibilita' di
un  atto  ispettivo  «"a  sorpresa"»,  proprio  al  fine  di  evitare
l'alterazione delle tracce del reato, dall'altro,  statuirebbero  che
«le analisi sulle tracce "salvate"  dall'alterazione»  devono  essere
«compiute   in   contraddittorio»,   data   l'irripetibilita'   delle
operazioni  di  ricerca  e  repertazione  in  questione,  alle  quali
dovrebbe estendersi l'intero regime di  garanzia  previsto  dall'art.
360 cod. proc. pen.
    Pertanto   l'inosservanza   del    diritto    dell'indagato    di
«intervenire, secondo le procedure previste  dal  disposto  dell'art.
360   cpp,   nell'attivita'   tecnico-scientifica   di   ricerca   ed
asportazione delle tracce di materiale biologico» contrasterebbe  non
solo con il diritto di difesa  «tutelato  dall'art.  25  [recte:  24]
della Costituzione», ma anche con il «principio ispiratore del giusto
processo» consacrato nell'art. 111 Cost., secondo il quale  la  prova
deve formarsi nel contraddittorio delle parti.
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che «la questione» sia dichiarata inammissibile o
comunque infondata.
    L'Avvocatura generale rileva che il collegio  rimettente  non  ha
chiarito le circostanze sulla base delle quali ritiene  rilevanti  le
questioni dedotte. In  particolare,  non  sarebbero  stati  riportati
nell'ordinanza i motivi posti a sostegno  della  decisione  di  primo
grado, ne' quelli  che  avevano  indotto  il  giudice  di  appello  a
qualificare il fatto in termini di concorso cosiddetto  anomalo,  una
volta ritenuti  inutilizzabili  gli  esiti  dell'esame  del  DNA  sui
reperti.
    Inoltre l'avviso all'indagato non sarebbe  stato  dovuto  perche'
questo al momento dell'ispezione non era ancora  stato  iscritto  nel
registro  delle  notizie  di  reato  e  comunque   non   risulterebbe
l'esistenza di elementi che avrebbero imposto tale iscrizione.
    Nel merito, l'Avvocatura  generale  osserva  che  l'attivita'  di
prelievo  dei  campioni  di  tracce  biologiche,  da  utilizzare  per
l'estrazione del DNA e la individuazione  della  mappatura  genetica,
rappresenterebbe,  nella   maggior   parte   dei   casi,   operazione
«routinaria» svolta dalla polizia giudiziaria,  la  quale  opererebbe
secondo protocolli scientifici standardizzati.  Inoltre  non  sarebbe
dimostrato  che  nel  caso  in  esame   si   trattava   di   prelievi
particolarmente complessi, non  rientranti  nell'attivita'  ordinaria
svolta dall'organo scientifico di polizia giudiziaria.
    3.-  Si  e'  costituito  in  giudizio  l'imputato  del   processo
principale, chiedendo che le questioni siano dichiarate fondate.
    La  parte  privata  sostiene  che  sussiste  la  rilevanza  delle
questioni, in quanto, in base alla  sentenza  di  annullamento  della
Corte di cassazione, il giudice di rinvio  deve  «procedere  a  nuova
integrale  valutazione  degli  elementi  di  prova,  inclusa   quella
genetica erroneamente non utilizzata», al fine  di  ritenere  o  meno
configurabile «la diminuente» di cui all'art. 116 cod. pen.
    Con  i  «nuovi»  accertamenti  tecnici  disposti   dal   pubblico
ministero ed  eseguiti  il  5  maggio  2010,  non  solo  erano  state
riacquisite le tracce gia' prelevate il 16 aprile, ma  si  era  anche
proceduto all'acquisizione di nuove tracce, e non sarebbe logicamente
concepibile alcuna «assimilazione di disciplina tra atto ispettivo  a
sorpresa e attivita' di prelievo/asportazione di materiale biologico,
con cancellazione della traccia stessa dal luogo di  ritrovamento,  e
con conseguente irripetibilita' radicale dell'atto».
    Le attivita' di asporto e raccolta di tracce  richiederebbero  il
rispetto di regole  tecniche  e  di  protocolli  cautelari,  volti  a
eliminare o perlomeno a minimizzare i rischi di contaminazione  o  di
manipolazione.

                       Considerato in diritto

    1.- La Corte d'assise d'appello di Roma,  con  ordinanza  del  25
ottobre 2016, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 111  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  360
del codice di procedura penale, «ove  non  prevede  che  le  garanzie
difensive previste da detta norma riguardano anche  le  attivita'  di
individuazione e prelievo di reperti utili per la ricerca del DNA».
    Ad  avviso  del  giudice  rimettente,  la  disciplina   censurata
violerebbe non solo il diritto  di  difesa,  «tutelato  dall'art.  25
[recte: 24] della Costituzione», ma anche  il  «principio  ispiratore
del giusto processo», consacrato nell'art. 111 Cost., secondo cui  la
prova deve formarsi nel contraddittorio tra le parti.
    2.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita' delle questioni, perche' l'ordinanza di rimessione
non avrebbe esplicitato le  ragioni  che  le  rendono  rilevanti.  In
particolare, non sarebbero stati riportati  nell'ordinanza  i  motivi
posti a sostegno della decisione  di  primo  grado,  ne'  quelli  che
avevano indotto il giudice di  appello  a  qualificare  il  fatto  in
termini  di  concorso  cosiddetto   anomalo,   una   volta   ritenuta
l'inutilizzabilita' degli esiti dell'esame del DNA sui reperti.
    Inoltre, l'avviso all'indagato non sarebbe stato  dovuto  perche'
questo al momento dell'ispezione non era ancora  stato  iscritto  nel
registro  delle  notizie  di  reato  e  comunque   non   risulterebbe
l'esistenza di elementi che avrebbero imposto tale iscrizione.
    L'eccezione di inammissibilita' e' priva di fondamento.
    Il giudice rimettente, dopo aver indicato in modo puntuale i capi
di imputazione contestati all'imputato e fornito un'ampia descrizione
delle vicende processuali, ha indicato le ragioni che fanno  apparire
rilevanti le questioni proposte. In particolare, ha precisato che  la
Corte d'assise d'appello, a base della derubricazione dell'originaria
imputazione di omicidio volontario  in  concorso  anomalo,  ai  sensi
dell'art. 116 del  codice  penale,  aveva  posto  «la  nullita'  (con
conseguente inutilizzabilita' ai fini della decisione) degli atti  di
ispezione e prelievo eseguiti il 5 maggio  2010  e  delle  successive
analisi che avevano accertato la presenza del DNA  della  vittima  in
una traccia di  sangue  nell'appartamento  abitato  dall'imputato  il
giorno del delitto [...] nonche' la presenza congiunta del DNA  della
vittima e di quello dell'imputato nelle tracce  di  sangue  rinvenute
sul parapetto della scala che portava dall'appartamento della vittima
a quello abitato  in  quei  giorni»  dall'imputato.  Poi  il  giudice
rimettente ha sottolineato che la Corte di cassazione ha annullato la
decisione  della  corte  di   merito,   sul   punto   relativo   alla
derubricazione, perche' ha ritenuto che erroneamente  dagli  elementi
di prova oggetto di valutazione da parte dei giudici di appello erano
stati espunti i risultati dell'attivita' dei carabinieri del  Reparto
investigazioni scientifiche (R.I.S.) relativa  alle  tracce  ematiche
repertate il 5 maggio 2010.
    Alla stregua di tali considerazioni non era  necessario  indicare
gli ulteriori «motivi posti a sostegno» delle decisioni di primo e di
secondo  grado,  essendo  stata  chiarita   la   decisiva   incidenza
dell'accertamento tecnico sul  DNA,  conseguente  alle  attivita'  di
prelievo delle tracce ematiche effettuate  dal  R.I.S.  il  5  maggio
2010, sul giudizio di penale responsabilita', e dunque  la  rilevanza
delle questioni.
    Va  infine  disatteso  il  rilievo  che  l'imputato  al   momento
dell'ispezione non era  ancora  stato  iscritto  nel  registro  delle
notizie di reato e non poteva neppure ritenersi  che  avesse  assunto
sostanzialmente  la  qualita'  di  indagato.  Il  giudice  a  quo  ha
considerato l'esistenza di tale qualita' un dato  non  controverso  e
tanto basta a dimostrare la rilevanza delle questioni.
    3.- Nel merito le questioni non sono fondate.
    4.-  La  Corte  di  cassazione  in  modo  costante  distingue  il
«rilievo»,  che  comprende  la  raccolta  o  il  prelievo  dei   dati
pertinenti  al  reato,  dall'«accertamento  tecnico»,  che  riguarda,
invece, il loro studio e la loro valutazione  critica  (ex  plurimis,
Corte di cassazione,  sezione  sesta,  6  febbraio  2013,  n.  10350;
sezione seconda, 10 gennaio 2012, n. 2087; sezione seconda, 10 luglio
2009, n. 34149; sezione prima, 31 gennaio 2007, n. 14852).
    La distinzione e' concettualmente corretta e, del resto,  non  e'
contestata dal giudice rimettente. Questi ne nega la  validita'  solo
con riferimento al materiale biologico, sostenendo che dovrebbe farsi
sempre applicazione dell'art. 360 cod. proc. pen. quando gli atti  di
indagine riguardano «le attivita' di  individuazione  e  prelievo  di
reperti utili per la ricerca del DNA».
    Di qui le questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  360
cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede tale applicazione.
    5.- Il solo fatto che concerna rilievi o prelevamenti di  reperti
«utili per la ricerca del DNA» non modifica la  natura  dell'atto  di
indagine e non ne giustifica di per se' la sottoposizione a un regime
complesso  come  quello  previsto  dall'art.  360  cod.  proc.  pen.,
costituito dalla nomina di un consulente,  dall'avviso  all'indagato,
alla persona offesa e ai difensori del giorno, dell'ora e  del  luogo
fissati per il conferimento  dell'incarico,  dalla  possibilita'  per
l'indagato di promuovere un incidente probatorio, con il divieto  per
il pubblico ministero di procedere agli accertamenti (e,  secondo  la
richiesta estensione della norma, anche ai rilievi e ai  prelevamenti
in questione) «salvo che  questi,  se  differiti,  non  possano  piu'
essere utilmente compiuti».
    Ad esempio, il prelievo di capelli o di peli rinvenuti  in  posti
sotto l'aspetto  probatorio  significativi  non  si  differenzia  dal
prelevamento di altri reperti e non ci sarebbe ragione di effettuarlo
con le forme previste dall'art. 360 cod. proc.  pen.,  come  dovrebbe
avvenire se si  accogliesse  la  richiesta  del  giudice  rimettente,
diretta a rendere applicabile tale disposizione a tutte «le attivita'
di individuazione e prelievo di reperti  utili  per  la  ricerca  del
DNA».
    Questa considerazione basterebbe da sola a far ritenere infondate
le questioni.
    Neppure al prelievo di tracce biologiche si potrebbero di  regola
riconoscere caratteristiche tali da differenziarlo da qualunque altra
operazione di repertazione. Senza considerare che l'esistenza -  alla
quale ha fatto riferimento il giudice rimettente - di protocolli  per
la ricerca e il prelievo di tracce di materiale biologico puo', da un
lato, rendere routinaria l'operazione e, dall'altro,  consentirne  il
controllo attraverso l'esame critico della prescritta documentazione.
E non e' privo di rilevanza che nel dibattimento l'imputato abbia  la
possibilita'   di   verificare   e    contestare    la    correttezza
dell'operazione anche  attraverso  l'esame  del  personale  che  l'ha
eseguita, oltre che dei consulenti tecnici  e  dell'eventuale  perito
nominato dal giudice.
    E' da aggiungere che le  forme  dell'art.  360  cod.  proc.  pen.
potrebbero assai spesso risultare incompatibili  con  l'urgenza,  nel
corso delle indagini, di eseguire il prelievo.  Urgenza  che  non  e'
riscontrabile con la stessa intensita' negli accertamenti  tecnici  e
che in nessun modo potrebbe  essere  soddisfatta,  perche'  non  sono
previste ipotesi in cui tali  forme  possono  essere  derogate,  come
avviene nei casi disciplinati dall'art.  364,  comma  5,  cod.  proc.
pen., specie quando vi e' fondato motivo di ritenere che le tracce  o
gli altri effetti materiali del reato possano essere alterati.
    Il  difensore  dell'imputato  ha  sostenuto  in  udienza  che  la
necessita' di procedere nelle forme dell'art.  360  cod.  proc.  pen.
emergerebbe anche dall'art. 117 delle norme di attuazione del  codice
di  procedura  penale,  ma  la  tesi  e'  infondata  perche'   questa
disposizione riguarda gli «[a]ccertamenti tecnici che  modificano  lo
stato dei luoghi, delle cose o delle persone», e non  l'attivita'  di
repertazione delle cose da sottoporre  ad  accertamento  tecnico.  In
altre parole, la disposizione richiamata non  riguarda  genericamente
tanto i rilievi quanto gli accertamenti  tecnici,  ma  riguarda  solo
questi, e per la sua  applicabilita'  presuppone  percio'  l'avvenuta
individuazione della natura dell'atto.
    Risulta quindi priva di fondamento la tesi del giudice rimettente
secondo cui il prelievo di tracce biologiche, per sua natura, avrebbe
caratteristiche  tali  da  farlo  assimilare  in  ogni  caso   a   un
accertamento tecnico preventivo e da richiedere  quindi  le  medesime
garanzie difensive.
    Cio' pero' non esclude che tale prelievo, come  altre  operazioni
di repertazione, richieda, in casi particolari, valutazioni e  scelte
circa il procedimento da adottare, oltre che non comuni competenze  e
abilita' tecniche per eseguirlo, e in questo caso, ma solo in questo,
puo' ritenersi che quell'atto di indagine  costituisca  a  sua  volta
oggetto di un accertamento tecnico, prodromico rispetto all'altro  da
eseguire poi sul reperto prelevato.
    Infatti,  come  ha  rilevato  la  Corte  di  cassazione,  possono
verificarsi situazioni  in  cui  per  la  repertazione  del  campione
biologico necessario agli accertamenti peritali si debba ricorrere  a
tecniche particolari e «[in] tal caso anche l'attivita'  di  prelievo
assurge alla dignita' di operazione tecnica non eseguibile  senza  il
ricorso a competenze specialistiche  e  dovra'  essere  compiuta  nel
rispetto dello statuto che il  codice  prevede  per  la  acquisizione
della prova scientifica» (Corte di cassazione,  sezione  seconda,  27
novembre 2014, n. 2476/2015).
    Del resto e' significativo il  fatto  che,  con  la  sentenza  di
annullamento  all'origine  del  giudizio  a  quo  (sezione  prima,  4
novembre 2014, n. 6256/2015), la Corte di cassazione ha ritenuto  che
nel caso  in  esame  si  fosse  trattato  di  «attivita'  richiedente
cognizioni  certamente  specifiche,  ma  esecutive   e   quindi   non
identificabile  nell'accertamento  tecnico  irripetibile   ai   sensi
dell'art. 360 c.p.p.».  Per  questa  ragione,  secondo  la  Corte  di
cassazione, «nessun avviso doveva essere  dato  in  previsione  della
esecuzione dei prelievi delle tracce organiche (trattandosi  di  mero
rilievo non comportante valutazioni)».
    E' dunque con un apprezzamento in  concreto  che  il  giudice  di
legittimita' ha escluso l'applicabilita'  dell'art.  360  cod.  proc.
pen. e ha pronunciato quell'annullamento che  il  giudice  rimettente
vorrebbe ribaltare, sostenendo che il «prelievo di reperti utili  per
la ricerca del  DNA»  deve  essere  in  ogni  caso  assimilato  a  un
accertamento tecnico non ripetibile.
    Questa tesi, come si e' visto, non puo', nella  sua  assolutezza,
essere condivisa, e quindi, con riferimento,  sia  all'art.  24,  sia
all'art. 111  Cost.,  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
risultano infondate.

     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 360 del codice di procedura penale, «ove non prevede che le
garanzie difensive  previste  da  detta  norma  riguardano  anche  le
attivita' di individuazione  e  prelievo  di  reperti  utili  per  la
ricerca del DNA», sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 111 della
Costituzione, dalla Corte d'assise d'appello di Roma, con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 settembre 2017.

                                F.to:
                      Paolo GROSSI, Presidente
                     Giorgio LATTANZI, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2017.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA


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