N. 239 SENTENZA 26 settembre - 15 novembre 2017
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Processo penale - Accertamenti tecnici non ripetibili -
Individuazione e prelievo di reperti utili per la ricerca del DNA -
Garanzie difensive.
- Codice di procedura penale, art. 360.
-
(GU n.47 del 22-11-2017 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Paolo GROSSI;
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
de PRETIS, Nicolo' ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio
PROSPERETTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 360 del
codice di procedura penale, promosso dalla Corte d'assise d'appello
di Roma, nel procedimento penale a carico di P. L., con ordinanza del
25 ottobre 2016, iscritta al n. 16 del registro ordinanze 2017 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima
serie speciale, dell'anno 2017.
Visti l'atto di costituzione di P. L., nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 26 settembre 2017 il Giudice
relatore Giorgio Lattanzi;
uditi l'avvocato Andrea Sereni per P. L. e l'avvocato dello Stato
Maurizio Greco per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- La Corte d'assise d'appello di Roma, con ordinanza del 25
ottobre 2016 (r.o. n. 16 del 2017), ha sollevato, in riferimento agli
artt. 24 e 111 della Costituzione, questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 360 del codice di procedura penale, «ove non
prevede che le garanzie difensive previste da detta norma riguardano
anche le attivita' di individuazione e prelievo di reperti utili per
la ricerca del DNA».
Il giudice a quo premette di essere investito del giudizio di
rinvio in seguito alla pronuncia della Corte di cassazione che, su
impugnazione del Procuratore generale, aveva annullato la sentenza
della Corte d'assise d'appello di Roma del 21 maggio 2013, per
l'avvenuta derubricazione in concorso anomalo, ai sensi dell'art. 116
del codice penale, dell'originaria imputazione di omicidio
volontario.
Il collegio rimettente ricorda che l'imputato, per il reato di
omicidio aggravato, ai sensi degli artt. «61 nn. 2 e 5, 575, 576 n.
1, c.p.», e per quello di tentata rapina aggravata, ai sensi degli
artt. «81, 56 - 628 commi 1 e 3 nn. 1 e 3-bis, 61 n. 5 c.p.», era
stato condannato alla pena di 22 anni di reclusione e che la
decisione era stata riformata dalla Corte d'assise d'appello di Roma,
che aveva rideterminato la pena in 12 anni di reclusione.
Nell'udienza del 29 maggio 2015, in sede di rinvio, la Corte
d'assise d'appello aveva sollevato delle questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 360 cod. proc. pen. uguali a quelle oggetto
del presente giudizio, e questa Corte, con ordinanza n. 118 del 23
marzo 2016, le aveva dichiarate manifestamente inammissibili.
Ripreso il giudizio di rinvio, su sollecitazione dell'imputato,
la Corte d'assise d'appello ha riproposto le medesime questioni,
rilevando che la pronuncia di inammissibilita' non era preclusiva,
perche' era stata determinata da una carenza di motivazione
dell'ordinanza di rimessione.
Secondo quanto riferisce il collegio rimettente, la sentenza
della Corte d'assise d'appello del 21 maggio 2013 aveva posto a base
della derubricazione in concorso anomalo dell'originaria
contestazione di omicidio volontario «la nullita' (con conseguente
inutilizzabilita' ai fini della decisione) degli atti di ispezione e
prelievo eseguiti il 5 maggio 2010 e delle successive analisi che
avevano accertato la presenza del DNA della vittima in una traccia di
sangue nell'appartamento abitato dall'imputato il giorno del delitto
(appartamento sito al piano superiore di quello della vittima),
nonche' la presenza congiunta del DNA della vittima e di quello
dell'imputato nelle tracce di sangue rinvenute sul parapetto della
scala che portava dall'appartamento della vittima a quello abitato in
quei giorni» dall'imputato.
La sentenza della Corte di cassazione, nel motivare
l'annullamento della decisione della corte di merito sul punto
relativo alla derubricazione, ha ritenuto che dagli elementi di prova
oggetto di valutazione da parte del giudice di appello erroneamente
erano stati espunti i risultati dell'attivita' genetica eseguita dai
carabinieri del Reparto investigazioni scientifiche (R.I.S.) nel
prelevare le tracce ematiche repertate il 5 maggio 2010.
Da cio' conseguirebbe la rilevanza delle questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 360 cod. proc. pen., laddove
non prevede il rispetto delle garanzie difensive anche per le
attivita' di «prelievo di reperti utili per la ricerca del DNA», in
quanto l'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale
della norma in questione «nei termini gia' proposti» comporterebbe la
nullita' delle attivita' di prelievo delle tracce ematiche,
effettuate dal R.I.S. il 5 maggio 2010, con «riflesso» sulla
valutazione del compendio probatorio, cosi' da incidere, quantomeno,
sulla qualificazione della condotta criminosa dell'imputato come
omicidio volontario ovvero come concorso anomalo ai sensi dell'art.
116 cod. pen.
Non costituirebbe oggetto di contestazione nel giudizio di rinvio
il fatto che l'imputato all'atto del prelievo, il 5 maggio 2010,
rivestisse «la qualita' d'indagato di reato (anche se formalmente non
iscritto nel registro ex art. 335 cpp)».
La distinzione effettuata dalla Corte di cassazione tra
«"rilievi"» e «"accertamenti"», per cui solo rispetto a questi ultimi
rileverebbe il requisito dell'irripetibilita', benche' conforme a un
consolidato orientamento giurisprudenziale, sarebbe di dubbia
legittimita' costituzionale ove fosse ritenuta applicabile anche ai
prelievi di materiale biologico. Infatti le operazioni di asporto e
raccolta di tracce di materiale genetico non potrebbero qualificarsi
come mere attivita' esecutive, perche' gli esperti incaricati di tale
asporto e raccolta sono tenuti al rispetto di «severi» protocolli
cautelari «quali la delimitazione dei percorsi di accesso e di
camminamento, l'uso di tute "ad hoc", il cambiamento di strumenti e
dotazione in corso d'opera, il filmaggio delle operazioni».
Percio' queste operazioni non sarebbero «omologabili» ad altre
piu' tradizionali attivita' di repertazione. Si sarebbero infatti
consolidati nella prassi articolati e sofisticati protocolli che,
implicando un rilevante tasso di valutazione tecnico-scientifica, non
consentirebbero di qualificare tali operazioni come «meramente
materiali e/o esecutive», in quanto costituirebbero anch'esse degli
«"accertamenti"», pur se di contenuto e profilo diversi dai
successivi esami di laboratorio volti alla ricerca del DNA.
La loro riconduzione alla categoria degli accertamenti troverebbe
un riscontro normativo nel combinato disposto degli artt. 360 e 364,
comma 5, cod. proc. pen.
Queste disposizioni, se, da un lato, prevedono la possibilita' di
un atto ispettivo «"a sorpresa"», proprio al fine di evitare
l'alterazione delle tracce del reato, dall'altro, statuirebbero che
«le analisi sulle tracce "salvate" dall'alterazione» devono essere
«compiute in contraddittorio», data l'irripetibilita' delle
operazioni di ricerca e repertazione in questione, alle quali
dovrebbe estendersi l'intero regime di garanzia previsto dall'art.
360 cod. proc. pen.
Pertanto l'inosservanza del diritto dell'indagato di
«intervenire, secondo le procedure previste dal disposto dell'art.
360 cpp, nell'attivita' tecnico-scientifica di ricerca ed
asportazione delle tracce di materiale biologico» contrasterebbe non
solo con il diritto di difesa «tutelato dall'art. 25 [recte: 24]
della Costituzione», ma anche con il «principio ispiratore del giusto
processo» consacrato nell'art. 111 Cost., secondo il quale la prova
deve formarsi nel contraddittorio delle parti.
2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, e ha chiesto che «la questione» sia dichiarata inammissibile o
comunque infondata.
L'Avvocatura generale rileva che il collegio rimettente non ha
chiarito le circostanze sulla base delle quali ritiene rilevanti le
questioni dedotte. In particolare, non sarebbero stati riportati
nell'ordinanza i motivi posti a sostegno della decisione di primo
grado, ne' quelli che avevano indotto il giudice di appello a
qualificare il fatto in termini di concorso cosiddetto anomalo, una
volta ritenuti inutilizzabili gli esiti dell'esame del DNA sui
reperti.
Inoltre l'avviso all'indagato non sarebbe stato dovuto perche'
questo al momento dell'ispezione non era ancora stato iscritto nel
registro delle notizie di reato e comunque non risulterebbe
l'esistenza di elementi che avrebbero imposto tale iscrizione.
Nel merito, l'Avvocatura generale osserva che l'attivita' di
prelievo dei campioni di tracce biologiche, da utilizzare per
l'estrazione del DNA e la individuazione della mappatura genetica,
rappresenterebbe, nella maggior parte dei casi, operazione
«routinaria» svolta dalla polizia giudiziaria, la quale opererebbe
secondo protocolli scientifici standardizzati. Inoltre non sarebbe
dimostrato che nel caso in esame si trattava di prelievi
particolarmente complessi, non rientranti nell'attivita' ordinaria
svolta dall'organo scientifico di polizia giudiziaria.
3.- Si e' costituito in giudizio l'imputato del processo
principale, chiedendo che le questioni siano dichiarate fondate.
La parte privata sostiene che sussiste la rilevanza delle
questioni, in quanto, in base alla sentenza di annullamento della
Corte di cassazione, il giudice di rinvio deve «procedere a nuova
integrale valutazione degli elementi di prova, inclusa quella
genetica erroneamente non utilizzata», al fine di ritenere o meno
configurabile «la diminuente» di cui all'art. 116 cod. pen.
Con i «nuovi» accertamenti tecnici disposti dal pubblico
ministero ed eseguiti il 5 maggio 2010, non solo erano state
riacquisite le tracce gia' prelevate il 16 aprile, ma si era anche
proceduto all'acquisizione di nuove tracce, e non sarebbe logicamente
concepibile alcuna «assimilazione di disciplina tra atto ispettivo a
sorpresa e attivita' di prelievo/asportazione di materiale biologico,
con cancellazione della traccia stessa dal luogo di ritrovamento, e
con conseguente irripetibilita' radicale dell'atto».
Le attivita' di asporto e raccolta di tracce richiederebbero il
rispetto di regole tecniche e di protocolli cautelari, volti a
eliminare o perlomeno a minimizzare i rischi di contaminazione o di
manipolazione.
Considerato in diritto
1.- La Corte d'assise d'appello di Roma, con ordinanza del 25
ottobre 2016, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 111 della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 360
del codice di procedura penale, «ove non prevede che le garanzie
difensive previste da detta norma riguardano anche le attivita' di
individuazione e prelievo di reperti utili per la ricerca del DNA».
Ad avviso del giudice rimettente, la disciplina censurata
violerebbe non solo il diritto di difesa, «tutelato dall'art. 25
[recte: 24] della Costituzione», ma anche il «principio ispiratore
del giusto processo», consacrato nell'art. 111 Cost., secondo cui la
prova deve formarsi nel contraddittorio tra le parti.
2.- L'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito
l'inammissibilita' delle questioni, perche' l'ordinanza di rimessione
non avrebbe esplicitato le ragioni che le rendono rilevanti. In
particolare, non sarebbero stati riportati nell'ordinanza i motivi
posti a sostegno della decisione di primo grado, ne' quelli che
avevano indotto il giudice di appello a qualificare il fatto in
termini di concorso cosiddetto anomalo, una volta ritenuta
l'inutilizzabilita' degli esiti dell'esame del DNA sui reperti.
Inoltre, l'avviso all'indagato non sarebbe stato dovuto perche'
questo al momento dell'ispezione non era ancora stato iscritto nel
registro delle notizie di reato e comunque non risulterebbe
l'esistenza di elementi che avrebbero imposto tale iscrizione.
L'eccezione di inammissibilita' e' priva di fondamento.
Il giudice rimettente, dopo aver indicato in modo puntuale i capi
di imputazione contestati all'imputato e fornito un'ampia descrizione
delle vicende processuali, ha indicato le ragioni che fanno apparire
rilevanti le questioni proposte. In particolare, ha precisato che la
Corte d'assise d'appello, a base della derubricazione dell'originaria
imputazione di omicidio volontario in concorso anomalo, ai sensi
dell'art. 116 del codice penale, aveva posto «la nullita' (con
conseguente inutilizzabilita' ai fini della decisione) degli atti di
ispezione e prelievo eseguiti il 5 maggio 2010 e delle successive
analisi che avevano accertato la presenza del DNA della vittima in
una traccia di sangue nell'appartamento abitato dall'imputato il
giorno del delitto [...] nonche' la presenza congiunta del DNA della
vittima e di quello dell'imputato nelle tracce di sangue rinvenute
sul parapetto della scala che portava dall'appartamento della vittima
a quello abitato in quei giorni» dall'imputato. Poi il giudice
rimettente ha sottolineato che la Corte di cassazione ha annullato la
decisione della corte di merito, sul punto relativo alla
derubricazione, perche' ha ritenuto che erroneamente dagli elementi
di prova oggetto di valutazione da parte dei giudici di appello erano
stati espunti i risultati dell'attivita' dei carabinieri del Reparto
investigazioni scientifiche (R.I.S.) relativa alle tracce ematiche
repertate il 5 maggio 2010.
Alla stregua di tali considerazioni non era necessario indicare
gli ulteriori «motivi posti a sostegno» delle decisioni di primo e di
secondo grado, essendo stata chiarita la decisiva incidenza
dell'accertamento tecnico sul DNA, conseguente alle attivita' di
prelievo delle tracce ematiche effettuate dal R.I.S. il 5 maggio
2010, sul giudizio di penale responsabilita', e dunque la rilevanza
delle questioni.
Va infine disatteso il rilievo che l'imputato al momento
dell'ispezione non era ancora stato iscritto nel registro delle
notizie di reato e non poteva neppure ritenersi che avesse assunto
sostanzialmente la qualita' di indagato. Il giudice a quo ha
considerato l'esistenza di tale qualita' un dato non controverso e
tanto basta a dimostrare la rilevanza delle questioni.
3.- Nel merito le questioni non sono fondate.
4.- La Corte di cassazione in modo costante distingue il
«rilievo», che comprende la raccolta o il prelievo dei dati
pertinenti al reato, dall'«accertamento tecnico», che riguarda,
invece, il loro studio e la loro valutazione critica (ex plurimis,
Corte di cassazione, sezione sesta, 6 febbraio 2013, n. 10350;
sezione seconda, 10 gennaio 2012, n. 2087; sezione seconda, 10 luglio
2009, n. 34149; sezione prima, 31 gennaio 2007, n. 14852).
La distinzione e' concettualmente corretta e, del resto, non e'
contestata dal giudice rimettente. Questi ne nega la validita' solo
con riferimento al materiale biologico, sostenendo che dovrebbe farsi
sempre applicazione dell'art. 360 cod. proc. pen. quando gli atti di
indagine riguardano «le attivita' di individuazione e prelievo di
reperti utili per la ricerca del DNA».
Di qui le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 360
cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede tale applicazione.
5.- Il solo fatto che concerna rilievi o prelevamenti di reperti
«utili per la ricerca del DNA» non modifica la natura dell'atto di
indagine e non ne giustifica di per se' la sottoposizione a un regime
complesso come quello previsto dall'art. 360 cod. proc. pen.,
costituito dalla nomina di un consulente, dall'avviso all'indagato,
alla persona offesa e ai difensori del giorno, dell'ora e del luogo
fissati per il conferimento dell'incarico, dalla possibilita' per
l'indagato di promuovere un incidente probatorio, con il divieto per
il pubblico ministero di procedere agli accertamenti (e, secondo la
richiesta estensione della norma, anche ai rilievi e ai prelevamenti
in questione) «salvo che questi, se differiti, non possano piu'
essere utilmente compiuti».
Ad esempio, il prelievo di capelli o di peli rinvenuti in posti
sotto l'aspetto probatorio significativi non si differenzia dal
prelevamento di altri reperti e non ci sarebbe ragione di effettuarlo
con le forme previste dall'art. 360 cod. proc. pen., come dovrebbe
avvenire se si accogliesse la richiesta del giudice rimettente,
diretta a rendere applicabile tale disposizione a tutte «le attivita'
di individuazione e prelievo di reperti utili per la ricerca del
DNA».
Questa considerazione basterebbe da sola a far ritenere infondate
le questioni.
Neppure al prelievo di tracce biologiche si potrebbero di regola
riconoscere caratteristiche tali da differenziarlo da qualunque altra
operazione di repertazione. Senza considerare che l'esistenza - alla
quale ha fatto riferimento il giudice rimettente - di protocolli per
la ricerca e il prelievo di tracce di materiale biologico puo', da un
lato, rendere routinaria l'operazione e, dall'altro, consentirne il
controllo attraverso l'esame critico della prescritta documentazione.
E non e' privo di rilevanza che nel dibattimento l'imputato abbia la
possibilita' di verificare e contestare la correttezza
dell'operazione anche attraverso l'esame del personale che l'ha
eseguita, oltre che dei consulenti tecnici e dell'eventuale perito
nominato dal giudice.
E' da aggiungere che le forme dell'art. 360 cod. proc. pen.
potrebbero assai spesso risultare incompatibili con l'urgenza, nel
corso delle indagini, di eseguire il prelievo. Urgenza che non e'
riscontrabile con la stessa intensita' negli accertamenti tecnici e
che in nessun modo potrebbe essere soddisfatta, perche' non sono
previste ipotesi in cui tali forme possono essere derogate, come
avviene nei casi disciplinati dall'art. 364, comma 5, cod. proc.
pen., specie quando vi e' fondato motivo di ritenere che le tracce o
gli altri effetti materiali del reato possano essere alterati.
Il difensore dell'imputato ha sostenuto in udienza che la
necessita' di procedere nelle forme dell'art. 360 cod. proc. pen.
emergerebbe anche dall'art. 117 delle norme di attuazione del codice
di procedura penale, ma la tesi e' infondata perche' questa
disposizione riguarda gli «[a]ccertamenti tecnici che modificano lo
stato dei luoghi, delle cose o delle persone», e non l'attivita' di
repertazione delle cose da sottoporre ad accertamento tecnico. In
altre parole, la disposizione richiamata non riguarda genericamente
tanto i rilievi quanto gli accertamenti tecnici, ma riguarda solo
questi, e per la sua applicabilita' presuppone percio' l'avvenuta
individuazione della natura dell'atto.
Risulta quindi priva di fondamento la tesi del giudice rimettente
secondo cui il prelievo di tracce biologiche, per sua natura, avrebbe
caratteristiche tali da farlo assimilare in ogni caso a un
accertamento tecnico preventivo e da richiedere quindi le medesime
garanzie difensive.
Cio' pero' non esclude che tale prelievo, come altre operazioni
di repertazione, richieda, in casi particolari, valutazioni e scelte
circa il procedimento da adottare, oltre che non comuni competenze e
abilita' tecniche per eseguirlo, e in questo caso, ma solo in questo,
puo' ritenersi che quell'atto di indagine costituisca a sua volta
oggetto di un accertamento tecnico, prodromico rispetto all'altro da
eseguire poi sul reperto prelevato.
Infatti, come ha rilevato la Corte di cassazione, possono
verificarsi situazioni in cui per la repertazione del campione
biologico necessario agli accertamenti peritali si debba ricorrere a
tecniche particolari e «[in] tal caso anche l'attivita' di prelievo
assurge alla dignita' di operazione tecnica non eseguibile senza il
ricorso a competenze specialistiche e dovra' essere compiuta nel
rispetto dello statuto che il codice prevede per la acquisizione
della prova scientifica» (Corte di cassazione, sezione seconda, 27
novembre 2014, n. 2476/2015).
Del resto e' significativo il fatto che, con la sentenza di
annullamento all'origine del giudizio a quo (sezione prima, 4
novembre 2014, n. 6256/2015), la Corte di cassazione ha ritenuto che
nel caso in esame si fosse trattato di «attivita' richiedente
cognizioni certamente specifiche, ma esecutive e quindi non
identificabile nell'accertamento tecnico irripetibile ai sensi
dell'art. 360 c.p.p.». Per questa ragione, secondo la Corte di
cassazione, «nessun avviso doveva essere dato in previsione della
esecuzione dei prelievi delle tracce organiche (trattandosi di mero
rilievo non comportante valutazioni)».
E' dunque con un apprezzamento in concreto che il giudice di
legittimita' ha escluso l'applicabilita' dell'art. 360 cod. proc.
pen. e ha pronunciato quell'annullamento che il giudice rimettente
vorrebbe ribaltare, sostenendo che il «prelievo di reperti utili per
la ricerca del DNA» deve essere in ogni caso assimilato a un
accertamento tecnico non ripetibile.
Questa tesi, come si e' visto, non puo', nella sua assolutezza,
essere condivisa, e quindi, con riferimento, sia all'art. 24, sia
all'art. 111 Cost., le questioni di legittimita' costituzionale
risultano infondate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 360 del codice di procedura penale, «ove non prevede che le
garanzie difensive previste da detta norma riguardano anche le
attivita' di individuazione e prelievo di reperti utili per la
ricerca del DNA», sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 111 della
Costituzione, dalla Corte d'assise d'appello di Roma, con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 settembre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2017.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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