N. 115
SENTENZA
20 marzo - 10 maggio 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Sanzioni amministrative - Comunicazioni elettroniche - Misura della sanzione pecuniaria prevista per i soggetti che non provvedono, nei termini e con le modalita' prescritti, alla comunicazione dei documenti, dei dati e delle notizie richiesti dal Ministero o dall'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni. - Decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), art. 98, comma 9, come modificato dall'art. 2, comma 136, lettera d), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286.(GU n.20 del 15-5-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 98, comma
9, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle
comunicazioni elettroniche), come modificato dall'art. 2, comma 136,
lettera d), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni
urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286, promosso dal
Tribunale ordinario di Livorno, nel procedimento vertente tra Ali
Liaqad, titolare dell'impresa individuale Al Hamza di Ali Liaqad, e
il Ministero dello sviluppo economico - Ispettorato territoriale
della Toscana, con ordinanza del 13 aprile 2018, iscritta al n. 155
del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 2018.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 marzo 2019 il Giudice
relatore Daria de Pretis.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 13 aprile 2018, iscritta al n. 155 reg.
ord. 2018, il Tribunale ordinario di Livorno ha sollevato questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 98, comma 9, del decreto
legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni
elettroniche), come modificato dall'art. 2, comma 136, lettera d),
del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in
materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni,
nella legge 24 novembre 2006, n. 286, in riferimento agli artt. 3 e
97 della Costituzione.
Le questioni sono sorte nel corso di un giudizio di opposizione a
ordinanza-ingiunzione promosso da un imprenditore individuale nei
confronti del Ministero dello sviluppo economico - Ispettorato
territoriale della Toscana.
Il rimettente riferisce che all'opponente - titolare di un
piccolo esercizio di fornitura al pubblico di servizi di
comunicazione elettronica, privo di dipendenti e con un fatturato
estremamente ridotto - e' stata irrogata la sanzione amministrativa
di 30.000 euro, pari al doppio del minimo edittale previsto dalla
norma censurata, per non avere comunicato all'amministrazione, entro
i termini assegnati, le informazioni necessarie per conseguire
l'autorizzazione all'offerta al pubblico «in luoghi presidiati del
servizio di "phone center"».
L'art. 98, comma 9, cod. comunicazioni elettroniche, nel testo
modificato dall'art. 2, comma 136, lettera d), del d.l. n. 262 del
2006, stabilisce che «ai soggetti che non provvedono, nei termini e
con le modalita' prescritti, alla comunicazione dei documenti, dei
dati e delle notizie richiesti dal Ministero [dello sviluppo
economico] o dall'Autorita' [per le garanzie nelle comunicazioni],
gli stessi, secondo le rispettive competenze, comminano una sanzione
amministrativa pecuniaria da euro 15.000,00 ad euro 1.150.000,00».
Ad avviso del rimettente, con tali modifiche il legislatore
avrebbe irragionevolmente elevato gli importi minimi e massimi della
sanzione, decuplicandoli rispetto alle misure originarie (1.500 euro
nel minimo e 115.000 euro nel massimo) e sottoponendo a uguale
trattamento, sia le grandi imprese che forniscono le reti o i servizi
di comunicazione elettronica (come i grandi gestori della telefonia),
sia le piccole imprese che offrono servizi di comunicazione
elettronica «in luoghi presidiati quali negozi o alt[r]e tipologie di
esercizio aperte al pubblico».
Non consentendo trattamenti sanzionatori diversificati in ragione
delle diverse capacita' organizzative e reddituali degli autori della
violazione, la norma contrasterebbe con i principi di ragionevolezza
e di proporzionalita', che dovrebbero guidare il legislatore nella
determinazione delle condotte punibili e delle relative sanzioni,
nonche' con il principio di uguaglianza sostanziale, finendo anche
per frustrare la sua funzione deterrente, in quanto il minimo
edittale sarebbe eccessivo per i piccoli imprenditori, mentre il
massimo sarebbe irrisorio e inadeguato per le grandi societa' di
telecomunicazione.
I principi di ragionevolezza e di proporzionalita' sarebbero
invece rispettati nel diverso settore delle emittenti radiotelevisive
disciplinate dal decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo
unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici), dove, con
interventi normativi successivi al d.l. n. 262 del 2006, le sanzioni
pecuniarie previste dall'art. 98 cod. comunicazioni elettroniche sono
state ridotte a un decimo nei confronti delle imprese di
radiodiffusione sonora e televisiva in ambito locale, «riconoscendo
una diversa rilevanza tra esercenti la medesima attivita'».
Sarebbe violato anche l'art. 97 Cost., sotto il profilo
dell'efficienza dell'azione amministrativa. Ad avviso del rimettente,
l'incremento della sanzione indurrebbe gli autori dell'illecito a
promuovere giudizi di opposizione a ordinanza-ingiunzione con
aggravio del contenzioso giudiziario e mancato soddisfacimento
dell'amministrazione, mentre in precedenza i piccoli imprenditori,
raggiunti da piu' miti sanzioni, avrebbero solitamente provveduto al
pagamento in una o piu' rate.
2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri e' intervenuto nel
giudizio con atto depositato il 27 novembre 2018, eccependo
l'inammissibilita' delle questioni, in primo luogo per omessa
motivazione sulla rilevanza, non essendo precisato se il profilo di
incostituzionalita' attenga al limite edittale massimo o a quello
minimo o ad entrambi i limiti. L'interveniente richiama al riguardo
ampi stralci della motivazione dell'ordinanza di questa Corte n. 148
del 2015, che ha dichiarato manifestamente inammissibile la
precedente analoga questione sollevata dallo stesso rimettente
nell'ambito del medesimo giudizio a quo.
La riproposta questione sarebbe inammissibile anche perche'
attiene alla materia della quantificazione delle sanzioni
amministrative, rientrante nell'ambito della discrezionalita' del
legislatore e non sindacabile da questa Corte se non per manifesta
violazione del canone della ragionevolezza. Nel caso concreto,
tuttavia, tale violazione sarebbe esclusa, poiche' la lesivita' delle
condotte sanzionate non dipende dalle dimensioni dell'impresa di
comunicazioni, trattandosi di omesse comunicazioni alle autorita'
competenti di dati e notizie richiesti all'operatore economico. Si
dovrebbe inoltre tenere conto dell'ampio perimetro dei limiti
edittali che consente di adeguare la sanzione alla gravita' della
condotta.
Infine, non sarebbe conferente il riferimento all'art. 97 Cost.,
poiche' la modulazione delle sanzioni non e' connessa al buon
andamento dell'amministrazione, ma al diverso profilo della potesta'
sanzionatoria dello Stato, rispetto al quale assumerebbero rilievo i
principi costituzionali di uguaglianza e di ragionevolezza, nonche'
il diritto di difesa e la tutela del contraddittorio, restando
riservate alla valutazione discrezionale del legislatore eventuali
scelte deflattive del contenzioso.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Livorno, adito da un imprenditore
individuale con opposizione a ordinanza-ingiunzione emessa dal
Ministero dello sviluppo economico - Ispettorato territoriale della
Toscana, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 98, comma
9, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle
comunicazioni elettroniche), come modificato dall'art. 2, comma 136,
lettera d), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni
urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286, in riferimento
agli artt. 3 e 97 della Costituzione.
La disposizione e' censurata nella parte in cui - a seguito delle
modifiche introdotte dal citato art. 2, comma 136, lettera d) -
stabilisce che «ai soggetti che non provvedono, nei termini e con le
modalita' prescritti, alla comunicazione dei documenti, dei dati e
delle notizie richiesti dal Ministero [dello sviluppo economico] o
dall'Autorita' [per le garanzie nelle comunicazioni], gli stessi,
secondo le rispettive competenze, comminano una sanzione
amministrativa pecuniaria da euro 15.000,00 ad euro 1.150.000,00».
Tali limiti edittali sono frutto dell'intervenuta sostituzione delle
parole «da euro 1.500,00 ad euro 115.000,00» contenute nella
precedente versione della disposizione, e della conseguente
moltiplicazione per dieci dei limiti minimo e massimo della sanzione.
Ad avviso del rimettente, tale indifferenziata decuplicazione
contrasterebbe con i principi di ragionevolezza e di proporzionalita'
sanciti dall'art. 3 Cost., in quanto non consentirebbe trattamenti
sanzionatori diversificati in ragione delle diverse e varie capacita'
organizzative e reddituali degli autori dell'illecito amministrativo,
assoggettando agli stessi limiti edittali, sia le grandi imprese che
forniscono le reti o i servizi di comunicazione elettronica, sia le
modeste imprese che offrono servizi di comunicazione elettronica «in
luoghi presidiati quali negozi o alt[r]e tipologie di esercizio
aperte al pubblico».
La disposizione censurata finirebbe anche per frustrare la
funzione deterrente della sanzione, poiche' il limite minimo sarebbe
eccessivo per i piccoli imprenditori e il massimo invece irrisorio e
inadeguato per le grandi societa' di telecomunicazione.
L'incremento, inoltre, costituirebbe per i destinatari delle
sanzioni un incentivo a opporsi in giudizio, con aggravio del
contenzioso giudiziario e mancato soddisfacimento
dell'amministrazione. Sarebbe dunque violato anche l'art. 97 Cost.,
per il pregiudizio che cio' arrecherebbe all'efficacia dell'azione
amministrativa.
2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito in primo
luogo l'inammissibilita' delle questioni per omessa motivazione sulla
rilevanza, non essendo precisato se il profilo di illegittimita'
costituzionale attenga al limite edittale massimo oppure al minimo o
ad entrambi.
L'eccezione non e' fondata.
In riferimento all'art. 3 Cost., il rimettente ripropone,
nell'ambito dello stesso giudizio a quo, una questione gia'
dichiarata manifestamente inammissibile da questa Corte, con
l'ordinanza n. 148 del 2015, per due distinte ragioni. Innanzitutto
per l'insufficiente descrizione della fattispecie, non essendo state
precisate nell'atto di rimessione, ne' la condotta sanzionata, ne' la
sanzione in concreto irrogata, ne' le attivita' e le dimensioni
dell'impresa del ricorrente, cio' che rendeva dunque «impossibile
verificare finanche se la norma denunciata, nel testo attualmente in
vigore, [dovesse] essere effettivamente applicata per definire il
giudizio principale e se le ragioni esposte a sostegno del dubbio di
costituzionalita' [avessero] una qualche attinenza con il caso
concreto oggetto del medesimo giudizio». In secondo luogo, per
carenza dei necessari requisiti di chiarezza e univocita' del
petitum, in quanto il rimettente, assumendo che la sanzione sarebbe
stata inadeguata e sproporzionata, sia nel minimo che nel massimo
edittale, non faceva nemmeno «comprendere se il sindacato della Corte
[dovesse] riguardare, senza eccedere dalle esigenze del caso
concreto, l'abnormita' del limite minimo o l'inadeguatezza del limite
massimo o entrambi questi profili».
La citata pronuncia di inammissibilita', per il suo carattere non
decisorio e per il fatto di basarsi su ragioni che il rimettente
poteva rimuovere, non preclude la possibilita' di riproporre le
medesime questioni, «posto che in tal caso la riproposizione non
contrasta col disposto dell'ultimo comma dell'art. 137 Cost., in tema
di non impugnabilita' delle decisioni della Corte [costituzionale]
(ex plurimis, sentenze n. 50 del 2006 e n. 189 del 2001, ordinanza n.
317 del 2007): cio', peraltro, alla ovvia condizione che il giudice a
quo abbia eliminato il vizio che in precedenza impediva l'esame nel
merito della questione (ex plurimis, ordinanze n. 371 del 2004 e n.
399 del 2002)» (sentenza n. 252 del 2012).
Nella nuova ordinanza, il giudice a quo riferisce, questa volta
in maniera circostanziata, che con ordinanza-ingiunzione emessa nel
corso del 2008 e' stata irrogata all'opponente nel processo
principale, definito come titolare di un «piccolo esercizio di
offerta al pubblico di servizi di comunicazione elettronica, senza
dipendenti e con un fatturato estremamente ridotto», la sanzione
amministrativa di 30.000 euro, pari al doppio del minimo edittale
previsto dalla norma censurata, per non avere comunicato
all'amministrazione, entro i termini assegnati, le informazioni da
essa richieste ai sensi dell'art. 10 cod. comunicazioni elettroniche,
nel corso del procedimento diretto a conseguire l'autorizzazione
generale per l'offerta al pubblico «in luoghi presidiati del servizio
di "phone center"».
La descrizione della fattispecie offre dunque gli elementi
sufficienti per comprendere, da un lato, che la norma censurata deve
essere applicata per la definizione del giudizio a quo e, dall'altro,
che le questioni vanno riferite al minimo edittale - risultante dalla
decuplicazione del limite originario di 1.500 euro, disposta
dall'art. 2, comma 136, lettera d), del d.l. n. 262 del 2006 -
sull'implicito presupposto che nei confronti di un modesto fornitore
di servizi di comunicazione elettronica, quale e' l'opponente nel
processo principale, anche l'applicazione del limite minimo non
sarebbe conforme ai principi costituzionali di ragionevolezza, di
proporzionalita' e di buon andamento dell'amministrazione, che si
assumono violati.
Esaminata da questo angolo visuale, la critica rivolta dal
rimettente al limite massimo della sanzione - misura a suo avviso
«irrisoria ed inadeguata» per le grandi imprese che forniscono le
reti o i servizi di comunicazione elettronica - non e' diretta ad
ampliare l'oggetto della questione, ma a rafforzare la censura di
irragionevolezza e sproporzione del limite minimo, in un contesto di
lamentata incongruita' complessiva del trattamento sanzionatorio
delineato dalla norma censurata.
2.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce, in
secondo luogo, che le questioni sarebbero inammissibili in quanto -
non essendo sufficiente l'eliminazione della disposizione censurata a
riparare alla pretesa illegittimita' costituzionale della
quantificazione operata dal legislatore, ed essendo invece necessario
a tali fini un intervento sostitutivo della stessa quantificazione -
questa Corte sarebbe chiamata ad adottare scelte di dosimetria
sanzionatoria affidate in via esclusiva alla discrezionalita' del
legislatore.
Nemmeno questa eccezione e' fondata.
Possono essere infatti estesi alla materia delle sanzioni
amministrative gli approdi della giurisprudenza costituzionale in
tema di ampiezza e di limiti degli interventi di questa Corte sulla
misura delle sanzioni penali fissata dal legislatore. In base ad
essi, se e' vero che «non appartengono a questa Corte valutazioni
discrezionali di dosimetria sanzionatoria [...], di esclusiva
pertinenza del legislatore», spettando «alla rappresentanza politica
il compito di individuare il grado di reazione dell'ordinamento al
cospetto della lesione di un determinato bene giuridico», cio'
tuttavia non preclude l'intervento di questa stessa Corte «laddove le
scelte sanzionatorie adottate dal legislatore si siano rivelate
manifestamente arbitrarie o irragionevoli e il sistema legislativo
consenta l'individuazione di soluzioni, anche alternative tra loro,
che, per la omogeneita' che le connota rispetto alla norma censurata,
siano tali da "ricondurre a coerenza le scelte gia' delineate a
tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove
possibile, all'eliminazione di ingiustificabili incongruenze"
(sentenza n. 236 del 2016)» (sentenza n. 233 del 2018).
Perche' cio' sia possibile, dunque, «non e' necessario che
esista, nel sistema, un'unica soluzione costituzionalmente vincolata
in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima, come quella
prevista per una norma avente identica struttura e ratio, idonea a
essere assunta come tertium comparationis, essendo sufficiente che il
"sistema nel suo complesso offra alla Corte 'precisi punti di
riferimento' e soluzioni 'gia' esistenti' (sentenza n. 236 del
2016)", ancorche' non 'costituzionalmente obbligate', "che possano
sostituirsi alla previsione sanzionatoria dichiarata illegittima"»
(sentenza n. 40 del 2019, con richiamo alla sentenza n. 222 del
2018).
In questa ottica, «l'ammissibilita' delle questioni inerenti ai
profili di illegittimita' costituzionale dell'entita' della pena
stabilita dal legislatore puo' ritenersi condizionata non tanto dalla
presenza di una soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla
puntuale indicazione, da parte del giudice a quo, di previsioni
sanzionatorie rinvenibili nell'ordinamento che, trasposte all'interno
della norma censurata, garantiscano coerenza alla logica perseguita
dal legislatore, una volta emendata dai vizi di illegittimita'
addotti, sempre se riscontrati» (sentenza n. 233 del 2018).
In linea con tali principi, il giudice a quo indica in effetti,
nel corpo dell'ordinanza, le previsioni sanzionatorie suscettibili di
fungere da punti di riferimento dell'intervento di questa Corte,
individuandole nell'art. 1, comma 930, della legge 27 dicembre 2006,
n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», e nell'art. 51,
comma 5-bis, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo
unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici), inserito
dall'art. 4, comma 1, del decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 120,
intitolato «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 15 marzo
2010, n. 44, recante attuazione della direttiva 2007/65/CE relativa
al coordinamento di determinate disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti
l'esercizio delle attivita' televisive».
Si tratta di norme sopravvenute all'art. 2, comma 136, lettera
d), del d.l. n. 262 del 2006, che hanno ridotto a un decimo tutte le
sanzioni previste dall'art. 98 cod. comunicazioni elettroniche,
rispettivamente, per i «soggetti esercenti la radiodiffusione sonora,
nonche' la radiodiffusione televisiva in ambito locale» e, quanto
alle sanzioni di competenza dell'Autorita' per le garanzie nelle
comunicazioni (AGCOM), per le «emittenti locali».
Anche sotto questo profilo le questioni superano dunque la soglia
dell'ammissibilita', restando peraltro da esaminare «l'aspetto
inerente alla correttezza di siffatta indicazione [del giudice a
quo], afferente al merito delle questioni» (sentenza n. 233 del
2018).
3.- Nel merito le questioni non sono fondate.
3.1.- La severita' della sanzione amministrativa pecuniaria
prevista dalla disposizione censurata non e' sufficiente per
qualificare la scelta operata dal legislatore come manifestamente
irragionevole o arbitraria.
La sanzione colpisce infatti una condotta che presenta profili di
particolare rilievo, giacche' l'omessa comunicazione degli elementi
richiesti impedisce all'autorita' competente di acquisire dati,
documenti e informazioni necessari per controllare l'osservanza da
parte degli operatori economici delle condizioni e degli obblighi cui
la legge assoggetta l'esercizio delle delicate attivita' di gestione
delle reti e di fornitura dei servizi di comunicazione elettronica a
uso pubblico. I particolari caratteri di tali attivita', e il loro
rilievo ai fini del conseguimento degli obiettivi generali della
disciplina delle reti e servizi di comunicazione elettronica, volti a
salvaguardare i diritti costituzionalmente garantiti di liberta' e
segretezza delle comunicazioni, nonche' di liberta' di iniziativa
economica in regime di concorrenza (art. 4, comma 1, cod.
comunicazioni elettroniche), trovano conferma nella scelta
legislativa, operata nel 2006, di elevare in pari proporzione, senza
alterare i rapporti fra loro, tutte le sanzioni previste dall'art. 98
cod. comunicazioni elettroniche (art. 2, comma 136, del d.l. n. 262
del 2006) e nell'eliminazione della possibilita', per gli operatori,
di pagare in forma ridotta le sanzioni irrogate dall'AGCOM (art. 98,
comma 17-bis, cod. comunicazioni elettroniche, inserito dall'art. 2,
comma 136, lettera i, del d.l. n. 262 del 2006).
La misura minima della sanzione pecuniaria per chi non provvede
nei termini e con le modalita' prescritti alla comunicazione dei
documenti, dei dati e delle notizie richiesti dall'autorita'
competente appare dunque non manifestamente sproporzionata alle
caratteristiche dello specifico illecito amministrativo e rispondente
alle finalita' repressive perseguite. E, d'altro canto, la stessa
vicenda oggetto del giudizio a quo, nel quale la misura della
sanzione irrogata e' stata quantificata nel doppio di quel minimo
edittale della cui legittimita' costituzionale il rimettente dubita,
mette in evidenza la possibilita' offerta al giudice di modulare
l'entita' della sanzione da irrogare a seconda delle caratteristiche
del caso.
Cio' premesso in linea generale sulla non irragionevolezza della
previsione di sanzioni severe, anche nel minimo, per questo specifico
tipo di illeciti, si deve escludere che sia irragionevole, come
invece sostiene il rimettente, sottoporre allo stesso trattamento
piccoli e grandi imprenditori del settore. Come gia' osservato, la
particolare ampiezza della "forbice" tra minimo e massimo edittale
(da 15.000 euro a 1.150.000 euro) consente all'autorita' chiamata ad
irrogare la sanzione di calibrarne in concreto la misura in rapporto
alla maggiore o minore gravita' della violazione (ordinanza n. 109
del 2004) e di differenziarla, se del caso, anche in considerazione
delle dimensioni dell'impresa, le quali possono influire sulla
valutazione della condotta degli autori della stessa violazione.
Non sussistono, del resto, ragioni specifiche per cui nella
disciplina delle sanzioni per omessa comunicazione dei dati in esame
il legislatore avrebbe dovuto distinguere, a pena di illegittimita'
costituzionale della sua scelta, il trattamento sanzionatorio in base
alle capacita' economiche dei responsabili dell'omissione
informativa. E d'altra parte nemmeno la disciplina precedente quella
oggetto di censura distingueva la misura del trattamento
sanzionatorio in ragione delle caratteristiche dei responsabili
dell'illecito di cui si discute, e prevedeva a sua volta una
"forbice" edittale proporzionalmente altrettanto ampia.
Non e' comunque pertinente, per la diversita' della materia e per
la specificita' della relativa disciplina, il riferimento, operato
dal rimettente, alle sanzioni riservate all'attivita' radiotelevisiva
in «ambito locale», definita all'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 177
del 2005, con riguardo all'«ambito locale radiofonico», come «[...]
attivita' di radiodiffusione sonora, con irradiazione del segnale
fino a una copertura massima di quindici milioni di abitanti»
(lettera v) e, con riguardo all'«ambito locale televisivo», come
«[...] attivita' di radiodiffusione televisiva in uno o piu' bacini,
comunque non superiori a dieci, anche non limitrofi, purche' con
copertura inferiore al 50 per cento della popolazione nazionale», con
la precisazione che «l'ambito e' denominato "regionale" o
"provinciale" quando il bacino di esercizio dell'attivita' di
radiodiffusione televisiva e' unico e ricade nel territorio di una
sola regione o di una sola provincia, e l'emittente, anche analogica,
non trasmette in altri bacini» (lettera z). Non solo si tratta di
attivita' materialmente diverse, ma le stesse distinzioni di tipo
soggettivo operate dalla norma per coloro che esercitano attivita' di
telediffusione e di radiodiffusione (sulla base del territorio di
emittenza) sarebbero inapplicabili a chi svolge invece attivita' di
fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica, attivita'
il cui bacino di potenziale influenza per sua natura non incontra
limiti territoriali.
Infine, e' irrilevante nel caso in esame, che riguarda
l'adeguatezza del limite edittale minimo, l'argomento addotto dal
giudice a quo, secondo cui il limite edittale massimo previsto dalla
norma sarebbe irrisorio per le grandi imprese di telecomunicazione,
cio' che, vanificando l'efficacia deterrente della sanzione,
determinerebbe l'intrinseca irragionevolezza del complessivo
trattamento sanzionatorio censurato.
La violazione dell'art. 3 Cost., pertanto, non sussiste.
3.2.- Non e' fondata nemmeno la questione prospettata con
riferimento all'art. 97 Cost., sull'assunto che l'indiscriminato
inasprimento della sanzione indurrebbe gli autori dell'illecito a
promuovere giudizi di opposizione a ordinanza-ingiunzione, con
aggravio del contenzioso giudiziario e mancato soddisfacimento
dell'amministrazione, cio' che pregiudicherebbe il buon andamento e
l'efficacia dell'azione amministrativa.
Premesso che il principio del buon andamento e' riferibile
all'amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene
all'organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari (ex
plurimis, sentenze n. 91 del 2018, n. 65 del 2014, n. 272 del 2008;
ordinanze n. 158 del 2014, n. 84 del 2011 e n. 408 del 2008), la
questione e' infondata, sia per la parte in cui viene prospettato
l'aggravio del contenzioso giudiziario, sia per la parte in cui se ne
lamentano le ricadute in termini di mancato soddisfacimento delle
ragioni creditorie dell'amministrazione.
Le ipotizzate conseguenze della quantificazione legislativa della
misura della sanzione, infatti, non sono direttamente riconducibili
alla previsione censurata, ma derivano in linea fattuale da scelte
difensive soggettive (quanto all'aggravio del contenzioso) e
dall'eventuale effettiva insolvenza o incapienza patrimoniale dei
responsabili dell'illecito (quanto alle difficolta' di riscossione
delle sanzioni pecuniarie) e si risolvono quindi in un - indimostrato
- mero inconveniente di fatto, inidoneo a determinare un problema di
legittimita' costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 157 del 2014 e
ordinanza n. 206 del 2016).
4.- In conclusione, le questioni devono essere dichiarate non
fondate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 98, comma 9, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259
(Codice delle comunicazioni elettroniche), come modificato dall'art.
2, comma 136, lettera d), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262
(Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286,
sollevate dal Tribunale ordinario di Livorno, in riferimento agli
artt. 3 e 97 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
Nessun commento:
Posta un commento