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giovedì 16 maggio 2019

N. 115 SENTENZA 20 marzo - 10 maggio 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Sanzioni amministrative - Comunicazioni elettroniche - Misura della sanzione pecuniaria prevista per i soggetti che non provvedono, nei termini e con le modalita' prescritti, alla comunicazione dei documenti, dei dati e delle notizie richiesti dal Ministero o dall'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni. - Decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), art. 98, comma 9, come modificato dall'art. 2, comma 136, lettera d), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286. (GU n.20 del 15-5-2019 )



     N. 115 SENTENZA 20 marzo - 10 maggio 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Sanzioni amministrative - Comunicazioni elettroniche -  Misura  della
  sanzione pecuniaria prevista per i soggetti che non provvedono, nei
  termini e con  le  modalita'  prescritti,  alla  comunicazione  dei
  documenti, dei dati e  delle  notizie  richiesti  dal  Ministero  o
  dall'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni. 
- Decreto  legislativo  1°  agosto  2003,  n.   259   (Codice   delle
  comunicazioni elettroniche), art.  98,  comma  9,  come  modificato
  dall'art. 2, comma 136, lettera d),  del  decreto-legge  3  ottobre
  2006,  n.  262  (Disposizioni  urgenti  in  materia  tributaria   e
  finanziaria),  convertito,  con  modificazioni,  nella   legge   24
  novembre 2006, n. 286. 
(GU n.20 del 15-5-2019 )

  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  98,  comma
9, del decreto legislativo 1°  agosto  2003,  n.  259  (Codice  delle
comunicazioni elettroniche), come modificato dall'art. 2, comma  136,
lettera d), del decreto-legge 3 ottobre 2006,  n.  262  (Disposizioni
urgenti  in  materia  tributaria  e  finanziaria),  convertito,   con
modificazioni, nella legge 24 novembre 2006,  n.  286,  promosso  dal
Tribunale ordinario di Livorno, nel  procedimento  vertente  tra  Ali
Liaqad, titolare dell'impresa individuale Al Hamza di Ali  Liaqad,  e
il Ministero dello  sviluppo  economico  -  Ispettorato  territoriale
della Toscana, con ordinanza del 13 aprile 2018, iscritta al  n.  155
del registro ordinanze 2018 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  20  marzo  2019  il  Giudice
relatore Daria de Pretis. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 13 aprile 2018, iscritta  al  n.  155  reg.
ord. 2018, il Tribunale ordinario di Livorno ha  sollevato  questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 98,  comma  9,  del  decreto
legislativo 1°  agosto  2003,  n.  259  (Codice  delle  comunicazioni
elettroniche), come modificato dall'art. 2, comma  136,  lettera  d),
del decreto-legge 3 ottobre 2006, n.  262  (Disposizioni  urgenti  in
materia tributaria e  finanziaria),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 24 novembre 2006, n. 286, in riferimento agli artt.  3  e
97 della Costituzione. 
    Le questioni sono sorte nel corso di un giudizio di opposizione a
ordinanza-ingiunzione promosso da  un  imprenditore  individuale  nei
confronti  del  Ministero  dello  sviluppo  economico  -  Ispettorato
territoriale della Toscana. 
    Il rimettente  riferisce  che  all'opponente  -  titolare  di  un
piccolo  esercizio  di  fornitura   al   pubblico   di   servizi   di
comunicazione elettronica, privo di dipendenti  e  con  un  fatturato
estremamente ridotto - e' stata irrogata la  sanzione  amministrativa
di 30.000 euro, pari al doppio del  minimo  edittale  previsto  dalla
norma censurata, per non avere comunicato all'amministrazione,  entro
i  termini  assegnati,  le  informazioni  necessarie  per  conseguire
l'autorizzazione all'offerta al pubblico «in  luoghi  presidiati  del
servizio di "phone center"». 
    L'art. 98, comma 9, cod. comunicazioni  elettroniche,  nel  testo
modificato dall'art. 2, comma 136, lettera d), del d.l.  n.  262  del
2006, stabilisce che «ai soggetti che non provvedono, nei  termini  e
con le modalita' prescritti, alla comunicazione  dei  documenti,  dei
dati  e  delle  notizie  richiesti  dal  Ministero  [dello   sviluppo
economico] o dall'Autorita' [per le  garanzie  nelle  comunicazioni],
gli stessi, secondo le rispettive competenze, comminano una  sanzione
amministrativa pecuniaria da euro 15.000,00 ad euro 1.150.000,00». 
    Ad avviso del  rimettente,  con  tali  modifiche  il  legislatore
avrebbe irragionevolmente elevato gli importi minimi e massimi  della
sanzione, decuplicandoli rispetto alle misure originarie (1.500  euro
nel minimo e 115.000  euro  nel  massimo)  e  sottoponendo  a  uguale
trattamento, sia le grandi imprese che forniscono le reti o i servizi
di comunicazione elettronica (come i grandi gestori della telefonia),
sia  le  piccole  imprese  che  offrono  servizi   di   comunicazione
elettronica «in luoghi presidiati quali negozi o alt[r]e tipologie di
esercizio aperte al pubblico». 
    Non consentendo trattamenti sanzionatori diversificati in ragione
delle diverse capacita' organizzative e reddituali degli autori della
violazione, la norma contrasterebbe con i principi di  ragionevolezza
e di proporzionalita', che dovrebbero guidare  il  legislatore  nella
determinazione delle condotte punibili  e  delle  relative  sanzioni,
nonche' con il principio di uguaglianza  sostanziale,  finendo  anche
per frustrare  la  sua  funzione  deterrente,  in  quanto  il  minimo
edittale sarebbe eccessivo per  i  piccoli  imprenditori,  mentre  il
massimo sarebbe irrisorio e inadeguato  per  le  grandi  societa'  di
telecomunicazione. 
    I principi di  ragionevolezza  e  di  proporzionalita'  sarebbero
invece rispettati nel diverso settore delle emittenti radiotelevisive
disciplinate dal decreto legislativo 31 luglio 2005,  n.  177  (Testo
unico dei servizi di media  audiovisivi  e  radiofonici),  dove,  con
interventi normativi successivi al d.l. n. 262 del 2006, le  sanzioni
pecuniarie previste dall'art. 98 cod. comunicazioni elettroniche sono
state  ridotte  a  un  decimo  nei   confronti   delle   imprese   di
radiodiffusione sonora e televisiva in ambito  locale,  «riconoscendo
una diversa rilevanza tra esercenti la medesima attivita'». 
    Sarebbe  violato  anche  l'art.  97  Cost.,  sotto   il   profilo
dell'efficienza dell'azione amministrativa. Ad avviso del rimettente,
l'incremento della sanzione indurrebbe  gli  autori  dell'illecito  a
promuovere  giudizi  di  opposizione  a   ordinanza-ingiunzione   con
aggravio  del  contenzioso  giudiziario  e  mancato   soddisfacimento
dell'amministrazione, mentre in precedenza  i  piccoli  imprenditori,
raggiunti da piu' miti sanzioni, avrebbero solitamente provveduto  al
pagamento in una o piu' rate. 
    2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri e'  intervenuto  nel
giudizio  con  atto  depositato  il  27  novembre   2018,   eccependo
l'inammissibilita'  delle  questioni,  in  primo  luogo  per   omessa
motivazione sulla rilevanza, non essendo precisato se il  profilo  di
incostituzionalita' attenga al limite edittale  massimo  o  a  quello
minimo o ad entrambi i limiti. L'interveniente richiama  al  riguardo
ampi stralci della motivazione dell'ordinanza di questa Corte n.  148
del  2015,  che  ha  dichiarato   manifestamente   inammissibile   la
precedente  analoga  questione  sollevata  dallo  stesso   rimettente
nell'ambito del medesimo giudizio a quo. 
    La  riproposta  questione  sarebbe  inammissibile  anche  perche'
attiene   alla   materia   della   quantificazione   delle   sanzioni
amministrative, rientrante  nell'ambito  della  discrezionalita'  del
legislatore e non sindacabile da questa Corte se  non  per  manifesta
violazione  del  canone  della  ragionevolezza.  Nel  caso  concreto,
tuttavia, tale violazione sarebbe esclusa, poiche' la lesivita' delle
condotte sanzionate non  dipende  dalle  dimensioni  dell'impresa  di
comunicazioni, trattandosi di  omesse  comunicazioni  alle  autorita'
competenti di dati e notizie richiesti  all'operatore  economico.  Si
dovrebbe  inoltre  tenere  conto  dell'ampio  perimetro  dei   limiti
edittali che consente di adeguare la  sanzione  alla  gravita'  della
condotta. 
    Infine, non sarebbe conferente il riferimento all'art. 97  Cost.,
poiche' la  modulazione  delle  sanzioni  non  e'  connessa  al  buon
andamento dell'amministrazione, ma al diverso profilo della  potesta'
sanzionatoria dello Stato, rispetto al quale assumerebbero rilievo  i
principi costituzionali di uguaglianza e di  ragionevolezza,  nonche'
il diritto di  difesa  e  la  tutela  del  contraddittorio,  restando
riservate alla valutazione discrezionale  del  legislatore  eventuali
scelte deflattive del contenzioso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Livorno, adito da  un  imprenditore
individuale  con  opposizione  a  ordinanza-ingiunzione  emessa   dal
Ministero dello sviluppo economico - Ispettorato  territoriale  della
Toscana, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 98, comma
9, del decreto legislativo 1°  agosto  2003,  n.  259  (Codice  delle
comunicazioni elettroniche), come modificato dall'art. 2, comma  136,
lettera d), del decreto-legge 3 ottobre 2006,  n.  262  (Disposizioni
urgenti  in  materia  tributaria  e  finanziaria),  convertito,   con
modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286,  in  riferimento
agli artt. 3 e 97 della Costituzione. 
    La disposizione e' censurata nella parte in cui - a seguito delle
modifiche introdotte dal citato art.  2,  comma  136,  lettera  d)  -
stabilisce che «ai soggetti che non provvedono, nei termini e con  le
modalita' prescritti, alla comunicazione dei documenti,  dei  dati  e
delle notizie richiesti dal Ministero [dello  sviluppo  economico]  o
dall'Autorita' [per le garanzie  nelle  comunicazioni],  gli  stessi,
secondo   le   rispettive   competenze,   comminano   una    sanzione
amministrativa pecuniaria da euro 15.000,00  ad  euro  1.150.000,00».
Tali limiti edittali sono frutto dell'intervenuta sostituzione  delle
parole  «da  euro  1.500,00  ad  euro  115.000,00»  contenute   nella
precedente  versione  della   disposizione,   e   della   conseguente
moltiplicazione per dieci dei limiti minimo e massimo della sanzione. 
    Ad avviso del  rimettente,  tale  indifferenziata  decuplicazione
contrasterebbe con i principi di ragionevolezza e di proporzionalita'
sanciti dall'art. 3 Cost., in quanto  non  consentirebbe  trattamenti
sanzionatori diversificati in ragione delle diverse e varie capacita'
organizzative e reddituali degli autori dell'illecito amministrativo,
assoggettando agli stessi limiti edittali, sia le grandi imprese  che
forniscono le reti o i servizi di comunicazione elettronica,  sia  le
modeste imprese che offrono servizi di comunicazione elettronica  «in
luoghi presidiati quali  negozi  o  alt[r]e  tipologie  di  esercizio
aperte al pubblico». 
    La  disposizione  censurata  finirebbe  anche  per  frustrare  la
funzione deterrente della sanzione, poiche' il limite minimo  sarebbe
eccessivo per i piccoli imprenditori e il massimo invece irrisorio  e
inadeguato per le grandi societa' di telecomunicazione. 
    L'incremento, inoltre,  costituirebbe  per  i  destinatari  delle
sanzioni un  incentivo  a  opporsi  in  giudizio,  con  aggravio  del
contenzioso      giudiziario      e      mancato      soddisfacimento
dell'amministrazione. Sarebbe dunque violato anche l'art.  97  Cost.,
per il pregiudizio che cio'  arrecherebbe  all'efficacia  dell'azione
amministrativa. 
    2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito in primo
luogo l'inammissibilita' delle questioni per omessa motivazione sulla
rilevanza, non essendo precisato  se  il  profilo  di  illegittimita'
costituzionale attenga al limite edittale massimo oppure al minimo  o
ad entrambi. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    In  riferimento  all'art.  3  Cost.,  il  rimettente   ripropone,
nell'ambito  dello  stesso  giudizio  a  quo,  una   questione   gia'
dichiarata  manifestamente  inammissibile  da   questa   Corte,   con
l'ordinanza n. 148 del 2015, per due distinte  ragioni.  Innanzitutto
per l'insufficiente descrizione della fattispecie, non essendo  state
precisate nell'atto di rimessione, ne' la condotta sanzionata, ne' la
sanzione in concreto irrogata,  ne'  le  attivita'  e  le  dimensioni
dell'impresa del ricorrente, cio'  che  rendeva  dunque  «impossibile
verificare finanche se la norma denunciata, nel testo attualmente  in
vigore, [dovesse] essere effettivamente  applicata  per  definire  il
giudizio principale e se le ragioni esposte a sostegno del dubbio  di
costituzionalita'  [avessero]  una  qualche  attinenza  con  il  caso
concreto oggetto  del  medesimo  giudizio».  In  secondo  luogo,  per
carenza  dei  necessari  requisiti  di  chiarezza  e  univocita'  del
petitum, in quanto il rimettente, assumendo che la  sanzione  sarebbe
stata inadeguata e sproporzionata, sia nel  minimo  che  nel  massimo
edittale, non faceva nemmeno «comprendere se il sindacato della Corte
[dovesse]  riguardare,  senza  eccedere  dalle  esigenze   del   caso
concreto, l'abnormita' del limite minimo o l'inadeguatezza del limite
massimo o entrambi questi profili». 
    La citata pronuncia di inammissibilita', per il suo carattere non
decisorio e per il fatto di basarsi  su  ragioni  che  il  rimettente
poteva rimuovere, non  preclude  la  possibilita'  di  riproporre  le
medesime questioni, «posto che in  tal  caso  la  riproposizione  non
contrasta col disposto dell'ultimo comma dell'art. 137 Cost., in tema
di non impugnabilita' delle decisioni  della  Corte  [costituzionale]
(ex plurimis, sentenze n. 50 del 2006 e n. 189 del 2001, ordinanza n.
317 del 2007): cio', peraltro, alla ovvia condizione che il giudice a
quo abbia eliminato il vizio che in precedenza impediva  l'esame  nel
merito della questione (ex plurimis, ordinanze n. 371 del 2004  e  n.
399 del 2002)» (sentenza n. 252 del 2012). 
    Nella nuova ordinanza, il giudice a quo riferisce,  questa  volta
in maniera circostanziata, che con ordinanza-ingiunzione  emessa  nel
corso  del  2008  e'  stata  irrogata  all'opponente   nel   processo
principale, definito  come  titolare  di  un  «piccolo  esercizio  di
offerta al pubblico di servizi di  comunicazione  elettronica,  senza
dipendenti e con un  fatturato  estremamente  ridotto»,  la  sanzione
amministrativa di 30.000 euro, pari al  doppio  del  minimo  edittale
previsto  dalla   norma   censurata,   per   non   avere   comunicato
all'amministrazione, entro i termini assegnati,  le  informazioni  da
essa richieste ai sensi dell'art. 10 cod. comunicazioni elettroniche,
nel corso del  procedimento  diretto  a  conseguire  l'autorizzazione
generale per l'offerta al pubblico «in luoghi presidiati del servizio
di "phone center"». 
    La  descrizione  della  fattispecie  offre  dunque  gli  elementi
sufficienti per comprendere, da un lato, che la norma censurata  deve
essere applicata per la definizione del giudizio a quo e, dall'altro,
che le questioni vanno riferite al minimo edittale - risultante dalla
decuplicazione  del  limite  originario  di  1.500   euro,   disposta
dall'art. 2, comma 136, lettera d),  del  d.l.  n.  262  del  2006  -
sull'implicito presupposto che nei confronti di un modesto  fornitore
di servizi di comunicazione elettronica,  quale  e'  l'opponente  nel
processo principale,  anche  l'applicazione  del  limite  minimo  non
sarebbe conforme ai principi  costituzionali  di  ragionevolezza,  di
proporzionalita' e di buon  andamento  dell'amministrazione,  che  si
assumono violati. 
    Esaminata da  questo  angolo  visuale,  la  critica  rivolta  dal
rimettente al limite massimo della sanzione -  misura  a  suo  avviso
«irrisoria ed inadeguata» per le grandi  imprese  che  forniscono  le
reti o i servizi di comunicazione elettronica -  non  e'  diretta  ad
ampliare l'oggetto della questione, ma a  rafforzare  la  censura  di
irragionevolezza e sproporzione del limite minimo, in un contesto  di
lamentata  incongruita'  complessiva  del  trattamento  sanzionatorio
delineato dalla norma censurata. 
    2.1.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  eccepisce,  in
secondo luogo, che le questioni sarebbero inammissibili in  quanto  -
non essendo sufficiente l'eliminazione della disposizione censurata a
riparare   alla   pretesa   illegittimita'    costituzionale    della
quantificazione operata dal legislatore, ed essendo invece necessario
a tali fini un intervento sostitutivo della stessa quantificazione  -
questa Corte  sarebbe  chiamata  ad  adottare  scelte  di  dosimetria
sanzionatoria affidate in via  esclusiva  alla  discrezionalita'  del
legislatore. 
    Nemmeno questa eccezione e' fondata. 
    Possono  essere  infatti  estesi  alla  materia  delle   sanzioni
amministrative gli approdi  della  giurisprudenza  costituzionale  in
tema di ampiezza e di limiti degli interventi di questa  Corte  sulla
misura delle sanzioni penali fissata  dal  legislatore.  In  base  ad
essi, se e' vero che «non appartengono  a  questa  Corte  valutazioni
discrezionali  di  dosimetria  sanzionatoria  [...],   di   esclusiva
pertinenza del legislatore», spettando «alla rappresentanza  politica
il compito di individuare il grado di  reazione  dell'ordinamento  al
cospetto della  lesione  di  un  determinato  bene  giuridico»,  cio'
tuttavia non preclude l'intervento di questa stessa Corte «laddove le
scelte sanzionatorie  adottate  dal  legislatore  si  siano  rivelate
manifestamente arbitrarie o irragionevoli e  il  sistema  legislativo
consenta l'individuazione di soluzioni, anche alternative  tra  loro,
che, per la omogeneita' che le connota rispetto alla norma censurata,
siano tali da "ricondurre a  coerenza  le  scelte  gia'  delineate  a
tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove
possibile,   all'eliminazione   di   ingiustificabili   incongruenze"
(sentenza n. 236 del 2016)» (sentenza n. 233 del 2018). 
    Perche' cio'  sia  possibile,  dunque,  «non  e'  necessario  che
esista, nel sistema, un'unica soluzione costituzionalmente  vincolata
in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima, come  quella
prevista per una norma avente identica struttura e  ratio,  idonea  a
essere assunta come tertium comparationis, essendo sufficiente che il
"sistema nel  suo  complesso  offra  alla  Corte  'precisi  punti  di
riferimento' e  soluzioni  'gia'  esistenti'  (sentenza  n.  236  del
2016)", ancorche' non 'costituzionalmente  obbligate',  "che  possano
sostituirsi alla previsione  sanzionatoria  dichiarata  illegittima"»
(sentenza n. 40 del 2019, con  richiamo  alla  sentenza  n.  222  del
2018). 
    In questa ottica, «l'ammissibilita' delle questioni  inerenti  ai
profili di  illegittimita'  costituzionale  dell'entita'  della  pena
stabilita dal legislatore puo' ritenersi condizionata non tanto dalla
presenza di una soluzione costituzionalmente obbligata, quanto  dalla
puntuale indicazione, da parte  del  giudice  a  quo,  di  previsioni
sanzionatorie rinvenibili nell'ordinamento che, trasposte all'interno
della norma censurata, garantiscano coerenza alla  logica  perseguita
dal legislatore,  una  volta  emendata  dai  vizi  di  illegittimita'
addotti, sempre se riscontrati» (sentenza n. 233 del 2018). 
    In linea con tali principi, il giudice a quo indica  in  effetti,
nel corpo dell'ordinanza, le previsioni sanzionatorie suscettibili di
fungere da punti di  riferimento  dell'intervento  di  questa  Corte,
individuandole nell'art. 1, comma 930, della legge 27 dicembre  2006,
n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», e nell'art.  51,
comma 5-bis, del decreto legislativo 31 luglio 2005,  n.  177  (Testo
unico dei servizi  di  media  audiovisivi  e  radiofonici),  inserito
dall'art. 4, comma 1, del decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 120,
intitolato «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 15 marzo
2010, n. 44, recante attuazione della direttiva  2007/65/CE  relativa
al   coordinamento   di   determinate    disposizioni    legislative,
regolamentari  e  amministrative  degli  Stati   membri   concernenti
l'esercizio delle attivita' televisive». 
    Si tratta di norme sopravvenute all'art. 2,  comma  136,  lettera
d), del d.l. n. 262 del 2006, che hanno ridotto a un decimo tutte  le
sanzioni  previste  dall'art.  98  cod.  comunicazioni  elettroniche,
rispettivamente, per i «soggetti esercenti la radiodiffusione sonora,
nonche' la radiodiffusione televisiva in  ambito  locale»  e,  quanto
alle sanzioni di competenza  dell'Autorita'  per  le  garanzie  nelle
comunicazioni (AGCOM), per le «emittenti locali». 
    Anche sotto questo profilo le questioni superano dunque la soglia
dell'ammissibilita',  restando  peraltro  da   esaminare   «l'aspetto
inerente alla correttezza di  siffatta  indicazione  [del  giudice  a
quo], afferente al merito  delle  questioni»  (sentenza  n.  233  del
2018). 
    3.- Nel merito le questioni non sono fondate. 
    3.1.-  La  severita'  della  sanzione  amministrativa  pecuniaria
prevista  dalla  disposizione  censurata  non  e'   sufficiente   per
qualificare la scelta operata  dal  legislatore  come  manifestamente
irragionevole o arbitraria. 
    La sanzione colpisce infatti una condotta che presenta profili di
particolare rilievo, giacche' l'omessa comunicazione  degli  elementi
richiesti  impedisce  all'autorita'  competente  di  acquisire  dati,
documenti e informazioni necessari per  controllare  l'osservanza  da
parte degli operatori economici delle condizioni e degli obblighi cui
la legge assoggetta l'esercizio delle delicate attivita' di  gestione
delle reti e di fornitura dei servizi di comunicazione elettronica  a
uso pubblico. I particolari caratteri di tali attivita',  e  il  loro
rilievo ai fini del  conseguimento  degli  obiettivi  generali  della
disciplina delle reti e servizi di comunicazione elettronica, volti a
salvaguardare i diritti costituzionalmente garantiti  di  liberta'  e
segretezza delle comunicazioni, nonche'  di  liberta'  di  iniziativa
economica  in  regime  di  concorrenza  (art.  4,   comma   1,   cod.
comunicazioni   elettroniche),   trovano   conferma   nella    scelta
legislativa, operata nel 2006, di elevare in pari proporzione,  senza
alterare i rapporti fra loro, tutte le sanzioni previste dall'art. 98
cod. comunicazioni elettroniche (art. 2, comma 136, del d.l.  n.  262
del 2006) e nell'eliminazione della possibilita', per gli  operatori,
di pagare in forma ridotta le sanzioni irrogate dall'AGCOM (art.  98,
comma 17-bis, cod. comunicazioni elettroniche, inserito dall'art.  2,
comma 136, lettera i, del d.l. n. 262 del 2006). 
    La misura minima della sanzione pecuniaria per chi  non  provvede
nei termini e con le  modalita'  prescritti  alla  comunicazione  dei
documenti,  dei  dati  e  delle  notizie   richiesti   dall'autorita'
competente  appare  dunque  non  manifestamente  sproporzionata  alle
caratteristiche dello specifico illecito amministrativo e rispondente
alle finalita' repressive perseguite. E,  d'altro  canto,  la  stessa
vicenda oggetto del  giudizio  a  quo,  nel  quale  la  misura  della
sanzione irrogata e' stata quantificata nel  doppio  di  quel  minimo
edittale della cui legittimita' costituzionale il rimettente  dubita,
mette in evidenza la possibilita'  offerta  al  giudice  di  modulare
l'entita' della sanzione da irrogare a seconda delle  caratteristiche
del caso. 
    Cio' premesso in linea generale sulla non irragionevolezza  della
previsione di sanzioni severe, anche nel minimo, per questo specifico
tipo di illeciti, si  deve  escludere  che  sia  irragionevole,  come
invece sostiene il rimettente,  sottoporre  allo  stesso  trattamento
piccoli e grandi imprenditori del settore. Come  gia'  osservato,  la
particolare ampiezza della "forbice" tra minimo  e  massimo  edittale
(da 15.000 euro a 1.150.000 euro) consente all'autorita' chiamata  ad
irrogare la sanzione di calibrarne in concreto la misura in  rapporto
alla maggiore o minore gravita' della violazione  (ordinanza  n.  109
del 2004) e di differenziarla, se del caso, anche  in  considerazione
delle  dimensioni  dell'impresa,  le  quali  possono  influire  sulla
valutazione della condotta degli autori della stessa violazione. 
    Non sussistono, del  resto,  ragioni  specifiche  per  cui  nella
disciplina delle sanzioni per omessa comunicazione dei dati in  esame
il legislatore avrebbe dovuto distinguere, a pena  di  illegittimita'
costituzionale della sua scelta, il trattamento sanzionatorio in base
alle   capacita'   economiche   dei    responsabili    dell'omissione
informativa. E d'altra parte nemmeno la disciplina precedente  quella
oggetto  di   censura   distingueva   la   misura   del   trattamento
sanzionatorio  in  ragione  delle  caratteristiche  dei  responsabili
dell'illecito di  cui  si  discute,  e  prevedeva  a  sua  volta  una
"forbice" edittale proporzionalmente altrettanto ampia. 
    Non e' comunque pertinente, per la diversita' della materia e per
la specificita' della relativa disciplina,  il  riferimento,  operato
dal rimettente, alle sanzioni riservate all'attivita' radiotelevisiva
in «ambito locale», definita all'art. 2, comma 1, del d.lgs.  n.  177
del 2005, con riguardo all'«ambito locale radiofonico»,  come  «[...]
attivita' di radiodiffusione sonora,  con  irradiazione  del  segnale
fino a  una  copertura  massima  di  quindici  milioni  di  abitanti»
(lettera v) e, con  riguardo  all'«ambito  locale  televisivo»,  come
«[...] attivita' di radiodiffusione televisiva in uno o piu'  bacini,
comunque non superiori a dieci,  anche  non  limitrofi,  purche'  con
copertura inferiore al 50 per cento della popolazione nazionale», con
la  precisazione  che   «l'ambito   e'   denominato   "regionale"   o
"provinciale"  quando  il  bacino  di  esercizio  dell'attivita'   di
radiodiffusione televisiva e' unico e ricade nel  territorio  di  una
sola regione o di una sola provincia, e l'emittente, anche analogica,
non trasmette in altri bacini» (lettera z). Non  solo  si  tratta  di
attivita' materialmente diverse, ma le  stesse  distinzioni  di  tipo
soggettivo operate dalla norma per coloro che esercitano attivita' di
telediffusione e di radiodiffusione (sulla  base  del  territorio  di
emittenza) sarebbero inapplicabili a chi svolge invece  attivita'  di
fornitura di reti o servizi di comunicazione  elettronica,  attivita'
il cui bacino di potenziale influenza per  sua  natura  non  incontra
limiti territoriali. 
    Infine,  e'  irrilevante  nel  caso  in   esame,   che   riguarda
l'adeguatezza del limite edittale  minimo,  l'argomento  addotto  dal
giudice a quo, secondo cui il limite edittale massimo previsto  dalla
norma sarebbe irrisorio per le grandi imprese  di  telecomunicazione,
cio'  che,  vanificando  l'efficacia   deterrente   della   sanzione,
determinerebbe   l'intrinseca   irragionevolezza   del    complessivo
trattamento sanzionatorio censurato. 
    La violazione dell'art. 3 Cost., pertanto, non sussiste. 
    3.2.-  Non  e'  fondata  nemmeno  la  questione  prospettata  con
riferimento all'art.  97  Cost.,  sull'assunto  che  l'indiscriminato
inasprimento della sanzione indurrebbe  gli  autori  dell'illecito  a
promuovere  giudizi  di  opposizione  a  ordinanza-ingiunzione,   con
aggravio  del  contenzioso  giudiziario  e  mancato   soddisfacimento
dell'amministrazione, cio' che pregiudicherebbe il buon  andamento  e
l'efficacia dell'azione amministrativa. 
    Premesso che  il  principio  del  buon  andamento  e'  riferibile
all'amministrazione  della  giustizia  soltanto  per  quanto  attiene
all'organizzazione e al funzionamento  degli  uffici  giudiziari  (ex
plurimis, sentenze n. 91 del 2018, n. 65 del 2014, n. 272  del  2008;
ordinanze n. 158 del 2014, n. 84 del 2011 e  n.  408  del  2008),  la
questione e' infondata, sia per la parte  in  cui  viene  prospettato
l'aggravio del contenzioso giudiziario, sia per la parte in cui se ne
lamentano le ricadute in termini  di  mancato  soddisfacimento  delle
ragioni creditorie dell'amministrazione. 
    Le ipotizzate conseguenze della quantificazione legislativa della
misura della sanzione, infatti, non sono  direttamente  riconducibili
alla previsione censurata, ma derivano in linea  fattuale  da  scelte
difensive  soggettive  (quanto  all'aggravio   del   contenzioso)   e
dall'eventuale effettiva insolvenza  o  incapienza  patrimoniale  dei
responsabili dell'illecito (quanto alle  difficolta'  di  riscossione
delle sanzioni pecuniarie) e si risolvono quindi in un - indimostrato
- mero inconveniente di fatto, inidoneo a determinare un problema  di
legittimita' costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 157 del 2014  e
ordinanza n. 206 del 2016). 
    4.- In conclusione, le questioni  devono  essere  dichiarate  non
fondate. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 98, comma 9, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259
(Codice delle comunicazioni elettroniche), come modificato  dall'art.
2, comma 136, lettera d), del decreto-legge 3 ottobre  2006,  n.  262
(Disposizioni  urgenti  in   materia   tributaria   e   finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n.  286,
sollevate dal Tribunale ordinario di  Livorno,  in  riferimento  agli
artt.  3  e  97  della  Costituzione,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA 
 

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