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mercoledì 12 febbraio 2020

N. 15 SENTENZA 16 gennaio - 11 febbraio 2020 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Sostituzione di pene detentive brevi con pene pecuniarie - Coefficiente di ragguaglio - Applicazione del tasso giornaliero previsto dal codice penale (250 euro) anziche' di quello piu' favorevole dettato per il procedimento per decreto penale (75 euro) - Denunciata disparita' di trattamento e contrasto con la funzione rieducativa della pena, per l'impossibilita' di graduarla in concreto - Inammissibilita' delle questioni. - Codice penale, art. 135. - Costituzione, artt. 3 e 27. (GU n.7 del 12-2-2020 )





N. 15 SENTENZA 16 gennaio - 11 febbraio 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati e  pene  -  Sostituzione  di  pene  detentive  brevi  con  pene
  pecuniarie - Coefficiente di ragguaglio -  Applicazione  del  tasso
  giornaliero previsto dal  codice  penale  (250  euro)  anziche'  di
  quello piu' favorevole dettato  per  il  procedimento  per  decreto
  penale (75 euro) - Denunciata disparita' di trattamento e contrasto
  con la funzione rieducativa della  pena,  per  l'impossibilita'  di
  graduarla in concreto - Inammissibilita' delle questioni.
- Codice penale, art. 135.
- Costituzione, artt. 3 e 27.

(GU n.7 del 12-2-2020 )

 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  135  del
codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di  Firenze,  sezione
terza penale,  nel  procedimento  penale  a  carico  di  S.  E.,  con
ordinanza del 27 novembre  2018,  iscritta  al  n.  86  del  registro
ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2019.
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nella camera di consiglio del 15 gennaio  2020  il  Giudice
relatore Francesco Vigano';
    deliberato nella camera di consiglio del 16 gennaio 2020.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza del 27 novembre 2018, iscritta  al  n.  86  del
registro ordinanze 2019, il Tribunale ordinario di  Firenze,  sezione
terza penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3  e  27  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  135
del codice  penale,  nella  parte  in  cui  stabilisce  il  tasso  di
ragguaglio tra pene pecuniarie e detentive in ragione di 250 euro,  o
frazione di 250 euro, per un giorno di pena  detentiva,  anziche'  il
diverso tasso, previsto dall'art. 459, comma  1-bis,  del  codice  di
procedura penale, di  75  euro  per  un  giorno  di  pena  detentiva,
aumentabili fino al triplo tenuto conto  della  condizione  economica
complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare.
    1.1.-  L'ordinanza  di  rimessione  e'  stata   pronunciata   nel
procedimento a carico di S. E. per il delitto di minaccia  aggravata.
Alla  prima  udienza,  l'imputato   aveva   proposto   richiesta   di
patteggiamento, chiedendo l'applicazione della pena di  venti  giorni
di reclusione, sostituita nella multa di 1.500 euro,  determinata  al
tasso di 75 euro per ogni giorno di pena detentiva.
    Il rimettente sottolinea che, allo stato, l'istanza dell'imputato
non potrebbe essere accolta, a essa ostando il disposto dell'art. 135
cod. pen., il quale prevede che quando, per ogni  effetto  giuridico,
si deve eseguire un ragguaglio tra pene pecuniarie e pene  detentive,
il computo ha luogo calcolando 250 euro, o frazione di 250  euro,  di
pena pecuniaria per un giorno di pena  detentiva.  Tale  criterio  di
ragguaglio e' espressamente richiamato dall'art. 53  della  legge  24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), che consente  al
giudice di sostituire la pena detentiva di durata non superiore a sei
mesi con la pena pecuniaria della specie corrispondente, a  un  tasso
di ragguaglio per ogni giorno di  pena  detentiva  di  ammontare  non
inferiore alla somma indicata dall'art. 135 cod. pen. e non superiore
a dieci volte tale ammontare.
    1.2.- Il giudice a  quo  ritiene,  tuttavia,  che  la  disciplina
dettata dall'art. 135 cod. pen. contrasti con gli artt. 3 e 27 Cost.,
nella parte in cui - per l'appunto - fissa il tasso di  ragguaglio  a
250 euro giornalieri e non gia' alla diversa e piu' favorevole misura
stabilita - nell'ambito del procedimento per decreto - dall'art. 459,
comma 1-bis, cod. proc. pen.,  che  l'imputato  nel  giudizio  a  quo
vorrebbe si applicasse nei propri confronti.
    1.3.-  Quanto  alla  dedotta  lesione  dell'art.  3   Cost.,   il
rimettente  evidenzia  anzitutto  che,  a  seguito  dell'introduzione
dell'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen., per effetto dell'art. 1,
comma 53, della legge 23 giugno 2017, n.  103  (Modifiche  al  codice
penale,   al   codice   di   procedura   penale   e   all'ordinamento
penitenziario),  nell'ordinamento  operano  due  diversi   tassi   di
conversione della pena detentiva in  pena  pecuniaria:  da  un  lato,
quello - piu' favorevole per l'imputato - che ragguaglia un giorno di
pena detentiva a una somma compresa tra 75 e 225 euro, previsto dalla
disposizione di nuovo conio e applicabile al  solo  procedimento  per
decreto; dall'altro lato, quello delineato dall'art. 135 cod. pen.  e
richiamato dall'art. 53 della legge n.  689  del  1981,  che  tuttora
equipara un giorno di pena detentiva a una somma compresa tra  250  e
2500 euro, ed e' applicabile a tutti gli altri procedimenti.
    Poiche' - prosegue il rimettente - la richiesta di emissione  del
decreto penale di  condanna  e'  rimessa  alla  discrezionalita'  del
pubblico  ministero,  i  soggetti   imputati   del   medesimo   reato
subirebbero un'irragionevole disparita' di trattamento, a seconda che
il pubblico ministero decida o meno  di  esercitare  l'azione  penale
mediante richiesta di emissione di decreto penale.
    Tale disparita' di trattamento sarebbe peraltro in contrasto  con
l'indicazione - fornita dall'art. 53 della  legge  n.  689  del  1981
attraverso il richiamo all'art. 133-bis cod. pen. -  a  tener  conto,
nella determinazione dell'ammontare  della  pena  sostitutiva,  delle
condizioni  economiche   dell'imputato;   indicazione   che   sarebbe
frustrata  dalla  disposizione  censurata,   la   quale   condurrebbe
all'irrogazione di pene pecuniarie non commisurate ne'  commisurabili
alle sue reali condizioni economiche.
    1.4.- La «impossibilita' di graduare la pena  al  caso  concreto»
contrasterebbe, altresi', con la  funzione  rieducativa  della  pena,
imposta dall'art. 27 Cost. Cio' in quanto, ad avviso  del  giudice  a
quo, «una pena "eccessiva" rispetto alle reali condizioni  economiche
del reo non e' di fatto ottemperabile, con  la  evidente  conseguenza
che non sara' possibile perseguire e raggiungere uno degli  obiettivi
primari affidati dal  legislatore  alla  pena,  che  e'  la  funzione
rieducativa».
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
siano dichiarate inammissibili o infondate.
    2.1.- L'interveniente evidenzia anzitutto  l'insufficienza  della
motivazione  del  giudice  a  quo  in  ordine  alla  rilevanza  delle
questioni. L'ordinanza di rimessione si  limiterebbe  a  esporre  che
l'imputato ha chiesto l'applicazione, ai  sensi  dell'art.  444  cod.
proc. pen., di una pena pecuniaria calcolata utilizzando un tasso  di
conversione inferiore a quello  previsto  dall'art.  135  cod.  pen.,
senza chiarire ne' se l'imputato possa  essere  prosciolto  ai  sensi
dell'art. 129 cod. proc. pen., ne' se la pena cosi'  determinata  sia
congrua. Il rimettente non avrebbe dunque  dimostrato  di  non  poter
definire  il  giudizio  indipendentemente   dalla   soluzione   delle
questioni di legittimita' costituzionale prospettate, sicche'  queste
ultime sarebbero inammissibili.
    2.2.- Le questioni sollevate sarebbero in ogni caso  radicalmente
infondate. Come chiarito dalla  giurisprudenza  di  legittimita'  (e'
citata Corte  di  cassazione,  sezione  quinta  penale,  sentenza  21
dicembre 2017-1°  marzo  2018,  n.  9400),  la  disposizione  di  cui
all'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen., costituirebbe  il  frutto
di una scelta discrezionale del legislatore,  il  quale,  a  evidenti
fini deflattivi, ha introdotto, per il solo procedimento per decreto,
un regime di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria piu'
favorevole di quello previsto dall'art. 135 cod. pen.,  «in  sintonia
con la gia' prevista possibilita' di  diminuire  la  pena  in  misura
maggiore rispetto agli altri riti semplificati».
    La giurisprudenza costituzionale, del resto, sarebbe costante nel
ritenere che le scelte legislative in materia di determinazione delle
sanzioni   penali   sono   insindacabili,   salvo   che    trasmodino
nell'irragionevolezza o nell'arbitrio (sono citate le sentenze n. 148
del 2017 [recte: n. 148 del 2016], n. 23 del 2016 e n. 81 del 2014).
    In specie, la difformita' del tasso  di  conversione  della  pena
detentiva in pena pecuniaria previsto  dall'art.  459,  comma  1-bis,
cod. proc. pen., rispetto a quello  contemplato  dall'art.  135  cod.
pen,   sarebbe   riconducibile   al    corretto    esercizio    della
discrezionalita' legislativa, con conseguente insindacabilita'  della
relativa scelta.

                       Considerato in diritto

    1.-  Il  Tribunale  ordinario  di  Firenze   ha   sollevato,   in
riferimento agli artt.  3  e  27  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 135 del  codice  penale,  nella
parte in cui stabilisce il tasso di ragguaglio tra pene pecuniarie  e
detentive in ragione di 250 euro, o frazione  di  250  euro,  per  un
giorno  di  pena  detentiva,  anziche'  il  diverso  tasso,  previsto
dall'art. 459, comma 1-bis, del codice di  procedura  penale,  di  75
euro per un giorno di pena  detentiva,  aumentabili  fino  al  triplo
tenuto conto della condizione economica complessiva  dell'imputato  e
del suo nucleo familiare.
    Il giudice a quo e' investito di una richiesta di  patteggiamento
nella quale l'imputato chiede la sostituzione, ai sensi dell'art.  53
della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al  sistema  penale),
della pena della reclusione  con  quella  della  multa  al  tasso  di
conversione previsto dall'art. 459,  comma  1-bis  cod.  proc.  pen.,
introdotto dall'art. 1, comma 53, della legge 23 giugno 2017, n.  103
(Modifiche  al  codice  penale,  al  codice  di  procedura  penale  e
all'ordinamento penitenziario) con riferimento  -  pero'  -  al  solo
procedimento per  decreto  penale  di  condanna.  L'istanza  dovrebbe
pertanto essere  rigettata,  dovendosi  applicare  alla  sostituzione
della pena detentiva in pena pecuniaria, in ogni altro  procedimento,
l'ordinario e meno favorevole criterio di conversione di cui all'art.
135 cod. pen.
    Il rimettente ritiene, tuttavia, che la compresenza nel sistema -
in seguito all'entrata in vigore, nel 2017, del menzionato art.  459,
comma 1-bis, cod. proc. pen - di due diversi  criteri  di  ragguaglio
tra pena detentiva e  pena  pecuniaria  determini  una  irragionevole
disparita' di trattamento tra imputati di fatti  di  reato  identici,
che consegue esclusivamente alla scelta  discrezionale  del  pubblico
ministero  di  esercitare  l'azione  penale  nelle  forme  del   rito
ordinario ovvero con decreto penale di condanna.
    L'applicazione del tasso di ragguaglio di cui all'art.  135  cod.
pen. condurrebbe, d'altra parte, alla irrogazione di pene  pecuniarie
eccessive rispetto  alle  reali  condizioni  economiche  del  reo  e,
pertanto, in contrasto con la funzione rieducativa della pena.
    2.- Le questioni sono inammissibili.
    2.1.- Il problema che fa da sfondo alle questioni  sollevate  e',
invero, reale.
    L'art. 53, comma 2, della legge n. 689 del 1981, nel prevedere la
possibilita' di sostituzione della pena detentiva nel limite dei  sei
mesi con la pena pecuniaria,  stabilisce,  tra  l'altro,  che  «[p]er
determinare l'ammontare della pena pecuniaria il giudice individua il
valore giornaliero al quale puo' essere assoggettato l'imputato e  lo
moltiplica per i  giorni  di  pena  detentiva.  Nella  determinazione
dell'ammontare di cui al precedente periodo il  giudice  tiene  conto
della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo
familiare. Il valore giornaliero non puo' essere inferiore alla somma
indicata dall'art. 135 del codice penale e non puo' superare di dieci
volte tale ammontare».
    Ora, il tasso di ragguaglio previsto dall'art. 135  cod.  pen.  -
gia' fissato dall'art. 1 della legge 5 ottobre 1993, n. 402 (Modifica
dell'articolo 135 del codice penale: ragguaglio fra pene pecuniarie e
pene detentive), in 75.000 lire per ogni giorno  di  pena  detentiva,
poi convertite in 38 euro - e' stato innalzato a 250 euro giornalieri
per effetto della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica).
    Tale aumento ha fatto si' che - in forza  del  richiamo  all'art.
135 cod. pen. contenuto nell'art. 53 della legge  n.  689  del  1981,
pacificamente  considerato  quale  rinvio  "mobile"   -   il   valore
giornaliero  minimo  della  pena  pecuniaria  sostituita  alla   pena
detentiva sia attualmente pari a 250  euro.  Il  risultato  e'  stato
quello di rendere eccessivamente onerosa, per  molti  condannati,  la
sostituzione della pena pecuniaria, sol che si pensi che - ad esempio
- il minimo legale della reclusione, fissato dall'art. 23  cod.  pen.
in quindici giorni, deve oggi  essere  sostituito  in  una  multa  di
almeno 3.750 euro, mentre la sostituzione di sei mesi  di  reclusione
(pari al limite massimo entro il quale  puo'  operare  il  meccanismo
previsto dall'art. 53, comma 2, della legge n. 689 del  1981)  da'  a
luogo a una multa non inferiore a 45.000 euro.
    Cio' ha determinato, nella prassi, una drastica compressione  del
ricorso alla sostituzione della pena pecuniaria, che pure  era  stata
concepita dal legislatore del 1981 - in piena sintonia con la  logica
dell'art. 27, terzo comma, Cost. - come prezioso strumento  destinato
a evitare a chi sia stato ritenuto responsabile di reati  di  modesta
gravita' di scontare pene detentive troppo brevi perche' possa essere
impostato un reale percorso  trattamentale,  ma  gia'  sufficienti  a
produrre i  gravi  effetti  di  lacerazione  del  tessuto  familiare,
sociale e lavorativo, che il solo  ingresso  in  carcere  solitamente
produce. Con il conseguente rischio di  trasformare  la  sostituzione
della  pena  pecuniaria  in  un  privilegio  per  i  soli  condannati
abbienti: cio' che appare di problematica compatibilita'  con  l'art.
3, secondo comma, Cost., il cui centrale rilievo nella commisurazione
della  pena  pecuniaria  e'  stato  da   tempo   sottolineato   dalla
giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 131 del 1979).
    2.2.- Tuttavia, le questioni oggi  all'esame,  aventi  a  oggetto
l'art. 135 cod. pen., sono viziate da aberratio ictus; vizio  che  ha
carattere assorbente rispetto ai diversi profili di  inammissibilita'
denunciati dall'Avvocatura generale dello Stato.
    Il rimettente e', come rilevato,  investito  di  una  istanza  di
patteggiamento, con la quale l'imputato chiede la sostituzione di una
pena detentiva con una pena pecuniaria ai sensi  dell'art.  53  della
legge n. 689 del 1981.
    Ora, l'art. 53 della legge n. 689 del 1981 fa rinvio all'art. 135
cod. pen., assumendo quale base del calcolo della pena da  sostituire
la somma ivi stabilita per ogni ipotesi in  cui  -  evidentemente  in
difetto di altra piu' specifica disciplina -  si  debba  eseguire  un
ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive. Ma lo stesso art. 53
della legge n. 689  del  1981  detta  per  l'appunto  una  disciplina
speciale rispetto a quella dell'art. 135 cod. pen., stabilendo che la
somma indicata in quest'ultima disposizione - attualmente pari a  250
euro, o frazione di 250 euro, per ogni giorno  di  pena  detentiva  -
possa essere aumentata sino  a  dieci  volte,  tenendo  conto,  nella
determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria, della condizione
economica complessiva dell'imputato o del suo nucleo familiare.
    Formulando questioni  di  legittimita'  costituzionale  aventi  a
oggetto, invece, il solo art. 135 cod. pen., il giudice a quo  da  un
lato censura una disposizione destinata ad operare in una  pluralita'
di  ipotesi  -  dalla  conversione  della  pena  detentiva  in   pena
pecuniaria nel caso previsto dall'art. 2, comma 3,  cod.  pen.,  alla
determinazione del limite massimo di pena  che  consente  i  benefici
della sospensione condizionale e della non menzione della condanna ai
sensi, rispettivamente, degli artt. 163, comma 1,  e  175,  comma  2,
cod. pen. - del tutto distinte rispetto alla sostituzione della  pena
detentiva  in  pena  pecuniaria,  che  viene  in  considerazione  nel
procedimento a quo; e  dall'altro  omette  di  censurare  proprio  la
disposizione di cui all'art. 53 della legge  n.  689  del  1981,  che
detta  lo  speciale  criterio  di  ragguaglio  applicabile  nel  caso
concreto.
    Dal che l'inammissibilita' delle questioni sollevate.
    3.- Le considerazioni poc'anzi svolte inducono, comunque,  questa
Corte a formulare l'auspicio che il legislatore  intervenga  a  porre
rimedio alle incongruenze evidenziate (supra, 2.1.), nel quadro di un
complessivo intervento - la  cui  stringente  opportunita'  e'  stata
anche di recente segnalata (sentenza n.  279  del  2019)  -  volto  a
restituire effettivita' alla pena pecuniaria,  anche  attraverso  una
revisione degli attuali, farraginosi meccanismi di esecuzione forzata
e di conversione in pene limitative della liberta' personale. E  cio'
nella  consapevolezza  che  soltanto  una   disciplina   della   pena
pecuniaria in grado di garantirne una  commisurazione  da  parte  del
giudice proporzionata tanto  alla  gravita'  del  reato  quanto  alle
condizioni  economiche  del  reo,  e  assieme  di   assicurarne   poi
l'effettiva riscossione, puo' costituire una seria  alternativa  alla
pena detentiva, cosi' come di fatto accade in molti altri ordinamenti
contemporanei.

     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale  dell'art.  135  del  codice  penale,  sollevate,   in
riferimento agli artt. 3  e  27  della  Costituzione,  dal  Tribunale
ordinario di Firenze, sezione terza penale, con l'ordinanza  indicata
in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2020.

                                F.to:
                     Marta CARTABIA, Presidente
                    Francesco VIGANO', Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2020.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA


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