N. 15 SENTENZA 16 gennaio - 11 febbraio 2020
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Reati e pene - Sostituzione di pene detentive brevi con pene
pecuniarie - Coefficiente di ragguaglio - Applicazione del tasso
giornaliero previsto dal codice penale (250 euro) anziche' di
quello piu' favorevole dettato per il procedimento per decreto
penale (75 euro) - Denunciata disparita' di trattamento e contrasto
con la funzione rieducativa della pena, per l'impossibilita' di
graduarla in concreto - Inammissibilita' delle questioni.
- Codice penale, art. 135.
- Costituzione, artt. 3 e 27.
(GU n.7 del 12-2-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 135 del
codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione
terza penale, nel procedimento penale a carico di S. E., con
ordinanza del 27 novembre 2018, iscritta al n. 86 del registro
ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2019.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2020 il Giudice
relatore Francesco Vigano';
deliberato nella camera di consiglio del 16 gennaio 2020.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 27 novembre 2018, iscritta al n. 86 del
registro ordinanze 2019, il Tribunale ordinario di Firenze, sezione
terza penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 135
del codice penale, nella parte in cui stabilisce il tasso di
ragguaglio tra pene pecuniarie e detentive in ragione di 250 euro, o
frazione di 250 euro, per un giorno di pena detentiva, anziche' il
diverso tasso, previsto dall'art. 459, comma 1-bis, del codice di
procedura penale, di 75 euro per un giorno di pena detentiva,
aumentabili fino al triplo tenuto conto della condizione economica
complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare.
1.1.- L'ordinanza di rimessione e' stata pronunciata nel
procedimento a carico di S. E. per il delitto di minaccia aggravata.
Alla prima udienza, l'imputato aveva proposto richiesta di
patteggiamento, chiedendo l'applicazione della pena di venti giorni
di reclusione, sostituita nella multa di 1.500 euro, determinata al
tasso di 75 euro per ogni giorno di pena detentiva.
Il rimettente sottolinea che, allo stato, l'istanza dell'imputato
non potrebbe essere accolta, a essa ostando il disposto dell'art. 135
cod. pen., il quale prevede che quando, per ogni effetto giuridico,
si deve eseguire un ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive,
il computo ha luogo calcolando 250 euro, o frazione di 250 euro, di
pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva. Tale criterio di
ragguaglio e' espressamente richiamato dall'art. 53 della legge 24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), che consente al
giudice di sostituire la pena detentiva di durata non superiore a sei
mesi con la pena pecuniaria della specie corrispondente, a un tasso
di ragguaglio per ogni giorno di pena detentiva di ammontare non
inferiore alla somma indicata dall'art. 135 cod. pen. e non superiore
a dieci volte tale ammontare.
1.2.- Il giudice a quo ritiene, tuttavia, che la disciplina
dettata dall'art. 135 cod. pen. contrasti con gli artt. 3 e 27 Cost.,
nella parte in cui - per l'appunto - fissa il tasso di ragguaglio a
250 euro giornalieri e non gia' alla diversa e piu' favorevole misura
stabilita - nell'ambito del procedimento per decreto - dall'art. 459,
comma 1-bis, cod. proc. pen., che l'imputato nel giudizio a quo
vorrebbe si applicasse nei propri confronti.
1.3.- Quanto alla dedotta lesione dell'art. 3 Cost., il
rimettente evidenzia anzitutto che, a seguito dell'introduzione
dell'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen., per effetto dell'art. 1,
comma 53, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice
penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento
penitenziario), nell'ordinamento operano due diversi tassi di
conversione della pena detentiva in pena pecuniaria: da un lato,
quello - piu' favorevole per l'imputato - che ragguaglia un giorno di
pena detentiva a una somma compresa tra 75 e 225 euro, previsto dalla
disposizione di nuovo conio e applicabile al solo procedimento per
decreto; dall'altro lato, quello delineato dall'art. 135 cod. pen. e
richiamato dall'art. 53 della legge n. 689 del 1981, che tuttora
equipara un giorno di pena detentiva a una somma compresa tra 250 e
2500 euro, ed e' applicabile a tutti gli altri procedimenti.
Poiche' - prosegue il rimettente - la richiesta di emissione del
decreto penale di condanna e' rimessa alla discrezionalita' del
pubblico ministero, i soggetti imputati del medesimo reato
subirebbero un'irragionevole disparita' di trattamento, a seconda che
il pubblico ministero decida o meno di esercitare l'azione penale
mediante richiesta di emissione di decreto penale.
Tale disparita' di trattamento sarebbe peraltro in contrasto con
l'indicazione - fornita dall'art. 53 della legge n. 689 del 1981
attraverso il richiamo all'art. 133-bis cod. pen. - a tener conto,
nella determinazione dell'ammontare della pena sostitutiva, delle
condizioni economiche dell'imputato; indicazione che sarebbe
frustrata dalla disposizione censurata, la quale condurrebbe
all'irrogazione di pene pecuniarie non commisurate ne' commisurabili
alle sue reali condizioni economiche.
1.4.- La «impossibilita' di graduare la pena al caso concreto»
contrasterebbe, altresi', con la funzione rieducativa della pena,
imposta dall'art. 27 Cost. Cio' in quanto, ad avviso del giudice a
quo, «una pena "eccessiva" rispetto alle reali condizioni economiche
del reo non e' di fatto ottemperabile, con la evidente conseguenza
che non sara' possibile perseguire e raggiungere uno degli obiettivi
primari affidati dal legislatore alla pena, che e' la funzione
rieducativa».
2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni di legittimita' costituzionale
siano dichiarate inammissibili o infondate.
2.1.- L'interveniente evidenzia anzitutto l'insufficienza della
motivazione del giudice a quo in ordine alla rilevanza delle
questioni. L'ordinanza di rimessione si limiterebbe a esporre che
l'imputato ha chiesto l'applicazione, ai sensi dell'art. 444 cod.
proc. pen., di una pena pecuniaria calcolata utilizzando un tasso di
conversione inferiore a quello previsto dall'art. 135 cod. pen.,
senza chiarire ne' se l'imputato possa essere prosciolto ai sensi
dell'art. 129 cod. proc. pen., ne' se la pena cosi' determinata sia
congrua. Il rimettente non avrebbe dunque dimostrato di non poter
definire il giudizio indipendentemente dalla soluzione delle
questioni di legittimita' costituzionale prospettate, sicche' queste
ultime sarebbero inammissibili.
2.2.- Le questioni sollevate sarebbero in ogni caso radicalmente
infondate. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimita' (e'
citata Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 21
dicembre 2017-1° marzo 2018, n. 9400), la disposizione di cui
all'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen., costituirebbe il frutto
di una scelta discrezionale del legislatore, il quale, a evidenti
fini deflattivi, ha introdotto, per il solo procedimento per decreto,
un regime di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria piu'
favorevole di quello previsto dall'art. 135 cod. pen., «in sintonia
con la gia' prevista possibilita' di diminuire la pena in misura
maggiore rispetto agli altri riti semplificati».
La giurisprudenza costituzionale, del resto, sarebbe costante nel
ritenere che le scelte legislative in materia di determinazione delle
sanzioni penali sono insindacabili, salvo che trasmodino
nell'irragionevolezza o nell'arbitrio (sono citate le sentenze n. 148
del 2017 [recte: n. 148 del 2016], n. 23 del 2016 e n. 81 del 2014).
In specie, la difformita' del tasso di conversione della pena
detentiva in pena pecuniaria previsto dall'art. 459, comma 1-bis,
cod. proc. pen., rispetto a quello contemplato dall'art. 135 cod.
pen, sarebbe riconducibile al corretto esercizio della
discrezionalita' legislativa, con conseguente insindacabilita' della
relativa scelta.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 135 del codice penale, nella
parte in cui stabilisce il tasso di ragguaglio tra pene pecuniarie e
detentive in ragione di 250 euro, o frazione di 250 euro, per un
giorno di pena detentiva, anziche' il diverso tasso, previsto
dall'art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale, di 75
euro per un giorno di pena detentiva, aumentabili fino al triplo
tenuto conto della condizione economica complessiva dell'imputato e
del suo nucleo familiare.
Il giudice a quo e' investito di una richiesta di patteggiamento
nella quale l'imputato chiede la sostituzione, ai sensi dell'art. 53
della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale),
della pena della reclusione con quella della multa al tasso di
conversione previsto dall'art. 459, comma 1-bis cod. proc. pen.,
introdotto dall'art. 1, comma 53, della legge 23 giugno 2017, n. 103
(Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e
all'ordinamento penitenziario) con riferimento - pero' - al solo
procedimento per decreto penale di condanna. L'istanza dovrebbe
pertanto essere rigettata, dovendosi applicare alla sostituzione
della pena detentiva in pena pecuniaria, in ogni altro procedimento,
l'ordinario e meno favorevole criterio di conversione di cui all'art.
135 cod. pen.
Il rimettente ritiene, tuttavia, che la compresenza nel sistema -
in seguito all'entrata in vigore, nel 2017, del menzionato art. 459,
comma 1-bis, cod. proc. pen - di due diversi criteri di ragguaglio
tra pena detentiva e pena pecuniaria determini una irragionevole
disparita' di trattamento tra imputati di fatti di reato identici,
che consegue esclusivamente alla scelta discrezionale del pubblico
ministero di esercitare l'azione penale nelle forme del rito
ordinario ovvero con decreto penale di condanna.
L'applicazione del tasso di ragguaglio di cui all'art. 135 cod.
pen. condurrebbe, d'altra parte, alla irrogazione di pene pecuniarie
eccessive rispetto alle reali condizioni economiche del reo e,
pertanto, in contrasto con la funzione rieducativa della pena.
2.- Le questioni sono inammissibili.
2.1.- Il problema che fa da sfondo alle questioni sollevate e',
invero, reale.
L'art. 53, comma 2, della legge n. 689 del 1981, nel prevedere la
possibilita' di sostituzione della pena detentiva nel limite dei sei
mesi con la pena pecuniaria, stabilisce, tra l'altro, che «[p]er
determinare l'ammontare della pena pecuniaria il giudice individua il
valore giornaliero al quale puo' essere assoggettato l'imputato e lo
moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione
dell'ammontare di cui al precedente periodo il giudice tiene conto
della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo
familiare. Il valore giornaliero non puo' essere inferiore alla somma
indicata dall'art. 135 del codice penale e non puo' superare di dieci
volte tale ammontare».
Ora, il tasso di ragguaglio previsto dall'art. 135 cod. pen. -
gia' fissato dall'art. 1 della legge 5 ottobre 1993, n. 402 (Modifica
dell'articolo 135 del codice penale: ragguaglio fra pene pecuniarie e
pene detentive), in 75.000 lire per ogni giorno di pena detentiva,
poi convertite in 38 euro - e' stato innalzato a 250 euro giornalieri
per effetto della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in
materia di sicurezza pubblica).
Tale aumento ha fatto si' che - in forza del richiamo all'art.
135 cod. pen. contenuto nell'art. 53 della legge n. 689 del 1981,
pacificamente considerato quale rinvio "mobile" - il valore
giornaliero minimo della pena pecuniaria sostituita alla pena
detentiva sia attualmente pari a 250 euro. Il risultato e' stato
quello di rendere eccessivamente onerosa, per molti condannati, la
sostituzione della pena pecuniaria, sol che si pensi che - ad esempio
- il minimo legale della reclusione, fissato dall'art. 23 cod. pen.
in quindici giorni, deve oggi essere sostituito in una multa di
almeno 3.750 euro, mentre la sostituzione di sei mesi di reclusione
(pari al limite massimo entro il quale puo' operare il meccanismo
previsto dall'art. 53, comma 2, della legge n. 689 del 1981) da' a
luogo a una multa non inferiore a 45.000 euro.
Cio' ha determinato, nella prassi, una drastica compressione del
ricorso alla sostituzione della pena pecuniaria, che pure era stata
concepita dal legislatore del 1981 - in piena sintonia con la logica
dell'art. 27, terzo comma, Cost. - come prezioso strumento destinato
a evitare a chi sia stato ritenuto responsabile di reati di modesta
gravita' di scontare pene detentive troppo brevi perche' possa essere
impostato un reale percorso trattamentale, ma gia' sufficienti a
produrre i gravi effetti di lacerazione del tessuto familiare,
sociale e lavorativo, che il solo ingresso in carcere solitamente
produce. Con il conseguente rischio di trasformare la sostituzione
della pena pecuniaria in un privilegio per i soli condannati
abbienti: cio' che appare di problematica compatibilita' con l'art.
3, secondo comma, Cost., il cui centrale rilievo nella commisurazione
della pena pecuniaria e' stato da tempo sottolineato dalla
giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 131 del 1979).
2.2.- Tuttavia, le questioni oggi all'esame, aventi a oggetto
l'art. 135 cod. pen., sono viziate da aberratio ictus; vizio che ha
carattere assorbente rispetto ai diversi profili di inammissibilita'
denunciati dall'Avvocatura generale dello Stato.
Il rimettente e', come rilevato, investito di una istanza di
patteggiamento, con la quale l'imputato chiede la sostituzione di una
pena detentiva con una pena pecuniaria ai sensi dell'art. 53 della
legge n. 689 del 1981.
Ora, l'art. 53 della legge n. 689 del 1981 fa rinvio all'art. 135
cod. pen., assumendo quale base del calcolo della pena da sostituire
la somma ivi stabilita per ogni ipotesi in cui - evidentemente in
difetto di altra piu' specifica disciplina - si debba eseguire un
ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive. Ma lo stesso art. 53
della legge n. 689 del 1981 detta per l'appunto una disciplina
speciale rispetto a quella dell'art. 135 cod. pen., stabilendo che la
somma indicata in quest'ultima disposizione - attualmente pari a 250
euro, o frazione di 250 euro, per ogni giorno di pena detentiva -
possa essere aumentata sino a dieci volte, tenendo conto, nella
determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria, della condizione
economica complessiva dell'imputato o del suo nucleo familiare.
Formulando questioni di legittimita' costituzionale aventi a
oggetto, invece, il solo art. 135 cod. pen., il giudice a quo da un
lato censura una disposizione destinata ad operare in una pluralita'
di ipotesi - dalla conversione della pena detentiva in pena
pecuniaria nel caso previsto dall'art. 2, comma 3, cod. pen., alla
determinazione del limite massimo di pena che consente i benefici
della sospensione condizionale e della non menzione della condanna ai
sensi, rispettivamente, degli artt. 163, comma 1, e 175, comma 2,
cod. pen. - del tutto distinte rispetto alla sostituzione della pena
detentiva in pena pecuniaria, che viene in considerazione nel
procedimento a quo; e dall'altro omette di censurare proprio la
disposizione di cui all'art. 53 della legge n. 689 del 1981, che
detta lo speciale criterio di ragguaglio applicabile nel caso
concreto.
Dal che l'inammissibilita' delle questioni sollevate.
3.- Le considerazioni poc'anzi svolte inducono, comunque, questa
Corte a formulare l'auspicio che il legislatore intervenga a porre
rimedio alle incongruenze evidenziate (supra, 2.1.), nel quadro di un
complessivo intervento - la cui stringente opportunita' e' stata
anche di recente segnalata (sentenza n. 279 del 2019) - volto a
restituire effettivita' alla pena pecuniaria, anche attraverso una
revisione degli attuali, farraginosi meccanismi di esecuzione forzata
e di conversione in pene limitative della liberta' personale. E cio'
nella consapevolezza che soltanto una disciplina della pena
pecuniaria in grado di garantirne una commisurazione da parte del
giudice proporzionata tanto alla gravita' del reato quanto alle
condizioni economiche del reo, e assieme di assicurarne poi
l'effettiva riscossione, puo' costituire una seria alternativa alla
pena detentiva, cosi' come di fatto accade in molti altri ordinamenti
contemporanei.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 135 del codice penale, sollevate, in
riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale
ordinario di Firenze, sezione terza penale, con l'ordinanza indicata
in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Francesco VIGANO', Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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