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venerdì 22 agosto 2025

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È tornato virale un video. Settembre 2022, Assemblea generale dell'#Onu: parla il migliore dei migliori, il candidato automatico al #Quirinale, Mario #Draghi.

Dice: «#Kiev sembra aver acquisito un vantaggio strategico importante. Le sanzioni che abbiamo impartito a #Mosca hanno avuto un effetto dirompente sulla macchina bellica russa, sulla sua economia. (…) Con un'economia più debole, sarà più difficile per la #Russia reagire alle sconfitte che si accumulano sul campo di battaglia. L'unità dell'Unione Europea e dei suoi alleati è stata determinante per offrire all'#Ucraina il sostegno di cui aveva bisogno, per imporre costi durissimi alla Russia». Andate a rivederlo, è psichedelico.

In effetti, a voler citare tutte le panzane di #MarioDraghi servirebbe molto più spazio. Sarebbe materia da libro, chissà.

Aprile 2022, conferenza stampa dinanzi ad agguerritissimi giornalisti, pronti a intimorirlo battendo le mani o lucidandogli la suola delle scarpe con la lingua: «Preferiamo la pace o star tranquilli col condizionatore acceso? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre». Pensa a tutti quelli che, quell'estate, decisero di sudare e boccheggiare sull'altare di Kiev.

A luglio 2021 disse: «Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi e lui o lei muore. Questo è». Nella stessa conferenza stampa aggiunse: «Il green pass è una misura con cui gli italiani possono continuare a esercitare le proprie attività, a divertirsi, andare al ristorante, a partecipare a spettacoli all'aperto o al chiuso, con la garanzia di trovarsi tra persone che non sono contagiose». Castronerie.

Ma Draghi, per quanto mi riguarda, è solo un pretesto: non è su di lui che voglio concentrare l'attenzione. È su di noi, sul nostro dibattito pubblico, sulla nostra informazione. In definitiva, sullo stato di salute della nostra democrazia. Perché non può esservi democrazia senza un dibattito sano, senza un'informazione seria e rigorosa, se il confronto è soffocato dall'assordante rumore della propaganda peggiore. Sul punto, è centrale la riflessione proposta da Alessandro Orsini nel suo Casa Bianca-Italia. La corruzione dell'informazione di uno Stato satellite (Paper First, 2025).

A me interessa ricordare come abbiamo reagito noi a quelle performance. In un Paese serio, uno come Draghi verrebbe accantonato, messo da parte con un certo imbarazzo. Non ci sarebbe nemmeno da infierire: semplicemente ha toppato più volte, e lo ha fatto su questioni enormi. Invece, ancora oggi, il suo è un nome automatico ogni volta che si parla delle massime cariche italiane e internazionali: lo si immaginava alla successione di #Mattarella, di #Stoltenberg, di #VonDerLeyen al termine del mandato. Peraltro, gli basterebbe commentare il meteo o raccontare le vacanze per finire in prima pagina, con i soliti giornali in giubilo.

Come si fa a insistere impunemente nel propinare al pubblico il racconto del migliore di tutti? Siamo messi così male?

Draghi è solo un esempio: lo stesso discorso vale per la guerra. Come si potrà mai pretendere che l'opinione pubblica partecipi, animi la dialettica politica, legga i giornali, dopo che ciarlatani spacciatisi per fact-checker ci raccontavano che i russi combattevano con le pale, con i microchip delle lavatrici, che fuggivano dinanzi alle armate di #Zelensky, che #Putin fosse affetto da tutte le malattie note e ignote, se non addirittura già morto? Gli stessi che volevano, magari per legge, imbavagliare chiunque provasse a usare il cervello e a dire cose sensate.

Una riflessione sulla nostra informazione, sulla sua indipendenza e sulla sua libertà, è davvero essenziale.
Dobbiamo pretendere di più da chi si propone di raccontarci la realtà. Dobbiamo saper scegliere tra chi continuerà impunemente a ingozzarci di propaganda come fossimo oche da foie gras e chi prova, con onestà, a dirci le cose come stanno.

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