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lunedì 25 luglio 2011

Cassazione "...Condanna lavoratori per Inosservanza D.L.81/08...osservanza delle disposizioni e delle istruzioni ai fini della protezione collettiva ed individuale, la corretta utilizzazione delle attrezzature di lavoro, delle sostanze e dei preparati pericolosi, nonchè dei dispositivi di sicurezza, e la utilizzazione in modo appropriato dei dispositivi di protezione...."






REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MAIO Guido - Presidente

Dott. PETTI Ciro - Consigliere

Dott. TERESI Alfredo - Consigliere

Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere

Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA





sul ricorso proposto da:

Pe. Gi. nato il (Omissis);

avverso la sentenza del 14.5.2009 del Tribunale di Ferrara;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Silvio Amoresano;

sentite le conclusioni del P.G., dr. Guglielmo Passacantando, che ha chiesto annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata perchà il fatto non è previsto come reato.



Fatto



1) Con sentenza in data 14.5.2009 il Tribunale di Ferrara, in composizione monocratica, condannava Pe. Gi., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena (condonata) di euro 500,00 di ammenda per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 34, lettera b) e articolo 392, lettera a) perchè, nella qualità di lavoratore dipendente della società " Be. Im. di. Be. Al. &. C. snc", avente sede in (Omissis), effettuava lavori di saldatura elettrica su tubazioni facenti parte di un impianto di distribuzione stradale gpl, senza adottare idonee misure di sicurezza atte ad evitare pericoli di incendio o di propagazione fiamme. Riteneva il Tribunale che la responsabilità dell'imputato emergesse in modo inequivocabile dalle risultanze processuali, avendo egli agito con grossolana imprudenza e senza adottare le necessarie precauzioni, pur svolgendosi l'attività di saldatura nelle vicinanze di un serbatoio di GPL.



2) Ricorre per cassazione il Pe., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2 c.p. e Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 304.

Il Tribunale non ha tenuto conto che, a seguito dell'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, la violazione contestata non costituisce per i lavoratori subordinati un'ipotesi di reato. Tale Decreto Legislativo ha infatti abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 e la condotta di cui all'imputazione è sanzionata penalmente solo se attribuibile a soggetti diversi dal lavoratore subordinato (all. 4 Testo Unico Salute e Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 63 e 68).

Con il secondo motivo denuncia la erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 34 nonchè la mancanza ed illogicità della motivazione, essendo emerso dall'istruttoria dibattimentale che l'imputato non aveva usato fiamme libere e tanto meno manipolato materiali incandescenti. Le cause dell'infortunio occorso al collega di lavoro esulavano completamente dall'oggetto della contestazione. Il Tribunale ha omesso di accertare se la saldatura elettrica sia sussumibile nell'ipotesi prevista dall'articolo 34 contestata. Tale norma non vietava l'uso di scintille ma l'uso di fiamme libere. In motivazione non viene spiegato perchè l'utilizzo di scintille o la saldatura elettrica siano sussumigli nella ipotesi contravvenzionale contestata.


3) Come ha evidenziato lo stesso ricorrente, il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, che ha abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, prevede all'allegato 4 una disposizione identica a quella di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 34, lettera b) richiamata nella contestazione ("4.1 nelle aziende o lavorazioni in cui esistono pericoli specifici di incendio: 4.1.2 è vietato usare apparecchi a fiamma libera e manipolare materiali incandescenti, a meno che non siano adottate misure di sicurezza"). Non è esatto pera che tale norma sia sanzionata penalmente solo quando la violazione sia commessa dai datori di lavoro.

E' vero che il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 63, comma 1 prevede che i luoghi di lavoro debbano essere conformi ai requisiti indicati nell'allegato 4 e che l'articolo 64 prevede che tale obbligo gravi sul datore di lavoro, che, ai sensi dell'articolo 68, è sanzionato penalmente se non vi ottemperi. Il medesimo Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 59 (come sostituito dal Decreto Legislativo 3 agosto 2009, n. 106, articolo 36) prevede, però, sanzioni penali anche per i lavoratori "per la violazione dell'articolo 20 comma 2 lettera b), c), d), e), f), g), h) ed i), e articolo 43, comma 3, primo periodo". E tra le violazioni sopra indicate rientrano anche quelle riguardanti la osservanza delle disposizioni e delle istruzioni ai fini della protezione collettiva ed individuale, la corretta utilizzazione delle attrezzature di lavoro, delle sostanze e dei preparati pericolosi, nonchè dei dispositivi di sicurezza, e la utilizzazione in modo appropriato dei dispositivi di protezione. E, secondo la contestazione, al ricorrente veniva addebitato di aver operato imprudentemente in violazione di idonee misure di sicurezza. Vi è quindi "continuità normativa". 3.1)

Fondato è, invece, il secondo motivo di ricorso.

La norma sanziona penalmente l'uso di "apparecchi a fiamma libera" e la "manipolazione di materiali incandescenti". Il Tribunale, senza minimamente accertare se l'apparecchio per la saldatura elettrica adoperato rientrasse tra quelli previsti e se, comunque, vi fosse stata la manipolazione di materiali incandescenti, si è limitato ad affermare apoditticamente che la condotta posta in essere era connotata da grossolana imprudenza e che essa aveva cagionato l'evento. Ma, come rilevato correttamente dal ricorrente, in relazione ai reato di pericolo contestato bisognava accertare se la saldatura elettrica potesse essere sussunta nelle ipotesi previste dalla norma.

Si imporrebbe, quindi, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Nel frattempo però è maturata la prescrizione.

Il termine massimo di prescrizione di anni 4 e mesi 6, secondo la previsione piu' favorevole di cui al previgente articolo 157 c.p., è infatti maturato in data (Omissis), essendo stato il reato commesso il (Omissis).

Va emessa, pertanto, immediata declaratoria di estinzione del reato ex articolo 129 c.p.p.. Come ribadito anche dalle sezioni unite, infatti, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità, nè vizi di motivazione, nè nullità di ordine generale (cfr - sent. n. 35490/2009).

P.Q.M.



Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.

Cassazione "..inalazione fibre di amianto - Richio per i lavoratori .."

Fatto


Con sentenza del 20.05.2003 il Tribunale di Ravenna accoglieva la domanda proposta con distinti ricorsi da (...) e da (...) nei confronti dell'INPS e dell'INAIL, accertava il diritto dei ricorrenti alla maggiorazione contributiva per le prestazioni pensionistiche - ex art. 13-8° comma - della legge n. 257 del 1992 (e successive modifiche) - per l'intero periodo lavorativo svolto alle dipendenze della (...) - dal 28.10.1963 al 1°.04.1998 (...) e dal 28.10.1963 al 1°.04.2000 (...).

Tale decisione, appellata dall'INPS in via principale e dall'INAIL in via incidentale, è stata riformata dalla Corte di Appello di Bologna con sentenza n. 498 del 2007, che ha così deciso: a) ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell'INAIL con rigetto della domanda degli originari ricorrenti; b) ha rigettato l'appello principale dell'INPS, mantenendo fermo il riconoscimento del beneficio della maggiorazione contributiva in relazione al rischio amianto per entrambi i lavoratori.

La Corte territoriale ha osservato che sulla ultradecennalità dell'esposizione ai rischio amianto si era formato il giudicato e che, nella specie, ricorreva anche l'ulteriore requisito, consistente nel superamento dei valore limite previsto dall'art. 24 del D.Lgs. n. 277 del 1991, avendone il consulente tecnico di ufficio, con giudizio pienamente condivisibile, accertato la sussistenza dalla data dell'assunzione dei due lavoratori (28.10.1963) sino alla fine del 1995. L'INPS ricorre per cassazione con due motivi, illustrati con memoria ex art. 378 CPC.

Gli intimati resistono con controricorso.

Diritto



1. Con il primo motivo l'INPS censura l'impugnata sentenza per insufficiente e contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale fondato la propria decisione sugli accertamenti e sulle conclusioni del consulente tecnico di ufficio, che aveva limitato le indagini sino alla fine dell'anno 1995, e, del tutto contraddittoriamente, per avere riconosciuto il beneficio contributivo per un periodo di più lunga durata (fino al 1° aprile 1998 per iI (...) e fino all’aprile 2000 per iI (...).

Con il secondo motivo I'INPS, nel lamentare violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 329 CPC e dell'art. 2909 Cod. Civ., assume che, contestando, in appello, l'esistenza di una esposizione "qualificata" all'amianto per l'intero periodo lavorativo, aveva contestato anche la durata dell'esposizione, come riconosciuto dal primo giudice.

2. Va esaminato per primo, per evidenti ragioni di priorità logico-giuridica il secondo motivo, in ordine al quale questa Corte osserva che sulla durata dell'esposizione a rischio non si è formato alcun giudicato interno, giacché in appello l'ente previdenziale - come peraltro risulta dalla narrativa della stessa decisione impugnata - si era specificamente lamentato della statuizione del Tribunale in ordine alla non necessità del "superamento dei valori limite" prescritti dal DLGS n. 277 del 1991; fatto quest'ultimo che, nella previsione della legge n. 257 del 1992, concorre con lo svolgimento ultradecennale di attività lavorativa - in presenza di amianto - a configurare l'esposizione "qualificata", richiesta per il riconoscimento del diritto al beneficio contributivo di cui è causa.

Come infatti questa Corte ha osservato in analoghe controversie (cfr Cass. n. 4363 del 2009; Cass. n. 18274 del 2010) il fatto costitutivo del diritto in questione non si identifica con la mera durata ultradecennale di una attività lavorativa svolta in un luogo di lavoro in cui era presente l'amianto, bensì con l'esposizione del lavoratore al rischio di ammalarsi a causa dell'inspirazione - per oltre un decennio - di fibre di amianto presenti in quei luogo in quantità superiore ai valori limite prescritti dalla normativa di prevenzione del D.Lgs. n. 277 del 1991. Ne consegue che l'accertamento giudiziale della semplice durata di quell'attività, senza accertamento del rischio effettivo e, quindi, senza l'apprezzamento di una esposizione "qualificata", non costituisce, di per sé, ragione di riconoscimento del diritto al ripetuto beneficio contributivo e, come tale, non è suscettibile di passare in giudicato.

3 .Con riguardo al primo motivo può osservarsi che la sentenza impugnata presenta, in maniera evidente, i denunciati vizi di motivazione.

Il giudice di appello dichiara di condividere e fa proprio il giudizio del consulente tecnico di ufficio, il quale (come riferisce la sentenza impugnata a pag. 14) aveva posto in evidenza che i lavoratori erano stati posti al rischio di inalare fibre di amianto in misura superiore al valore limite - stabilito dall'art. 24 del D.Lgs n. 277 del 1991 - dalla loro assunzione (28.10.1963) sino alla fine del 1995, salvo, poi, senza alcuna spiegazione ed in contraddizione con tale premessa, rigettare l'appello dell'istituto previdenziale, con il riconoscimento del diritto al beneficio per il più ampio periodo fino all'aprile 1998 per il (...) e fino all'aprile 2000 per il (...).

4. Le precedenti considerazioni conducono a ritenere infondata la preliminare eccezione mossa dai controricorrenti circa la carenza di interesse dell'INPS a far accertare l'insussistenza del diritto dei lavoratori al moltiplicatore ai fini del beneficio dell'amianto per il periodo successivo al 1995, per essere stato già raggiunto in tale anno la massima anzianità contributiva utilmente valutabile. Invero non può disconoscersi, a fronte della richiesta dei lavoratori volta ad ottenere la rivalutazione contributiva per tutto il periodo lavorativo, l'interesse dell'ente previdenziale all'accertamento dell'effettivo periodo di esposizione dei lavoratori all'amianto (questa Corte ha ritenuto - con consolidato indirizzo - l'applicabilità del coefficiente moltiplicatore in questione ai soli periodi di effettiva ed accertata esposizione ai rischio amianto: ex plurimis cfr. Cass. n. 1228 del 2009; Cass. n. 29941 del 2008; Cass. n. 517 del 2007; Cass. n. 21667 del 2004).

5. In conclusione il ricorso va accolto e per l'effetto la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, che procederà alla verifica dell'effettivo periodo di esposizione qualificata all'amianto dei due lavoratori, suscettibile, come tale di rivalutazione contributiva. Il giudice di rinvio provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.


P.Q.M.


Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Firenze.

'Ndrangheta/ I clan a Roma, confiscati Cafè de Paris e George's


'NDRANGHETA: CONFISCATI BENI 200 MLN, ANCHE 'CAFE' DE PARIS' ROMA =
(AGI) - Reggio Calabria, 25 lug. - Beni per 200 milioni di euro
sono stati confiscati dalla Guardia di Finanza al clan della
'ndrangheta facente capo alla famiglia Alvaro di Cosoleto (Rc).
Il Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della Procura, ha
disposto la confisca di 15 tra imprese e ditte individuali
operanti, principalmente, nel settore dei servizi e della
ristorazione. Si tratta di noti locali romani, tra i quali, il
"Cafe' de Paris" ed il ristorante "George's". A queste vanno
aggiunti 4 immobili di pregio, 3 autovetture di lusso oltre a
rapporti bancari, postali, assicurativi e denaro contante. La
Procura ed i finanzieri, nell'arco degli ultimi ventiquattro
mesi, hanno sviluppato specifiche indagini tecniche,
investigazioni finanziarie e bancarie, nonche' informazioni
tratte da segnalazioni di operazioni sospette, provenienti
dagli intermediari finanziari. I particolari dell'operazione
saranno illustratI nella sede del Comando provinciale della
Guardia di Finanza di Reggio Calabria alle ore 10, 30 di oggi.
(AGI)
Adv
Adv
250807 LUG 11

'NDRANGHETA: CONFISCA PER 200 MILIONI, ANCHE IL CAFE' DE PARIS =

Reggio Calabria, 25 lug. - (Adnkronos) - Una maxi confisca da
200 milioni di euro e' stata eseguita dalla Guardia di Finanza di
Reggio Calabria nei confronti della famiglia Alvaro, potente cosca di
'ndrangheta del reggino. Il provvedimento riguarda 15 imprese e ditte
individuali operanti nel settore dei servizi e della ristorazione. Tra
questi il noto Cafe' de Paris e il ristorante George's di Roma,
sequestrati due anni fa esatti.

A queste vanno aggiunti quattro immobili di pregio, tre
autovetture di lusso e rapporti bancari, postali, assicurativi e
denaro contante. Per arrivare al brillante risultato, cristallizzato
nei provvedimenti emessi dal Tribunale reggino, la Procura
distrettuale antimafia e i finanzieri, nell'arco degli ultimi
ventiquattro mesi, hanno sviluppato specifiche indagini tecniche,
investigazioni finanziarie e bancarie, e informazioni tratte da
segnalazioni di operazioni sospette, provenienti dagli intermediari
finanziari.

I particolari dell'operazione saranno illustrati al Comando
provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria alle 10.30
alla presenza del procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone.

(Ink/Col/Adnkronos)
25-LUG-11 08:08

NNNN'NDRANGHETA: MAXI CONFISCA BENI PER 200 MLN A COSCA ALVARO
SOCIETA' E IMMOBILI TRA CUI IL 'CAFE' DE PARIS' DI ROMA
(ANSA) - REGGIO CALABRIA, 25 LUG - Beni per 200 milioni di
euro, tra cui il 'Cafe' de Paris' e il ristorante 'George's' di
Roma, sono stati confiscati alla cosca Alvaro di Sinopoli. Il
tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, su
richiesta del Procuratore Antimafia, Giuseppe Pignatone, ha
disposto la confisca di 15 tra imprese e ditte individuali
operanti principalmente nel settore dei servizi della
ristorazione.
Oltre ai due locali romani sono stati confiscati quattro
immobili di pregio, tre autovetture di lusso, oltre a rapporti
bancari, postali, assicurativi e denaro contante.
La Procura e la Guardia di Finanza, nell'arco degli ultimi 24
mesi, hanno sviluppato specifiche indagini tecniche,
investigazioni finanziarie e bancarie, nonche' informazioni
tratte da segnalazioni di operazioni sospette, provenienti dagli
intermediari finanziari.
I particolari dell'operazione saranno illustrati presso il
Comando provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria
alle 10.30 alla presenza del Procuratore Distrettuale Antimafia
di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone.(ANSA).

VF/SCN
25-LUG-11 08:37 NNNN'NDRANGHETA: CONFISCATO CAFE' DE PARIS, VALE 55 MLN EURO
(V. ' 'NDRANGHETA: MAXI CONFISCA BENI PER 200...' ' DELLE 08:37)
(ANSA) - REGGIO CALABRIA, 25 LUG - Il Cafe' de Paris, il noto
locale di via Veneto confiscato stamane dalla Guardia di
Finanza, insieme ad altri beni riconducibili alla cosca Alvaro,
ha un valore commerciale, secondo gli investigatori, di 55
milioni di euro.
Il bar-ristorante risulta di proprieta' della societa'
''Cafe' de Paris'', con sede a Roma, in via Crescenzio 82, ma,
in realta', sarebbe stato nella disponibilita' di affiliati alla
cosca degli Alvaro di Cosoleto (Reggio Calabria) della
'ndrangheta. Il Cafe' de Paris era stato sequestrato esattamente
due anni fa nel corso di una operazione congiunta di Guardia di
finanza e carabinieri del Ros.
Un altro noto locale della capitale che e' stato sequestrato,
nell'ambito della stessa operazione, il ristorante George's e'
di proprieta' ufficialmente della ''George's Immobiliare e di
gestione Srl'', con sede a Roma in via Marche 7, ed ha un valore
commerciale, sempre secondo gli investigatori, di 50 milioni di
euro. (ANSA).

LE
25-LUG-11 10:06 NNNN*'Ndrangheta/ I clan a Roma, confiscati Cafè de Paris e George's
Operazione da 200 milioni di euro delle Fiamme Gialle reggine

Reggio Calabria, 25 lug. (TMNews) - Nuovo colpo alle
infiltrazioni della 'ndrangheta a Roma. I finanzieri del Nucleo
di polizia tributaria del Gico di Reggio Calabria, in
collaborazione con i colleghi dello Scico di Roma, hanno
confiscato stamattina tra la Calabria e la capitale beni per un
valore superiore ai 200 milioni di euro. Tra questi a Roma ci
sono due dei più prestigiosi locali della centralissima Via
Veneto, simbolo della Dolce Vita: il Café de Paris ed il
ristorante George's, già sequestrati nel 2008 nell'ambito di un
inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio
Calabria sulla cosca degli Alvaro, egemone nella piana di Gioia
Tauro con ramificazioni forti nella capitale.

Ora il Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta del procuratore
Giuseppe Pignatone, ha disposto la confisca per in totale 15 tra
imprese e ditte individuali operanti, principalmente, nel settore
dei servizi e della ristorazione. Oltre ai due prestigiosi
locali, sono stati posti sotto confisca 4 immobili di pregio, 3
autovetture di lusso oltre a rapporti bancari, postali,
assicurativi e denaro contante. Il tutto per un valore
complessivo di oltre 200 milioni di euro.

Fmc

251022 lug 11
*'Ndrangheta/ I clan a Roma, confiscati Caf de Paris e George's
Operazione da 200 milioni di euro delle Fiamme Gialle reggine

Reggio Calabria, 25 lug. (TMNews) - Nuovo colpo alle
infiltrazioni della 'ndrangheta a Roma. I finanzieri del Nucleo
di polizia tributaria del Gico di Reggio Calabria, in
collaborazione con i colleghi dello Scico di Roma, hanno
confiscato stamattina tra la Calabria e la capitale beni per un
valore superiore ai 200 milioni di euro. Tra questi a Roma ci
sono due dei pi prestigiosi locali della centralissima Via
Veneto, simbolo della Dolce Vita: il Caf de Paris ed il
ristorante George's, gi sequestrati nel 2008 nell'ambito di un
inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio
Calabria sulla cosca degli Alvaro, egemone nella piana di Gioia
Tauro con ramificazioni forti nella capitale.

Ora il Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta del procuratore
Giuseppe Pignatone, ha disposto la confisca per in totale 15 tra
imprese e ditte individuali operanti, principalmente, nel settore
dei servizi e della ristorazione. Oltre ai due prestigiosi
locali, sono stati posti sotto confisca 4 immobili di pregio, 3
autovetture di lusso oltre a rapporti bancari, postali,
assicurativi e denaro contante. Il tutto per un valore
complessivo di oltre 200 milioni di euro.

Fmc

251022 lug 11

AFGHANISTAN: SOLDATO ITALIANO UCCISO E 2 FERITI A BALA MURGHAB

AFGHANISTAN: SOLDATO ITALIANO UCCISO E 2 FERITI A BALA MURGHAB =
(AGI) - Roma, 25 lug. - Un soldato italiano e' stato ucciso e
altri due feriti, di cui uno in modo grave, in uno scontro a
fuoco nella valle di Bala Murghab, nell'ovest dell'Afghanistan.
Lo rende noto un comunicato dello Stato maggiore della Difesa,
in cui si precisa che il secondo militare ferito non e' in
pericolo di vita. Durante un'operazione congiunta tra militari
italiani e forze afghane nella zona a nord-ovest della valle di
Bala Murghab, l'unita' nella quale erano presenti anche i
militari italiani e' stata attaccata. Sale cosi' a 41 il numero
dei militari italiani caduti in Afghanistan. (AGI)
Red/Sar
250841 LUG 11
Afghanistan/ Da inizio missione 41 vittime italiane -scheda
Un altro militare ucciso oggi a nord-ovest di Bala Murgab

Roma, 25 lug. (TMNews) - Con la morte oggi di un altro militare
italiano, in un attacco a colpi d'arma da fuoco a nord-ovest di
Bala Murgab, nella parte occidentale dell'Afghanistan, sale a 41
il numero degli italiani morti dall'inizio delle operazioni
militari nel paese asiatico.

Il 12 luglio il primo caporal maggiore Roberto Marchini perde la
vita nell'esplosione di un ordigno nella parte meridionale
dell'Afghanistan.

Il 2 luglio il caporal maggiore Gaetano Tuccillo rimane ucciso
nell'esplosione di un ordigno a 16 chilometri da Bakwa,
nell'ovest dell'Afghanistan.

Il 4 giugno il tenente colonnello dei carabinieri Cristiano
Congiu, 50 anni, viene ucciso a colpi di arma da fuoco nella
valle del Panjshir, nell'Afghanistan nord orientale.

Il 28 febbraio il tenente Massimo Ranzani rimane ucciso
nell'esplosione di un ordigno improvvisato nei pressi di
Shindand, nell'ovest dlel'Afghanistan.

Il 18 gennaio ha perso la vita il caporal maggiore Luca Sanna,
colpito da fuoco "nemico" dentro una base avanzata nei pressi di
Bala Murgab, nell'ovest del paese.

Il 31 dicembre 2010, il caporal maggiore Matteo Miotto stato
ucciso da un colpo sparato da un cecchino mentre si trovava su
una torretta della base Snow nel Gulistan.

Il 9 ottobre 2010 quattro militari italiani sono rimasti uccisi
nell'esplosione di un ordigno al passaggio di un convoglio nel
distretto del Gulistan, a circa 200 km a est di Farah.

Il 17 settembre 2010 muore l'incursore Alessandro Romani,
raggiunto da colpi di arma da fuoco in un attentato nella
provincia di Farah.

Il 28 luglio 2010 perdono la vita a una ventina chilometri da
Herat, a seguito dell'esplosione di un ordigno rudimentale (ied),
Mauro Gigli e Pierdavide De Cillis.

Il 25 luglio 2010 muore, forse suicida, un militare italiano. Si
sarebbe sparato un colpo di arma da fuoco all'interno del suo
ufficio, a Kabul.

Il 23 giugno 2010 muore a Shindand, nell'ovest dell'Afghanistan,
il caporal maggiore scelto Francesco Saverio Positano. Il
militare ha perso l'equilibrio ed caduto da un mezzo blindato,
riportando un forte trauma cranico. Apparteneva al 32esimo
Reggimento Genio, della Brigata Alpina Taurinense.

Il 17 maggio 2010, un veicolo blindato salta in aria per
l'esplosione di un ordigno nella provincia di Herat. Muoiono il
sergente Massimiliano Ramad, 33 anni, e il caporal maggiore
Luigi Pascazio, 25 anni. Le vittime appartenevano al 32esimo
reggimento Genio della brigata Taurinense.

(segue)

Coa/Sim

250846 lug 11


"Scorte, rivediamo le regole"



"Troppe auto blu" Ma lo "status symbol" è bipartisan


Quando è possibile inviare la certificazione di malattia secondo le modalità tradizionali



L'INPS,  richiamando la più recente Circolare del Dipartimento della funzione pubblica in materia, individua i casi in cui gli Uffici dovranno accettare la certificazione di malattia inviata secondo le modalità tradizionali.
Msg. 20 aprile 2011, n. 9197 dell'INPS
I.N.P.S. (Istituto nazionale della previdenza sociale)
Msg. 20-4-2011 n. 9197
Certificazione di malattia in modalità cartacea.
Emanato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale.
Msg. 20 aprile 2011, n. 9197 (1).
Certificazione di malattia in modalità cartacea.

(1) Emanato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale.


Il  processo di telematizzazione della certificazione di malattia ha raggiunto livelli di assoluta soddisfazione, sia sul piano territoriale che nel numero di certificati inviati.
Occorre tenere presente, però, che permangono alcune obiettive situazioni di tipo tecnico e/o procedurale come, ad esempio, eventi di malattia che richiedono ricovero ospedaliero o che vengono certificati da strutture di pronto soccorso o da medici privati ancora non abilitati all'invio telematico, nei quali casi la trasmissione on line della certificazione di malattia non risulta possibile.
Inoltre, come specificato nella Circ. 18 marzo 2011, n. 4/2011 del Dipartimento della Funzione pubblica e del Ministero del Lavoro, in  ogni caso in cui "il medico che non proceda all'invio online del certificato di malattia, ad esempio perché impossibilitato a utilizzare il sistema di trasmissione telematica, ma rilasci la certificazione e l'attestazione di malattia in forma cartacea, il lavoratore presenta l'attestazione al proprio datore di lavoro e, ove previsto, il certificato di malattia all'INPS, secondo le modalità tradizionali".
Alla  luce di quanto sopra esposto ed al fine di non penalizzare il lavoratore nell'esercizio dei suoi diritti, si chiede alle Strutture in indirizzo, l'obbligo da parte dell'Istituto di accettare ancora la certificazione di malattia pervenuta in formato cartaceo nei casi succitati.
Si informa, infine, che è in avvio un attento sistema di monitoraggio, completamente automatizzato che provvederà a segnalare alle Autorità competenti, al fine dell'eventuale esercizio dell'azione disciplinare, la ricezione da parte dell'INPS dei certificati cartacei, inviati da medici del SSN o con esso convenzionati.


TAR "...Il Collegio osserva, innanzitutto, che ai sensi dell'art. 3 della l. 121/1981 la Polizia di Stato è "civile" ed ha un ordinamento "speciale". Stante la specialità del suo ordinamento il personale della Polizia di stato non può essere assimilato al personale contrattualizzato dell'Amministrazione civile dell'Interno, che non appartiene al comparto  sicurezza...."


IMPIEGO PUBBLICO
T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, Sent., 09-06-2011, n. 1447
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
I ricorrenti sono funzionari della Polizia di Stato e appartengono al ruolo "direttivo" dei Commissari, con le qualifiche di Commissario Capo e Vice Questore aggiunto. I compiti istituzionali ad  essi assegnati consistono nella direzione di uffici o reparti, nonché in attività di indirizzo e coordinamento di più unità organiche nell'Ufficio cui sono assegnati; funzioni essenzialmente dirigenziali con poteri decisionali che esercitano con autonomia e responsabilità. Le  stesse norme concorsuali sull'accesso alla qualifica di Commissario richiedono una acquisita professionalità idonea ad affrontare un carico di responsabilità di tipo dirigenziale (artt. 3 e 4 del decreto legislativo n. 334/2001).
I ricorrenti denunciano una rilevante differenza retributiva rispetto ai dipendenti contrattualizzati del comparto sicurezza ingiustificati alla luce dei compiti attribuiti.
Denunciano la violazione dell'art. 23, commi 4 e 5, della legge n. 121 del 1981, nonché la violazione degli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, la violazione dell'art. 76 Cost. e l'eccesso di delega.
Resiste in giudizio l'Amministrazione intimata.
All'udienza del 19 aprile 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.Motivi della decisione
Il ricorso non merita accoglimento.
Infondati sono il primo e secondo motivo di ricorso.
Ritengono i ricorrenti che la disparità di trattamento economico che lamentano contrasterebbe con l'art. 23 della l. 1° aprile 1981 n. 121,  ove è previsto che il trattamento economico del personale appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, vada differenziato in modo da tenere conto prioritariamente delle specifiche attività istituzionali assolte dal personale che esplica funzioni di polizia rispetto a quello appartenente agli altri ruoli (comma 4) e che si applicano in quanto compatibili le norme relative agli impiegati civili dello Stato (5° comma). La discriminazione si sarebbe accentuata con l'introduzione dei parametri stipendiali ad opera del Decreto legislativo 30.5.2003 n. 193, emanato in attuazione dell'art. 7 della l. 29.3.2001 n. 86, le cui disposizioni contrasterebbero con gli artt. 3, 36 e 97 Cost.
Il Collegio osserva, innanzitutto, che ai sensi dell'art. 3 della l. 121/1981 la Polizia di Stato è "civile" ed ha un ordinamento "speciale". Stante la specialità del suo ordinamento il personale della Polizia di stato non può essere assimilato al personale contrattualizzato dell'Amministrazione civile dell'Interno, che non appartiene al comparto  sicurezza.
La specialità del regime giuridico del personale della Polizia di stato è confermata poi dal D.lgs 3 febbrario 1993 n. 29 e dall'art. 3 del D.lgs 165/2001, che ha escluso la privatizzazione, come per altre categorie di pubblici dipendenti (magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato, etc.).
I  ricorrenti, viceversa, appartengono alle qualifiche ed ai ruoli del personale delle Forze di Polizia ad ordinamento civile e in virtù di tale inquadramento sono sottoposti ad un regime economico a carattere negoziale, di cui al decreto Legislativo n. 195 del 12 maggio 1995,  emanato in attuazione dell'art. 2 della legge 6 marzo 1996, n. 216, che  riguarda il personale delle Forze di Polizia civili e militari, nonché le Forze armate, "esclusi i rispettivi dirigenti" (art. 1, comma 1, D.lgs n. 195/1995).
Per la determinazione del trattamento economico il decreto legislativo n. 195/1995 prevede che la retribuzione sia fissata con decreti del Presidente della Repubblica, a seguito di trattative negoziali con i sindacati e le  rappresentanze del personale.
Attualmente la retribuzione dei ricorrenti è stabiliti dal DPR 31.7.2007, n. 170, riguardante il quadriennio normativo 20062009 ed il primo biennio economico 20062007, nonché dal DPR integrativo 16.4.2009 n. 51.
Alla  luce di tale quadro normativo differenziato, non è fondata la doglianza  dei ricorrenti secondo cui essi sarebbero illegittimamente discriminati, sotto il profilo, economico rispetto ai dirigenti "contrattualizzati" di seconda fascia del comparto sicurezza (area I- Ministeri); senza trascurare di considerare che i ricorrenti appartengono ai ruoli "direttivi" e non all'area "dirigenziale".
La lettura dell'art. 23, comma 5, della l. 121/1981 proposta in ricorso, secondo cui il legislatore avrebbe voluto evitare discriminazioni all'interno del comparto sicurezza, anche alla luce dell'art. 45, comma 2, del d.lgs 165/2001 (che espressamente prevede che  le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi), non è condivisibile. Nessuna discriminazione infatti può ravvisarsi ove diversi sono i regimi normativi cui il Legislatore ha sottoposto le diverse categorie di personale.
Vanno ritenute  manifestamente infondate anche le censure con cui si sollevano questioni di costituzionalità della normativa concernente il trattamento  economico dei ricorrenti, con riguardo alla violazione delle norme costituzionali concernenti il principio di uguaglianza, il diritto alla retribuzione sufficiente e proporzionata alla qualità e quantità del lavoro svolto, nonchè i principi di parità di trattamento e buon andamento della pubblica amministrazione.
Ribadito,  come già sopra motivato, che i dirigenti di II Fascia del Ministero dell'Interno sono sottoposti ad una disciplina giuridica contrattuale autonoma rispetto alla disciplina speciale relativa al Comparto Sicurezza - Funzionari della Polizia di Stato,  si ritiene che la pretesa alla parità di trattamento economico fatta valere dai ricorrenti non possa trovare nella Costituzione il proprio fondamento, per la decisiva circostanza della diversità delle prestazioni lavorative che erroneamente si vorrebbero assimilare. In presenza di presupposti non identici, come già detto, non può trovare applicazione la medesima disciplina giuridica.
Nell'attuale  ordinamento la qualifica e non le mansioni costituiscono il parametro al quale è riferita la retribuzione, ed è fuor di dubbio che i ricorrenti appartengono ai ruoli "direttivi", diversi da quelli "dirigenziali". Diversamente ragionando verrebbero anche eluse le disposizioni di legge che nell'ambito delle forze armate e di polizia hanno voluto limitare ai soli dirigenti i trattamenti perequativi destinati al riequilibrio e al riallineamento delle retribuzioni del personale dirigente (vedi indennità perequativa di cui all'art. 19, comma 4, della l. 266/1999, correlata allo svolgimento di specifiche funzioni dirigenziali e alla specifica qualifica dirigenziale realmente posseduta).
Inoltre,  osta all'accoglimento delle pretese dei ricorrenti anche il principio del divieto dell'allineamento stipendiale introdotto dal combinato disposto dell'art. 2, comma 4, D.L. 11.7.1992, n.333 (convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359) e dell'art. 7, comma 7 del decreto legge 19.9.1992, n. 384, convertito nella legge 14.11.1992, n. 438).
Il  processo legislativo sviluppatosi nella materia del lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni dagli anni novanta in poi impone la sostanziale salvaguardia degli interessi finanziari dello Stato in materia di costo del personale, in funzione dell'obiettivo della stabilità dei bilanci pubblici.
In ultimo, va osservato come la specialità del personale di P.S. risulti chiaramente enunciata in:
-  Cons. Stato, sent. n. 1534 del 5 aprile 2007 - Sez. VI (che annulla T.A.R. Lazio, Sez. II, n. 4256 del 2002), secondo cui l'indennità perequativa prevista dall'art. 24 T.U. 30 marzo 2001 n. 165, e quantificata dal D.P.C.M. 3 gennaio 2001 deve essere riconosciuta, in attuazione della disciplina di cui all'art. 43 L. 1 aprile 1981 n. 121 soltanto a chi è individuato espressamente dall'art. 19, comma 4, L. 28 luglio 1999 n. 266 e svolge concretamente determinate funzioni dirigenziali, con impegno lavorativo e responsabilità connesse alla relativa professionalità (Cfr., in termini, Sez. VI 22 gennaio 2004 n. 168);
-  T.A.R. Piemonte Sez. I, sent. n. 538 del 27 febbraio 2009, secondo cui la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici appartenenti alle categorie sottratte alla privatizzazione e alla conseguente contrattualizzazione è esclusa, per espressa disposizione di  legge, dall'applicazione delle norme che si riferiscono al personale contrattualizzato; ne deriva che al personale della Polizia di Stato non è applicabile l'art. 52 comma 4 T.U. 30 marzo 2001 n. 165, che riconosce il diritto alle differenze retributive proprie della superiore  qualifica nell'ipotesi in cui il dipendente abbia temporaneamente svolto mansioni superiori per esservi stato adibito in presenza dei presupposti contemplati dal comma 2 lett. a) e b) dello stesso art. 52. (Cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. I, 9 settembre 2008 n. 1877).
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le  spese di giudizio si compensano tra le parti, considerato che trattasi di materia attinente a profili retributivi di pubblici dipendenti.P.Q.M.
Il  Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.



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FONTE [Cgil nazionali]

“ L’importanza della valutazione dei rischi: un caso di malattia professionale”, a cura del Dott. Giorgio Serafini - Direttore Servizio Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro A.S.L. TO3 - Sede di Rivoli, intervento al convegno «La centralità della Valutazione dei rischi nella prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali»