TAR febbraio 2018:
condotte di mobbing poste in essere dal datore di lavoro in persona
del Ministro dell’Interno e del Prefetto di xxx con condanna al
risarcimento dei danni patiti.
Pubblicato il
12/02/2018
N. 01636/2018
REG.PROV.COLL.
N. 02129/2007
REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
sul ricorso numero
di registro generale 2129 del 2007, proposto da:
xxx xxx,
rappresentata e difesa dagli avvocati Domenico D'xxx e xxx Vitale,
con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Cola di
Rienzo, 111;
contro
Ministero
dell'Interno, in persona del legale rappresentante p.t.,
rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Dello Stato, con
domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Prefettura - Ufficio
Territoriale del Governo di xxx non costituito in giudizio;
per l’accertamento
delle condotte di
mobbing poste in essere dal datore di lavoro in persona del Ministro
dell’Interno e del Prefetto di xxx con condanna al risarcimento dei
danni patiti.
Visti il ricorso e i
relativi allegati;
Visto l'atto di
costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie
difensive;
Visti tutti gli atti
della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2017 la dott.ssa
Francesca Romano e uditi per le parti i difensori come specificato
nel verbale;
Ritenuto e
considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso
notificato l’8 febbraio 2007 e depositato il 9 marzo 2007, la
dott.ssa xxx xxx ha adito questo Tribunale al fine di accertare la
condotta di mobbing posta in essere dal Ministero dell’Interno e
dalla Prefettura di xxx, in persona del Ministro e del Prefetto p.t.,
nei propri confronti a partire dal 2000, con conseguente condanna al
risarcimento di tutti i danni patiti.
2. La ricorrente è
Vice Prefetto presso la Prefettura di xxx, dirigente dell’Area II
nonché rappresentante sindacale del personale della carriera
prefettizia.
La dott.ssa xxx
lamenta di aver subito una serie di comportamenti vessatori da parte
dei due Prefetti di xxx avvicendatisi nell’incarico, il Prefetto
xxx (dal 2000 al 2005) ed il Prefetto xxx (in carica dal gennaio
2006).
Più in particolare,
con riguardo alle condotte del Prefetto xxx, la ricorrente riferisce
che:
a) nominata
Presidente della sottocommissione elettorale, con decreto della Corte
d’Appello di Rima del 5 luglio 2001, n. 710, è stata poi
sostituita, con nota del 29 novembre 2001 (poi recepita con decreto
del Presidente della Corte d’Appello di Roma n. 719/2001), dal
Prefetto xxx con la dott.ssa xxx che, in quanto Vice Prefetto
Aggiunto, rivestiva una qualifica inferiore;
b) nel 2003, in
occasione dell’avvio del procedimento per la rotazione degli
incarichi di funzione, il Prefetto xxx ha conferito l’Area I alla
stessa dott.ssa xxx in qualità di supplente, affidando alla
ricorrente il posto funzione di Dirigente dell’Area II, nonostante
la superiore qualifica dalla stessa rivestita;
c) inoltre,
sarebbero state altresì precluse alla ricorrente le cd. gestioni
commissariali, tant’è che l’unica gestione ad essa affidata è
stata quella del Comune di xxx nel 2005.
Con l’arrivo del
nuovo Prefetto xxx, nel 2006, la ricorrente denuncia un aggravamento
degli episodi di mobbing:
a) in data 14 aprile
2006, in occasione dello scioglimento del Consiglio comunale di xxx a
causa delle contestuali dimissioni di dodici consiglieri comunali, la
dott.ssa xxx è stata richiamata dalle ferie per l’improcrastinabile
esigenza di predisporre il decreto di sospensione che, tuttavia, è
stato poi sottoscritto dal Prefetto solo il 21 aprile 2016,
apponendovi numerose correzioni;
b) in seguito, tutti
i provvedimenti redatti dalla dott.ssa xxx sono stati puntualmente
corretti e riformulati dal Prefetto;
c) in particolare,
in data 15 maggio 2006 la ricorrente è stata incaricata di redigere,
con urgenza, un quesito da sottoporre al Ministero in relazione
all’avvenuto scioglimento del Consiglio comunale di xxx;
predisposta la nota il giorno seguente, è stata convocata dal
Prefetto che in presenza del Capo di Gabinetto la redarguiva per
l’imprecisione della nota che egli stesso aveva dovuto redigere ex
novo. In conseguenza del suddetto episodio, la ricorrente ha accusato
uno stato di malessere con diagnosi “stato ansioso reattivo”
(come da verbale Pronto Soccorso, Ospedale di xxx, del 16 maggio
2006). In seguito, si è sottoposta ad altre visite mediche
specialistiche che hanno confermato il perdurare della patologia
ansiosa depressiva che l’ha costretta a periodi di assenza dal
lavoro per malattia (come da certificati in atti);
d) nonostante varie
missive (del 20.9.2006, del 24.11.2006 e del 3.1.2007) con cui la
ricorrente lamentava la carenza di personale all’ufficio di Stato
Civile, il Prefetto non ha mai posto rimedio a tale deficit di
organico;
e) infine,
l’episodio culmine, è stato occasionato dal parere richiesto dal
Prefetto alla ricorrente per la costituzione della società
partecipata per la gestione del servizio idrico del Comune di xxx:
con lettera riservata amministrativa del 12 gennaio 2007 il Prefetto
le chiedeva di approfondire la questione dal punto di vista giuridico
in modo adeguato alla professionalità rivestita, in quanto la stessa
si sarebbe limitata a riferire, in seno al parere, il mero contenuto
della conversazione telefonica tenuta col Segretario comunale.
Con successiva nota
del 25 gennaio 2007, non essendo ancora considerati sufficienti i
chiarimenti forniti dalla ricorrente, il Prefetto le rivolgeva,
infine, un richiamo scritto per aver dovuto svolgere egli stesso gli
approfondimenti richiesti.
I fatti sopra
esposti avrebbero cagionato alla ricorrente i danni di cui chiede a
questo collegio la liquidazione, in particolare:
- il danno
patrimoniale “sia per la lesione del know how acquisito, sia per
l’inibizione dell’accrescimento e del perfezionamento
professionale”;
- il danno economico
per il mancato conferimento di incarichi che le sarebbero spettati;
- il danno morale
per i patemi d’animo sofferti a causa dei comportamenti vessatori
subiti;
- il danno biologico
ed esistenziale “per la lesione della propria dignità personale e
per la violenza morale che la ricorrente ha dovuto subire”,
danni tutti
genericamente quantificati nella somma di € 500.000.
3. Si è costituito
in giudizio, con memoria di mera forma, il resistente Ministero
dall’Interno.
4. Alla pubblica
udienza del 5 dicembre 2017, nessuno presente per le parti, la causa
è passata in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è
infondato.
La dott.ssa xxx
lamenta una serie di danni, patrimoniale, morale, biologico ed
esistenziale, conseguenti alle condotte poste in essere nei suoi
confronti dai due Prefetti succedutisi nell’arco temporale che va
dall’anno 2000 al 2007, come in fatto esposte, e che, secondo la
sua prospettazione, configurerebbero una fattispecie di mobbing.
Ai fini della
configurabilità del mobbing lavorativo, il costante orientamento del
giudice della legittimità, al quale si è uniformato l’indirizzo
uniforme della stessa giurisprudenza amministrativa, richiede che
debbano ricorrere:
“a) una serie di
comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se
considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti
in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e
prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di
un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al
potere direttivo dei primi;
b) l'evento lesivo
della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
c) il nesso
eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla
vittima nella propria integrità psico- fisica e/o nella propria
dignità;
d) l'elemento
soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i
comportamenti lesivi. (conformi 17 gennaio 2014, n. 898 e 17 febbraio
2009, n. 3785).
Ne consegue che il
fenomeno del mobbing, per assumere giuridica rilevanza, implica
l'esistenza di plurimi elementi, la cui prova compete al prestatore
di lavoro, di natura sia oggettiva che soggettiva e, fra questi,
l'emergere di un intento di persecuzione, che non solo deve assistere
le singole condotte poste in essere in pregiudizio del dipendente, ma
anche comprenderle in un disegno comune e unitario, quale tratto che
qualifica la peculiarità del fenomeno sociale e giustifica la tutela
della vittima” (così, ex multis, Cass Civ., sez. lavoro, 15
febbraio 2016, n. 2920).
Alla stessa stregua,
ribadendo i medesimi principi anche per il mobbing nel pubblico
impiego, il Consiglio di Stato ha affermato che:
- la sussistenza di
condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall'accertamento di
precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio
l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più
provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di
provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla
dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore
pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito che è
imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing (Cons. Stato,
Sez. III, 14 maggio 2015 n. 2412).
- conseguentemente
un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione
del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli,
sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante (Cons.
Stato Sez. VI, 16 aprile 2015 n. 1945).
2. Facendo
applicazione dei suesposti principi al caso di specie, è sufficiente
osservare che il comportamento mobbizzante ascrivibile all'ente
datoriale non può essere ravvisato nel conferimento di un’area
dirigenziale anziché di un’altra ovvero nel mancato conferimento
di gestioni commissariali, né ancor di più nella correzione di
provvedimenti da parte dell’organo competente, infine, ad emanarli.
Le vicende indicate
dalla ricorrente appaiono riflettere, infatti, ordinarie dinamiche
lavorative e sembrano correlarsi a problematiche organizzative nonché
all’esercizio dei legittimi poteri discrezionali da parte
dell’Autorità.
E ciò vale sia per
il conferimento di uffici ed incarichi sia soprattutto per la
correzione di provvedimenti per i quali è stata richiesta una previa
istruttoria e redazione da parte del Vice Prefetto e che il Prefetto,
ove non reputati sufficientemente istruiti, del tutto legittimamente
era in potere di revisionare e correggere, trattandosi di atti che
egli stesso avrebbe poi dovuto emanare apponendovi la propria firma.
La domanda
risarcitoria, spiegata nel presente giudizio, risulta dunque del
tutto infondata per mancanza di prova, da parte della ricorrente,
dell’intento persecutorio che dovrebbe avvincere, in un complessivo
ed unitario disegno, le condotte poste in essere da due diversi
Prefetti che si sono avvicendati nell’incarico presso la sede di
xxx, di tal che, anche a prescindere dalla effettiva rilevanza, sotto
il profilo del danno biologico, della lamentata patologia e del nesso
eziologico con i riferiti comportamenti, manca nella specie la stessa
condotta illecita ascrivibile all'ente datoriale.
Del tutto generica,
infine, è la prospettazione, al di fuori dell’allegazione delle
certificazioni mediche relative al periodo da maggio 2006 a settembre
2006 attestanti uno stato ansioso depressivo, dei danni patrimoniale,
economico, morale ed esistenziale lamentati.
3. In conclusione,
per le motivazioni svolte, il ricorso deve essere respinto perché
infondato.
4. Si ravvisano,
anche in considerazione della difesa meramente formale della
resistente amministrazione, giustificati motivi per compensare
integralmente tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma
nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2017 con l'intervento
dei magistrati:
Germana
Panzironi, Presidente
Rita
Tricarico, Consigliere
Francesca
Romano, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL
PRESIDENTE
Francesca
Romano Germana Panzironi
IL SEGRETARIO
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