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mercoledì 11 luglio 2018
N. 141 SENTENZA 21 marzo - 5 luglio 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Contestazione in dibattimento di una circostanza aggravante gia' risultante dagli atti di indagine - Sospensione del procedimento con messa alla prova in relazione alla nuova contestazione. - Codice di procedura penale, art. 517. - (GU n.28 del 11-7-2018 )
N. 141 SENTENZA 21 marzo - 5 luglio 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Processo penale - Contestazione in dibattimento di una circostanza
aggravante gia' risultante dagli atti di indagine - Sospensione del
procedimento con messa alla prova in relazione alla nuova
contestazione.
- Codice di procedura penale, art. 517.
-
(GU n.28 del 11-7-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Franco MODUGNO, Augusto
Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco
VIGANO',
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 517 del
codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di
Salerno, nel procedimento a carico di M. A., con ordinanza del 24
marzo 2016, iscritta al n. 40 del registro ordinanze 2017 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima
serie speciale, dell'anno 2017.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 21 marzo 2018 il Giudice
relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto in fatto
1.- Il Tribunale ordinario di Salerno, in composizione
monocratica, con ordinanza del 24 marzo 2016 (r.o. n. 40 del 2017),
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 517 del codice di
procedura penale, «nella parte in cui non prevede che, contestata nel
corso del giudizio dibattimentale una circostanza aggravante fondata
su elementi gia' risultanti dagli atti di indagine, l'imputato abbia
facolta' di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla
prova [ai] sensi degli artt. 168 bis c.p. e 464 bis e ss. c.p.p.
relativamente al reato oggetto della nuova contestazione».
Il Tribunale rimettente riferisce che il Giudice per le indagini
preliminari dello stesso Tribunale aveva emesso nei confronti
dell'imputato un decreto penale di condanna «in data 12/13.2.2014»
per il «reato p. e p. dall'art. 186 comma 2 lettera b) e comma
2-sexies del Codice della Strada, perche' guidava alle ore 03.30
circa del giorno 01.05.2013 l'autovettura [...] in stato di ebbrezza
alcolica», e che contro tale decreto, il 18 marzo 2014, era stata
proposta opposizione con la richiesta dell'applicazione della pena,
ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., nella misura di quattordici
giorni di arresto e 600,00 euro di ammenda, da sostituirsi con quella
del lavoro di pubblica utilita', ai sensi dell'art. 186, comma 9-bis,
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada).
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di
Salerno aveva rigettato la richiesta di applicazione della pena
perche' dall'esame degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico
ministero era emerso che l'imputato aveva provocato un incidente
stradale con feriti, con la conseguente configurabilita'
dell'aggravante dell'art. 186, comma 2-bis, d.lgs. n. 285 del 1992,
ostativa all'applicazione della sostituzione della pena con il lavoro
di pubblica utilita'.
Nell'udienza camerale del 20 novembre 2014, fissata «per la
delibazione dell'istanza di patteggiamento», il difensore
dell'imputato, munito di procura speciale, aveva presentato una
richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, ai
sensi dell'art. 168-bis del codice penale, ma il Giudice per le
indagini preliminari, dopo la pronuncia di rigetto della richiesta di
patteggiamento, aveva rimesso ogni ulteriore determinazione sulla
nuova richiesta al «primo giudice (quello che aveva emesso il decreto
penale)», il quale, a sua volta, aveva dichiarato «non luogo a
provvedere» e rimesso la decisione al giudice del dibattimento,
emettendo il decreto di giudizio immediato.
Nell'udienza dibattimentale del 28 ottobre 2015, dopo la
costituzione delle parti, il difensore dell'imputato, assente ai
sensi dell'art. 420-bis cod. proc. pen., aveva nuovamente chiesto la
sospensione del procedimento con messa alla prova e il giudice a quo,
preso atto del parere favorevole del pubblico ministero, si era
riservato di decidere, disponendo, nell'udienza del 19 novembre 2015,
l'acquisizione di ulteriore documentazione per «completare il quadro
informativo necessario alla delibazione della questione».
Nell'udienza del 25 novembre 2015, il pubblico ministero aveva
contestato all'imputato assente l'aggravante prevista dall'art. 186,
comma 2-bis, d.lgs. n. 285 del 1992 e il difensore aveva reiterato la
richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.
In un'udienza successiva, fissata per la decisione su tale
richiesta, il Tribunale ha sollevato le questioni di legittimita'
costituzionale sopra indicate.
Il giudice a quo ha ricordato che, a norma dell'art. 464-bis,
comma 2, cod. proc. pen., nel procedimento per decreto la richiesta
di sospensione del procedimento con messa alla prova deve essere
presentata con l'atto di opposizione e che nella specie cio' non era
avvenuto perche' l'opposizione era stata anteriore all'emanazione
della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di
pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio.
Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa
alla prova e nei confronti degli irreperibili), che aveva introdotto
il nuovo istituto. Poi nel dibattimento, tardivamente, perche' gia'
risultava dagli atti delle indagini, era stata contestata
all'imputato, a norma dell'art. 517 cod. proc. pen., la circostanza
aggravante prevista dall'art. 186, comma 2-bis, d.lgs. n. 285 del
1992, e, secondo il giudice a quo, la nuova contestazione avrebbe
dovuto consentire all'imputato di chiedere la messa alla prova, cosi'
come gli consentiva di chiedere il patteggiamento e il giudizio
abbreviato.
Ad avviso del Tribunale rimettente, l'art. 517 cod. proc. pen.,
prevedendo «la contestazione della circostanza aggravante c.d.
tardiva», senza dare all'imputato la possibilita' di chiedere la
messa alla prova, contrasterebbe con gli artt. 3 e 24 Cost., e le
relative questioni di legittimita' costituzionale sarebbero
rilevanti, dato che non sussisterebbero ragioni per negare la messa
alla prova.
La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 240 del 2015,
avrebbe rilevato che il nuovo istituto ha effetti sostanziali ma e'
connotato da un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste
in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio e
destinato ad avere un rilevante effetto deflattivo.
In considerazione dei suoi effetti premiali, la possibilita' di
accedere a tale procedimento costituirebbe un'estrinsecazione del
diritto di difesa garantito dall'art. 24, secondo comma, Cost.
Il Tribunale rimettente ricorda che, con la sentenza n. 184 del
2014, la Corte costituzionale ha gia' riconosciuto all'imputato il
diritto di chiedere il procedimento speciale previsto dagli artt. 444
e seguenti cod. proc. pen. nel caso in cui il pubblico ministero
opera una modificazione dell'imputazione contestando una circostanza
aggravante gia' risultante dagli atti di indagine, e ha ritenuto che
l'opzione per un rito di carattere premiale costituisce una
declinazione del diritto di difesa.
Dopo aver richiamato altre pronunce di questa Corte relative agli
artt. 516 e 517 cod. proc. pen., il giudice a quo ha osservato che
con esse la Corte ha rilevato «il pregiudizio del diritto di difesa,
connesso all'impossibilita' di rivalutare la convenienza del rito
alternativo in presenza di una variazione sostanziale
dell'imputazione, intesa ad emendare precedenti errori od omissioni
del pubblico ministero nell'apprezzamento dei risultati delle
indagini preliminari», e ha stigmatizzato la violazione del principio
di eguaglianza «correlata alla discriminazione cui l'imputato si
trova esposto a seconda della maggiore o minore esattezza e
completezza di quell'apprezzamento».
Nel caso in esame la situazione processuale sarebbe assimilabile
a quelle esaminate dalla Corte con le pronunce richiamate, e non
sarebbe possibile, a fronte del disposto dell'art. 517 cod. proc.
pen. e dell'art. 464-bis cod. proc. pen., procedere ad
interpretazioni volte ad adeguare le chiare previsioni normative ai
principi costituzionali.
2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili e
comunque non fondate.
L'Avvocatura dello Stato ha ricordato che la richiesta di
sospensione del procedimento avrebbe dovuto essere contenuta
nell'atto di opposizione, ai sensi dell'art. 464-bis cod. proc. pen.,
ma che in quel momento non era possibile presentarla perche' la legge
che ha dato vita al nuovo istituto non era ancora stata emanata.
D'altro canto la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 240
del 2015, ha ritenuto che, in mancanza di una disciplina transitoria,
rimane preclusa la messa alla prova nei procedimenti in cui al
momento dell'entrata in vigore della legge n. 67 del 2014 era gia'
stata superata la fase processuale nella quale la richiesta sarebbe
stata proponibile.
Ne discenderebbe che la reiterazione della richiesta «al momento
dell'apertura del dibattimento non avrebbe potuto avere corso» e
dunque che le questioni non sarebbero rilevanti, non potendo la
decisione della Corte incidere sul giudizio a quo. Ne' inciderebbe
sulla rilevanza delle questioni il fatto che l'imputazione era stata
modificata.
Secondo l'Avvocatura dello Stato, «la contravvenzione oggetto del
procedimento, sia nella forma originariamente contestata, che in
quella derivante dalla modifica, avrebbe in ipotesi consentito
l'accesso al rito speciale, se non gia' precluso dalla scansione
temporale evidenziata nell'ordinanza di rimessione», e quindi non ci
si troverebbe in presenza di una situazione come quelle oggetto delle
decisioni di questa Corte richiamate dal Tribunale rimettente, in
cui, per l'errore del pubblico ministero che non aveva a suo tempo
effettuato una contestazione conforme agli elementi gia' acquisiti,
l'imputato aveva subito un pregiudizio, non avendo chiesto, come
avrebbe potuto fare, il procedimento speciale.
Nel caso in questione l'imputato al momento dell'opposizione non
avrebbe potuto chiedere la messa alla prova, e di conseguenza anche
in seguito la richiesta gli era preclusa, sicche' la mancata
contestazione dell'aggravante non gli aveva arrecato alcun
pregiudizio.
In conclusione, secondo l'Avvocatura dello Stato, «[n]ella
fattispecie si puo' adeguatamente sostenere che la modificazione
tardiva dell'imputazione, mediante contestazione della circostanza
aggravante di cui all'art. 186 comma 2-bis del codice della strada,
gia' emergente in fase di indagine, e' inidonea a determinare una
variazione sostanziale ai fini della rivalutazione difensiva per
l'accesso al rito alternativo. E cio' perche' si tratta di variazione
non incidente sulle condizioni di ammissibilita' stabilite dai commi
1 e 5 dell'art. 168-bis c.p., senza dunque che sia prospettabile
alcuna violazione dei diritti difensivi, in un contesto in cui
l'accesso al rito alternativo e' precluso in mancanza di disciplina
transitoria della legge n. 67/2014».
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Salerno, in composizione
monocratica, con ordinanza del 24 marzo 2016 (r.o. n. 40 del 2017),
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 517 del codice di
procedura penale, «nella parte in cui non prevede che, contestata nel
corso del giudizio dibattimentale una circostanza aggravante fondata
su elementi gia' risultanti dagli atti di indagine, l'imputato abbia
facolta' di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla
prova [ai] sensi degli artt. 168 bis c.p. e 464 bis e ss. c.p.p.
relativamente al reato oggetto della nuova contestazione».
Il Tribunale rimettente procede in seguito all'opposizione a un
decreto penale di condanna e la richiesta di sospensione del
procedimento con messa alla prova non era stata formulata con l'atto
di opposizione perche' in quel momento la legge che ha introdotto il
nuovo procedimento speciale non era ancora stata emanata.
Con il decreto penale di condanna era stato contestato
all'imputato «il reato p. e p. dall'art. 186 comma 2 lettera b) e
comma 2-sexies del Codice della Strada perche' guidava [...]
l'autovettura [...] in stato di ebbrezza», e in udienza, prima ancora
dell'apertura del dibattimento, il pubblico ministero, a norma
dell'art. 517 cod. proc. pen., aveva integrato la contestazione con
l'aggravante dell'art. 186, comma 2-bis, del decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), perche' l'imputato
aveva provocato un incidente stradale con feriti. Questa circostanza
precludeva la sostituzione della pena dell'arresto e dell'ammenda con
quella del lavoro di pubblica utilita', ai sensi dell'art. 186, comma
9-bis, d.lgs. n. 285 del 1992.
Secondo il giudice a quo la nuova contestazione avrebbe dovuto
consentire all'imputato di chiedere la messa alla prova, cosi' come
gli consentiva di chiedere il patteggiamento e il giudizio
abbreviato.
Ad avviso del Tribunale rimettente, la norma censurata viola
l'art. 3 Cost., per la discriminazione cui l'imputato si trova
esposto «a seconda della maggiore o minore esattezza e completezza»
dell'apprezzamento dei risultati delle indagini preliminari da parte
del pubblico ministero. Inoltre sarebbe violato l'art. 24 Cost.,
perche' di fronte a «evenienze patologiche che immutano in modo
sostanziale la situazione fattuale-processuale originariamente
prospettatasi all'imputato e al suo difensore» risulterebbe «lesivo
del diritto di difesa dell'imputato precludere l'accesso ai riti
speciali».
2.- L'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito
l'inammissibilita' delle questioni per difetto di rilevanza,
osservando che non era stato possibile presentare la richiesta di
messa alla prova con l'atto di opposizione, come vuole l'art.
464-bis, comma 2, cod. proc. pen., perche' la legge all'origine del
nuovo istituto non era stata ancora emanata, e che quindi, in
mancanza di una norma transitoria in tal senso, questa richiesta non
avrebbe potuto essere presentata successivamente, nonostante
l'avvenuta modificazione dell'imputazione e la sua "tardivita'".
Percio' un'eventuale pronuncia di illegittimita' costituzionale non
sarebbe in grado di determinare l'accoglimento della richiesta di
messa alla prova.
L'eccezione e' infondata.
Secondo il giudice rimettente, non consentire all'imputato di
chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, dopo
che il pubblico ministero gli ha contestato una nuova circostanza
aggravante, da' luogo a una lesione del diritto di difesa e a una
violazione dell'art. 3 Cost., ed e' per questa ragione che egli ha
chiesto una pronuncia di illegittimita' costituzionale dell'art. 517
cod. proc. pen. volta a consentire all'imputato di presentare tale
richiesta al giudice del dibattimento, indipendentemente dalle
ragioni per le quali non era stata presentata in precedenza.
Tanto basta per rendere rilevanti le questioni, mentre attiene
alla valutazione sulla loro fondatezza stabilire se il giudice puo'
accogliere la richiesta di messa alla prova, benche' non sia stato
possibile presentarla al momento dell'opposizione al decreto penale
di condanna.
3.- Le questioni, oltre che ammissibili, sono fondate.
3.1.- L'istituto della messa alla prova, introdotto con gli artt.
168-bis, 168-ter e 168-quater del codice penale, «ha effetti
sostanziali, perche' da' luogo all'estinzione del reato, ma e'
connotato da un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste
in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio, nel corso
del quale il giudice decide con ordinanza sulla richiesta di
sospensione del procedimento con messa alla prova» (sentenza n. 240
del 2015).
L'art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen. stabilisce i termini
entro i quali, a pena di decadenza, l'imputato puo' formulare la
richiesta di messa alla prova. Sono termini diversi, articolati
secondo le sequenze procedimentali dei vari riti, e la loro
disciplina e' «collegat[a] alle caratteristiche e alla funzione
dell'istituto, che e' alternativo al giudizio ed e' destinato ad
avere un rilevante effetto deflattivo» (sentenza n. 240 del 2015).
Come negli altri riti, anche nel procedimento per decreto la
mancata presentazione della richiesta nel termine stabilito dall'art.
464-bis, comma 2, cod. proc. pen., e cioe' con l'atto di opposizione,
determina una decadenza, sicche', nel giudizio conseguente
all'opposizione, l'imputato che prima non l'abbia chiesta non puo'
piu' chiedere la messa alla prova (sentenza n. 201 del 2016).
Nel caso in esame, come si e' visto, l'imputato, al momento
dell'emanazione della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo
in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema
sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del
procedimento con messa alla prova e nei confronti degli
irreperibili), priva di normativa transitoria, non era piu' in
termini per richiedere la sospensione del procedimento con messa alla
prova, ma la contestazione, da parte del pubblico ministero,
dell'aggravante di cui all'art. 186, comma 2-bis, d.lgs. n. 285 del
1992 ha indotto il giudice a ritenere che, in presenza della nuova
situazione accusatoria, impedire all'imputato di chiedere la messa
alla prova costituisca una lesione delle sue facolta' difensive e sia
in contrasto con l'art. 3 Cost.
Il giudice rimettente si duole, piu' specificamente, della
mancata previsione della facolta' di accesso al nuovo rito speciale
della sospensione del procedimento con messa alla prova, in presenza
di una contestazione suppletiva cosiddetta "tardiva" o "patologica"
di una circostanza aggravante, cioe' di una contestazione basata non
sulle nuove risultanze dell'istruzione dibattimentale, ma su elementi
che gia' emergevano dagli atti di indagine al momento dell'esercizio
dell'azione penale.
Occorre dunque verificare nuovamente la legittimita' della
preclusione per l'imputato di un rito alternativo a contenuto
premiale nonostante la sopravvenienza di nuove contestazioni
dibattimentali, posto che non puo' non valere anche per il nuovo
procedimento speciale della messa alla prova il complesso dei
principi enucleati al riguardo da questa Corte per gli altri riti
alternativi.
3.2.- La giurisprudenza costituzionale sulla facolta'
dell'imputato di chiedere il patteggiamento o il giudizio abbreviato
dopo nuove contestazioni a norma degli artt. 516 e 517 cod. proc.
pen. e' andata evolvendo nel tempo in modo significativo.
In una prima fase, relativa agli anni immediatamente successivi
all'entrata in vigore del codice di rito, questa Corte ha ritenuto
infondate le questioni di legittimita' costituzionale aventi ad
oggetto le norme sulle nuove contestazioni e ha escluso ogni
possibilita' di superare l'ordinario limite processuale fissato per
la richiesta dei riti alternativi.
Esaminando le questioni sollevate, con riferimento, ora al
giudizio abbreviato, ora al patteggiamento, la Corte ha ritenuto
infondato il dubbio di legittimita' costituzionale in parola,
rilevando - sulla scia di quanto gia' affermato in rapporto alla
norma transitoria dell'art. 247 del decreto legislativo 28 luglio
1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del
codice di procedura penale) (sentenza n. 277 del 1990; ordinanze n.
477 e n. 361 del 1990) - che l'interesse dell'imputato a beneficiare
dei vantaggi che discendono dall'instaurazione di tali riti speciali
trova tutela «solo in quanto la sua condotta consenta l'effettiva
adozione di una sequenza procedimentale, che, evitando il
dibattimento», permetta di raggiungere «quell'obiettivo di rapida
definizione del processo» che il legislatore ha inteso perseguire
attraverso l'introduzione dei riti speciali (sentenza n. 593 del
1990, relativa ad una richiesta di giudizio abbreviato; nello stesso
senso, sentenza n. 316 del 1992, relativa ad una richiesta di rito
abbreviato; sentenza n. 129 del 1993, relativa ad una richiesta di
patteggiamento; ordinanza n. 107 del 1993, relativa ad una richiesta
di giudizio abbreviato; ordinanza n. 213 del 1992, relativa ad una
richiesta di patteggiamento). Di conseguenza si e' ritenuto che se
per l'inerzia dell'imputato (che ha omesso di richiedere
tempestivamente il rito alternativo) tale scopo non puo' piu' essere
pienamente raggiunto, essendosi ormai pervenuti al dibattimento,
sarebbe del tutto irrazionale procedere egualmente con il rito
speciale in base alle contingenti valutazioni dell'imputato (sentenze
n. 316 del 1992 e n. 593 del 1990; ordinanze n. 107 del 1993 e n. 213
del 1992).
Si e' anche affermato che «[n]ell'ipotesi [...] di reato
concorrente - ma analoghe considerazioni valgono in quelle di
modifica dell'imputazione (art. 516) e di circostanza aggravante -
l'esclusione di tale possibilita' e' giustificata dal rilievo che la
contestazione e' evenienza, per un verso, non infrequente in un
sistema processuale imperniato sulla formazione della prova in
dibattimento (cfr. ordinanza n. 213 del 1992), e ben prevedibile,
dato lo stretto rapporto intercorrente tra l'imputazione originaria e
il reato connesso» e che «il relativo rischio rientra naturalmente
nel calcolo in base al quale l'imputato si determina a chiedere o
meno tale rito, onde egli non ha che da addebitare a se medesimo le
conseguenze della propria scelta» (sentenza n. 316 del 1992; in senso
analogo, sentenza n. 129 del 1993; ordinanze n. 107 del 1993 e n. 213
del 1992).
Successivamente pero' la giurisprudenza costituzionale e' andata
gradualmente evolvendo, e, gia' con la sentenza n. 265 del 1994, sono
stati dichiarati costituzionalmente illegittimi gli artt. 516 e 517
cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedevano la facolta'
dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento
l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen.,
relativamente al fatto diverso o al reato concorrente quando questo
ha formato oggetto di contestazione "tardiva".
Nella ricordata pronuncia, questa Corte ha rilevato che le
valutazioni dell'imputato circa la convenienza del rito alternativo
vengono a dipendere anzitutto dalla concreta impostazione data al
processo dal pubblico ministero; sicche', «quando, in presenza di una
evenienza patologica del procedimento, quale e' quella derivante
dall'errore sulla individuazione del fatto e del titolo del reato in
cui e' incorso il pubblico ministero, l'imputazione subisce una
variazione sostanziale, risulta lesivo del diritto di difesa
precludere all'imputato l'accesso ai riti speciali». In questo caso,
secondo la Corte, e' violato anche il principio di eguaglianza,
«venendo l'imputato irragionevolmente discriminato, ai fini
dell'accesso ai procedimenti speciali, in dipendenza della maggiore o
minore esattezza o completezza della discrezionale valutazione delle
risultanze delle indagini preliminari operata dal pubblico ministero.
3.3.- Alle stesse conclusioni, con la sentenza n. 184 del 2014,
questa Corte e' giunta nel caso, analogo a quello in questione, della
contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, rilevando che
la motivazione della sentenza n. 265 del 1994 poteva riferirsi anche
alla contestazione "tardiva" di una o piu' circostanze aggravanti, in
quanto «anche la trasformazione dell'originaria imputazione in
un'ipotesi circostanziata (o pluricircostanziata) determina un
significativo mutamento del quadro processuale». Le circostanze
aggravanti possono, infatti, incidere in modo rilevante «sull'entita'
della sanzione» - tanto piu' quando si tratti di circostanze ad
effetto speciale - e talvolta «sullo stesso regime di procedibilita'
del reato, o, ancora, sull'applicabilita' di alcune sanzioni
sostitutive», come nel caso oggetto del giudizio a quo (sentenza n.
184 del 2014).
L'imputato che si vede contestare in dibattimento una circostanza
aggravante gia' risultante dagli atti di indagine si trova in una
situazione non dissimile da quella del destinatario della
contestazione "tardiva" di un fatto diverso, «evenienza che in
realta' potrebbe costituire per l'imputato anche un pregiudizio
minore». Sicche', secondo questa Corte, una volta divenuta
ammissibile la richiesta di "patteggiamento" nel caso di
modificazione dell'imputazione a norma dell'art. 516 cod. proc. pen.,
la preclusione di essa nel caso di contestazione di una nuova
circostanza aggravante, ai sensi dell'art. 517 cod. proc. pen.,
sarebbe causa di ingiustificate disparita' di trattamento (sentenza
n. 184 del 2014).
Per le stesse ragioni, con la sentenza n. 139 del 2015, questa
Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 517
cod. proc. pen., nella parte in cui, nel caso di contestazione di una
circostanza aggravante che gia' risultava dagli atti di indagine al
momento dell'esercizio dell'azione penale, non prevedeva la facolta'
dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio
abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione.
4.- Con le decisioni ricordate, questa Corte «ha accomunato le
fattispecie regolate dagli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. "in
analoghe declaratorie di illegittimita' costituzionale inerenti alle
contestazioni dibattimentali cosiddette 'tardive' o 'patologiche',
relative, cioe', a fatti che gia' risultavano dagli atti di indagine
al momento dell'esercizio dell'azione penale" (sentenza n. 273 del
2014)» (sentenza n. 206 del 2017), ma nella successiva evoluzione
giurisprudenziale questo requisito e' stato superato e la Corte con
tre sentenze piu' recenti ha riconosciuto all'imputato la facolta' di
accedere ai riti alternativi del patteggiamento e del giudizio
abbreviato anche in seguito a nuove contestazioni "fisiologiche",
collegate cioe' non a elementi acquisiti nel corso delle indagini ma
alle risultanze dell'istruzione dibattimentale.
Cosi', con la sentenza n. 237 del 2012 e' stato dichiarato
costituzionalmente illegittimo, per violazione del principio di
eguaglianza e del diritto di difesa (artt. 3 e 24, secondo comma,
Cost.), l'art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva
la facolta' dell'imputato di chiedere al giudice del dibattimento il
giudizio abbreviato per il reato concorrente, emerso nel corso
dell'istruzione dibattimentale. Con la sentenza n. 273 del 2014 e'
stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 516 cod.
proc. pen., nella parte in cui non prevedeva la facolta'
dell'imputato di chiedere al giudice del dibattimento il giudizio
abbreviato per il fatto diverso, emerso nel corso dell'istruzione
dibattimentale. Con la sentenza n. 206 del 2017 e' stata dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 516 cod. proc. pen., nella
parte in cui non prevedeva la facolta' dell'imputato di chiedere al
giudice del dibattimento l'applicazione della pena, a norma dell'art.
444 cod. proc. pen., per il fatto diverso emerso nel corso
dell'istruzione dibattimentale.
Nelle tre ricordate pronunce questa Corte ha precisato che in
seguito alla contestazione, ancorche' "fisiologica", del fatto
diverso o di un reato concorrente «l'imputato che subisce la nuova
contestazione "viene a trovarsi in posizione diversa e deteriore -
quanto alla facolta' di accesso ai riti alternativi e alla fruizione
della correlata diminuzione di pena - rispetto a chi, della stessa
imputazione, fosse stato chiamato a rispondere sin dall'inizio".
Infatti, "condizione primaria per l'esercizio del diritto di difesa
e' che l'imputato abbia ben chiari i termini dell'accusa mossa nei
suoi confronti" [...] (sentenza n. 237 del 2012)» (sentenze n. 273
del 2014 e n. 206 del 2017).
Si e' percio' ritenuto che, sia quando all'accusa originaria ne
viene aggiunta una connessa, sia anche quando l'accusa e' modificata
nei suoi aspetti essenziali, «non possono non essere restituiti
all'imputato termini e condizioni per esprimere le proprie opzioni»
(sentenza n. 237 del 2012) e richiedere il giudizio abbreviato.
Analoga affermazione e' stata fatta per il "patteggiamento",
procedimento in cui la valutazione dell'imputato e' indissolubilmente
legata, «"ancor piu' che nel giudizio abbreviato, alla natura
dell'addebito, trattandosi non solo di avviare una procedura che
permette di definire il merito del processo al di fuori e prima del
dibattimento, ma di determinare lo stesso contenuto della decisione,
il che non puo' avvenire se non in riferimento a una ben individuata
fattispecie penale" (sentenza n. 265 del 1994)» (sentenza n. 206 del
2017). Sicche', anche rispetto al patteggiamento, quando l'accusa e'
modificata nei suoi aspetti essenziali, «"non possono non essere
restituiti all'imputato termini e condizioni per esprimere le proprie
opzioni" (sentenza n. 237 del 2012)» (sentenza n. 273 del 2014).
Questa Corte ha aggiunto che la modificazione dell'imputazione,
oltre ad alterare in modo significativo la fisionomia fattuale del
tema d'accusa, puo' avere riflessi di rilievo sull'entita' della pena
irrogabile e, di conseguenza, sull'incidenza quantitativa
dell'effetto premiale connesso al rito speciale.
Sono stati considerati non decisivi in senso contrario gli
argomenti fatti valere in passato, relativi, da un lato, alla
necessaria correlazione, nei procedimenti speciali, tra premialita' e
deflazione processuale e, dall'altro, all'assunzione, da parte
dell'imputato (che non abbia tempestivamente chiesto il rito
alternativo), del rischio della modificazione dell'imputazione per
effetto di sopravvenienze. Questa Corte ha rilevato che l'accesso al
rito alternativo dopo l'inizio del dibattimento rimane comunque
idoneo a produrre un'economia processuale, anche se attenuata, e che
in ogni caso le ragioni della deflazione processuale debbono recedere
di fronte ai principi posti dagli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost.,
perche' «l'esigenza della "corrispettivita'" fra riduzione di pena e
deflazione processuale non puo' prendere il sopravvento sul principio
di eguaglianza ne' tantomeno sul diritto di difesa» (sentenza n. 237
del 2012).
5.- In un quadro complessivo di principi, quale quello che, come
e' stato ricordato, si e' andato delineando in modo sempre piu'
nitido attraverso l'evoluzione giurisprudenziale, e' chiaro che, nel
caso di contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, non
prevedere nell'art. 517 cod. proc. pen. la facolta' per l'imputato di
chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova si
risolve, come e' stato ritenuto per il patteggiamento e per il
giudizio abbreviato, in una violazione degli artt. 3 e 24 Cost.
La richiesta dei riti alternativi infatti «costituisce [...] una
modalita', tra le piu' qualificanti (sentenza n. 148 del 2004), di
esercizio del diritto di difesa (ex plurimis, sentenze n. 219 del
2004, n. 70 del 1996, n. 497 del 1995 e n. 76 del 1993)» (sentenza n.
237 del 2012), e si determinerebbe una situazione in contrasto con il
principio posto dall'art. 3 Cost. se nella medesima situazione
processuale fosse regolata diversamente la facolta' di chiederli.
Ne' rileva la circostanza, dedotta dall'Avvocatura dello Stato,
che, nel momento processuale in cui nel procedimento a quo avrebbe
dovuto essere presentata la richiesta, la legge n. 67 del 2014 non
era ancora stata emanata. Infatti per valutare l'ammissibilita' della
richiesta non e' a quel momento che occorre fare riferimento, ma al
momento in cui e' avvenuta la contestazione suppletiva, dato che,
come si e' visto, il riconoscimento della facolta' di chiedere il
rito speciale non deve piu' ritenersi condizionato dalla "tardivita'"
della contestazione.
Se si dovesse riconoscere tale facolta' solo nel caso in cui gli
elementi alla base della contestazione suppletiva erano gia' presenti
al momento in cui la richiesta avrebbe dovuto essere presentata, la
sua ammissibilita' in seguito a tale contestazione costituirebbe il
recupero di una facolta' difensiva non potuta esercitare a suo tempo
per l'errore compiuto dal pubblico ministero, e quindi si potrebbe
argomentare che non esistendo all'epoca quella facolta' nessun
recupero sarebbe configurabile. Se pero', come ha riconosciuto questa
Corte con la piu' recente giurisprudenza, la facolta' di chiedere un
rito speciale deve riconoscersi all'imputato anche quando la
contestazione suppletiva e' determinata, come del resto dovrebbe
normalmente avvenire, da una sopravvenienza dibattimentale, allora e'
nella sopravvenienza, e soprattutto nella correlativa contestazione
suppletiva, che trova fondamento la facolta' di chiedere un rito
speciale.
Il dato rilevante insomma e' la sopravvenienza di una
contestazione suppletiva, quali che siano gli elementi che l'hanno
giustificata, esistenti fin dalle indagini o acquisiti nel corso del
dibattimento, ed e' ad essa che deve ricollegarsi la facolta'
dell'imputato di chiedere un rito alternativo, indipendentemente
dalla ragione per cui la richiesta in precedenza e' mancata.
E' nel diritto di difesa che la "nuova" facolta' trova il suo
fondamento, perche', se, come si e' ricordato, la richiesta dei riti
alternativi costituisce una modalita', tra le piu' qualificanti, di
esercizio di tale diritto, occorre allora che la relativa facolta'
sia collegata anche all'imputazione che, per effetto della
contestazione suppletiva, deve effettivamente formare oggetto del
giudizio.
6.- In conclusione, per il contrasto con gli artt. 3 e 24,
secondo comma, Cost., l'art. 517 cod. proc. pen. va dichiarato
costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui, in seguito alla
nuova contestazione di una circostanza aggravante, non prevede la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la
sospensione del procedimento con messa alla prova.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 517 del codice
di procedura penale, nella parte in cui, in seguito alla nuova
contestazione di una circostanza aggravante, non prevede la facolta'
dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la
sospensione del procedimento con messa alla prova.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
e Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 luglio 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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