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mercoledì 11 luglio 2018

N. 141 SENTENZA 21 marzo - 5 luglio 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Contestazione in dibattimento di una circostanza aggravante gia' risultante dagli atti di indagine - Sospensione del procedimento con messa alla prova in relazione alla nuova contestazione. - Codice di procedura penale, art. 517. - (GU n.28 del 11-7-2018 )



N. 141 SENTENZA 21 marzo - 5 luglio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo penale - Contestazione in dibattimento  di  una  circostanza
  aggravante gia' risultante dagli atti di indagine - Sospensione del
  procedimento  con  messa  alla  prova  in  relazione   alla   nuova
  contestazione.
- Codice di procedura penale, art. 517.


(GU n.28 del 11-7-2018 )

 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO',

     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  517  del
codice di procedura  penale,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Salerno, nel procedimento a carico di M. A.,  con  ordinanza  del  24
marzo  2016,  iscritta  al  n.  40  del  registro  ordinanze  2017  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  13,  prima
serie speciale, dell'anno 2017.
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nella camera di consiglio del  21  marzo  2018  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi.

                          Ritenuto in fatto

    1.-  Il  Tribunale  ordinario   di   Salerno,   in   composizione
monocratica, con ordinanza del 24 marzo 2016 (r.o. n. 40  del  2017),
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e  24  della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 517 del codice  di
procedura penale, «nella parte in cui non prevede che, contestata nel
corso del giudizio dibattimentale una circostanza aggravante  fondata
su elementi gia' risultanti dagli atti di indagine, l'imputato  abbia
facolta' di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla
prova [ai] sensi degli artt. 168 bis c.p. e  464  bis  e  ss.  c.p.p.
relativamente al reato oggetto della nuova contestazione».
    Il Tribunale rimettente riferisce che il Giudice per le  indagini
preliminari  dello  stesso  Tribunale  aveva  emesso  nei   confronti
dell'imputato un decreto penale di condanna  «in  data  12/13.2.2014»
per il «reato p. e p. dall'art.  186  comma  2  lettera  b)  e  comma
2-sexies del Codice della Strada,  perche'  guidava  alle  ore  03.30
circa del giorno 01.05.2013 l'autovettura [...] in stato di  ebbrezza
alcolica», e che contro tale decreto, il 18  marzo  2014,  era  stata
proposta opposizione con la richiesta dell'applicazione  della  pena,
ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., nella misura  di  quattordici
giorni di arresto e 600,00 euro di ammenda, da sostituirsi con quella
del lavoro di pubblica utilita', ai sensi dell'art. 186, comma 9-bis,
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285  (Nuovo  codice  della
strada).
    Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di
Salerno aveva rigettato  la  richiesta  di  applicazione  della  pena
perche' dall'esame degli atti contenuti nel  fascicolo  del  pubblico
ministero era emerso che  l'imputato  aveva  provocato  un  incidente
stradale   con   feriti,   con   la   conseguente    configurabilita'
dell'aggravante dell'art. 186, comma 2-bis, d.lgs. n. 285  del  1992,
ostativa all'applicazione della sostituzione della pena con il lavoro
di pubblica utilita'.
    Nell'udienza camerale del  20  novembre  2014,  fissata  «per  la
delibazione   dell'istanza   di   patteggiamento»,    il    difensore
dell'imputato, munito  di  procura  speciale,  aveva  presentato  una
richiesta di sospensione del procedimento con messa  alla  prova,  ai
sensi dell'art. 168-bis del codice  penale,  ma  il  Giudice  per  le
indagini preliminari, dopo la pronuncia di rigetto della richiesta di
patteggiamento, aveva rimesso  ogni  ulteriore  determinazione  sulla
nuova richiesta al «primo giudice (quello che aveva emesso il decreto
penale)», il quale, a  sua  volta,  aveva  dichiarato  «non  luogo  a
provvedere» e rimesso  la  decisione  al  giudice  del  dibattimento,
emettendo il decreto di giudizio immediato.
    Nell'udienza  dibattimentale  del  28  ottobre  2015,   dopo   la
costituzione delle parti,  il  difensore  dell'imputato,  assente  ai
sensi dell'art. 420-bis cod. proc. pen., aveva nuovamente chiesto  la
sospensione del procedimento con messa alla prova e il giudice a quo,
preso atto del parere  favorevole  del  pubblico  ministero,  si  era
riservato di decidere, disponendo, nell'udienza del 19 novembre 2015,
l'acquisizione di ulteriore documentazione per «completare il  quadro
informativo necessario alla delibazione della questione».
    Nell'udienza del 25 novembre 2015, il  pubblico  ministero  aveva
contestato all'imputato assente l'aggravante prevista dall'art.  186,
comma 2-bis, d.lgs. n. 285 del 1992 e il difensore aveva reiterato la
richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.
    In un'udienza  successiva,  fissata  per  la  decisione  su  tale
richiesta, il Tribunale ha sollevato  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale sopra indicate.
    Il giudice a quo ha ricordato che,  a  norma  dell'art.  464-bis,
comma 2, cod. proc. pen., nel procedimento per decreto  la  richiesta
di sospensione del procedimento con  messa  alla  prova  deve  essere
presentata con l'atto di opposizione e che nella specie cio' non  era
avvenuto perche' l'opposizione  era  stata  anteriore  all'emanazione
della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in  materia  di
pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio.
Disposizioni in materia di sospensione  del  procedimento  con  messa
alla prova e nei confronti degli irreperibili), che aveva  introdotto
il nuovo istituto. Poi nel dibattimento, tardivamente,  perche'  gia'
risultava  dagli  atti   delle   indagini,   era   stata   contestata
all'imputato, a norma dell'art. 517 cod. proc. pen.,  la  circostanza
aggravante prevista dall'art. 186, comma 2-bis,  d.lgs.  n.  285  del
1992, e, secondo il giudice a quo,  la  nuova  contestazione  avrebbe
dovuto consentire all'imputato di chiedere la messa alla prova, cosi'
come gli consentiva di  chiedere  il  patteggiamento  e  il  giudizio
abbreviato.
    Ad avviso del Tribunale rimettente, l'art. 517 cod.  proc.  pen.,
prevedendo  «la  contestazione  della  circostanza  aggravante   c.d.
tardiva», senza dare all'imputato  la  possibilita'  di  chiedere  la
messa alla prova, contrasterebbe con gli artt. 3 e  24  Cost.,  e  le
relative   questioni   di   legittimita'   costituzionale   sarebbero
rilevanti, dato che non sussisterebbero ragioni per negare  la  messa
alla prova.
    La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 240 del  2015,
avrebbe rilevato che il nuovo istituto ha effetti sostanziali  ma  e'
connotato da un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste
in  un  nuovo  procedimento  speciale,  alternativo  al  giudizio   e
destinato ad avere un rilevante effetto deflattivo.
    In considerazione dei suoi effetti premiali, la  possibilita'  di
accedere a tale  procedimento  costituirebbe  un'estrinsecazione  del
diritto di difesa garantito dall'art. 24, secondo comma, Cost.
    Il Tribunale rimettente ricorda che, con la sentenza n.  184  del
2014, la Corte costituzionale ha gia'  riconosciuto  all'imputato  il
diritto di chiedere il procedimento speciale previsto dagli artt. 444
e seguenti cod. proc. pen. nel caso  in  cui  il  pubblico  ministero
opera una modificazione dell'imputazione contestando una  circostanza
aggravante gia' risultante dagli atti di indagine, e ha ritenuto  che
l'opzione  per  un  rito  di  carattere  premiale   costituisce   una
declinazione del diritto di difesa.
    Dopo aver richiamato altre pronunce di questa Corte relative agli
artt. 516 e 517 cod. proc. pen., il giudice a quo  ha  osservato  che
con esse la Corte ha rilevato «il pregiudizio del diritto di  difesa,
connesso all'impossibilita' di rivalutare  la  convenienza  del  rito
alternativo   in   presenza    di    una    variazione    sostanziale
dell'imputazione, intesa ad emendare precedenti errori  od  omissioni
del  pubblico  ministero  nell'apprezzamento  dei   risultati   delle
indagini preliminari», e ha stigmatizzato la violazione del principio
di eguaglianza «correlata  alla  discriminazione  cui  l'imputato  si
trova  esposto  a  seconda  della  maggiore  o  minore  esattezza   e
completezza di quell'apprezzamento».
    Nel caso in esame la situazione processuale sarebbe  assimilabile
a quelle esaminate dalla Corte con  le  pronunce  richiamate,  e  non
sarebbe possibile, a fronte del disposto  dell'art.  517  cod.  proc.
pen.  e   dell'art.   464-bis   cod.   proc.   pen.,   procedere   ad
interpretazioni volte ad adeguare le chiare previsioni  normative  ai
principi costituzionali.
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili e
comunque non fondate.
    L'Avvocatura  dello  Stato  ha  ricordato  che  la  richiesta  di
sospensione  del  procedimento  avrebbe   dovuto   essere   contenuta
nell'atto di opposizione, ai sensi dell'art. 464-bis cod. proc. pen.,
ma che in quel momento non era possibile presentarla perche' la legge
che ha dato vita al nuovo istituto  non  era  ancora  stata  emanata.
D'altro canto la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n.  240
del 2015, ha ritenuto che, in mancanza di una disciplina transitoria,
rimane preclusa la messa  alla  prova  nei  procedimenti  in  cui  al
momento dell'entrata in vigore della legge n. 67 del  2014  era  gia'
stata superata la fase processuale nella quale la  richiesta  sarebbe
stata proponibile.
    Ne discenderebbe che la reiterazione della richiesta «al  momento
dell'apertura del dibattimento non  avrebbe  potuto  avere  corso»  e
dunque che le questioni  non  sarebbero  rilevanti,  non  potendo  la
decisione della Corte incidere sul giudizio a  quo.  Ne'  inciderebbe
sulla rilevanza delle questioni il fatto che l'imputazione era  stata
modificata.
    Secondo l'Avvocatura dello Stato, «la contravvenzione oggetto del
procedimento, sia nella  forma  originariamente  contestata,  che  in
quella  derivante  dalla  modifica,  avrebbe  in  ipotesi  consentito
l'accesso al rito speciale, se  non  gia'  precluso  dalla  scansione
temporale evidenziata nell'ordinanza di rimessione», e quindi non  ci
si troverebbe in presenza di una situazione come quelle oggetto delle
decisioni di questa Corte richiamate  dal  Tribunale  rimettente,  in
cui, per l'errore del pubblico ministero che non aveva  a  suo  tempo
effettuato una contestazione conforme agli elementi  gia'  acquisiti,
l'imputato aveva subito un  pregiudizio,  non  avendo  chiesto,  come
avrebbe potuto fare, il procedimento speciale.
    Nel caso in questione l'imputato al momento dell'opposizione  non
avrebbe potuto chiedere la messa alla prova, e di  conseguenza  anche
in  seguito  la  richiesta  gli  era  preclusa,  sicche'  la  mancata
contestazione  dell'aggravante   non   gli   aveva   arrecato   alcun
pregiudizio.
    In  conclusione,  secondo  l'Avvocatura  dello  Stato,   «[n]ella
fattispecie si puo'  adeguatamente  sostenere  che  la  modificazione
tardiva dell'imputazione, mediante  contestazione  della  circostanza
aggravante di cui all'art. 186 comma 2-bis del codice  della  strada,
gia' emergente in fase di indagine, e'  inidonea  a  determinare  una
variazione sostanziale ai  fini  della  rivalutazione  difensiva  per
l'accesso al rito alternativo. E cio' perche' si tratta di variazione
non incidente sulle condizioni di ammissibilita' stabilite dai  commi
1 e 5 dell'art. 168-bis c.p.,  senza  dunque  che  sia  prospettabile
alcuna violazione dei  diritti  difensivi,  in  un  contesto  in  cui
l'accesso al rito alternativo e' precluso in mancanza  di  disciplina
transitoria della legge n. 67/2014».

                       Considerato in diritto

    1.-  Il  Tribunale  ordinario   di   Salerno,   in   composizione
monocratica, con ordinanza del 24 marzo 2016 (r.o. n. 40  del  2017),
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e  24  della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 517 del codice  di
procedura penale, «nella parte in cui non prevede che, contestata nel
corso del giudizio dibattimentale una circostanza aggravante  fondata
su elementi gia' risultanti dagli atti di indagine, l'imputato  abbia
facolta' di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla
prova [ai] sensi degli artt. 168 bis c.p. e  464  bis  e  ss.  c.p.p.
relativamente al reato oggetto della nuova contestazione».
    Il Tribunale rimettente procede in seguito all'opposizione  a  un
decreto  penale  di  condanna  e  la  richiesta  di  sospensione  del
procedimento con messa alla prova non era stata formulata con  l'atto
di opposizione perche' in quel momento la legge che ha introdotto  il
nuovo procedimento speciale non era ancora stata emanata.
    Con  il  decreto  penale  di  condanna   era   stato   contestato
all'imputato «il reato p. e p. dall'art. 186 comma  2  lettera  b)  e
comma  2-sexies  del  Codice  della  Strada  perche'  guidava   [...]
l'autovettura [...] in stato di ebbrezza», e in udienza, prima ancora
dell'apertura  del  dibattimento,  il  pubblico  ministero,  a  norma
dell'art. 517 cod. proc. pen., aveva integrato la  contestazione  con
l'aggravante dell'art. 186, comma 2-bis, del decreto  legislativo  30
aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada),  perche'  l'imputato
aveva provocato un incidente stradale con feriti. Questa  circostanza
precludeva la sostituzione della pena dell'arresto e dell'ammenda con
quella del lavoro di pubblica utilita', ai sensi dell'art. 186, comma
9-bis, d.lgs. n. 285 del 1992.
    Secondo il giudice a quo la nuova  contestazione  avrebbe  dovuto
consentire all'imputato di chiedere la messa alla prova,  cosi'  come
gli  consentiva  di  chiedere  il  patteggiamento   e   il   giudizio
abbreviato.
    Ad avviso del Tribunale  rimettente,  la  norma  censurata  viola
l'art. 3 Cost.,  per  la  discriminazione  cui  l'imputato  si  trova
esposto «a seconda della maggiore o minore esattezza  e  completezza»
dell'apprezzamento dei risultati delle indagini preliminari da  parte
del pubblico ministero. Inoltre  sarebbe  violato  l'art.  24  Cost.,
perche' di fronte a  «evenienze  patologiche  che  immutano  in  modo
sostanziale  la   situazione   fattuale-processuale   originariamente
prospettatasi all'imputato e al suo difensore»  risulterebbe  «lesivo
del diritto di difesa  dell'imputato  precludere  l'accesso  ai  riti
speciali».
    2.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita'  delle  questioni  per   difetto   di   rilevanza,
osservando che non era stato possibile  presentare  la  richiesta  di
messa alla  prova  con  l'atto  di  opposizione,  come  vuole  l'art.
464-bis, comma 2, cod. proc. pen., perche' la legge  all'origine  del
nuovo istituto non  era  stata  ancora  emanata,  e  che  quindi,  in
mancanza di una norma transitoria in tal senso, questa richiesta  non
avrebbe  potuto   essere   presentata   successivamente,   nonostante
l'avvenuta modificazione  dell'imputazione  e  la  sua  "tardivita'".
Percio' un'eventuale pronuncia di illegittimita'  costituzionale  non
sarebbe in grado di determinare  l'accoglimento  della  richiesta  di
messa alla prova.
    L'eccezione e' infondata.
    Secondo il giudice rimettente,  non  consentire  all'imputato  di
chiedere la sospensione del procedimento con messa alla  prova,  dopo
che il pubblico ministero gli ha  contestato  una  nuova  circostanza
aggravante, da' luogo a una lesione del diritto di  difesa  e  a  una
violazione dell'art. 3 Cost., ed e' per questa ragione  che  egli  ha
chiesto una pronuncia di illegittimita' costituzionale dell'art.  517
cod. proc. pen. volta a consentire all'imputato  di  presentare  tale
richiesta  al  giudice  del  dibattimento,  indipendentemente   dalle
ragioni per le quali non era stata presentata in precedenza.
    Tanto basta per rendere rilevanti le  questioni,  mentre  attiene
alla valutazione sulla loro fondatezza stabilire se il  giudice  puo'
accogliere la richiesta di messa alla prova, benche'  non  sia  stato
possibile presentarla al momento dell'opposizione al  decreto  penale
di condanna.
    3.- Le questioni, oltre che ammissibili, sono fondate.
    3.1.- L'istituto della messa alla prova, introdotto con gli artt.
168-bis,  168-ter  e  168-quater  del  codice  penale,  «ha   effetti
sostanziali, perche'  da'  luogo  all'estinzione  del  reato,  ma  e'
connotato da un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste
in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio, nel corso
del  quale  il  giudice  decide  con  ordinanza  sulla  richiesta  di
sospensione del procedimento con messa alla prova» (sentenza  n.  240
del 2015).
    L'art. 464-bis, comma 2, cod. proc.  pen.  stabilisce  i  termini
entro i quali, a pena di  decadenza,  l'imputato  puo'  formulare  la
richiesta di messa  alla  prova.  Sono  termini  diversi,  articolati
secondo  le  sequenze  procedimentali  dei  vari  riti,  e  la   loro
disciplina e'  «collegat[a]  alle  caratteristiche  e  alla  funzione
dell'istituto, che e' alternativo al  giudizio  ed  e'  destinato  ad
avere un rilevante effetto deflattivo» (sentenza n. 240 del 2015).
    Come negli altri riti, anche  nel  procedimento  per  decreto  la
mancata presentazione della richiesta nel termine stabilito dall'art.
464-bis, comma 2, cod. proc. pen., e cioe' con l'atto di opposizione,
determina  una   decadenza,   sicche',   nel   giudizio   conseguente
all'opposizione, l'imputato che prima non l'abbia  chiesta  non  puo'
piu' chiedere la messa alla prova (sentenza n. 201 del 2016).
    Nel caso in esame, come  si  e'  visto,  l'imputato,  al  momento
dell'emanazione della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo
in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del  sistema
sanzionatorio.   Disposizioni   in   materia   di   sospensione   del
procedimento  con  messa   alla   prova   e   nei   confronti   degli
irreperibili), priva  di  normativa  transitoria,  non  era  piu'  in
termini per richiedere la sospensione del procedimento con messa alla
prova,  ma  la  contestazione,  da  parte  del  pubblico   ministero,
dell'aggravante di cui all'art. 186, comma 2-bis, d.lgs. n.  285  del
1992 ha indotto il giudice a ritenere che, in  presenza  della  nuova
situazione accusatoria, impedire all'imputato di  chiedere  la  messa
alla prova costituisca una lesione delle sue facolta' difensive e sia
in contrasto con l'art. 3 Cost.
    Il  giudice  rimettente  si  duole,  piu'  specificamente,  della
mancata previsione della facolta' di accesso al nuovo  rito  speciale
della sospensione del procedimento con messa alla prova, in  presenza
di una contestazione suppletiva cosiddetta "tardiva"  o  "patologica"
di una circostanza aggravante, cioe' di una contestazione basata  non
sulle nuove risultanze dell'istruzione dibattimentale, ma su elementi
che gia' emergevano dagli atti di indagine al momento  dell'esercizio
dell'azione penale.
    Occorre  dunque  verificare  nuovamente  la  legittimita'   della
preclusione  per  l'imputato  di  un  rito  alternativo  a  contenuto
premiale  nonostante  la  sopravvenienza   di   nuove   contestazioni
dibattimentali, posto che non puo' non  valere  anche  per  il  nuovo
procedimento  speciale  della  messa  alla  prova  il  complesso  dei
principi enucleati al riguardo da questa Corte  per  gli  altri  riti
alternativi.
    3.2.-   La   giurisprudenza   costituzionale    sulla    facolta'
dell'imputato di chiedere il patteggiamento o il giudizio  abbreviato
dopo nuove contestazioni a norma degli artt. 516  e  517  cod.  proc.
pen. e' andata evolvendo nel tempo in modo significativo.
    In una prima fase, relativa agli anni  immediatamente  successivi
all'entrata in vigore del codice di rito, questa  Corte  ha  ritenuto
infondate le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  aventi  ad
oggetto  le  norme  sulle  nuove  contestazioni  e  ha  escluso  ogni
possibilita' di superare l'ordinario limite processuale  fissato  per
la richiesta dei riti alternativi.
    Esaminando  le  questioni  sollevate,  con  riferimento,  ora  al
giudizio abbreviato, ora al  patteggiamento,  la  Corte  ha  ritenuto
infondato  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  in   parola,
rilevando - sulla scia di quanto  gia'  affermato  in  rapporto  alla
norma transitoria dell'art. 247 del  decreto  legislativo  28  luglio
1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del
codice di procedura penale) (sentenza n. 277 del 1990;  ordinanze  n.
477 e n. 361 del 1990) - che l'interesse dell'imputato a  beneficiare
dei vantaggi che discendono dall'instaurazione di tali riti  speciali
trova tutela «solo in quanto la  sua  condotta  consenta  l'effettiva
adozione  di  una   sequenza   procedimentale,   che,   evitando   il
dibattimento», permetta di  raggiungere  «quell'obiettivo  di  rapida
definizione del processo» che il  legislatore  ha  inteso  perseguire
attraverso l'introduzione dei riti  speciali  (sentenza  n.  593  del
1990, relativa ad una richiesta di giudizio abbreviato; nello  stesso
senso, sentenza n. 316 del 1992, relativa ad una  richiesta  di  rito
abbreviato; sentenza n. 129 del 1993, relativa ad  una  richiesta  di
patteggiamento; ordinanza n. 107 del 1993, relativa ad una  richiesta
di giudizio abbreviato; ordinanza n. 213 del 1992,  relativa  ad  una
richiesta di patteggiamento). Di conseguenza si e'  ritenuto  che  se
per  l'inerzia   dell'imputato   (che   ha   omesso   di   richiedere
tempestivamente il rito alternativo) tale scopo non puo' piu'  essere
pienamente raggiunto,  essendosi  ormai  pervenuti  al  dibattimento,
sarebbe del  tutto  irrazionale  procedere  egualmente  con  il  rito
speciale in base alle contingenti valutazioni dell'imputato (sentenze
n. 316 del 1992 e n. 593 del 1990; ordinanze n. 107 del 1993 e n. 213
del 1992).
    Si  e'  anche  affermato  che  «[n]ell'ipotesi  [...]  di   reato
concorrente  -  ma  analoghe  considerazioni  valgono  in  quelle  di
modifica dell'imputazione (art. 516) e di  circostanza  aggravante  -
l'esclusione di tale possibilita' e' giustificata dal rilievo che  la
contestazione e' evenienza, per  un  verso,  non  infrequente  in  un
sistema  processuale  imperniato  sulla  formazione  della  prova  in
dibattimento (cfr. ordinanza n. 213 del  1992),  e  ben  prevedibile,
dato lo stretto rapporto intercorrente tra l'imputazione originaria e
il reato connesso» e che «il relativo  rischio  rientra  naturalmente
nel calcolo in base al quale l'imputato si  determina  a  chiedere  o
meno tale rito, onde egli non ha che da addebitare a se  medesimo  le
conseguenze della propria scelta» (sentenza n. 316 del 1992; in senso
analogo, sentenza n. 129 del 1993; ordinanze n. 107 del 1993 e n. 213
del 1992).
    Successivamente pero' la giurisprudenza costituzionale e'  andata
gradualmente evolvendo, e, gia' con la sentenza n. 265 del 1994, sono
stati dichiarati costituzionalmente illegittimi gli artt. 516  e  517
cod. proc. pen., nella parte  in  cui  non  prevedevano  la  facolta'
dell'imputato   di   richiedere   al   giudice    del    dibattimento
l'applicazione della pena a norma  dell'art.  444  cod.  proc.  pen.,
relativamente al fatto diverso o al reato concorrente  quando  questo
ha formato oggetto di contestazione "tardiva".
    Nella ricordata  pronuncia,  questa  Corte  ha  rilevato  che  le
valutazioni dell'imputato circa la convenienza del  rito  alternativo
vengono a dipendere anzitutto dalla  concreta  impostazione  data  al
processo dal pubblico ministero; sicche', «quando, in presenza di una
evenienza patologica del  procedimento,  quale  e'  quella  derivante
dall'errore sulla individuazione del fatto e del titolo del reato  in
cui e' incorso  il  pubblico  ministero,  l'imputazione  subisce  una
variazione  sostanziale,  risulta  lesivo  del  diritto   di   difesa
precludere all'imputato l'accesso ai riti speciali». In questo  caso,
secondo la Corte, e'  violato  anche  il  principio  di  eguaglianza,
«venendo   l'imputato   irragionevolmente   discriminato,   ai   fini
dell'accesso ai procedimenti speciali, in dipendenza della maggiore o
minore esattezza o completezza della discrezionale valutazione  delle
risultanze delle indagini preliminari operata dal pubblico ministero.
    3.3.- Alle stesse conclusioni, con la sentenza n. 184  del  2014,
questa Corte e' giunta nel caso, analogo a quello in questione, della
contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, rilevando che
la motivazione della sentenza n. 265 del 1994 poteva riferirsi  anche
alla contestazione "tardiva" di una o piu' circostanze aggravanti, in
quanto  «anche  la  trasformazione  dell'originaria  imputazione   in
un'ipotesi  circostanziata  (o  pluricircostanziata)   determina   un
significativo  mutamento  del  quadro  processuale».  Le  circostanze
aggravanti possono, infatti, incidere in modo rilevante «sull'entita'
della sanzione» - tanto piu'  quando  si  tratti  di  circostanze  ad
effetto speciale - e talvolta «sullo stesso regime di  procedibilita'
del  reato,  o,  ancora,  sull'applicabilita'  di   alcune   sanzioni
sostitutive», come nel caso oggetto del giudizio a quo  (sentenza  n.
184 del 2014).
    L'imputato che si vede contestare in dibattimento una circostanza
aggravante gia' risultante dagli atti di indagine  si  trova  in  una
situazione  non  dissimile   da   quella   del   destinatario   della
contestazione "tardiva"  di  un  fatto  diverso,  «evenienza  che  in
realta' potrebbe  costituire  per  l'imputato  anche  un  pregiudizio
minore».  Sicche',  secondo  questa   Corte,   una   volta   divenuta
ammissibile  la   richiesta   di   "patteggiamento"   nel   caso   di
modificazione dell'imputazione a norma dell'art. 516 cod. proc. pen.,
la preclusione di  essa  nel  caso  di  contestazione  di  una  nuova
circostanza aggravante, ai  sensi  dell'art.  517  cod.  proc.  pen.,
sarebbe causa di ingiustificate disparita' di  trattamento  (sentenza
n. 184 del 2014).
    Per le stesse ragioni, con la sentenza n. 139  del  2015,  questa
Corte ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  517
cod. proc. pen., nella parte in cui, nel caso di contestazione di una
circostanza aggravante che gia' risultava dagli atti di  indagine  al
momento dell'esercizio dell'azione penale, non prevedeva la  facolta'
dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento  il  giudizio
abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione.
    4.- Con le decisioni ricordate, questa Corte  «ha  accomunato  le
fattispecie regolate dagli artt.  516  e  517  cod.  proc.  pen.  "in
analoghe declaratorie di illegittimita' costituzionale inerenti  alle
contestazioni dibattimentali cosiddette  'tardive'  o  'patologiche',
relative, cioe', a fatti che gia' risultavano dagli atti di  indagine
al momento dell'esercizio dell'azione penale" (sentenza  n.  273  del
2014)» (sentenza n. 206 del 2017),  ma  nella  successiva  evoluzione
giurisprudenziale questo requisito e' stato superato e la  Corte  con
tre sentenze piu' recenti ha riconosciuto all'imputato la facolta' di
accedere ai  riti  alternativi  del  patteggiamento  e  del  giudizio
abbreviato anche in seguito  a  nuove  contestazioni  "fisiologiche",
collegate cioe' non a elementi acquisiti nel corso delle indagini  ma
alle risultanze dell'istruzione dibattimentale.
    Cosi', con la sentenza  n.  237  del  2012  e'  stato  dichiarato
costituzionalmente  illegittimo,  per  violazione  del  principio  di
eguaglianza e del diritto di difesa (artt. 3  e  24,  secondo  comma,
Cost.), l'art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non  prevedeva
la facolta' dell'imputato di chiedere al giudice del dibattimento  il
giudizio abbreviato  per  il  reato  concorrente,  emerso  nel  corso
dell'istruzione dibattimentale. Con la sentenza n. 273  del  2014  e'
stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art.  516  cod.
proc.  pen.,  nella  parte  in  cui   non   prevedeva   la   facolta'
dell'imputato di chiedere al giudice  del  dibattimento  il  giudizio
abbreviato per il fatto diverso,  emerso  nel  corso  dell'istruzione
dibattimentale. Con la sentenza n. 206 del 2017 e'  stata  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 516 cod. proc. pen.,  nella
parte in cui non prevedeva la facolta' dell'imputato di  chiedere  al
giudice del dibattimento l'applicazione della pena, a norma dell'art.
444  cod.  proc.  pen.,  per  il  fatto  diverso  emerso  nel   corso
dell'istruzione dibattimentale.
    Nelle tre ricordate pronunce questa Corte  ha  precisato  che  in
seguito  alla  contestazione,  ancorche'  "fisiologica",  del   fatto
diverso o di un reato concorrente «l'imputato che  subisce  la  nuova
contestazione "viene a trovarsi in posizione diversa  e  deteriore  -
quanto alla facolta' di accesso ai riti alternativi e alla  fruizione
della correlata diminuzione di pena - rispetto a  chi,  della  stessa
imputazione, fosse stato  chiamato  a  rispondere  sin  dall'inizio".
Infatti, "condizione primaria per l'esercizio del diritto  di  difesa
e' che l'imputato abbia ben chiari i termini  dell'accusa  mossa  nei
suoi confronti" [...] (sentenza n. 237 del 2012)»  (sentenze  n.  273
del 2014 e n. 206 del 2017).
    Si e' percio' ritenuto che, sia quando all'accusa  originaria  ne
viene aggiunta una connessa, sia anche quando l'accusa e'  modificata
nei suoi aspetti  essenziali,  «non  possono  non  essere  restituiti
all'imputato termini e condizioni per esprimere le  proprie  opzioni»
(sentenza n. 237 del 2012) e richiedere il giudizio abbreviato.
    Analoga affermazione e'  stata  fatta  per  il  "patteggiamento",
procedimento in cui la valutazione dell'imputato e' indissolubilmente
legata,  «"ancor  piu'  che  nel  giudizio  abbreviato,  alla  natura
dell'addebito, trattandosi non solo  di  avviare  una  procedura  che
permette di definire il merito del processo al di fuori e  prima  del
dibattimento, ma di determinare lo stesso contenuto della  decisione,
il che non puo' avvenire se non in riferimento a una ben  individuata
fattispecie penale" (sentenza n. 265 del 1994)» (sentenza n. 206  del
2017). Sicche', anche rispetto al patteggiamento, quando l'accusa  e'
modificata nei suoi aspetti  essenziali,  «"non  possono  non  essere
restituiti all'imputato termini e condizioni per esprimere le proprie
opzioni" (sentenza n. 237 del 2012)» (sentenza n. 273 del 2014).
    Questa Corte ha aggiunto che la  modificazione  dell'imputazione,
oltre ad alterare in modo significativo la  fisionomia  fattuale  del
tema d'accusa, puo' avere riflessi di rilievo sull'entita' della pena
irrogabile   e,   di   conseguenza,    sull'incidenza    quantitativa
dell'effetto premiale connesso al rito speciale.
    Sono stati  considerati  non  decisivi  in  senso  contrario  gli
argomenti fatti  valere  in  passato,  relativi,  da  un  lato,  alla
necessaria correlazione, nei procedimenti speciali, tra premialita' e
deflazione  processuale  e,  dall'altro,  all'assunzione,  da   parte
dell'imputato  (che  non  abbia  tempestivamente  chiesto   il   rito
alternativo), del rischio della  modificazione  dell'imputazione  per
effetto di sopravvenienze. Questa Corte ha rilevato che l'accesso  al
rito alternativo  dopo  l'inizio  del  dibattimento  rimane  comunque
idoneo a produrre un'economia processuale, anche se attenuata, e  che
in ogni caso le ragioni della deflazione processuale debbono recedere
di fronte ai principi posti dagli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost.,
perche' «l'esigenza della "corrispettivita'" fra riduzione di pena  e
deflazione processuale non puo' prendere il sopravvento sul principio
di eguaglianza ne' tantomeno sul diritto di difesa» (sentenza n.  237
del 2012).
    5.- In un quadro complessivo di principi, quale quello che,  come
e' stato ricordato, si e'  andato  delineando  in  modo  sempre  piu'
nitido attraverso l'evoluzione giurisprudenziale, e' chiaro che,  nel
caso di contestazione suppletiva di una circostanza  aggravante,  non
prevedere nell'art. 517 cod. proc. pen. la facolta' per l'imputato di
chiedere la sospensione del procedimento  con  messa  alla  prova  si
risolve, come e' stato  ritenuto  per  il  patteggiamento  e  per  il
giudizio abbreviato, in una violazione degli artt. 3 e 24 Cost.
    La richiesta dei riti alternativi infatti «costituisce [...]  una
modalita', tra le piu' qualificanti (sentenza n. 148  del  2004),  di
esercizio del diritto di difesa (ex plurimis,  sentenze  n.  219  del
2004, n. 70 del 1996, n. 497 del 1995 e n. 76 del 1993)» (sentenza n.
237 del 2012), e si determinerebbe una situazione in contrasto con il
principio posto  dall'art.  3  Cost.  se  nella  medesima  situazione
processuale fosse regolata diversamente la facolta' di chiederli.
    Ne' rileva la circostanza, dedotta dall'Avvocatura  dello  Stato,
che, nel momento processuale in cui nel procedimento  a  quo  avrebbe
dovuto essere presentata la richiesta, la legge n. 67  del  2014  non
era ancora stata emanata. Infatti per valutare l'ammissibilita' della
richiesta non e' a quel momento che occorre fare riferimento,  ma  al
momento in cui e' avvenuta la  contestazione  suppletiva,  dato  che,
come si e' visto, il riconoscimento della  facolta'  di  chiedere  il
rito speciale non deve piu' ritenersi condizionato dalla "tardivita'"
della contestazione.
    Se si dovesse riconoscere tale facolta' solo nel caso in cui  gli
elementi alla base della contestazione suppletiva erano gia' presenti
al momento in cui la richiesta avrebbe dovuto essere  presentata,  la
sua ammissibilita' in seguito a tale contestazione  costituirebbe  il
recupero di una facolta' difensiva non potuta esercitare a suo  tempo
per l'errore compiuto dal pubblico ministero, e  quindi  si  potrebbe
argomentare  che  non  esistendo  all'epoca  quella  facolta'  nessun
recupero sarebbe configurabile. Se pero', come ha riconosciuto questa
Corte con la piu' recente giurisprudenza, la facolta' di chiedere  un
rito  speciale  deve  riconoscersi  all'imputato  anche   quando   la
contestazione suppletiva e'  determinata,  come  del  resto  dovrebbe
normalmente avvenire, da una sopravvenienza dibattimentale, allora e'
nella sopravvenienza, e soprattutto nella  correlativa  contestazione
suppletiva, che trova fondamento la  facolta'  di  chiedere  un  rito
speciale.
    Il  dato  rilevante  insomma  e'   la   sopravvenienza   di   una
contestazione suppletiva, quali che siano gli  elementi  che  l'hanno
giustificata, esistenti fin dalle indagini o acquisiti nel corso  del
dibattimento, ed  e'  ad  essa  che  deve  ricollegarsi  la  facolta'
dell'imputato di  chiedere  un  rito  alternativo,  indipendentemente
dalla ragione per cui la richiesta in precedenza e' mancata.
    E' nel diritto di difesa che la "nuova"  facolta'  trova  il  suo
fondamento, perche', se, come si e' ricordato, la richiesta dei  riti
alternativi costituisce una modalita', tra le piu'  qualificanti,  di
esercizio di tale diritto, occorre allora che  la  relativa  facolta'
sia  collegata  anche  all'imputazione   che,   per   effetto   della
contestazione suppletiva, deve  effettivamente  formare  oggetto  del
giudizio.
    6.- In conclusione, per il  contrasto  con  gli  artt.  3  e  24,
secondo comma, Cost.,  l'art.  517  cod.  proc.  pen.  va  dichiarato
costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui, in  seguito  alla
nuova contestazione di una circostanza  aggravante,  non  prevede  la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del  dibattimento  la
sospensione del procedimento con messa alla prova.

     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 517 del codice
di procedura penale, nella  parte  in  cui,  in  seguito  alla  nuova
contestazione di una circostanza aggravante, non prevede la  facolta'
dell'imputato  di  richiedere  al   giudice   del   dibattimento   la
sospensione del procedimento con messa alla prova.

    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                             e Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 5 luglio 2018.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA


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