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sabato 30 marzo 2019

SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera c), punto IV, della legge della Regione Abruzzo 29 ottobre 2013, n. 40 (Disposizioni per la prevenzione della diffusione dei fenomeni di dipendenza dal gioco), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo - sezione staccata di Pescara, nel procedimento vertente tra Laura Accardo e il Comune di Lanciano, con ordinanza del 21 aprile 2017, iscritta al n. 161 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2017.

SENTENZA N. 27
ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: Giorgio LATTANZI;
Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Visti gli atti di costituzione di Laura Accardo e della Regione Abruzzo, il secondo dei quali da intendersi come atto d’intervento del Presidente della Giunta della Regione Abruzzo;
udito nell’udienza pubblica del 22 gennaio 2019 il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi gli avvocati Marco Tronci per Laura Accardo e Stefania Valeri per la Regione Abruzzo.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo - sezione staccata di Pescara, con ordinanza del 21 aprile 2017 (reg. ord. n. 161 del 2017), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3117, commi secondo, lettera h), e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera c), punto IV, della legge della Regione Abruzzo 29 ottobre 2013, n. 40 (Disposizioni per la prevenzione della diffusione dei fenomeni di dipendenza dal gioco).
1.1.– Il giudice rimettente premette in fatto che la titolare di una impresa individuale per l’esercizio dell’attività di raccolta scommesse su rete fisica – munita di autorizzazione dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli e licenza del questore di Chieti ex art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) (da qui: TULPS), titoli entrambi rilasciati all’esito della procedura di regolarizzazione di cui all’art. l, comma 643, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)» – ha impugnato gli atti del Comune di Lanciano con cui è stata definita l’istanza, previa apposita segnalazione certificata d’inizio attività (da qui: SCIA), diretta al rilascio della tabella dei giochi proibiti ai fini dell’installazione degli apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, lettere a) e b), del TULPS.
L’amministrazione procedente aveva disatteso l’istanza in base al rilievo che, ai sensi dell’art. 3 della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2013, era necessaria anche l’autorizzazione del sindaco del Comune territorialmente competente; che la stessa poteva essere rilasciata solo per i locali ubicati a distanza non inferiore a 300 metri dai «luoghi sensibili» elencati dalla disposizione censurata, tra cui sono ricomprese «le caserme militari»; e che, nel caso di specie, la vicinanza dell’esercizio a una caserma dei Carabinieri inibiva il rilascio dell’autorizzazione.
Il giudice a quo, dopo aver estromesso la Regione Abruzzo, non venendo impugnati atti riconducibili all’amministrazione regionale, ha definito parzialmente il giudizio nel senso del rigetto, salvo che per l’eccezione d’illegittimità costituzionale relativa alla qualificazione delle caserme militari come luoghi sensibili, in accoglimento della quale ha sollevato le questioni ora in esame.
1.2.– Secondo il TAR rimettente le questioni sarebbero rilevanti, in quanto il rifiuto dell’amministrazione sarebbe fondato esclusivamente sulla disposizione regionale oggetto di censura. Nel caso in cui le caserme militari fossero espunte dall’elenco dei luoghi sensibili, pertanto, ne deriverebbe l’accoglimento del ricorso, con la conseguente possibilità per la ricorrente di ottenere l’autorizzazione all’esito della riapertura del procedimento.
1.3.– In ordine alla non manifesta infondatezza, l’art. l della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2013 evidenzierebbe le finalità di preminente carattere socio-sanitario della disciplina – ossia la prevenzione del giuoco d’azzardo patologico, specie nei confronti delle categorie più sensibili – ascrivibili alla materia di legislazione concorrente della «tutela della salute».
Ciò precisato, mentre la maggior parte dei luoghi elencati dall’art. 2, comma 1, lettera c), della citata legge regionale potrebbe essere agevolmente collocata tra quelli ove si radunano soggetti ritenuti più esposti al rischio di dipendenza da gioco d’azzardo, altrettanto non potrebbe dirsi per le caserme militari.
Non a caso, queste ultime non sarebbero considerate nemmeno dall’art. 7, comma 10, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, in legge 8 novembre 2012, n. 189. Con esso, infatti, oltre a estendere i livelli essenziali di assistenza anche alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione delle persone affette da “ludopatia”, si è prevista la progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, lettera a), del TULPS (slot machines), ubicati in prossimità di luoghi sensibili, individuati negli istituti di istruzione primaria e secondaria, nelle strutture sanitarie e ospedaliere, nei luoghi di culto e nei centri socio-ricreativi e sportivi.
Dunque, per quanto non sia contestabile la possibilità delle Regioni d’individuare ulteriori spazi collettivi espressione di analoghe esigenze di tutela, sarebbe comunque del tutto evidente che ciò che accomuna le strutture protette sia l’esigenza di tutelare determinate categorie di persone dai rischi derivanti dalla diffusione dei fenomeni di dipendenza dal gioco. Ad esempio, i centri socio-ricreativi e sportivi di cui alla citata norma statale sarebbero quelli di aggregazione dei giovani, non le strutture dello stesso tipo destinate ad adulti in normali condizioni psico-fisiche e perciò non particolarmente vulnerabili. A maggior ragione, quindi, non vi sarebbero finalità di carattere socio­sanitario nella previsione di una distanza di rispetto dalle caserme militari.
Né sembrerebbe possibile inquadrare la norma censurata in altra materia regionale, visto che l’intera legge abruzzese esprimerebbe una chiara finalità socio-sanitaria. Così per la materia del «governo del territorio», poiché dal testo normativo non emergerebbero particolari esigenze urbanistiche connesse alla prossimità tra sale da gioco e caserme militari, né la categoria “caserme militari” avrebbe una sua specificità in base alle caratteristiche urbanistiche.
Da ciò deriverebbe la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., con conseguente invasione della competenza statale nella materia «ordine pubblico e sicurezza» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Inoltre, si prospetterebbe in ogni caso la violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., non riscontrandosi alcuna peculiare interferenza tra case da gioco e caserme militari tale da giustificare un regime speciale rispetto ad altre strutture con analoghe caratteristiche, come ad esempio quelle delle amministrazioni civili del comparto sicurezza.
2.– Con atto depositato il 1° dicembre 2017 si è costituita nel giudizio incidentale, nella persona del Presidente della Giunta regionale, la Regione Abruzzo, parte resistente estromessa dal giudizio a quo, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.
2.1.– In primo luogo, in riferimento al contrasto con l’art. 3 Cost., la difesa regionale asserisce che l’inclusione delle caserme militari nel novero dei luoghi sensibili sarebbe ragionevole, non traducendosi in un divieto generico e immotivato.
Infatti, anche coloro che frequentano gli istituti scolastici, i luoghi di culto, i cimiteri e le camere mortuarie potrebbero essere genericamente e astrattamente considerati adulti in normali condizioni psico-fisiche, così svuotandosi di contenuto logico, prima che giuridico, la censura del giudice rimettente.
Dirimente, invece, sarebbe la tipologia delle strutture militari ricomprese nella categoria.
Infatti, laddove destinate all’alloggio, all’addestramento e all’istruzione dei militari, le caserme sarebbero luoghi frequentati essenzialmente dai giovani, dunque già rientranti nell’obbligo di distanza imposto per i «centri di aggregazione di giovani».
Laddove, invece, destinate all’attività operativa e/o di polizia amministrativa delle forze armate, le caserme sarebbero frequentate anche da persone che, a seconda dei casi, vi transitano occasionalmente, per ragioni connesse alle attività che vi si svolgono. Per quanto d’interesse, ad esempio, presso i comandi di reparto o di compagnia dei Carabinieri, le cui attività includono il pronto intervento e le azioni di contrasto alla criminalità a rilevanza locale, transiterebbero persone in stato di fermo o di arresto, ovvero diversamente bisognose di aiuto o protezione.
Dunque, anche tra coloro che frequentano a vario titolo le caserme militari s’individuerebbero soggetti psicologicamente più esposti all’illusione di conseguire vincite e facili guadagni, la cui presenza renderebbe ragionevole, anche seguendo la logica dell’ordinanza di rimessione, l’imposizione della distanza minima per le installazioni connesse al gioco d’azzardo.
2.2.– In secondo luogo, con riferimento alla lesione dell’art. 117, commi secondo, lettera h), e terzo, Cost., la difesa regionale precisa che la legge reg. Abruzzo n. 40 del 2013 sarebbe finalizzata a prevenire la diffusione dei fenomeni di dipendenza dal gioco e a tutelare determinate categorie di persone dai rischi che ne derivano, individuando a tal fine i luoghi sensibili in prossimità dei quali non può essere rilasciata l’autorizzazione per l’esercizio di sale da gioco e per l’installazione di apparecchi per il gioco lecito presso esercizi commerciali o pubblici.
Sul fenomeno della ludopatia si registrerebbero ripetuti interventi normativi da parte del legislatore statale, da ultimo con il d.l. n. 158 del 2012, come convertito, che prevederebbe una progressiva ricollocazione dei punti di raccolta del gioco, sulla base di appositi criteri definiti con decreto ministeriale, peraltro mai adottato. Successivamente è intervenuta la legge 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita), che delegava il Governo al riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici (art. 14); anche la delega in questione, tuttavia, non è stata esercitata.
L’inerzia del legislatore statale, quindi, avrebbe spinto le amministrazioni regionali e locali a porre in essere una serie di interventi di contrasto alla ludopatia, basati sul rispetto di distanze minime dai luoghi sensibili e sull’introduzione di fasce orarie, dando luogo anche a un forte contenzioso. In particolare, la giurisprudenza amministrativa (si richiamano: Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 10 febbraio 2016, n. 579; Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 1° agosto 2015, n. 3778; Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 23 ottobre 2014, n. 5251) avrebbe legittimato gli interventi dei Comuni in questo settore, censurando solo i provvedimenti in cui l’estensione dei luoghi sensibili precludesse, di fatto, l’apertura di sale giochi nel territorio (sono richiamate le sentenze del Tribunale regionale di giustizia amministrativa per il Trentino-Alto Adige, sezione autonoma di Bolzano, 31 ottobre 2016, n. 301, e del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione seconda, 18 maggio 2017, n. 715).
Anche questa Corte è intervenuta sulla materia (vengono richiamate le sentenze n. 108 del 2017n. 220 del 2014 e n. 300 del 2011), individuando uno spazio d’intervento per il legislatore regionale. In particolare, nella sentenza n. 108 del 2017 si sarebbe sottolineata la legittimità delle misure di contenimento della ludopatiapreviste dalle Regioni, che troverebbero giustificazione nella competenza costituzionale in materia di «tutela della salute», tenuto altresì conto che la mancata definizione a livello nazionale di regole uniformi non potrebbe costituire un ostacolo all’approvazione di norme specifiche a livello regionale.
Infine, la legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», all’art. l, comma 936, ha attribuito alla Conferenza unificata il compito di definire le caratteristiche dei punti di vendita ove si raccoglie gioco pubblico, nonché i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell’ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di età. Nella seduta del 7 settembre 2017 è stata raggiunta la suddetta intesa, nella quale la Conferenza, con particolare riferimento alla distribuzione territoriale e temporale dei punti di raccolta del gioco, ha rimesso alle Regioni e agli enti locali l’adozione di criteri che consentano una equilibrata distribuzione nel territorio, stabilendo che «le disposizioni specifiche in materia, previste in ogni Regione o Provincia autonoma, se prevedono una tutela maggiore, continueranno comunque ad esplicare la loro efficacia». Inoltre, le Regioni e le Province autonome, ai fini del contrasto del gioco d’azzardo patologico, potranno stabilire in futuro forme maggiori di tutela per la popolazione.
Pertanto, alla luce delle linee guida adottate dalla Conferenza unificata e tenuto conto del contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento, sarebbe evidente che le misure di prevenzione e contrasto messe in campo dalle Regioni possano legittimamente comportare forme di tutela maggiore rispetto a quelle derivanti dalle misure pianificate in ambito statale. Inoltre, perseguendo finalità di carattere socio-sanitario volte a garantire la tutela della salute pubblica e della pubblica sicurezza, le stesse risponderebbero a criteri di ragionevolezza e congruità, oltre a rientrare nella potestà legislativa regionale.
3.– Con atto depositato il 4 dicembre 2017 si è costituita in giudizio Laura Accardo, parte ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dal TAR Abruzzo.
3.1.– Ricostruita in fatto la vicenda, la difesa di Laura Accardo si sofferma dapprima sulle censure relative alla violazione del principio di ragionevolezza.
Sarebbe evidente, infatti, che i soggetti, militari o civili, operanti all’interno delle caserme militari non possano ragionevolmente ascriversi a quelle fasce sociali più deboli maggiormente esposte al rischio della ludopatia. Anzi, in ipotesi, sarebbe ragionevole prevedere, in positivo, l’obbligo di distanza non superiore ai 300 metri dalle caserme dei centri di raccolta scommesse o delle apparecchiature.
Inoltre, ogni Comune, per quanto piccolo, sarebbe dotato di una caserma dei Carabinieri, con conseguente irragionevole estensione «dei limiti all’art. 41 Cost. ed alle libertà comunitarie in ogni angolo del territorio abruzzese», anche nelle località in cui non sono presenti scuole (almeno quelle secondarie), strutture ospedaliere o sanitarie.
Se fosse ragionevole l’inserimento nella categoria dei luoghi sensibili delle caserme militari, d’altronde, dovrebbero esservi incluse anche le caserme civili, gli aeroporti (civili e/o militari), le stazioni ferroviarie, le stazioni degli autobus e/o dei tram, le discoteche, i centri commerciali, nonché qualsiasi ufficio pubblico, nazionale, regionale o locale.
Infine, dovrebbe tenersi conto del fatto che i militari sono sottoposti a rigida selezione sul piano dei requisiti psico-fisici, sia all’ingresso sia nel corso del servizio prestato alla Nazione, atteso, peraltro, che il possesso dell’arma d’ordinanza dimostrerebbe ex se il pieno possesso di tali requisiti.
Invero, la denunciata norma regionale sarebbe ispirata a un intento “moralistico”, che nulla avrebbe a che vedere con la tutela della salute pubblica, come dimostrato anche dall’introduzione tra i luoghi sensibili dei cimiteri e delle camere mortuarie.
3.2.– Altresì evidente sarebbe la lesione dell’art. 117, commi secondo e terzo, Cost.
3.2.1.– Innanzi tutto, vi sarebbe un contrasto con l’art. 7, comma 10, del decreto-legge n. 158 del 2012, come convertito. Nella specie, infatti, verrebbe stabilita l’immediata entrata in vigore di misure per le quali la legge statale avrebbe disposto la necessità di un procedimento pianificatorio, con il coinvolgimento di tutti i soggetti ivi indicati.
La giurisprudenza amministrativa avrebbe evidenziato che gli strumenti di contrasto alla ludopatia debbono trovare la loro disciplina di base a livello centrale ed essere inseriti nel sistema della pianificazione nazionale, entro i cui limiti poi opererebbero gli enti locali, fermo restando il potere dei sindaci di adottare ordinanze contingibili e urgenti in caso di situazioni di effettiva emergenza (si richiama Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione terza, sentenza 16 aprile 2013, n. 578). Allo Stato spetterebbe il potere di fissare livelli di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, mentre le Regioni potrebbero stabilire livelli di tutela più elevati per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze (in tal senso sono richiamate la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia - Bari, sezione seconda, 7 dicembre 2012, n. 2100 e le sentenze di questa Corte n. 61 del 2009 e n. 62 del 2008).
3.2.2.– Sotto un altro profilo, la norma regionale censurata inciderebbe comunque sugli esercizi che accettano scommesse, soggetti al controllo dell’autorità di pubblica sicurezza ex art. 88 del TULPS; controllo che investirebbe una pluralità di interessi pubblici, tutti diretti al mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza, mediante la verifica della sussistenza di una serie di requisiti soggettivi e oggettivi del richiedente la concessione.
Del resto, con la sentenza n. 222 del 2006 questa Corte avrebbe chiarito che il criterio teleologico adottato nell’individuazione dei contenuti della materia della sicurezza manterrebbe comunque una notevole capacità penetrativa della potestà legislativa statale nelle materie di competenza regionale, con un intervento di tipo trasversale. Ciò implicherebbe che le Regioni non potrebbero approvare o applicare leggi o provvedimenti, i quali, benché vertenti su altre materie di competenza regionale, comportino anche effetti che, direttamente o indirettamente, vanifichino o neutralizzino quelle misure amministrative adottate dall’amministrazione dello Stato per prevenire il compimento di reati, al di fuori di quanto la stessa legge statale consenta alla Regione. La materia della sicurezza, d’altronde, «non si esaurisce nell’adozione di misure relative alla prevenzione e repressione dei reati, ma comprende la tutela dell’interesse generale alla incolumità delle persone, e quindi la salvaguardia di un bene che abbisogna di una regolamentazione uniforme su tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 21 del 2010). Dunque, la disciplina dei giochi d’azzardo, nonché più in generale di tutti i giochi che presentino un elemento aleatorio e distribuiscano vincite, rientrerebbe pacificamente in tale competenza esclusiva statale (si richiama la sentenza n. 237 del 2006).
Inoltre, la limitazione stabilita dalla legge regionale comporterebbe inevitabili restrizioni che, almeno per i Comuni di ridotte dimensioni demografiche e territoriali, impedirebbero di fatto l’esercizio dell’attività in questione, così intervenendo sulla licenza ex art. 88 del TULPS, e, nel caso di specie, ex art. l, comma 643, della legge n. 190 del 2014.
3.2.3.– La legge reg. Abruzzo n. 40 del 2013 inciderebbe sulle licenze anche per contrasto con quanto ulteriormente previsto dall’art. 7 comma 10, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito. In particolare, tale comma stabilisce che le nuove disposizioni si applichino esclusivamente alle concessioni di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione e valgano, per ciascuna nuova concessione, in funzione della dislocazione territoriale degli istituti scolastici primari e secondari, delle strutture sanitarie e ospedaliere e dei luoghi di culto esistenti alla data del relativo bando.
Da ciò discenderebbe che l’applicazione della normativa regionale de qua, in assenza degli strumenti di raccordo e pianificazione previsti dalla normativa statale, inciderebbe del tutto ingiustificatamente sui valori costituzionali innanzi esplicitati.
3.3.– La normativa abruzzese, infine, non sarebbe conforme all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che fisserebbe limiti dinamici al potere legislativo e regolamentare statale, in attuazione dei principi di derivazione comunitaria (sul punto si richiama la sentenza n. 325 del 2010), in quanto genererebbe un sistema non favorevole alla concorrenza fra i diversi soggetti del mercato delle scommesse, non offrendo agli operatori le medesime condizioni in relazione all’ingresso nel predetto mercato. Sotto un altro aspetto, la disciplina regionale realizzerebbe una disparità di trattamento, riservando una condizione deteriore agli operatori entrati successivamente nel mercato delle scommesse rispetto ai concessionari nazionali.
4.– Sia la Regione Abruzzo, sia Laura Accardo hanno presentato memorie in prossimità dell’udienza, ribadendo e integrando le conclusioni rassegnate nei rispettivi atti di costituzione.
4.1.– In particolare, la difesa di Laura Accardo sottolinea l’irrilevanza del richiamo della difesa regionale all’intesa raggiunta dalla Conferenza unificata il 7 settembre 2017. Tale intesa, infatti, allo stato sarebbe priva di valore cogente, in quanto non recepita da alcun atto normativo (si richiama, in tal senso, Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione terza, sentenza 18 aprile 2018, n. 417). La stessa intesa, tra l’altro, prevederebbe la salvaguardia dei punti di raccolta già esistenti.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo - sezione staccata di Pescara ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 117, commi secondo, lettera h), e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera c), punto IV, della legge della Regione Abruzzo 29 ottobre 2013, n. 40 (Disposizioni per la prevenzione della diffusione dei fenomeni di dipendenza dal gioco).
La disposizione censurata include le «caserme militari» tra i «luoghi sensibili», riguardo ai quali l’art. 3, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2013 prevede che l’autorizzazione all’esercizio di sale da gioco o all’installazione di apparecchi per il gioco lecito può essere rilasciata solo per gli esercizi ubicati a distanza non inferiore a 300 metri dagli stessi luoghi.
2.– Secondo il giudice a quo tale disposizione violerebbe, in primo luogo, l’art. 117, secondo comma, lettera h), e terzo comma, Cost., poiché, all’interno di una legge con chiare finalità di carattere socio-sanitario, qual è la prevenzione del gioco d’azzardo patologico, s’introdurrebbe una categoria di luoghi sensibili del tutto estranea a tali finalità, eccedendo così le competenze regionali in materia di «tutela della salute» e intervenendo in realtà nell’ambito della materia «ordine pubblico e sicurezza», con conseguente invasione della potestà esclusiva statale.
3.– In secondo luogo, verrebbe altresì violato l’art. 3 Cost., perché non vi sarebbe alcuna interferenza tra case da gioco e caserme militari tale da giustificare un regime speciale rispetto ad altre strutture con analoghe caratteristiche.
4.– In via preliminare, deve precisarsi che la Regione Abruzzo, in persona del Presidente della Giunta regionale, si è costituita nel giudizio di costituzionalità in quanto parte del giudizio a quo, sebbene, come risulta dall’ordinanza di rimessione, ne fosse stata estromessa dalla sentenza con cui il TAR rimettente ha definito parzialmente il giudizio principale. Tuttavia, venendo in discussione la legittimità costituzionale di una disposizione legislativa adottata dalla Regione, il Presidente della Giunta Regionale aveva facoltà d’intervenire nel relativo giudizio incidentale e in tal senso la sua partecipazione al presente giudizio è comunque ammissibile.
5.– Sempre in via preliminare va rilevata l’inammissibilità degli ulteriori profili di censura sollevati da Laura Accardo, parte ricorrente nel giudizio a quo, prospettando la lesione del principio della libertà d’iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., della «tutela della concorrenza» ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., nonché dell’art. 117, terzo comma, Cost., per la specifica violazione delle modalità di pianificazione previste dall’art. 7, comma 10, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, in legge 8 novembre 2012, n. 189.
Si tratta, infatti, di censure non fatte proprie dal giudice a quo e tese ad allargare il thema decidendum, che, pertanto, non possono essere prese in considerazione (da ultimo, sentenze n. 14 del 2018n. 29 del 2017 e n. 96 del 2016).
6.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera c), punto IV, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2013, sollevate in riferimento agli artt. 3, 117, secondo comma, lettera h), e terzo comma, Cost., non sono fondate.
6.1.– Questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi più volte riguardo alla disciplina dei giochi leciti, ricondotta alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordine pubblico e sicurezza» per le modalità di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco leciti e per l’individuazione dei giochi leciti. Si tratta di profili, infatti, che evocano finalità di prevenzione dei reati e di mantenimento dell’ordine pubblico (sentenze n. 72 del 2010 e n. 237 del 2006), giustificando la vigenza del regime autorizzatorio previsto dagli artt. 86 e 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) (da qui: TULPS).
Ciò, tuttavia, non comporta che ogni aspetto concernente la disciplina dei giochi leciti ricada nella competenza statale, ben potendo le Regioni intervenire con misure tese a inibire l’esercizio di sale da gioco e di attrazione ubicate al di sotto di una distanza minima da luoghi considerati “sensibili”, al fine di prevenire il fenomeno della “ludopatia”. Disposizioni di tal fatta risultano «dichiaratamente finalizzate a tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio assistenziale, e a prevenire forme di gioco cosiddetto compulsivo, nonché ad evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilità e la quiete pubblica» (sentenza n. 300 del 2011). Si tratta, in altri termini, di normative che prendono in considerazione principalmente le conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell’impatto sul territorio dell’afflusso a detti giochi da parte degli utenti. Esse, pertanto, sono ascrivibili alle materie «tutela della salute» e «governo del territorio», nelle quali spetta alle Regioni e alle Province autonome una potestà legislativa concorrente.
Entro tale cornice si è mosso il legislatore statale, che con il d.l. n. 158 del 2012, come convertito, ha previsto, all’art. 7, comma 10, la progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante le cosiddette slot machines, ubicati in prossimità di luoghi sensibili (definendo come tali, in particolare, gli istituti di istruzione primaria e secondaria, le strutture sanitarie e ospedaliere, i luoghi di culto e i centri socio-ricreativi e sportivi).
Nelle more dell’intervento ivi previsto, non ancora realizzato, quasi tutte le Regioni hanno adottato disposizioni tese a individuare luoghi sensibili, prevedendo distanze minime dagli stessi, oscillanti fra i 300 e i 500 metri, per l’ubicazione di sale da gioco e scommesse, e macchine da gioco. L’elencazione dei luoghi è piuttosto varia, ma comprende sempre gli istituti scolastici, i luoghi di culto, gli impianti sportivi e le strutture sanitarie e per categorie protette, con talune specificità, come per gli istituti di credito e gli sportelli bancomat, gli uffici postali, gli esercizi di acquisto e vendita di oggetti preziosi e d’oro usati (Regione Marche e Regione Piemonte), le stazioni ferroviarie (Regione Piemonte), i terminal bus (Regione Molise), i circoli pensionati e anziani (Provincia autonoma di Trento). Sovente, inoltre, si attribuisce la facoltà d’individuare ulteriori luoghi sensibili ai Comuni, che sono intervenuti di frequente sul punto, in taluni casi anche contemplando le caserme militari (è il caso, ad esempio, del Comune di Venezia, che così dispone all’art. 6 della deliberazione del Consiglio comunale 10 novembre 2016, n. 50, recante «Regolamento comunale in materia di giochi»).
Tali interventi normativi hanno dato origine a un cospicuo contenzioso, riguardo al quale i giudici amministrativi hanno sottolineato l’estraneità di disposizioni siffatte all’ordine pubblico e alla sicurezza e la loro attinenza, invece, alla prevenzione della ludopatia. La giurisprudenza amministrativa, inoltre, ha sottolineato la legittimità delle norme regionali e comunali anche in assenza della pianificazione prevista dall’art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, nonché la natura non tassativa dell’elencazione dei luoghi sensibili ivi prevista (tra le tante, possono segnalarsi Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 10 febbraio 2016, n. 579; Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 22 ottobre 2015, n. 4861; Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 20 ottobre 2015, n. 4794; Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 23 ottobre 2014, n. 5251; Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 11 settembre 2013, n. 4498).
In seguito, con la sentenza n. 108 del 2017 questa Corte ha nuovamente sottolineato le finalità di carattere socio-sanitario di discipline regionali recanti limiti di distanza dai luoghi sensibili, ascrivibili quindi alla materia della «tutela della salute», così come presupposto, d’altronde, dallo stesso art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012. Inoltre, la pianificazione prevista dalla legislazione statale non costituisce una previa condizione necessaria per l’intervento delle Regioni, poiché la mancanza del decreto attuativo di tale pianificazione non può avere l’effetto di paralizzare sine die la competenza legislativa regionale, che si può esercitare nel rispetto dei principi fondamentali desumibili dalla legislazione statale.
I più recenti interventi regolatori confermano tale assetto. In particolare, in data 7 settembre 2017 è stata siglata in Conferenza unificata l’intesa prevista dall’art. 1, comma 936, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», volta alla definizione delle caratteristiche dei punti di vendita ove si raccoglie gioco pubblico, nonché dei criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell’ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di età. L’intesa fa esplicitamente salve le vigenti disposizioni regionali e comunali, ove recanti standard più elevati di tutela, con la possibilità per Regioni ed enti locali di dettare anche in futuro nuove discipline più restrittive. Sebbene tuttora non recepita dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze previsto dalla legge n. 208 del 2015, tale intesa è stata espressamente richiamata dalla successiva legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), che all’art. 1, comma 1049, stabilisce che le Regioni adeguino la propria legislazione a quanto sancito dalla stessa.
6.2.– Il quadro normativo e giurisprudenziale, dunque, consente espressamente alle Regioni d’intervenire prevedendo distanze minime dai luoghi sensibili per l’esercizio delle attività legate ai giochi leciti, anche individuando luoghi diversi da quelli indicati dal d.l. n. 158 del 2012, come convertito. Tale assunto, d’altronde, non è contestato neppure dall’ordinanza di rimessione, che riconosce altresì le finalità di prevenzione della ludopatia dell’intervento legislativo abruzzese.
L’inclusione delle caserme militari tra i luoghi sensibili non è estranea a tali finalità. Le caserme, infatti, sono destinate all’addestramento e all’alloggio dei militari, in particolare e nella maggior parte dei casi dei giovani che svolgono la precipua formazione in tale campo. Si tratta, quindi, senz’altro di peculiari centri di aggregazione di soggetti che ben possono considerarsi più esposti ai rischi legati ai giochi leciti. E, in tal senso, non si vede come l’appartenenza a un corpo militare (e tantomeno il legittimo possesso di un’arma) potrebbe essere ritenuto di per sé un indice di minore vulnerabilità alla ludopatia, come pare affermare la difesa di Laura Accardo.
Inoltre, nella misura in cui le caserme militari siano adibite anche ad attività operative nei confronti del pubblico, le stesse si configurano altresì come luoghi di aggregazione in cui possono transitare soggetti in difficoltà, che cercano tutela e protezione (si pensi a chi denunci un reato contro la persona o il patrimonio), quindi potenzialmente più esposti a quei fenomeni di debolezza psichica su cui s’innesta la ludopatia.
Il legislatore abruzzese, in conclusione, è certamente intervenuto nell’ambito della materia «tutela della salute», senza invadere la competenza esclusiva dello Stato, con una disciplina che appare altresì non irragionevole, poiché le caserme militari presentano caratteristiche idonee a essere qualificate come luoghi sensibili.
Si tratta, d’altronde, di aspetti che, nei limiti della non irragionevolezza, non possono non rientrare nella discrezionalità del legislatore, le cui valutazioni ben potrebbero, ad esempio, essere legate alla specifica conformazione territoriale. Non a caso, come già osservato, le scelte regionali sul punto sono state assai diversificate e solo per alcuni luoghi si riscontra un costante inserimento nell’elenco, mentre non sono infrequenti valutazioni specifiche di singole Regioni (si pensi alle stazioni bus o ferroviarie), come nel caso di specie.
Non risulta irragionevole, quindi, neppure la mancata inclusione nell’elenco dei luoghi sensibili di strutture assimilabili alle caserme militari, quali le amministrazioni civili del comparto sicurezza, censurata dal giudice a quo senza neppure illustrare le ragioni per cui tali tipologie di strutture sarebbero assimilabili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera c), punto IV, della legge della Regione Abruzzo 29 ottobre 2013, n. 40 (Disposizioni per la prevenzione della diffusione dei fenomeni di dipendenza dal gioco), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 117, commi secondo, lettera h), e terzo, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo - sezione staccata di Pescara, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2019.

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