Nei giorni scorsi sono apparsi manifesti affissi per conto di ENI a bordo strada e nelle pensiline del trasporto pubblico su ruota, segnalati per ora nella città di Firenze.
Il manifesto riporta il marchio Eni in cui dentro al cane a sei zampe si vedono un gruppo di soldati intento a cacciare altri non meglio noti combattenti a mani in alto. Nella parte alta, sembra in lontananza, si vedono le macerie di una città da cui sorgono un paio di stazioni di estrazione di gas. Il cane a sei zampe è intento a calpestare con le zampe posteriori la bandiera della Palestina, in perpendicolare ai genitali. Sotto campeggia la scritta gigante ENI seguita dallo slogan "al fianco del genocidio".
Ad una prima e veloce vista del manifesto, l'esperienza di chi passa in auto o in scooter, ma finanche a piedi mentre aspetta il bus, quello che più risalta per colore è la bandiera palestinese che negli ultimi mesi è stata sventolata e ricondotta ai movimenti a fianco della Palestina. Nella frase più piccola vicino al logo ENI, sta scritto "al fianco del genocidio". L'individuo qualunque, non conoscendo gli interessi di ENI e catturato dalla sola grafica, rischia di convincersi a trovarsi davanti un manifesto al fianco del popolo palestinese.
E' forse questo il motivo per cui si parla poco di questa campagna ad opera di una azienda dallo Stato, se pur per poco. Infatti in ENI il principale azionista privato dopo l'Italia è BlackRock, che è con Vanguard e State Street, il principale azionista di KKR (entrato in ENIlive). Lo Stato italiano ha ceduto nel Maggio 24 il 2.8% delle quote ENI (in sconto) abdicando al potere decisionale, incassando 1.4 miliardi, perdendo 23 milioni di dividendi (ENI è in attivo lo Stato può uscirne). Un'azienda pubblica finanzia questa campagna politica, dove, al contrario di altra pubblicistica più ambigua, si mette per iscritto che quello perpetrato oggi in Palestina dallo stato di Israele sovvenzionato dall'Occidente, è un genocidio; rispetto al quale, per ENI, la posizione non può che essere al suo fianco. Secondo un presunto principio di interesse nazionale visto il coinvolgimento (passivo) dello Stato.
Quello che sta accadendo in Palestina tocca 4 generazioni e 70 anni di guerra civile. Negli ultimi anni lo sterminio ha subito un'accelerazione che è sotto gli occhi di tutti. Una strategia (implicita nei patti di Abramo) che ha come obbiettivo la via del cotone, alternativa USA alla via della seta cinese, la quale prevede un collegamento tra i porti degli Emirati e India per passaggio di gas, petrolio e merci fino alla costa mediterranea di Israele. Oltre all'obbiettivo logistico vi è anche quello di impadronirsi dei giacimenti di gas e petroliferi al largo delle coste libanesi e palestinesi. Per questo l'offensiva contro Hamas e contro Hezbollah. La via del cotone privilegerebbe i paesi sunniti del golfo tagliando fuori Iran e Cina.
E' proprio quando si parla di giacimenti off-shore che entra in gioco ENI. ENI (e altre compagnie petrolifere occidentali) appena tre settimane dopo l'attacco di Hamas, ha ottenuto da Israele una licenza per esplorare e scoprire ulteriori giacimenti off-shore di gas naturale in una zona marittima adiacente alle coste di Gaza.
La licenza data ad ENI da Israele è oggi vincolata da una diffida all'ente ad iniziare i lavori di estrazione nelle aree marittime in oggetto perché in tal modo si renderebbe complice di crimini di guerra. Ai sensi del diritto internazionale applicabile a Israele in quanto stato occupante, è vietato sfruttare le risorse non rinnovabili del territorio occupato a beneficio dell'occupante. La diffida è stata prodotta da uno studio legale di Boston a cui si sono rivolti alcuni gruppi palestinesi per i diritti umani. Questo sarà vero finché esisterà una Palestina istituzionale rappresentabile nei circoli borghesi. Questo sarà vero finché esisterà una Palestina che si affaccia sul mediterraneo e non una piccola e insignificante enclave che per sopravvivere continuerà a lavorare al servizio dei coloni israeliani.
Ecco perché ENI è al fianco del genocidio.
Il manifesto riporta il marchio Eni in cui dentro al cane a sei zampe si vedono un gruppo di soldati intento a cacciare altri non meglio noti combattenti a mani in alto. Nella parte alta, sembra in lontananza, si vedono le macerie di una città da cui sorgono un paio di stazioni di estrazione di gas. Il cane a sei zampe è intento a calpestare con le zampe posteriori la bandiera della Palestina, in perpendicolare ai genitali. Sotto campeggia la scritta gigante ENI seguita dallo slogan "al fianco del genocidio".
Ad una prima e veloce vista del manifesto, l'esperienza di chi passa in auto o in scooter, ma finanche a piedi mentre aspetta il bus, quello che più risalta per colore è la bandiera palestinese che negli ultimi mesi è stata sventolata e ricondotta ai movimenti a fianco della Palestina. Nella frase più piccola vicino al logo ENI, sta scritto "al fianco del genocidio". L'individuo qualunque, non conoscendo gli interessi di ENI e catturato dalla sola grafica, rischia di convincersi a trovarsi davanti un manifesto al fianco del popolo palestinese.
E' forse questo il motivo per cui si parla poco di questa campagna ad opera di una azienda dallo Stato, se pur per poco. Infatti in ENI il principale azionista privato dopo l'Italia è BlackRock, che è con Vanguard e State Street, il principale azionista di KKR (entrato in ENIlive). Lo Stato italiano ha ceduto nel Maggio 24 il 2.8% delle quote ENI (in sconto) abdicando al potere decisionale, incassando 1.4 miliardi, perdendo 23 milioni di dividendi (ENI è in attivo lo Stato può uscirne). Un'azienda pubblica finanzia questa campagna politica, dove, al contrario di altra pubblicistica più ambigua, si mette per iscritto che quello perpetrato oggi in Palestina dallo stato di Israele sovvenzionato dall'Occidente, è un genocidio; rispetto al quale, per ENI, la posizione non può che essere al suo fianco. Secondo un presunto principio di interesse nazionale visto il coinvolgimento (passivo) dello Stato.
Quello che sta accadendo in Palestina tocca 4 generazioni e 70 anni di guerra civile. Negli ultimi anni lo sterminio ha subito un'accelerazione che è sotto gli occhi di tutti. Una strategia (implicita nei patti di Abramo) che ha come obbiettivo la via del cotone, alternativa USA alla via della seta cinese, la quale prevede un collegamento tra i porti degli Emirati e India per passaggio di gas, petrolio e merci fino alla costa mediterranea di Israele. Oltre all'obbiettivo logistico vi è anche quello di impadronirsi dei giacimenti di gas e petroliferi al largo delle coste libanesi e palestinesi. Per questo l'offensiva contro Hamas e contro Hezbollah. La via del cotone privilegerebbe i paesi sunniti del golfo tagliando fuori Iran e Cina.
E' proprio quando si parla di giacimenti off-shore che entra in gioco ENI. ENI (e altre compagnie petrolifere occidentali) appena tre settimane dopo l'attacco di Hamas, ha ottenuto da Israele una licenza per esplorare e scoprire ulteriori giacimenti off-shore di gas naturale in una zona marittima adiacente alle coste di Gaza.
La licenza data ad ENI da Israele è oggi vincolata da una diffida all'ente ad iniziare i lavori di estrazione nelle aree marittime in oggetto perché in tal modo si renderebbe complice di crimini di guerra. Ai sensi del diritto internazionale applicabile a Israele in quanto stato occupante, è vietato sfruttare le risorse non rinnovabili del territorio occupato a beneficio dell'occupante. La diffida è stata prodotta da uno studio legale di Boston a cui si sono rivolti alcuni gruppi palestinesi per i diritti umani. Questo sarà vero finché esisterà una Palestina istituzionale rappresentabile nei circoli borghesi. Questo sarà vero finché esisterà una Palestina che si affaccia sul mediterraneo e non una piccola e insignificante enclave che per sopravvivere continuerà a lavorare al servizio dei coloni israeliani.
Ecco perché ENI è al fianco del genocidio.
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