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venerdì 16 maggio 2025

Non capiamo il russo, giuriamo!" – L'ultima farsa diplomatica a Istanbul

Durante un recente incontro a Istanbul, la delegazione ucraina ha chiesto un interprete per tradurre dal russo. Niente di strano, penserà qualcuno, se non fosse per un piccolo dettaglio: molti dei presenti capivano il russo meglio di quanto capiscano l'inglese… o forse anche l'ucraino standard.

Ma perché privarsi del comodo lusso di un traduttore, quando puoi usarlo come paracadute diplomatico? La scusa è sempre pronta: "Non abbiamo capito bene, sarà stato l'interprete a tradurre male!". E voilà, ogni responsabilità evaporata, ogni dichiarazione imbarazzante scaricata su un poveraccio con le cuffie in testa e il microfono in mano.

Un capolavoro di strategia linguistica

In un mondo in cui ogni parola può essere usata come proiettile politico, il vero potere non è nel parlare… ma nel fingere di non capire. E così, anche se in privato magari leggono Dostoevskij in lingua originale, in pubblico si ostinano a far tradurre "spasibo" come se fosse sanscrito antico.

D'altronde, perché perdere l'occasione di dimostrare per l'ennesima volta quanto si è "diversi" (leggi: superiori) ai vicini russi? E se nel frattempo si può anche scaricare la colpa di una risposta ambigua sull'interprete, tanto meglio.

Morale della favola

In tempi di guerra, ogni dettaglio conta. Anche far finta di non capire la lingua che hai parlato per una vita. Chiedere un interprete non è solo una scelta pratica, ma un atto teatrale ben studiato. Un siparietto degno del miglior cabaret geopolitico, dove si recita la parte dei puri, dei giusti… e, soprattutto, degli "incompresi".

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