Circ. 28 marzo 2011, n. 6/2011 (1).
Misure di contenimento e razionalizzazione della spesa delle pubbliche amministrazioni - Utilizzo delle autovetture in dotazione alle amministrazioni pubbliche.
(1) Emanata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica.
Alle
Amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001
1. Premessa: ambito di applicazione della vigente disciplina in materia di autovetture di servizio
Il tema dell’utilizzo delle autovetture in dotazione alle amministrazioni pubbliche è stato oggetto di recente attenzione da parte del Dipartimento della funzione pubblica.
La Circ. 11 maggio 2010, n. 6/2010, oltre a ripercorrere la disciplina in vigore sulla materia, ha fornito alle amministrazioni specifiche indicazioni, improntate ai criteri di trasparenza, efficienza, economicità ed efficacia, per il più razionale utilizzo delle autovetture in dotazione e delle risorse, umane e strumentali, connesse alla gestione del parco-auto.
Il Dipartimento ha, innanzitutto, richiamato l’attenzione delle amministrazioni destinatarie sulla necessità della corretta applicazione delle disposizioni afferenti gli aventi diritto all’uso delle autovetture, in via esclusiva e non esclusiva.
In particolare, è stato evidenziato come, in base a quanto disposto dal D.P.C.M. 30 ottobre 2001, l’utilizzo delle autovetture in via esclusiva sia consentito alle sole autorità politiche e ad alcune categorie di funzionari pubblici individuati, nell’ambito delle amministrazioni dello Stato e delle magistrature, con riferimento a criteri di salvaguardia delle esigenze funzionali di servizio e di sicurezza personale. Oltre al Presidente del Consiglio dei Ministri e Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri e Vice Ministri, ai Sottosegretari di Stato, l’autovettura di servizio in uso esclusivo può essere, pertanto, assegnata al Primo Presidente e al Procuratore generale della Corte di cassazione e al Presidente del tribunale superiore delle acque pubbliche, al Presidente
del Consiglio di Stato, al Presidente e al Procuratore generale della Corte dei conti, all’Avvocato generale dello Stato, al Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Presidente del Consiglio di giustizia amministrativa della regione siciliana e ai Presidenti di Autorità indipendenti.
L’assegnazione di vetture in uso non esclusivo può essere, invece, prevista, con apposito provvedimento adottato da ciascuna amministrazione, a favore dei soggetti preposti a specifici Uffici, facenti parte dei Gabinetti ministeriali ovvero posti al vertice delle amministrazioni medesime.
La Circ. 11 maggio 2010, n. 6/2010 ha, altresì, ricordato che l’uso dell’autovettura di servizio deve essere riservato alle esclusive esigenze di servizio del titolare, ivi compresi gli spostamenti verso e dal luogo di lavoro e che, ai sensi dell’art. 2, comma 122, della L. n. 662/1996, tutti coloro che sono cessati dalla carica pubblica precedentemente ricoperta perdono il diritto all’uso dell’autovettura di servizio.
L’attuale disciplina normativa in materia di autovetture in dotazione delle pubbliche amministrazioni è stata dettata con riferimento specifico alle amministrazioni dello Stato ed alle magistrature. Tuttavia, in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa pubblica, il legislatore, già con la L. n. 296/2006 (legge finanziaria per l’anno 2007), all’art. 1, comma 505, aveva imposto l’applicazione di alcune norme di contenimento e razionalizzazione della spesa - tra le quali vi erano anche quelle per le auto di servizio (L. n. 266/2005, art. 1, comma 11) - alle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, come individuate dall’ISTAT nell’elenco pubblicato ai sensi dell’art. 1, comma 5, della L. n. 311/2004.
Nelle successive disposizioni finanziarie è stato costantemente ribadito il principio della comune responsabilità delle amministrazioni nel perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica sulla base dei principi fondamentali dell’armonizzazione dei bilanci e del coordinamento della finanza pubblica (cfr., al riguardo, l’art. 1, comma 3, della L. 31 dicembre 2009, n. 196 - legge finanziaria per l’anno 2010).
Pertanto, ferma restando l’indicazione contenuta nella Circ. 11 maggio 2010, n. 6/2010 riguardante gli enti pubblici non economici, presso cui l’uso esclusivo dell’autovettura di servizio, coerentemente con quanto previsto per le amministrazioni dello Stato, va riservato al solo vertice dell’Ente (Presidente), si osserva che le amministrazioni diverse dallo Stato, ove lo ritengano, potranno valutare l’adozione di criteri di equiparazione delle cariche istituzionali previste da ciascun ordinamento rispetto a quanto stabilito dalle norme di legge e regolamentari per le amministrazioni statali, al fine di identificare gli aventi diritto all’uso, esclusivo o non esclusivo, dell’autovettura di servizio.
2. Le disposizioni di contenimento della spesa di cui al D.L. n. 78/2010
Anche nei più recenti provvedimenti in materia di finanza pubblica è stata ribadita la necessità di contenere, tra le altre, anche le spese per la gestione e l’utilizzo delle autovetture in dotazione delle pubbliche amministrazioni, nonché quelle sostenute per l’acquisto di buoni taxi.
In particolare, l’art. 6, comma 14, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività”, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, statuisce che “A decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’ articolo 1, comma 3, della L. 31 dicembre 1999, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese di ammontare superiore all’80 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009 per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, nonché per l’acquisto di buoni taxi; il predetto limite può essere derogato,
per il solo anno 2011, esclusivamente per effetto di contratti pluriennali già in essere. La predetta disposizione non si applica alle autovetture utilizzate dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco e per i servizi istituzionali di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica”.
Come indicato nella Circ. 23 dicembre 2010, n. 40 della Ragioneria generale dello Stato, la disposizione non si applica agli enti territoriali e agli enti di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale.
3. Strumenti innovativi di gestione e utilizzo delle autovetture
La forte contrazione della spesa imposta dal legislatore, da ultimo, con il provvedimento sopra richiamato, pone le amministrazioni nella obbligata condizione di elaborare strumenti gestionali innovativi che consentano di assicurare l’efficienza e l’efficacia del servizio pur in presenza di minori risorse.
Con la precedente circolare sono state fornite alcune indicazioni al riguardo, vertenti sull’adozione di strumenti atti a valorizzare la trasparenza e l’economicità della gestione, ad esempio attraverso la definizione di un importo di spesa che ricomprenda, oltre all’eventuale canone per l’uso, tutte le altre voci di costo che gravano sul veicolo, quali assicurazione, bollo auto, manutenzione, ecc. In tal modo si potrebbe giungere, infatti, alla definizione di un “costo standard” che consenta alle PP.AA. di programmare acquisti basati su “pacchetti di chilometri”.
Anche in base alle risultanze del monitoraggio realizzato a seguito della citata Circ. 11 maggio 2010, n. 6/2010, si intende, in questa sede, fornire ulteriori indicazioni alle amministrazioni per porre in essere modalità di gestione utili a realizzare i risparmi di spesa richiesti dalle esigenze delle politiche di bilancio e, nel contempo, ad assicurare un soddisfacente livello di erogazione del servizio.
Si ritiene, in primo luogo, di dover evidenziare l’opportunità che le amministrazioni procedano alla dismissione del parco autovetture di proprietà, peraltro già prevista in precedenti disposizioni normative, a partire dall’art. 21 della legge n. 412/1991 e dall’art. 2, comma 117, della legge n. 662/1996 (analoghe previsioni erano contenute nella Dir.P.C.M. 27 febbraio 1998 sulle autovetture di servizio in dotazione alle amministrazioni civili dello Stato ed agli enti pubblici non economici e nella Dir.Min. 30 ottobre 2001 del Ministro per la funzione pubblica).
Infatti, la riduzione del numero complessivo di autovetture di proprietà può consentire di ottenere significativi risparmi di spesa e di gestione. L’acquisizione in proprietà potrà essere limitata ai soli casi di documentato risparmio e di acquisto di autovetture a bassa emissione di agenti inquinanti, nel rispetto delle prescrizioni comunitarie.
Nella scelta delle autovetture, inoltre, le amministrazioni dovranno porre specifica attenzione alla selezione dei modelli e delle cilindrate.
Il contenimento dei costi di gestione delle autovetture di servizio potrà, infatti, derivare anche dalla riduzione della potenza, della cilindrata, dei consumi, dei premi assicurativi e delle spese di manutenzione, nonché dalla scelta di allestimenti e modelli con caratteristiche di sobrietà e non eccedenza rispetto alle esigenze di utilizzazione delle autovetture.
Per l’acquisizione di autovetture di servizio, le amministrazioni potranno ricorrere in via prioritaria alla stipula di contratti di locazione o noleggio con o senza conducente, o di convenzioni con società di tassisti o di trasporto con conducente.
Inoltre, si invitano le amministrazioni a valutare l’opportunità e la convenienza di utilizzare gli strumenti e le procedure messe a disposizione da Consip S.p.A. per l’acquisizione delle autovetture, attraverso cui potrebbero realizzarsi risparmi gestionali ed economie dovute alla maggiore importanza della fornitura.
Una minore spesa potrà, altresì, derivare dall’adozione di strumenti di razionalizzazione dell’uso delle autovetture per percorsi in tutto o in parte coincidenti, attraverso l’utilizzo condiviso delle stesse, anche tra più amministrazioni, a fronte di esigenze di servizio programmate periodicamente, ovvero, qualora non programmabili, segnalate tempestivamente.
Parimenti, un effetto positivo sulla spesa potrà derivare dall’adozione di sistemi per la trasparenza dell’uso delle autovetture di servizio operativo con riferimento alla percorrenza chilometrica, ai tempi di percorrenza e ai consumi.
La dismissione del parco autovetture, l’adozione di misure di razionalizzazione del servizio e di diversi strumenti gestionali può condurre alla riduzione delle esigenze di personale impiegato nel suddetto settore operativo. In tal caso, le amministrazioni potranno programmare la diversa utilizzazione delle risorse umane liberate, realizzando appositi percorsi formativi volti al reimpiego professionale del proprio personale non più impiegato nelle attività di conduzione e gestione del parco auto.
4. Rilevazioni delle autovetture e dei relativi costi
A seguito dell’emanazione della citata Circ. 11 maggio 2010, n. 6/2010, il Dipartimento della funzione pubblica, supportato da Formez PA, ha inviato a tutte le amministrazioni pubbliche comprese nell’elenco ISTAT un questionario che ha consentito di procedere alla rilevazione quantitativa di tutte le autovetture in dotazione alle amministrazioni (prendendo in considerazione il periodo 2008-2009).
Sono stati acquisiti, infatti, i dati relativi al numero di auto utilizzate, assegnate in uso esclusivo e non esclusivo; al numero e alla qualifica degli assegnatari delle autovetture; al numero di auto di servizio a disposizione per le esigenze degli uffici (cioè delle auto che nei questionari di rilevazione sono state denominate “grigie”); al costo complessivo delle autovetture e del servizio.
Le amministrazioni hanno, inoltre, inviato, tramite PEC (posta elettronica certificata), la certificazione relativa alla spesa complessiva sostenuta per le autovetture nel medesimo periodo dei due anni precedenti.
Sul sito www.innovazionepa.gov.it sono consultabili i risultati del monitoraggio, il rapporto al Parlamento ed i singoli questionari inviati dalle Amministrazioni, sui quali può essere attivata la ricerca per parola chiave.
4.1 Nuovo monitoraggio
Per il più efficace raggiungimento degli obiettivi di risparmio e razionalizzazione e per il mantenimento nel tempo degli effetti delle misure di contenimento della spesa, in attesa dell’adozione di provvedimenti legislativi che consentano il puntuale e completo censimento delle auto in uso nelle pubbliche amministrazioni, si ritiene opportuno effettuare un nuovo monitoraggio generale delle autovetture in dotazione alle amministrazioni.
Il monitoraggio, oltre a perseguire l’obiettivo di aggiornare all’anno 2010 i dati raccolti attraverso la precedente rilevazione, ha come scopo ulteriore quello di acquisire informazioni in merito alle misure adottate eventualmente dalle amministrazioni per la razionalizzazione del servizio, avuto anche riguardo alle indicazioni contenute nella Circ. 11 maggio 2010, n. 6/2010.
La rilevazione riguarderà l’intero parco auto in uso alle pubbliche amministrazioni, con indicazione separata delle autovetture o dei mezzi adibiti a servizi specifici, come, ad esempio, le vetture in dotazione alla Polizia Municipale. Dal punto di vista temporale, terrà conto dei dati relativi all’intero anno 2010.
Come già per la rilevazione precedente, oggetto del monitoraggio saranno:
a) il numero di “auto blu blu” di rappresentanza (utilizzate dalle alte cariche dello Stato, delle magistrature e delle Autorità indipendenti o assegnate agli organi di governo di regioni e amministrazioni locali, e ai vertici istituzionali degli enti pubblici centrali e locali), il numero delle auto di servizio (auto blu) e il numero delle auto a disposizione degli uffici (auto grigie), sia alla data del 31 dicembre 2009, sia del 31 dicembre 2010;
b) il numero delle auto entrate nella disponibilità dell’ente per le acquisizioni intervenute nel 2010;
c) il numero e la tipologia degli assegnatari delle auto di rappresentanza, delle auto di servizio e delle auto a disposizione;
d) le unità di personale adibito alla guida o impegnate nella gestione e nella custodia del parco auto;
e) il costo annuale sostenuto nel 2010 per detto personale;
f) la percorrenza complessiva in KM e le spese di gestione delle autovetture;
g) l’eventuale adozione di misure di contenimento della spesa, ottimizzazione dell’utilizzo del parco autovetture e di trasparenza anche nei confronti dei cittadini.
Come già nella precedente edizione del monitoraggio, le amministrazioni dovranno compilare l’apposita scheda-questionario allegata alla presente direttiva.
Il questionario sarà trasmesso alle amministrazioni da Formez PA e dovrà essere compilato esclusivamente on line, utilizzando il link che verrà inviato a ciascuna amministrazione da Formez PA stesso.
I dati dovranno essere inviati entro la data del 29 aprile 2011.
Ai fini della corretta attuazione del principio di trasparenza, le schede di monitoraggio ed i dati relativi alla certificazione della spesa dovranno essere pubblicati, da ciascuna amministrazione, sul proprio sito istituzionale, nell’apposta sezione “Trasparenza, valutazione merito” prevista dall’art. 11, comma 8, del D.Lgs. n. 150 del 2009.
Inoltre, gli stessi dati saranno oggetto di pubblicazione sul sito del Dipartimento della funzione pubblica.
Si raccomanda la massima puntualità nell’invio delle informazioni e nella pubblicazione delle stesse sui siti istituzionali. A tale riguardo, lo scrivente Dipartimento attiverà le opportune verifiche ispettive, finalizzate anche alla valutazione, in base alla normativa vigente, di eventuali non corretti adempimenti da parte delle amministrazioni.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione
Renato Brunetta
D.P.C.M. 30 ottobre 2001
L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 122
L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 505
L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 11
L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 5
L. 31 dicembre 2009, n. 196, art. 1
D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 6
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venerdì 29 aprile 2011
Presidenza del Consiglio dei Ministri Circ. 28-3-2011 n. 6/2011 Misure di contenimento e razionalizzazione della spesa delle pubbliche amministrazioni - Utilizzo delle autovetture in dotazione alle amministrazioni pubbliche. Emanata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica.
Funzione Pubblica: indicazioni sulle modifiche alla disciplina in materia di permessi per l´assistenza ai disabili Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con circolare n. 13 del 6 dicembre 2010, fornisce indicazioni di carattere generale omogenee per il settore pubblico e privato, relativamente alle modifiche alla disciplina in materia di permessi per l´assistenza alle persone con disabilità, dovute all´introduzione dell´articolo 24, della Legge 4 novembre 2010, n. 183.
Funzione Pubblica: indicazioni sulle modifiche alla disciplina in materia di permessi per l´assistenza ai disabili
Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con circolare n. 13 del 6 dicembre 2010, fornisce indicazioni di carattere generale omogenee per il settore pubblico e privato, relativamente alle modifiche alla disciplina in materia di permessi per l´assistenza alle persone con disabilità, dovute all´introduzione dell´articolo 24, della Legge 4 novembre 2010, n. 183.
UFFICIO PERSONALE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONISERVIZIO TRATTAMENTO PERSONALE
Alle Amministrazioni pubbliche
di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001
CIRCOLARE N.
OGGETTO: modifiche alla disciplina in materia di permessi per l'assistenza alle persone con disabilità - banca dati informatica presso il Dipartimento della funzione pubblica - legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 24.
L'art. 24 della nuova legge riguarda le "Modifiche alla disciplina in materia di permessi per l'assistenza a portatori di handicap in situazione di gravità ". La disposizione innova parzialmente il regime dei permessi per l'assistenza ai soggetti disabili contenuto nella legge 5 febbraio 1992, n. 104, e nel decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. La norma inoltre prevede l'istituzione e la gestione di una banca dati informatica per la raccolta e la gestione dei dati relativi alla fruizione dei permessi a fini di monitoraggio e controllo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica. Rimane invariato il regime dei permessi, del trasferimento e della tutela della sede per i lavoratori con disabilità che fruiscono delle agevolazioni per le esigenze della propria persona.
La presente circolare è stata elaborata a seguito di un lavoro istruttorio di confronto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le altre amministrazioni istituzionalmente interessate dalla materia, con l'obiettivo di fornire indicazioni di carattere generale omogenee per il settore del lavoro pubblico e privato. La finalità della presente circolare è quella di rendere degli orientamenti per l'interpretazione e l'applicazione della nuova normativa, ferme restando le autonome determinazioni di ciascuna amministrazione nell'esercizio del proprio potere organizzativo e gestionale. Rimane fermo quanto già illustrato dal Dipartimento della funzione pubblica nella Circolare n. 8 del 2008, par. 2.2 e 2.3, a proposito dell'utilizzo frazionato dei permessi.
Prima di affrontare nel merito le questioni, si ritiene necessario compiere una precisazione di tipo terminologico. Come noto, il dibattito circa la terminologia da utilizzare per indicare le persone con disabilità è stato ampio ed è ancora vivace. Lo spirito che anima il dibattito è quello di evitare espressioni o definizioni che possano recare insitamente un'idea di disvalore, promuovendo invece l'uso di termini e concetti che consentano di mettere in risalto il valore derivante dalla diversità. A livello internazionale, è ormai diffuso il concetto di "persona con disabilità", che viene utilizzato nella Convenzione delle Nazioni unite del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18. Ad oggi, dovendo trattare la materia, la soluzione migliore sarebbe quella di attenersi alle scelte compiute in sede internazionale, con la conseguenza che, anche nell'esame della disciplina contenuta nella l. n. 104 del 1992, che è la legge italiana fondamentale in materia (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), dovrebbe farsi riferimento esclusivamente al concetto di persona con disabilità. Tuttavia, ragioni di chiarezza inducono a seguire nello specifico una strada diversa che, nel rispetto del testo legislativo, utilizza la diversa espressione di "persona in situazione di handicap". Benché questa espressione possa ormai risultare inadeguata alla luce di quanto sopra detto, essa è ancora presente nel testo della menzionata l. n. 104 e serve ad indicare con chiarezza la situazione dei disabili nei confronti dei quali sono stati effettuati gli accertamenti ai sensi dell'art. 4 della legge stessa (Accertamento dell'handicap). Tali accertamenti, dai quali può emergere anche una connotazione di gravità dell'handicap quando ricorrono le condizioni di cui all'art. 3, comma 3 (ovvero "qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione" della persona), rappresentano il presupposto per la fruizione di varie agevolazioni previste nella legge stessa; la situazione certificata di handicap grave costituisce in particolare il presupposto per la fruizione dei permessi previsti nell'art. 33.
Si segnala pertanto che, per maggior precisione e semplicità di esposizione, nella presente circolare e nelle eventuali successive note interpretative verrà mantenuto il riferimento all'espressione "persona in situazione di handicap" e "persona in situazione di handicap grave" pur nella consapevolezza del carattere inadeguato di queste espressioni rispetto all'evoluzione della normativa internazionale e del costume sociale.
Di seguito si procede quindi ad illustrare le novità apportate dall'art. 24 della l. n. 183, che sostanzialmente consistono nella restrizione dei soggetti legittimati a fruire dei permessi per assistere persone in situazione di handicap grave, nell'eliminazione dei requisiti della convivenza e della continuità ed esclusività dell'assistenza prestata dal lavoratore, nella ridisciplina del diritto al trasferimento, nella previsione della decadenza nel caso di insussistenza dei requisiti per la fruizione delle agevolazioni e nell'istituzione della banca dati presso il Dipartimento della funzione pubblica.
Il nuovo testo del comma 3 dell'art. 33 citato prevede: "A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l'assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente."
Secondo la norma, in linea generale, la legittimazione alla fruizione dei permessi per assistere una persona in situazione di handicap grave spetta al coniuge e ai parenti ed affini entro il secondo grado. Rispetto alla normativa previgente, la nuova disposizione da un lato ha menzionato espressamente il coniuge tra i lavoratori titolari della prerogativa, dall'altro ha posto la limitazione dei parenti ed affini entro il secondo grado.
Data la regola generale, la legge ha però previsto un'eccezione per i casi in cui i genitori o il coniuge della persona da assistere abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti. In queste ipotesi, stimando eccessivamente onerosa o impossibile l'opera di assistenza a causa dell'età non più giovane o della patologia del famigliare, la legge prevede la possibilità di estendere la legittimazione alla titolarità dei permessi anche ai parenti e agli affini entro il terzo grado.
Pertanto, la novità più rilevante rispetto al regime previgente è rappresentata dalla restrizione della categoria di famigliari che possono fruire dei permessi, poiché con la nuova norma si passa dal terzo al secondo grado di parentela, salvo la ricorrenza delle situazioni eccezionali dell'assenza, dell'età anagrafica o delle patologie.
Per comodità, si rammenta che il rapporto di parentela e quello di affinità sono definiti dal codice civile (art. 74 c.c.: "La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite"; art. 78 c.c.: "L'affinità è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell'altro coniuge"). In base alla legge, sono parenti di primo grado: genitori, figli; sono parenti di secondo grado: nonni, fratelli, sorelle, nipoti (figli dei figli); sono parenti di terzo grado: bisnonni, zii, nipoti (figli di fratelli e/o sorelle), pronipoti in linea retta. Sono affini di primo grado: suocero/a, nuora, genero; sono affini di secondo grado: cognati; sono affini di terzo grado: zii acquisiti, nipoti acquisiti.
La legge non ha definito la nozione di "patologie invalidanti". In mancanza di un'espressa scelta sul punto, sentito il Ministero della salute, un utile punto di riferimento per l'individuazione di queste patologie è rappresentato dall'art. 2, comma 1, let. d), del decreto interministeriale - Ministero per la solidarietà sociale, Ministero del lavoro e della previdenza sociale, Ministero per le pari opportunità 21 luglio 2000, n. 278 (Regolamento recante disposizioni di attuazione dell'articolo 4 della L. 8 marzo 2000, n. 53, concernente congedi per eventi e cause particolari), che disciplina le ipotesi in cui è possibile accordare il congedo per gravi motivi di cui all'art. 4, comma 2, della l. n. 53 del 2000. In particolare, si tratta delle: "1) patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell'autonomia personale, ivi incluse le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche; 2) patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali; 3) patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario;".
In presenza di queste situazioni, che naturalmente debbono essere tutte documentate, la legge consente di allargare la cerchia dei famigliari legittimati a fruire dei permessi ex art. 33, comma 3, della l. n. 104 del 1992, stimando a priori che i soggetti affetti dalle patologie in esame non siano in grado di prestare un'assistenza adeguata alla persona in situazione di handicap grave. Pertanto, nel caso in cui il coniuge o i genitori della persona in situazione di handicap grave siano affetti dalle patologie rientranti in questo elenco, l'assistenza potrà essere prestata anche da parenti o affini entro il terzo grado.
Come detto, si può passare dal secondo al terzo grado di parentela anche nel caso di decesso o assenza del coniuge o del genitore della persona in situazione di handicap grave. Ai fini della disciplina in esame, si ritiene corretto ricondurre al concetto di assenza, oltre alle situazioni di assenza naturale e giuridica in senso stretto (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), le situazioni giuridiche ad esse assimilabili, che abbiano carattere stabile e certo, quali il divorzio, la separazione legale e l'abbandono, risultanti da documentazione dell'autorità giudiziaria o di altra pubblica autorità.
E' opportuno evidenziare che la possibilità di passare dal secondo al terzo grado di assistenza si verifica anche nel caso in cui uno solo dei soggetti menzionati (coniuge, genitore) si trovi nelle descritte situazioni (assenza, decesso, patologie invalidanti), poiché nella diposizione normativa è utilizzata la congiunzione disgiuntiva ("qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti").
Considerato che sulla questione sono stati ricevuti numerosi quesiti, è opportuno segnalare che le nuove norme non precludono espressamente la possibilità per lo stesso dipendente di assistere più persone in situazione di handicap grave, con la conseguenza che, ove ne ricorrano tutte le condizioni, il medesimo lavoratore potrà fruire di permessi anche in maniera cumulativa per prestare assistenza a più persone disabili. Con l'entrata in vigore della nuova disciplina, si deve ormai ritenere superato il parere n. 13 del 2008 di questo Ufficio (nota n. 8474 del 18 febbraio 2008), pubblicato sul sito del Dipartimento della funzione pubblica.
Analogamente, le nuove norme non precludono espressamente ad un lavoratore in situazione di handicap grave di assistere altro soggetto che si trovi nella stessa condizione e, pertanto, in presenza dei presupposti di legge, tale lavoratore potrà fruire dei permessi per se stesso e per il famigliare disabile che assiste.
E' chiaro che una tutela più adeguata nei confronti del disabile è realizzabile, almeno in astratto, quando questi può contare sull'opera di assistenza di una persona che si dedichi alle sue cure in maniera esclusiva; infatti, un'attività prestata nei confronti di più famigliari può risultare non soddisfacente. E' evidente inoltre che la fruizione di permessi in maniera cumulativa in capo allo stesso lavoratore crea notevole disagio all'attività amministrativa per la possibilità di assenze frequenti e protratte del lavoratore stesso. Questi aspetti dovrebbero essere ben valutati dal dipendente che intende chiedere la fruizione dei permessi cumulativamente, limitando la domanda alle situazioni in cui da un lato non vi sono altri famigliari in grado di prestare assistenza, dall'altro non è possibile soddisfare le esigenze di assistenza nel limite dei tre giorni mensili. La sussistenza di tali presupposti, che il dipendente ha l'onere di dichiarare all'atto della presentazione della domanda, non può che essere rimessa alla valutazione esclusiva e al senso di responsabilità del lavoratore interessato, considerato il loro carattere assolutamente relativo e la difficoltà di un eventuale accertamento.
L'assistenza nei confronti del figlio disabile gode di un regime più flessibile e le norme specifiche derogano al "regime del referente unico" che è stato illustrato nel paragrafo precedente. Infatti, secondo quanto previsto dal nuovo comma 3 dell'art. 33, l'assistenza può essere prestata alternativamente da entrambi i genitori (Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente.). Pertanto, fermo restando il limite complessivo dei tre giorni mensili, i permessi giornalieri possono essere utilizzati dal lavoratore padre o dalla lavoratrice madre per l'assistenza al medesimo figlio. Si segnala peraltro che, in base alla nuova disciplina, i permessi giornalieri possono essere fruiti anche dai genitori di un minore di tre anni in situazione di handicap grave. Infatti, da un lato, la novella ha soppresso dal testo della previgente disposizione (comma 3 dell'art. 33 della l. n. 104 del 1992) le parole "successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino", dall'altro i genitori sono comunque compresi nella categoria dei parenti legittimati in base al primo periodo del comma in esame, cosicché non sarebbe giustificato un trattamento deteriore o meno favorevole dei genitori del minore di tre anni rispetto al resto dei parenti o affini. Ciò significa che, in un'ottica di ragionevolezza costituzionalmente orientata, la portata dell'art. 33, comma 3, della legge prevale rispetto alla previsione dell'art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001 come novellato.
La possibilità per i genitori di minore di tre anni disabile di prendere i permessi ai sensi dell'art. 33 si aggiunge alle altre prerogative previste nel d.lgs. n. 151 del 2001. Quindi, resta fermo il diritto dei genitori del minore di tre anni in situazione di handicap grave di fruire, in alternativa ai permessi giornalieri mensili, del prolungamento del congedo parentale o dei riposi orari retribuiti di cui all'art. 42 del menzionato decreto.
È opportuno segnalare che, trattandosi di istituti speciali rispondenti alle medesime finalità di assistenza del figlio disabile, la loro fruizione deve intendersi alternativa e non cumulativa nell'arco del mese, cosicché nel mese in cui uno dei due genitori abbia fruito di uno o più giorni di permesso ai sensi dell'art. 33, comma 3, entrambi i genitori non potranno beneficiare per lo stesso figlio neppure delle due ore di riposo giornaliero, del prolungamento del congedo parentale e del congedo di cui all'art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 e viceversa. Infatti, l'art. 42, comma 4, del d.lgs. n. 151 del 2001, richiamando l'art. 33, comma 4, della l. n. 104 del 1992 esprime la regola della cumulabilità dei riposi e permessi con il congedo parentale ordinario e il congedo per la malattia del figlio, escludendo a contrario la cumulabilità tra di loro degli istituti "speciali", che sono disegnati come alternativi (ai sensi dell'art. 42, comma 1, del d.lgs. n. 151 citato, le due ore di permesso al giorno possono essere fruite in alternativa al prolungamento del congedo parentale di cui al comma 1 dell'art. 33 del medesimo decreto). Inoltre, il comma 5 dell'art. 42 sul congedo indennizzato prevede espressamente che durante il periodo di congedo entrambi i genitori non possono fruire dei benefici di cui all'art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 151 (prolungamento del congedo parentale), né di quelli di cui ai commi 2 (due ore di permesso al giorno) e 3 dell'art. 33 della l. n. 104 (permessi giornalieri).
Alle agevolazioni previste per i genitori dal nuovo comma 3 dell'art. 33 si aggiunge poi la possibilità di fruire dei permessi anche per i parenti e gli affini di cui alla medesima disposizione, naturalmente sempre nel limite dei tre giorni e in alternativa ai genitori.
Anche a seguito della novella, la legge ha mantenuto il presupposto oggettivo consistente nella circostanza che il disabile da assistere non sia ricoverato a tempo pieno. Si conferma quindi l'interpretazione già fornita sotto il vigore della precedente normativa ribadendo che per ricovero a tempo pieno si intende il ricovero per le intere 24 ore. Si chiarisce inoltre che il ricovero rilevante ai fini della norma è quello che avviene presso le strutture ospedaliere o comunque le strutture pubbliche o private che assicurano assistenza sanitaria. In linea con orientamenti applicativi già emersi anche per il lavoro nel settore privato, si precisa che fanno eccezione a tale presupposto le seguenti circostanze:
• interruzione del ricovero per necessità del disabile di recarsi fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite o terapie;
• ricovero a tempo pieno di un disabile in coma vigile e/o in situazione terminale;
• ricovero a tempo pieno di un minore in situazione di handicap grave per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un famigliare.
La ricorrenza delle situazioni eccezionali di cui sopra dovrà naturalmente risultare da idonea documentazione medica che l'amministrazione è tenuta a valutare.
b) l'eliminazione dei requisiti della convivenza, della continuità ed esclusività dell'assistenza.
L'art. 24, comma 2, let. b), della l. n. 183 interviene sull'articolo 20, comma 1, della l. n. 53 del 2000, eliminando le parole da "nonché" fino a "non convivente". A seguito di tale intervento, i requisiti della "continuità" e dell' "esclusività" dell'assistenza non sono più menzionati espressamente quali presupposti necessari ai fini della fruizione dei permessi in argomento da parte dei beneficiari. Inoltre, nella riformulazione dell'art. 33, comma 3, della l. n. 104 del 1992 non è più presente il requisito della "convivenza", che era necessario per la fruizione dei permessi prima dell'entrata in vigore dell'art. 20 della l. n. 53 del 2000. Analogamente, la legge ha abrogato l'art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 151 del 2001, il quale prevedeva che i permessi dei genitori di figlio in situazione di handicap grave maggiore di età potessero essere fruiti a condizione che sussistesse convivenza o che l'assistenza fosse continuativa ed esclusiva.
In particolare, il dipendente è tenuto a presentare il verbale della commissione medica dal quale risulti l'accertamento della situazione di handicap grave, nonché, se del caso, il certificato medico dal quale risulti la patologia invalidante di cui all'art. 33, comma 3, della l. n. 104 e la documentazione medica menzionata al precedente paragrafo 5, let. a). Inoltre, l'interessato è tenuto a certificare, attraverso idonea documentazione ovvero attraverso apposite dichiarazioni sostitutive, rese ai sensi degli artt. 46 e 47 del d.P.R. n. 445 del 2000 ("Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa"), la sussistenza delle condizioni che legittimano la fruizione delle agevolazioni. In proposito, si rammenta che, secondo quanto previsto nell'art. 76 del predetto d.P.R. "Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso (…) nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia.".
Inoltre, a corredo dell'istanza, l'interessato deve presentare dichiarazione sottoscritta di responsabilità e consapevolezza dalla quale risulti che:
Ancora una volta, è utile richiamare le previsioni del citato Testo unico secondo cui "L'esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso. " (art. 76, comma 2, d.P.R. n. 445 del 2000).
Si rammentano anche in questa sede, le norme contenute nell'art. 55 quater, comma 1, lett. a), che nell'ipotesi di giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa prevede la comminazione del licenziamento, e nell'art. 55 quinquies, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, che, per la stessa ipotesi, prevedono la reclusione e la multa, oltre all'obbligo del risarcimento del danno patrimoniale e del danno all'immagine subiti dall'amministrazione.
Salvo dimostrate situazioni di urgenza, per la fruizione dei permessi, l'interessato dovrà comunicare al dirigente competente le assenze dal servizio con congruo anticipo, se possibile con riferimento all'intero arco temporale del mese, al fine di consentire la migliore organizzazione dell'attività amministrativa.
I provvedimenti di accoglimento dovranno essere periodicamente monitorati al fine di ottenere l'aggiornamento della documentazione e verificare l'attualità delle dichiarazioni sostitutive prodotte a supporto dell'istanza. Si richiama in particolare l'attenzione sulla necessità di chiedere il nuovo verbale medico nel caso di accertamento di handicap grave rivedibile.
L'amministrazione procederà alla verifica delle dichiarazioni sostitutive secondo le consuete modalità (artt. 71 e 72 del d.P.R. n. 445 del 2000) attraverso i propri servizi ispettivi, costituiti in osservanza dell'art. 1, comma 62, della l. n. 662 del 1996, o comunque su disposizioni impartite dall'ufficio preposto alla gestione del personale. La verifica dovrà essere svolta periodicamente, anche a campione. Nel caso in cui dall'accertamento risultasse l'insussistenza dei presupposti per la legittima fruizione dei permessi, l'amministrazione provvederà a revocare i benefici per effetto della decadenza.
Naturalmente, ove nell'ambito o a seguito degli accertamenti emergessero gli estremi di una responsabilità disciplinare del dipendente, l'amministrazione procederà alla tempestiva contestazione degli addebiti per lo svolgimento del relativo procedimento e, se del caso, alla comunicazione alle autorità competenti delle ipotesi di reato. Oltre a richiamare di nuovo le previsioni dell'art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000 sulle dichiarazioni mendaci, la formazione e l'uso di atti falsi, si ricordano ancora in questa sede le già citate norme contenute nell'art. 55 quater, comma 1, let. a), e nell'art. 55 quinquies, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 165 del 2001.
Si rammenta che l'avvio e l'esito dei procedimenti disciplinari debbono essere comunicati all'Ispettorato per la funzione pubblica come richiesto dalla Direttiva del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione del 6 dicembre 2007, n. 8.
L'amministrazione, sotto altro aspetto, dovrà effettuare le comunicazioni dei permessi fruiti dai propri dipendenti per l'inserimento nella banca dati istituita presso il Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell'art. 24, commi da 4 a 6, della l. n. 183 del 2010.
In fase di prima applicazione, ogni amministrazione dovrà procedere a riesaminare i provvedimenti di assenso già adottati al fine di verificare la sussistenza delle condizioni previste dalla nuova legge. In caso di insussistenza dei requisiti, salvo tempestiva integrazione della documentazione prodotta in passato da parte dell'interessato, l'atto di assenso dovrà essere revocato e le agevolazioni non potranno essere più accordate per effetto della decadenza. Naturalmente, il dipendente che si trovi nella condizione di poter fruire dei permessi a diverso titolo in base alla nuova legge avrà l'onere di produrre una nuova istanza accompagnata dalla documentazione di supporto.
Al di là del dato letterale, che fa riferimento solo al lavoratore di cui al comma 3 (cioè al lavoratore che fruisce dei permessi per assistere una persona in situazione di handicap grave) e ai diritti del presente articolo, è chiaro che la regola espressa dalla disposizione ha una portata più ampia, non potendo non riguardare tutte le ipotesi in cui il soggetto apparentemente legittimato alle agevolazioni in realtà non è in possesso dei requisiti legali per la loro legittima fruizione. Infatti, la decadenza, ovvero la perdita della possibilità di continuare ad usufruire dei permessi, rappresenta l'effetto naturale dell'insussistenza dei presupposti per la legittimazione all'istituto e, come tale, essa è prevista nel menzionato Testo unico in materia di documentazione amministrativa a proposito delle dichiarazioni sostitutive non veritiere (l'art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000 stabilisce che "qualora dal controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera."). Quindi, a titolo di esempio, si può verificare la decadenza anche in capo al lavoratore in situazione di handicap grave che prende i permessi per le proprie esigenze o in capo al genitore che fruisce delle due ore di permesso al giorno ai sensi dell'art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001.
A titolo di esempio, tra le situazioni che possono dar luogo alla decadenza si menzionano: il venir meno della situazione di handicap grave a seguito della visita di revisione, il decesso della persona in situazione di handicap grave, il sopravvenuto ricovero a tempo pieno del disabile, la circostanza che due lavoratori prendono permessi per assistere la medesima persona in situazione di handicap grave.
Una volta attivata la banca dati, le pubbliche amministrazioni dovranno effettuare adeguata comunicazione dei dati rilevanti per via telematica entro il 31 marzo di ciascun anno.
L'attivazione della banca dati e le modalità operative da seguire per effettuare le comunicazioni saranno oggetto di successiva circolare del Dipartimento.
IL MINISTRO
PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E L'INNOVAZIONE
Renato Brunetta
Alle Amministrazioni pubbliche
di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001
CIRCOLARE N.
OGGETTO: modifiche alla disciplina in materia di permessi per l'assistenza alle persone con disabilità - banca dati informatica presso il Dipartimento della funzione pubblica - legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 24.
- Premessa.
L'art. 24 della nuova legge riguarda le "Modifiche alla disciplina in materia di permessi per l'assistenza a portatori di handicap in situazione di gravità ". La disposizione innova parzialmente il regime dei permessi per l'assistenza ai soggetti disabili contenuto nella legge 5 febbraio 1992, n. 104, e nel decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. La norma inoltre prevede l'istituzione e la gestione di una banca dati informatica per la raccolta e la gestione dei dati relativi alla fruizione dei permessi a fini di monitoraggio e controllo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica. Rimane invariato il regime dei permessi, del trasferimento e della tutela della sede per i lavoratori con disabilità che fruiscono delle agevolazioni per le esigenze della propria persona.
La presente circolare è stata elaborata a seguito di un lavoro istruttorio di confronto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le altre amministrazioni istituzionalmente interessate dalla materia, con l'obiettivo di fornire indicazioni di carattere generale omogenee per il settore del lavoro pubblico e privato. La finalità della presente circolare è quella di rendere degli orientamenti per l'interpretazione e l'applicazione della nuova normativa, ferme restando le autonome determinazioni di ciascuna amministrazione nell'esercizio del proprio potere organizzativo e gestionale. Rimane fermo quanto già illustrato dal Dipartimento della funzione pubblica nella Circolare n. 8 del 2008, par. 2.2 e 2.3, a proposito dell'utilizzo frazionato dei permessi.
Prima di affrontare nel merito le questioni, si ritiene necessario compiere una precisazione di tipo terminologico. Come noto, il dibattito circa la terminologia da utilizzare per indicare le persone con disabilità è stato ampio ed è ancora vivace. Lo spirito che anima il dibattito è quello di evitare espressioni o definizioni che possano recare insitamente un'idea di disvalore, promuovendo invece l'uso di termini e concetti che consentano di mettere in risalto il valore derivante dalla diversità. A livello internazionale, è ormai diffuso il concetto di "persona con disabilità", che viene utilizzato nella Convenzione delle Nazioni unite del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18. Ad oggi, dovendo trattare la materia, la soluzione migliore sarebbe quella di attenersi alle scelte compiute in sede internazionale, con la conseguenza che, anche nell'esame della disciplina contenuta nella l. n. 104 del 1992, che è la legge italiana fondamentale in materia (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), dovrebbe farsi riferimento esclusivamente al concetto di persona con disabilità. Tuttavia, ragioni di chiarezza inducono a seguire nello specifico una strada diversa che, nel rispetto del testo legislativo, utilizza la diversa espressione di "persona in situazione di handicap". Benché questa espressione possa ormai risultare inadeguata alla luce di quanto sopra detto, essa è ancora presente nel testo della menzionata l. n. 104 e serve ad indicare con chiarezza la situazione dei disabili nei confronti dei quali sono stati effettuati gli accertamenti ai sensi dell'art. 4 della legge stessa (Accertamento dell'handicap). Tali accertamenti, dai quali può emergere anche una connotazione di gravità dell'handicap quando ricorrono le condizioni di cui all'art. 3, comma 3 (ovvero "qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione" della persona), rappresentano il presupposto per la fruizione di varie agevolazioni previste nella legge stessa; la situazione certificata di handicap grave costituisce in particolare il presupposto per la fruizione dei permessi previsti nell'art. 33.
Si segnala pertanto che, per maggior precisione e semplicità di esposizione, nella presente circolare e nelle eventuali successive note interpretative verrà mantenuto il riferimento all'espressione "persona in situazione di handicap" e "persona in situazione di handicap grave" pur nella consapevolezza del carattere inadeguato di queste espressioni rispetto all'evoluzione della normativa internazionale e del costume sociale.
Di seguito si procede quindi ad illustrare le novità apportate dall'art. 24 della l. n. 183, che sostanzialmente consistono nella restrizione dei soggetti legittimati a fruire dei permessi per assistere persone in situazione di handicap grave, nell'eliminazione dei requisiti della convivenza e della continuità ed esclusività dell'assistenza prestata dal lavoratore, nella ridisciplina del diritto al trasferimento, nella previsione della decadenza nel caso di insussistenza dei requisiti per la fruizione delle agevolazioni e nell'istituzione della banca dati presso il Dipartimento della funzione pubblica.
- Ridefinizione dei lavoratori legittimati a fruire dei permessi di cui all'art. 33, comma 3, della l. n. 104 del 1992 per assistere persone in situazione di handicap grave.
Il nuovo testo del comma 3 dell'art. 33 citato prevede: "A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l'assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente."
Secondo la norma, in linea generale, la legittimazione alla fruizione dei permessi per assistere una persona in situazione di handicap grave spetta al coniuge e ai parenti ed affini entro il secondo grado. Rispetto alla normativa previgente, la nuova disposizione da un lato ha menzionato espressamente il coniuge tra i lavoratori titolari della prerogativa, dall'altro ha posto la limitazione dei parenti ed affini entro il secondo grado.
Data la regola generale, la legge ha però previsto un'eccezione per i casi in cui i genitori o il coniuge della persona da assistere abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti. In queste ipotesi, stimando eccessivamente onerosa o impossibile l'opera di assistenza a causa dell'età non più giovane o della patologia del famigliare, la legge prevede la possibilità di estendere la legittimazione alla titolarità dei permessi anche ai parenti e agli affini entro il terzo grado.
Pertanto, la novità più rilevante rispetto al regime previgente è rappresentata dalla restrizione della categoria di famigliari che possono fruire dei permessi, poiché con la nuova norma si passa dal terzo al secondo grado di parentela, salvo la ricorrenza delle situazioni eccezionali dell'assenza, dell'età anagrafica o delle patologie.
Per comodità, si rammenta che il rapporto di parentela e quello di affinità sono definiti dal codice civile (art. 74 c.c.: "La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite"; art. 78 c.c.: "L'affinità è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell'altro coniuge"). In base alla legge, sono parenti di primo grado: genitori, figli; sono parenti di secondo grado: nonni, fratelli, sorelle, nipoti (figli dei figli); sono parenti di terzo grado: bisnonni, zii, nipoti (figli di fratelli e/o sorelle), pronipoti in linea retta. Sono affini di primo grado: suocero/a, nuora, genero; sono affini di secondo grado: cognati; sono affini di terzo grado: zii acquisiti, nipoti acquisiti.
La legge non ha definito la nozione di "patologie invalidanti". In mancanza di un'espressa scelta sul punto, sentito il Ministero della salute, un utile punto di riferimento per l'individuazione di queste patologie è rappresentato dall'art. 2, comma 1, let. d), del decreto interministeriale - Ministero per la solidarietà sociale, Ministero del lavoro e della previdenza sociale, Ministero per le pari opportunità 21 luglio 2000, n. 278 (Regolamento recante disposizioni di attuazione dell'articolo 4 della L. 8 marzo 2000, n. 53, concernente congedi per eventi e cause particolari), che disciplina le ipotesi in cui è possibile accordare il congedo per gravi motivi di cui all'art. 4, comma 2, della l. n. 53 del 2000. In particolare, si tratta delle: "1) patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell'autonomia personale, ivi incluse le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche; 2) patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali; 3) patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario;".
In presenza di queste situazioni, che naturalmente debbono essere tutte documentate, la legge consente di allargare la cerchia dei famigliari legittimati a fruire dei permessi ex art. 33, comma 3, della l. n. 104 del 1992, stimando a priori che i soggetti affetti dalle patologie in esame non siano in grado di prestare un'assistenza adeguata alla persona in situazione di handicap grave. Pertanto, nel caso in cui il coniuge o i genitori della persona in situazione di handicap grave siano affetti dalle patologie rientranti in questo elenco, l'assistenza potrà essere prestata anche da parenti o affini entro il terzo grado.
Come detto, si può passare dal secondo al terzo grado di parentela anche nel caso di decesso o assenza del coniuge o del genitore della persona in situazione di handicap grave. Ai fini della disciplina in esame, si ritiene corretto ricondurre al concetto di assenza, oltre alle situazioni di assenza naturale e giuridica in senso stretto (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), le situazioni giuridiche ad esse assimilabili, che abbiano carattere stabile e certo, quali il divorzio, la separazione legale e l'abbandono, risultanti da documentazione dell'autorità giudiziaria o di altra pubblica autorità.
E' opportuno evidenziare che la possibilità di passare dal secondo al terzo grado di assistenza si verifica anche nel caso in cui uno solo dei soggetti menzionati (coniuge, genitore) si trovi nelle descritte situazioni (assenza, decesso, patologie invalidanti), poiché nella diposizione normativa è utilizzata la congiunzione disgiuntiva ("qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti").
- Individuazione di un referente unico per l'assistenza alla stessa persona in situazione di handicap grave.
Considerato che sulla questione sono stati ricevuti numerosi quesiti, è opportuno segnalare che le nuove norme non precludono espressamente la possibilità per lo stesso dipendente di assistere più persone in situazione di handicap grave, con la conseguenza che, ove ne ricorrano tutte le condizioni, il medesimo lavoratore potrà fruire di permessi anche in maniera cumulativa per prestare assistenza a più persone disabili. Con l'entrata in vigore della nuova disciplina, si deve ormai ritenere superato il parere n. 13 del 2008 di questo Ufficio (nota n. 8474 del 18 febbraio 2008), pubblicato sul sito del Dipartimento della funzione pubblica.
Analogamente, le nuove norme non precludono espressamente ad un lavoratore in situazione di handicap grave di assistere altro soggetto che si trovi nella stessa condizione e, pertanto, in presenza dei presupposti di legge, tale lavoratore potrà fruire dei permessi per se stesso e per il famigliare disabile che assiste.
E' chiaro che una tutela più adeguata nei confronti del disabile è realizzabile, almeno in astratto, quando questi può contare sull'opera di assistenza di una persona che si dedichi alle sue cure in maniera esclusiva; infatti, un'attività prestata nei confronti di più famigliari può risultare non soddisfacente. E' evidente inoltre che la fruizione di permessi in maniera cumulativa in capo allo stesso lavoratore crea notevole disagio all'attività amministrativa per la possibilità di assenze frequenti e protratte del lavoratore stesso. Questi aspetti dovrebbero essere ben valutati dal dipendente che intende chiedere la fruizione dei permessi cumulativamente, limitando la domanda alle situazioni in cui da un lato non vi sono altri famigliari in grado di prestare assistenza, dall'altro non è possibile soddisfare le esigenze di assistenza nel limite dei tre giorni mensili. La sussistenza di tali presupposti, che il dipendente ha l'onere di dichiarare all'atto della presentazione della domanda, non può che essere rimessa alla valutazione esclusiva e al senso di responsabilità del lavoratore interessato, considerato il loro carattere assolutamente relativo e la difficoltà di un eventuale accertamento.
- La posizione dei genitori che assistono un figlio in situazione di handicap grave.
L'assistenza nei confronti del figlio disabile gode di un regime più flessibile e le norme specifiche derogano al "regime del referente unico" che è stato illustrato nel paragrafo precedente. Infatti, secondo quanto previsto dal nuovo comma 3 dell'art. 33, l'assistenza può essere prestata alternativamente da entrambi i genitori (Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente.). Pertanto, fermo restando il limite complessivo dei tre giorni mensili, i permessi giornalieri possono essere utilizzati dal lavoratore padre o dalla lavoratrice madre per l'assistenza al medesimo figlio. Si segnala peraltro che, in base alla nuova disciplina, i permessi giornalieri possono essere fruiti anche dai genitori di un minore di tre anni in situazione di handicap grave. Infatti, da un lato, la novella ha soppresso dal testo della previgente disposizione (comma 3 dell'art. 33 della l. n. 104 del 1992) le parole "successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino", dall'altro i genitori sono comunque compresi nella categoria dei parenti legittimati in base al primo periodo del comma in esame, cosicché non sarebbe giustificato un trattamento deteriore o meno favorevole dei genitori del minore di tre anni rispetto al resto dei parenti o affini. Ciò significa che, in un'ottica di ragionevolezza costituzionalmente orientata, la portata dell'art. 33, comma 3, della legge prevale rispetto alla previsione dell'art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001 come novellato.
La possibilità per i genitori di minore di tre anni disabile di prendere i permessi ai sensi dell'art. 33 si aggiunge alle altre prerogative previste nel d.lgs. n. 151 del 2001. Quindi, resta fermo il diritto dei genitori del minore di tre anni in situazione di handicap grave di fruire, in alternativa ai permessi giornalieri mensili, del prolungamento del congedo parentale o dei riposi orari retribuiti di cui all'art. 42 del menzionato decreto.
È opportuno segnalare che, trattandosi di istituti speciali rispondenti alle medesime finalità di assistenza del figlio disabile, la loro fruizione deve intendersi alternativa e non cumulativa nell'arco del mese, cosicché nel mese in cui uno dei due genitori abbia fruito di uno o più giorni di permesso ai sensi dell'art. 33, comma 3, entrambi i genitori non potranno beneficiare per lo stesso figlio neppure delle due ore di riposo giornaliero, del prolungamento del congedo parentale e del congedo di cui all'art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 e viceversa. Infatti, l'art. 42, comma 4, del d.lgs. n. 151 del 2001, richiamando l'art. 33, comma 4, della l. n. 104 del 1992 esprime la regola della cumulabilità dei riposi e permessi con il congedo parentale ordinario e il congedo per la malattia del figlio, escludendo a contrario la cumulabilità tra di loro degli istituti "speciali", che sono disegnati come alternativi (ai sensi dell'art. 42, comma 1, del d.lgs. n. 151 citato, le due ore di permesso al giorno possono essere fruite in alternativa al prolungamento del congedo parentale di cui al comma 1 dell'art. 33 del medesimo decreto). Inoltre, il comma 5 dell'art. 42 sul congedo indennizzato prevede espressamente che durante il periodo di congedo entrambi i genitori non possono fruire dei benefici di cui all'art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 151 (prolungamento del congedo parentale), né di quelli di cui ai commi 2 (due ore di permesso al giorno) e 3 dell'art. 33 della l. n. 104 (permessi giornalieri).
Alle agevolazioni previste per i genitori dal nuovo comma 3 dell'art. 33 si aggiunge poi la possibilità di fruire dei permessi anche per i parenti e gli affini di cui alla medesima disposizione, naturalmente sempre nel limite dei tre giorni e in alternativa ai genitori.
- I presupposti oggettivi per il riconoscimento dei permessi:
Anche a seguito della novella, la legge ha mantenuto il presupposto oggettivo consistente nella circostanza che il disabile da assistere non sia ricoverato a tempo pieno. Si conferma quindi l'interpretazione già fornita sotto il vigore della precedente normativa ribadendo che per ricovero a tempo pieno si intende il ricovero per le intere 24 ore. Si chiarisce inoltre che il ricovero rilevante ai fini della norma è quello che avviene presso le strutture ospedaliere o comunque le strutture pubbliche o private che assicurano assistenza sanitaria. In linea con orientamenti applicativi già emersi anche per il lavoro nel settore privato, si precisa che fanno eccezione a tale presupposto le seguenti circostanze:
• interruzione del ricovero per necessità del disabile di recarsi fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite o terapie;
• ricovero a tempo pieno di un disabile in coma vigile e/o in situazione terminale;
• ricovero a tempo pieno di un minore in situazione di handicap grave per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un famigliare.
La ricorrenza delle situazioni eccezionali di cui sopra dovrà naturalmente risultare da idonea documentazione medica che l'amministrazione è tenuta a valutare.
b) l'eliminazione dei requisiti della convivenza, della continuità ed esclusività dell'assistenza.
L'art. 24, comma 2, let. b), della l. n. 183 interviene sull'articolo 20, comma 1, della l. n. 53 del 2000, eliminando le parole da "nonché" fino a "non convivente". A seguito di tale intervento, i requisiti della "continuità" e dell' "esclusività" dell'assistenza non sono più menzionati espressamente quali presupposti necessari ai fini della fruizione dei permessi in argomento da parte dei beneficiari. Inoltre, nella riformulazione dell'art. 33, comma 3, della l. n. 104 del 1992 non è più presente il requisito della "convivenza", che era necessario per la fruizione dei permessi prima dell'entrata in vigore dell'art. 20 della l. n. 53 del 2000. Analogamente, la legge ha abrogato l'art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 151 del 2001, il quale prevedeva che i permessi dei genitori di figlio in situazione di handicap grave maggiore di età potessero essere fruiti a condizione che sussistesse convivenza o che l'assistenza fosse continuativa ed esclusiva.
- Le prerogative relative alla sede di servizio.
- Oneri del dipendente interessato alla fruizione delle agevolazioni.
In particolare, il dipendente è tenuto a presentare il verbale della commissione medica dal quale risulti l'accertamento della situazione di handicap grave, nonché, se del caso, il certificato medico dal quale risulti la patologia invalidante di cui all'art. 33, comma 3, della l. n. 104 e la documentazione medica menzionata al precedente paragrafo 5, let. a). Inoltre, l'interessato è tenuto a certificare, attraverso idonea documentazione ovvero attraverso apposite dichiarazioni sostitutive, rese ai sensi degli artt. 46 e 47 del d.P.R. n. 445 del 2000 ("Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa"), la sussistenza delle condizioni che legittimano la fruizione delle agevolazioni. In proposito, si rammenta che, secondo quanto previsto nell'art. 76 del predetto d.P.R. "Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso (…) nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia.".
Inoltre, a corredo dell'istanza, l'interessato deve presentare dichiarazione sottoscritta di responsabilità e consapevolezza dalla quale risulti che:
- il dipendente presta assistenza nei confronti del disabile per il quale sono chieste le agevolazioni ovvero il dipendente necessita delle agevolazioni per le necessità legate alla propria situazione di disabilità;
- il dipendente è consapevole che le agevolazioni sono uno strumento di assistenza del disabile e, pertanto, il riconoscimento delle agevolazioni stesse comporta la conferma dell'impegno - morale oltre che giuridico - a prestare effettivamente la propria opera di assistenza;
- il dipendente è consapevole che la possibilità di fruire delle agevolazioni comporta un onere per l'amministrazione e un impegno di spesa pubblica che lo Stato e la collettività sopportano solo per l'effettiva tutela dei disabile;
- il dipendente si impegna a comunicare tempestivamente ogni variazione della situazione di fatto e di diritto da cui consegua la perdita della legittimazione alle agevolazioni.
Ancora una volta, è utile richiamare le previsioni del citato Testo unico secondo cui "L'esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso. " (art. 76, comma 2, d.P.R. n. 445 del 2000).
Si rammentano anche in questa sede, le norme contenute nell'art. 55 quater, comma 1, lett. a), che nell'ipotesi di giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa prevede la comminazione del licenziamento, e nell'art. 55 quinquies, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, che, per la stessa ipotesi, prevedono la reclusione e la multa, oltre all'obbligo del risarcimento del danno patrimoniale e del danno all'immagine subiti dall'amministrazione.
Salvo dimostrate situazioni di urgenza, per la fruizione dei permessi, l'interessato dovrà comunicare al dirigente competente le assenze dal servizio con congruo anticipo, se possibile con riferimento all'intero arco temporale del mese, al fine di consentire la migliore organizzazione dell'attività amministrativa.
- Doveri dell'amministrazione.
I provvedimenti di accoglimento dovranno essere periodicamente monitorati al fine di ottenere l'aggiornamento della documentazione e verificare l'attualità delle dichiarazioni sostitutive prodotte a supporto dell'istanza. Si richiama in particolare l'attenzione sulla necessità di chiedere il nuovo verbale medico nel caso di accertamento di handicap grave rivedibile.
L'amministrazione procederà alla verifica delle dichiarazioni sostitutive secondo le consuete modalità (artt. 71 e 72 del d.P.R. n. 445 del 2000) attraverso i propri servizi ispettivi, costituiti in osservanza dell'art. 1, comma 62, della l. n. 662 del 1996, o comunque su disposizioni impartite dall'ufficio preposto alla gestione del personale. La verifica dovrà essere svolta periodicamente, anche a campione. Nel caso in cui dall'accertamento risultasse l'insussistenza dei presupposti per la legittima fruizione dei permessi, l'amministrazione provvederà a revocare i benefici per effetto della decadenza.
Naturalmente, ove nell'ambito o a seguito degli accertamenti emergessero gli estremi di una responsabilità disciplinare del dipendente, l'amministrazione procederà alla tempestiva contestazione degli addebiti per lo svolgimento del relativo procedimento e, se del caso, alla comunicazione alle autorità competenti delle ipotesi di reato. Oltre a richiamare di nuovo le previsioni dell'art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000 sulle dichiarazioni mendaci, la formazione e l'uso di atti falsi, si ricordano ancora in questa sede le già citate norme contenute nell'art. 55 quater, comma 1, let. a), e nell'art. 55 quinquies, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 165 del 2001.
Si rammenta che l'avvio e l'esito dei procedimenti disciplinari debbono essere comunicati all'Ispettorato per la funzione pubblica come richiesto dalla Direttiva del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione del 6 dicembre 2007, n. 8.
L'amministrazione, sotto altro aspetto, dovrà effettuare le comunicazioni dei permessi fruiti dai propri dipendenti per l'inserimento nella banca dati istituita presso il Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell'art. 24, commi da 4 a 6, della l. n. 183 del 2010.
In fase di prima applicazione, ogni amministrazione dovrà procedere a riesaminare i provvedimenti di assenso già adottati al fine di verificare la sussistenza delle condizioni previste dalla nuova legge. In caso di insussistenza dei requisiti, salvo tempestiva integrazione della documentazione prodotta in passato da parte dell'interessato, l'atto di assenso dovrà essere revocato e le agevolazioni non potranno essere più accordate per effetto della decadenza. Naturalmente, il dipendente che si trovi nella condizione di poter fruire dei permessi a diverso titolo in base alla nuova legge avrà l'onere di produrre una nuova istanza accompagnata dalla documentazione di supporto.
- La decadenza conseguente all'accertamento dell'insussistenza o del venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei diritti.
Al di là del dato letterale, che fa riferimento solo al lavoratore di cui al comma 3 (cioè al lavoratore che fruisce dei permessi per assistere una persona in situazione di handicap grave) e ai diritti del presente articolo, è chiaro che la regola espressa dalla disposizione ha una portata più ampia, non potendo non riguardare tutte le ipotesi in cui il soggetto apparentemente legittimato alle agevolazioni in realtà non è in possesso dei requisiti legali per la loro legittima fruizione. Infatti, la decadenza, ovvero la perdita della possibilità di continuare ad usufruire dei permessi, rappresenta l'effetto naturale dell'insussistenza dei presupposti per la legittimazione all'istituto e, come tale, essa è prevista nel menzionato Testo unico in materia di documentazione amministrativa a proposito delle dichiarazioni sostitutive non veritiere (l'art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000 stabilisce che "qualora dal controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera."). Quindi, a titolo di esempio, si può verificare la decadenza anche in capo al lavoratore in situazione di handicap grave che prende i permessi per le proprie esigenze o in capo al genitore che fruisce delle due ore di permesso al giorno ai sensi dell'art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001.
A titolo di esempio, tra le situazioni che possono dar luogo alla decadenza si menzionano: il venir meno della situazione di handicap grave a seguito della visita di revisione, il decesso della persona in situazione di handicap grave, il sopravvenuto ricovero a tempo pieno del disabile, la circostanza che due lavoratori prendono permessi per assistere la medesima persona in situazione di handicap grave.
- Banca dati presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica.
Una volta attivata la banca dati, le pubbliche amministrazioni dovranno effettuare adeguata comunicazione dei dati rilevanti per via telematica entro il 31 marzo di ciascun anno.
L'attivazione della banca dati e le modalità operative da seguire per effettuare le comunicazioni saranno oggetto di successiva circolare del Dipartimento.
IL MINISTRO
PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E L'INNOVAZIONE
Renato Brunetta
Salute: arriva in Italia nuovo impianto mini-invasivo per cataratta
SALUTE: ARRIVA IN ITALIA NUOVO IMPIANTO MINI-INVASIVO PER CATARATTA =
PIOVELLA, PRIMI INTERVENTI REALIZZATI NELLE SCORSE SETTIMANE
Roma, 29 apr. (Adnkronos/Adnkronos Salute) - Disponibile anche
in Italia un nuovo sistema di micro-impianto per la cataratta,
disegnato ad hoc per contribuire a migliorare gli esiti e la sicurezza
dell'intervento chirurgico per il trattamento della cataratta. Questa
nuova tecnologia - 'Micro-Implantation Cataract Suite' (Mics) - frutto
della ricerca Abbott, e' stata presentata a San Diego (Usa) in
occasione del Congresso dall'American Society of Cataract and
Refractive Surgery.
La Mimcs permette di utilizzare tecniche di microchirurgia
dall'inizio alla fine della procedura, e ridurre cosi' l'astigmatismo
che spesso e' conseguenza dell'intervento chirurgico. Inoltre il
sistema offre maggiore sicurezza intra-operatoria e promuove la
guarigione e il recupero visivo in tempi piu' rapidi. Ma come
funziona? La tecnica richiede l'esecuzione di una micro-incisione, le
cui dimensioni, piu' piccole rispetto a quelle abituali, offrono ai
pazienti un maggiore livello di sicurezza. Nel corso della procedura,
il cristallino viene estratto attraverso la micro-incisione e una
lente intraoculare pieghevole (Iol) viene inserita nell'occhio.
"La tecnologia innovativa di micro-impianto rappresenta un
notevole passo in avanti nell'ambito del miglioramento della qualita'
della vita dei pazienti affetti da cataratta - sottolinea Matteo
Piovella, presidente della Societa' Oftalmologica Italiana - In Italia
i primi interventi sono stati realizzati nelle scorse settimane e i
risultati sono molto promettenti". Il sistema di micro-impianto per la
cataratta consiste di cinque componenti, ciascuno disegnato per
sfruttare al massimo i benefici resi possibili dalla procedura
microchirurgica. (segue)
(Mal/Col/Adnkronos)
29-APR-11 12:20
NNNN
SALUTE: ARRIVA IN ITALIA NUOVO IMPIANTO MINI-INVASIVO PER CATARATTA (2) =
(Adnkronos/Adnkronos Salute) - La nuova tecnica utilizza i
seguenti dispositivi: il nuovo sistema di impianto mini-invasivo
grazie al quale e' possibile eseguire l'inserimento microchirurgico di
una lente intraoculare (Iol); lenti intraoculari che vengono inserite
nell'occhio del paziente dopo l'estrazione della lente nativa resa
opaca dalla cataratta; viscoelastici, ovvero materiali viscochirurgici
oftalmici trasparenti (ophthalmic viscosurgical device - Ovd),
utilizzati durante la procedura di estrazione del cristallino
opacizzato, impianto della lente intraoculare, e anche durante il
trapianto di cornea e per l'intervento di trabeculectomia (filtrazione
del glaucoma).
E ancora, un sistema di facoemulsione (dispositivo
tecnologicamente avanzato che grazie agli ultrasuoni emulsiona ed
estrae la lente opacizzata dalla cataratta con un minore effetto
termico e di turbolenza, ottimizzando cosi' gli esiti) e accessori
chirurgici disegnati in maniera specifica per le procedure di
micro-impianto.
(Mal/Col/Adnkronos)
29-APR-11 12:47
PIOVELLA, PRIMI INTERVENTI REALIZZATI NELLE SCORSE SETTIMANE
Roma, 29 apr. (Adnkronos/Adnkronos Salute) - Disponibile anche
in Italia un nuovo sistema di micro-impianto per la cataratta,
disegnato ad hoc per contribuire a migliorare gli esiti e la sicurezza
dell'intervento chirurgico per il trattamento della cataratta. Questa
nuova tecnologia - 'Micro-Implantation Cataract Suite' (Mics) - frutto
della ricerca Abbott, e' stata presentata a San Diego (Usa) in
occasione del Congresso dall'American Society of Cataract and
Refractive Surgery.
La Mimcs permette di utilizzare tecniche di microchirurgia
dall'inizio alla fine della procedura, e ridurre cosi' l'astigmatismo
che spesso e' conseguenza dell'intervento chirurgico. Inoltre il
sistema offre maggiore sicurezza intra-operatoria e promuove la
guarigione e il recupero visivo in tempi piu' rapidi. Ma come
funziona? La tecnica richiede l'esecuzione di una micro-incisione, le
cui dimensioni, piu' piccole rispetto a quelle abituali, offrono ai
pazienti un maggiore livello di sicurezza. Nel corso della procedura,
il cristallino viene estratto attraverso la micro-incisione e una
lente intraoculare pieghevole (Iol) viene inserita nell'occhio.
"La tecnologia innovativa di micro-impianto rappresenta un
notevole passo in avanti nell'ambito del miglioramento della qualita'
della vita dei pazienti affetti da cataratta - sottolinea Matteo
Piovella, presidente della Societa' Oftalmologica Italiana - In Italia
i primi interventi sono stati realizzati nelle scorse settimane e i
risultati sono molto promettenti". Il sistema di micro-impianto per la
cataratta consiste di cinque componenti, ciascuno disegnato per
sfruttare al massimo i benefici resi possibili dalla procedura
microchirurgica. (segue)
(Mal/Col/Adnkronos)
29-APR-11 12:20
NNNN
SALUTE: ARRIVA IN ITALIA NUOVO IMPIANTO MINI-INVASIVO PER CATARATTA (2) =
(Adnkronos/Adnkronos Salute) - La nuova tecnica utilizza i
seguenti dispositivi: il nuovo sistema di impianto mini-invasivo
grazie al quale e' possibile eseguire l'inserimento microchirurgico di
una lente intraoculare (Iol); lenti intraoculari che vengono inserite
nell'occhio del paziente dopo l'estrazione della lente nativa resa
opaca dalla cataratta; viscoelastici, ovvero materiali viscochirurgici
oftalmici trasparenti (ophthalmic viscosurgical device - Ovd),
utilizzati durante la procedura di estrazione del cristallino
opacizzato, impianto della lente intraoculare, e anche durante il
trapianto di cornea e per l'intervento di trabeculectomia (filtrazione
del glaucoma).
E ancora, un sistema di facoemulsione (dispositivo
tecnologicamente avanzato che grazie agli ultrasuoni emulsiona ed
estrae la lente opacizzata dalla cataratta con un minore effetto
termico e di turbolenza, ottimizzando cosi' gli esiti) e accessori
chirurgici disegnati in maniera specifica per le procedure di
micro-impianto.
(Mal/Col/Adnkronos)
29-APR-11 12:47
Salute: da mestruazioni rischio lesioni, pillola protegge
SALUTE: DA MESTRUAZIONI RISCHIO LESIONI, PILLOLA PROTEGGE
(ANSA) - SYDNEY, 29 APR - Ai cicli mestruali della donna sono
stati attribuiti molti inconvenienti - ora una ricerca
australiana indica che aggravano significativamente il rischio
di lesioni alle ginocchia, ai piedi e alle caviglie. Secondo lo
studio guidato dal podologo Simon Bartold della Scuola di
fisioterapia dell'Universita' di Melbourne, i piu' bassi livelli
di estrogeno all'inizio del ciclo riducono il tono e il
coordinamento dei muscoli.
Nel 14/mo giorno del ciclo, i livelli di estrogeno
raggiungono una punta e questo aumenta l'elasticita' del tendine
di Achille e quindi il rischio di lesioni. Lo studio, condotto
in due fasi nell'arco di tre anni, ha esaminato un campione di
78 donne.
Vi sono tuttavia buone notizie per le donne che prendono la
pillola, che riduce i livelli di estrogeno in circolazione e
quindi il rischio di lesioni. La ricerca si dimostrera' utile
per le atlete e i loro allenatori, scrive Bartold sulla rivista
Clinical Biomechanics. ''Se potremo comprendere meglio questi
fenomeni, sara' possibile mettere a punto strategie per
proteggere le atlete''.
I risultati inoltre sollevano questioni interessanti sul
ruolo della pillola nello sport femminile. ''Vi e' ormai una
quantita' globale di ricerche che mostrano come la pillola
contraccettiva protegga dalle lesioni, oltre a migliorare la
performance e la funzione muscolare'', aggiunge. (ANSA).
XMC
29-APR-11 11:27 NNNN
(ANSA) - SYDNEY, 29 APR - Ai cicli mestruali della donna sono
stati attribuiti molti inconvenienti - ora una ricerca
australiana indica che aggravano significativamente il rischio
di lesioni alle ginocchia, ai piedi e alle caviglie. Secondo lo
studio guidato dal podologo Simon Bartold della Scuola di
fisioterapia dell'Universita' di Melbourne, i piu' bassi livelli
di estrogeno all'inizio del ciclo riducono il tono e il
coordinamento dei muscoli.
Nel 14/mo giorno del ciclo, i livelli di estrogeno
raggiungono una punta e questo aumenta l'elasticita' del tendine
di Achille e quindi il rischio di lesioni. Lo studio, condotto
in due fasi nell'arco di tre anni, ha esaminato un campione di
78 donne.
Vi sono tuttavia buone notizie per le donne che prendono la
pillola, che riduce i livelli di estrogeno in circolazione e
quindi il rischio di lesioni. La ricerca si dimostrera' utile
per le atlete e i loro allenatori, scrive Bartold sulla rivista
Clinical Biomechanics. ''Se potremo comprendere meglio questi
fenomeni, sara' possibile mettere a punto strategie per
proteggere le atlete''.
I risultati inoltre sollevano questioni interessanti sul
ruolo della pillola nello sport femminile. ''Vi e' ormai una
quantita' globale di ricerche che mostrano come la pillola
contraccettiva protegga dalle lesioni, oltre a migliorare la
performance e la funzione muscolare'', aggiunge. (ANSA).
XMC
29-APR-11 11:27 NNNN
Ministero della giustizia Circ. 21-4-2011 Utilizzazione del registro degli atti non costituenti notizie di reato (modello 45). Emanata dal Ministero della giustizia, Dipartimento per gli affari di giustizia, Direzione generale della giustizia penale.
Circ. 21 aprile 2011 (1).
Utilizzazione del registro degli atti non costituenti notizie di reato (modello 45).
(1) Emanata dal Ministero della giustizia, Dipartimento per gli affari di giustizia, Direzione generale della giustizia penale.
Ai
Sig.ri Procuratori generali presso le corti di appello
Loro sedi
e, p.c.:
Al
Sig. Procuratore generale presso la corte suprema di cassazione
Roma
Al
Sig. Capo dell’ispettorato generale
Sede
Dai dati a disposizione di questo Ministero ed alla luce della riunione dei Procuratori Generali presso le Corti di Appello organizzata dal Procuratore Generale presso la Corte Suprema di Cassazione lo scorso 18 aprile, emergono significative divergenze tra le prassi invalse nelle Procure della Repubblica in ordine alle iscrizioni effettuate nel registro degli atti non costituenti reato (mod. 45).
La questione relativa all’utilizzazione del registro modello 45 è già stata affrontata al momento dell’entrata in vigore del codice di procedura penale e successivamente, in più occasioni, sotto diverse prospettive, in ambito amministrativo, giudiziario e disciplinare. La Circ. n. 533 del 18 ottobre 1989, al momento del passaggio dal codice previgente a quello attuale, aveva sottolineato che:
«Registro delle notizie di reato (modelli 21, 22 e 52). A tale registro, espressamente previsto dall’art. 335 c.p.p., il nuovo sistema processuale riserva un rilievo particolare. Basti osservare, al riguardo, che dalla data in cui vengono iscritte le generalità della persona cui il fatto è attribuito decorre il termine utile per il compimento delle indagini preliminari (articoli 405, 408 c.p.p.); dalla data di iscrizione della notizia di reato decorre il termine utile perché il P.M. presenti la richiesta di giudizio immediato (art. 454 c.p.p.); dalla formulazione dell’imputazione consegue la pendenza del procedimento ai fini del rilascio del relativo certificato (c.d. dei carichi pendenti).
Ciò premesso, va osservato che nel registro devono essere iscritte le notizie di reato, cioè le notizie suscettibili di mettere in moto il meccanismo delle indagini preliminari qualunque sia l’esito di queste (esercizio dell’azione penale o richiesta di archiviazione)...
Registro delle notizie di reato relative ad ignoti (modello 44). Ragioni di opportunità e di uniformità hanno suggerito la previsione obbligatoria per tutti gli uffici del P.M. di un registro dei procedimenti a carico di ignoti, separato da quello delle notizie di reato riguardanti persone note.
Qualora in seguito alle indagini espletate sia individuata la persona cui il fatto è attribuito, dovrà procedersi a nuova iscrizione nel registro relativo alle persone note, ma dovrà essere indicato il numero del registro di provenienza, così da costituire segnalazione adeguata, per l’autorità giudiziaria procedente, in ordine al riferimento temporale della prima iscrizione.
Registro degli atti non costituenti notizia di reato (modello 45). Da una corretta interpretazione delle disposizioni contenute nell’art. 335, le quali fanno obbligo al P.M. di iscrivere il nome della persona cui il reato è attribuito (comma 1) e di annotare ogni mutamento della qualificazione giuridica del fatto o delle sue circostanze (comma 2), deriva che le informative non costituenti notizia di reato non dovranno essere riportate nel registro delle notizie di reato, bensì in un diverso registro, del tutto autonomo dal primo e non assimilabile all’attuale registro generale “C”.
In esso verranno iscritti, con l’indicazione della data e del contenuto, tutti gli atti ed informative che non debbano essere iscritti nei registri delle notizie di reato relativi a persone note o ignote: tutti gli atti ed informative, cioè, del tutto privi di rilevanza penale (esposti o ricorsi in materia civile o amministrativa; esposti privi di senso, ovvero di contenuto abnorme o assurdo; atti riguardanti eventi accidentali, ecc.).
L’iscrizione dell’informativa pervenuta nell’uno o nell’altro registro dipenderà dalla valutazione che ne dovrà fare il P.M. a norma dell’art. 109 del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (disposizioni di attuazione del c.p.p.).
Nel caso in cui il P.M. ritenga che la notizia, già iscritta nel registro degli atti non costituenti notizia di reato, richieda il compimento di indagini preliminari, prima che queste vengano disposte dovrà essere fatta una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato, con indicazione (nella colonna 2) della provenienza; correlativamente il passaggio dovrà essere annotato nella colonna 7 del registro degli atti non costituenti notizia di reato.
Ad esempio, la trasmissione all’Ufficio della procura della Repubblica da parte del tribunale di una sentenza dichiarativa di fallimento (che costituisce adempimento imposto dalla legge) verrà annotata nel registro degli atti non costituenti notizia di reato; ove poi dalla lettura della relazione del curatore fallimentare nel frattempo richiesta (che non costituisce attività di indagine preliminare) il P.M. ritenga di ravvisare una ipotesi di reato, verrà disposta la iscrizione nel registro delle notizie di reato».
La materia è stata successivamente esaminata anche dalla Corte Suprema di Cassazione, la quale, con sentenza delle Sezioni Unite n. 34 del 22 novembre 2000, depositata il 15 gennaio 2001 (recentemente richiamata dalla sentenza della Sez. I n. 42884 del 21 ottobre 2009), ha condiviso le argomentazioni esposte nella succitata nota ministeriale, precisando, nell’occasione, che l’omessa iscrizione nel registro delle notizie di reato (modelli 21 e 44) della notizia già iscritta (impropriamente) nel registro degli atti non costituenti notizia di reato (modello 45) non può tuttavia impedire al pubblico ministero di esercitare ugualmente i poteri attribuitigli dall’ordinamento, quali, nel caso specifico, la presentazione al giudice per le indagini preliminari di una richiesta di archiviazione.
Dalle ispezioni condotte presso gli uffici giudiziari è risultato che l’uso del registro modello 45 in molteplici casi non è in linea con l’impostazione illustrata nella suddetta circolare e più volte sono emerse significative differenze anche nell’ambito di una stessa Procura della Repubblica. L’Ispettorato generale, peraltro, in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale, ha rappresentato che ciò non comporta di per sé rilievi disciplinari, i quali potrebbero discendere soltanto dalla violazione di regole sostanziali, non già da elementi meramente estrinseci, quali eventuali irregolarità relative al tipo di registro nel quale viene effettuata l’iscrizione, purché siano rispettate le procedure e le garanzie previste dalla legge nei singoli casi.
L’individuazione del registro nel quale procedere all’iscrizione compete, ovviamente, al pubblico ministero, organo destinatario dell’informativa, e costituisce esercizio di attività giudiziaria, non sindacabile in sede amministrativa.
Ribadita la competenza del pubblico ministero nella scelta da compiere al momento della ricezione di una qualsiasi “notizia”, non si può fare a meno di considerare che l’uniformità e l’omogeneità delle scelte metodologiche nell’utilizzazione del registro modello 45 sia auspicabile per consentire un concreto ed efficace controllo amministrativo delle pendenze e delle spese di giustizia oltre che, in particolare, per assicurare correttamente, nel modo più completo possibile, il vaglio giurisdizionale sulla valutazione della “notitia criminis” e sull’esito infruttuoso delle indagini, secondo la previsione dell’art. 112 della Costituzione (in forza del quale devono essere rimesse al giudice le determinazioni in merito all’insussistenza delle condizioni richieste dalla legge per
l’esercizio dell’azione penale). Tale vaglio rischierebbe di essere eluso in caso di impropria archiviazione diretta degli atti.
Sul piano generale va altresì aggiunto che non appare opportuno svolgere accertamenti e compiere atti che comportino l’impegno di somme di denaro da iscrivere nel registro delle spese pagate dall’erario (art. 161, lett. a), D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, contenente il T.U. delle spese di giustizia, comunemente ed impropriamente detto mod. 12, secondo la denominazione riportata nella tariffa penale approvata con R.D. 23 dicembre 1865, n. 2701) a seguito di iscrizione di notizie nel registro modello 45, poiché con tale iscrizione implicitamente dette notizie vengono considerate dal pubblico ministero rappresentative di fatti penalmente non rilevanti (sebbene l’iscrizione irregolare non sia causa di responsabilità contabile, trattandosi di spese che comunque il pubblico ministero è legittimato ad
ordinare).
L’intera impostazione interpretativa della citata circolare del 1989, pertanto, mantiene piena e sicura validità, essendo indubitabile che il registro degli atti non costituenti notizia di reato sia stato destinato dal legislatore all’iscrizione delle sole notizie prive - almeno nel momento in cui si procede all’iscrizione stessa - di qualsiasi rilevanza penale e non meritevoli di alcun approfondimento investigativo, poiché attinenti a fatti che, seppure rispondenti al vero, non sono riconducibili in astratto ad alcun illecito penale (ad esempio, l’esposto dell’automobilista che si dolga del verbale di infrazione al codice della strada contestatogli dal vigile urbano) e non anche alle notizie che descrivono condotte sussumibili sotto fattispecie criminose, anche quando appaiono prima facie
palesemente infondate nel merito (proseguendo nell’esempio, l’esposto dell’automobilista che, sia pure pretestuosamente, contesti il verbale di infrazione al codice della strada del vigile urbano, assumendo che sia stato commesso un falso o un abuso di ufficio).
Con riferimento a taluni profili problematici maggiormente ricorrenti, si ritiene utile svolgere di seguito alcune brevi considerazioni, ai fini di interesse e diretta competenza del Ministero della Giustizia, tenendo peraltro sempre presente che le questioni attinenti all’applicazione e all’interpretazione di norme processuali sono rimesse in via esclusiva alle valutazioni dei magistrati procedenti e sono sindacabili soltanto con gli ordinari controlli procedurali, di merito e di legittimità.
Perquisizioni di iniziativa con esito negativo
Ogni determinazione non potrà che fondarsi sulla situazione di fatto rappresentata al magistrato inquirente, indipendentemente dalle considerazioni eventualmente espresse dagli operanti. È principio consolidato, infatti, che la qualificazione giuridica dei fatti rappresentati nell’informativa costituisce prerogativa dell’autorità giudiziaria. Ne deriva che il registro nel quale effettuare l’iscrizione deve essere individuato in rapporto al fatto storico descritto dagli operanti e che non può determinare condizionamenti la forma dell’atto compiuto d’iniziativa (è chiaro, infatti, che anche una perquisizione eseguita ai sensi dell’art. 352 c.p.p. potrà comportare l’iscrizione della successiva comunicazione nel registro modello 45 laddove l’apparente flagranza di reato che aveva legittimato
- secondo un giudizio ex ante - l’attivazione dei poteri di iniziativa della polizia giudiziaria sia stata invece ricondotta ad una fattispecie non rilevante penalmente).
L’esito negativo della perquisizione di iniziativa dalla polizia giudiziaria potrà, quindi, indurre ad iscrivere la notizia nel registro modello 45, salvo che vengano rappresentate circostanze ulteriori che depongano per la possibile sussistenza di un fatto di rilievo penale (pur in mancanza del materiale rinvenimento di tracce del reato). L’esito positivo della perquisizione, invece, comporterà necessariamente l’iscrizione nel registro delle notizie di reato (modello 21 o modello 44, a seconda che si debba procedere nei confronti del perquisito o di terzi non identificati; così, ad esempio, nel caso non infrequente di rinvenimento e sequestro di sostanza stupefacente detenuta per uso personale, ceduta illecitamente al possessore da ignoti). In tali ipotesi, infatti, occorrerà assicurare il
controllo giurisdizionale sull’eventuale richiesta di archiviazione del procedimento, consentendo al giudice di adottare i provvedimenti di sua competenza in ordine alla restituzione, confisca o distruzione di quanto sequestrato.
Referti medici
Anche in questo caso sembra opportuno iscrivere la notizia nel registro modello 45 solo quando dalla documentazione trasmessa non emergano ipotesi di reato doloso o colposo suscettibili di ulteriori approfondimenti. Diversamente, la notizia sarà iscrivibile nei registri modello 21 o modello 44.
Attività diretta a prendere notizia dei reati
A norma dell’art. 330 c.p.p., il pubblico ministero prende notizia dei reati anche direttamente: ciò in esecuzione dei compiti attribuiti dall’art. 73, R.D. n. 12/1941, anche a seguito di attività dirette dallo stesso pubblico ministero a verificare l’esistenza di comportamenti illeciti. È evidente, peraltro, che in tale ultimo caso gli accertamenti devono necessariamente essere determinati da un motivo di sospetto in relazione ad un qualche fenomeno che induca l’organo inquirente ad attivare i suoi poteri di vigilanza sull’osservanza delle leggi (così, ad esempio, nel caso di richiesta preventiva di trasmissione alla Procura della Repubblica di tutte le notizie relative a malattie astrattamente riconducibili ad una possibile origine professionale). Fuori da queste ipotesi, infatti,
residuerebbero attività di cd. “monitoraggio”, che non appaiono di competenza del potere giudiziario, o mere conoscenze occasionali, estranee all’esercizio delle funzioni, di fatti potenzialmente rilevanti sotto il profilo penale, espressamente disciplinate dall’art. 70, comma 5, dell’Ordinamento giudiziario.
Sulla base di tali considerazioni, si ritiene che le iniziative prese ai sensi del citato art. 73 vadano adottate nell’ambito di un procedimento iscritto nel registro delle notizie di reato (modello 21 o modello 44) in relazione ai reati di cui viene ventilata la possibile sussistenza. In tal modo, infatti, non soltanto l’attivazione dei poteri investigativi sarà ricondotta nell’alveo naturale delle indagini preliminari, ma verrà, altresì, assicurato l’esercizio dei poteri di controllo del giudice sia in ordine alla rilevanza penale dei fatti accertati sia sull’eventuale necessità di altre indagini. Né si ravvisano ragioni contrarie rispetto ad una scelta che sotto il profilo procedurale appare la più trasparente e garantista.
Specificazione della notizia non sufficientemente circostanziata
Questa situazione si verifica in presenza di accadimenti non ancora suscettibili di un univoco inquadramento: si pensi ai casi della scomparsa di una persona o del suicidio.
In coerenza con l’impostazione sin qui adottata, si deve ritenere che, ove non ricorra alcun elemento da cui desumere la sussistenza di un reato, si possa ben procedere all’iscrizione nel registro degli atti non costituenti notizia di reato (modello 45), senza, peraltro, che venga successivamente posta in essere alcuna attività in ragione dell’irrilevanza penale del fatto, salvi, comunque, notizie e sviluppi comunicati successivamente, anche dietro richiesta del pubblico ministero.
In tutte le ipotesi in cui ricorra, invece, il sospetto che sia stato commesso un fatto criminoso si dovrà previamente iscrivere la notizia nel registro delle notizie di reato (modello 21 o modello 44) e procedere con le forme ordinarie delle indagini preliminari.
Anche in questo caso non si può fare a meno di rilevare come la linea interpretativa prospettata appaia la più aderente all’impianto normativo e alla sua ratio.
Si ritiene di dover esprimere, infine, la contrarietà rispetto a talune prassi e modalità operative invalse in alcuni uffici giudiziari, che si traducono in un utilizzo obiettivamente improprio e non consentito del registro modello 45.
Risulta, in primo luogo, evidente che non si possa iscrivere nel registro degli atti non costituenti reato (modello 45) un’informativa con la quale viene riferito un fatto che integra inequivocabilmente un reato, neppure nel caso in cui - con riguardo ai delitti indicati all’art. 51 c.p.p. - si intenda accentrare presso la sede distrettuale le notizie relative a fatti-reato non di competenza di quest’ultima sede, ma ritenute rilevanti ai fini dell’individuazione di fenomeni criminali.
Per assicurare il necessario coordinamento investigativo e l’utile flusso di informazioni, con riguardo sia ai reati comuni sia a quelli di criminalità organizzata, potrà farsi ricorso alle normali procedure previste dagli artt. 371 e 371-bis c.p.p., fatta salva la possibilità per ogni singolo ufficio di catalogare i documenti non collegati a procedimenti pendenti istituendo un registro sussidiario, a norma dell’art. 2 del Regolamento per l’esecuzione del codice di procedura penale approvato con D.M. n. 334/1989.
Parimenti non sembra conforme alla normativa vigente la pratica, talora invalsa, di impartire disposizioni alla polizia giudiziaria affinché non vengano trasmesse informative concernenti ipotesi di reato perseguibili a querela, ove questa non sia stata presentata (così, ad esempio, nel caso di referti medici attestanti lesioni personali originate dalla condotta dolosa o colposa di un terzo).
Premesso, infatti, che le forze di polizia hanno l’obbligo di riferire all’Autorità Giudiziaria ogni notizia di reato, indipendentemente dall’eventuale mancanza di una condizione di procedibilità, la prassi suindicata presenta il duplice effetto di impedire al pubblico ministero l’esercizio delle proprie prerogative in ordine alla qualificazione giuridica del fatto e di sottrarre al giudice il controllo sull’effettiva sussistenza dei presupposti per il mancato esercizio dell’azione penale - compresi quelli relativi alla mancanza di condizioni di procedibilità - controllo, altresì, non sempre agevole, potendo riguardare molti e complessi fattori (termini di proposizione della querela, determinazione delle circostanze aggravanti, ecc.).
Si pregano le SS.LL. di portare la presente circolare a conoscenza degli uffici inquirenti dei rispettivi distretti.
Il Direttore generale
Luigi Frunzio
c.p.p. art. 330
c.p.p. art. 371
c.p.p. art. 371-bis
D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 115
R.D. 23 dicembre 1865, n. 2701
R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 73
D.M. 30 settembre 1989, n. 334
Utilizzazione del registro degli atti non costituenti notizie di reato (modello 45).
(1) Emanata dal Ministero della giustizia, Dipartimento per gli affari di giustizia, Direzione generale della giustizia penale.
Ai
Sig.ri Procuratori generali presso le corti di appello
Loro sedi
e, p.c.:
Al
Sig. Procuratore generale presso la corte suprema di cassazione
Roma
Al
Sig. Capo dell’ispettorato generale
Sede
Dai dati a disposizione di questo Ministero ed alla luce della riunione dei Procuratori Generali presso le Corti di Appello organizzata dal Procuratore Generale presso la Corte Suprema di Cassazione lo scorso 18 aprile, emergono significative divergenze tra le prassi invalse nelle Procure della Repubblica in ordine alle iscrizioni effettuate nel registro degli atti non costituenti reato (mod. 45).
La questione relativa all’utilizzazione del registro modello 45 è già stata affrontata al momento dell’entrata in vigore del codice di procedura penale e successivamente, in più occasioni, sotto diverse prospettive, in ambito amministrativo, giudiziario e disciplinare. La Circ. n. 533 del 18 ottobre 1989, al momento del passaggio dal codice previgente a quello attuale, aveva sottolineato che:
«Registro delle notizie di reato (modelli 21, 22 e 52). A tale registro, espressamente previsto dall’art. 335 c.p.p., il nuovo sistema processuale riserva un rilievo particolare. Basti osservare, al riguardo, che dalla data in cui vengono iscritte le generalità della persona cui il fatto è attribuito decorre il termine utile per il compimento delle indagini preliminari (articoli 405, 408 c.p.p.); dalla data di iscrizione della notizia di reato decorre il termine utile perché il P.M. presenti la richiesta di giudizio immediato (art. 454 c.p.p.); dalla formulazione dell’imputazione consegue la pendenza del procedimento ai fini del rilascio del relativo certificato (c.d. dei carichi pendenti).
Ciò premesso, va osservato che nel registro devono essere iscritte le notizie di reato, cioè le notizie suscettibili di mettere in moto il meccanismo delle indagini preliminari qualunque sia l’esito di queste (esercizio dell’azione penale o richiesta di archiviazione)...
Registro delle notizie di reato relative ad ignoti (modello 44). Ragioni di opportunità e di uniformità hanno suggerito la previsione obbligatoria per tutti gli uffici del P.M. di un registro dei procedimenti a carico di ignoti, separato da quello delle notizie di reato riguardanti persone note.
Qualora in seguito alle indagini espletate sia individuata la persona cui il fatto è attribuito, dovrà procedersi a nuova iscrizione nel registro relativo alle persone note, ma dovrà essere indicato il numero del registro di provenienza, così da costituire segnalazione adeguata, per l’autorità giudiziaria procedente, in ordine al riferimento temporale della prima iscrizione.
Registro degli atti non costituenti notizia di reato (modello 45). Da una corretta interpretazione delle disposizioni contenute nell’art. 335, le quali fanno obbligo al P.M. di iscrivere il nome della persona cui il reato è attribuito (comma 1) e di annotare ogni mutamento della qualificazione giuridica del fatto o delle sue circostanze (comma 2), deriva che le informative non costituenti notizia di reato non dovranno essere riportate nel registro delle notizie di reato, bensì in un diverso registro, del tutto autonomo dal primo e non assimilabile all’attuale registro generale “C”.
In esso verranno iscritti, con l’indicazione della data e del contenuto, tutti gli atti ed informative che non debbano essere iscritti nei registri delle notizie di reato relativi a persone note o ignote: tutti gli atti ed informative, cioè, del tutto privi di rilevanza penale (esposti o ricorsi in materia civile o amministrativa; esposti privi di senso, ovvero di contenuto abnorme o assurdo; atti riguardanti eventi accidentali, ecc.).
L’iscrizione dell’informativa pervenuta nell’uno o nell’altro registro dipenderà dalla valutazione che ne dovrà fare il P.M. a norma dell’art. 109 del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (disposizioni di attuazione del c.p.p.).
Nel caso in cui il P.M. ritenga che la notizia, già iscritta nel registro degli atti non costituenti notizia di reato, richieda il compimento di indagini preliminari, prima che queste vengano disposte dovrà essere fatta una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato, con indicazione (nella colonna 2) della provenienza; correlativamente il passaggio dovrà essere annotato nella colonna 7 del registro degli atti non costituenti notizia di reato.
Ad esempio, la trasmissione all’Ufficio della procura della Repubblica da parte del tribunale di una sentenza dichiarativa di fallimento (che costituisce adempimento imposto dalla legge) verrà annotata nel registro degli atti non costituenti notizia di reato; ove poi dalla lettura della relazione del curatore fallimentare nel frattempo richiesta (che non costituisce attività di indagine preliminare) il P.M. ritenga di ravvisare una ipotesi di reato, verrà disposta la iscrizione nel registro delle notizie di reato».
La materia è stata successivamente esaminata anche dalla Corte Suprema di Cassazione, la quale, con sentenza delle Sezioni Unite n. 34 del 22 novembre 2000, depositata il 15 gennaio 2001 (recentemente richiamata dalla sentenza della Sez. I n. 42884 del 21 ottobre 2009), ha condiviso le argomentazioni esposte nella succitata nota ministeriale, precisando, nell’occasione, che l’omessa iscrizione nel registro delle notizie di reato (modelli 21 e 44) della notizia già iscritta (impropriamente) nel registro degli atti non costituenti notizia di reato (modello 45) non può tuttavia impedire al pubblico ministero di esercitare ugualmente i poteri attribuitigli dall’ordinamento, quali, nel caso specifico, la presentazione al giudice per le indagini preliminari di una richiesta di archiviazione.
Dalle ispezioni condotte presso gli uffici giudiziari è risultato che l’uso del registro modello 45 in molteplici casi non è in linea con l’impostazione illustrata nella suddetta circolare e più volte sono emerse significative differenze anche nell’ambito di una stessa Procura della Repubblica. L’Ispettorato generale, peraltro, in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale, ha rappresentato che ciò non comporta di per sé rilievi disciplinari, i quali potrebbero discendere soltanto dalla violazione di regole sostanziali, non già da elementi meramente estrinseci, quali eventuali irregolarità relative al tipo di registro nel quale viene effettuata l’iscrizione, purché siano rispettate le procedure e le garanzie previste dalla legge nei singoli casi.
L’individuazione del registro nel quale procedere all’iscrizione compete, ovviamente, al pubblico ministero, organo destinatario dell’informativa, e costituisce esercizio di attività giudiziaria, non sindacabile in sede amministrativa.
Ribadita la competenza del pubblico ministero nella scelta da compiere al momento della ricezione di una qualsiasi “notizia”, non si può fare a meno di considerare che l’uniformità e l’omogeneità delle scelte metodologiche nell’utilizzazione del registro modello 45 sia auspicabile per consentire un concreto ed efficace controllo amministrativo delle pendenze e delle spese di giustizia oltre che, in particolare, per assicurare correttamente, nel modo più completo possibile, il vaglio giurisdizionale sulla valutazione della “notitia criminis” e sull’esito infruttuoso delle indagini, secondo la previsione dell’art. 112 della Costituzione (in forza del quale devono essere rimesse al giudice le determinazioni in merito all’insussistenza delle condizioni richieste dalla legge per
l’esercizio dell’azione penale). Tale vaglio rischierebbe di essere eluso in caso di impropria archiviazione diretta degli atti.
Sul piano generale va altresì aggiunto che non appare opportuno svolgere accertamenti e compiere atti che comportino l’impegno di somme di denaro da iscrivere nel registro delle spese pagate dall’erario (art. 161, lett. a), D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, contenente il T.U. delle spese di giustizia, comunemente ed impropriamente detto mod. 12, secondo la denominazione riportata nella tariffa penale approvata con R.D. 23 dicembre 1865, n. 2701) a seguito di iscrizione di notizie nel registro modello 45, poiché con tale iscrizione implicitamente dette notizie vengono considerate dal pubblico ministero rappresentative di fatti penalmente non rilevanti (sebbene l’iscrizione irregolare non sia causa di responsabilità contabile, trattandosi di spese che comunque il pubblico ministero è legittimato ad
ordinare).
L’intera impostazione interpretativa della citata circolare del 1989, pertanto, mantiene piena e sicura validità, essendo indubitabile che il registro degli atti non costituenti notizia di reato sia stato destinato dal legislatore all’iscrizione delle sole notizie prive - almeno nel momento in cui si procede all’iscrizione stessa - di qualsiasi rilevanza penale e non meritevoli di alcun approfondimento investigativo, poiché attinenti a fatti che, seppure rispondenti al vero, non sono riconducibili in astratto ad alcun illecito penale (ad esempio, l’esposto dell’automobilista che si dolga del verbale di infrazione al codice della strada contestatogli dal vigile urbano) e non anche alle notizie che descrivono condotte sussumibili sotto fattispecie criminose, anche quando appaiono prima facie
palesemente infondate nel merito (proseguendo nell’esempio, l’esposto dell’automobilista che, sia pure pretestuosamente, contesti il verbale di infrazione al codice della strada del vigile urbano, assumendo che sia stato commesso un falso o un abuso di ufficio).
Con riferimento a taluni profili problematici maggiormente ricorrenti, si ritiene utile svolgere di seguito alcune brevi considerazioni, ai fini di interesse e diretta competenza del Ministero della Giustizia, tenendo peraltro sempre presente che le questioni attinenti all’applicazione e all’interpretazione di norme processuali sono rimesse in via esclusiva alle valutazioni dei magistrati procedenti e sono sindacabili soltanto con gli ordinari controlli procedurali, di merito e di legittimità.
Perquisizioni di iniziativa con esito negativo
Ogni determinazione non potrà che fondarsi sulla situazione di fatto rappresentata al magistrato inquirente, indipendentemente dalle considerazioni eventualmente espresse dagli operanti. È principio consolidato, infatti, che la qualificazione giuridica dei fatti rappresentati nell’informativa costituisce prerogativa dell’autorità giudiziaria. Ne deriva che il registro nel quale effettuare l’iscrizione deve essere individuato in rapporto al fatto storico descritto dagli operanti e che non può determinare condizionamenti la forma dell’atto compiuto d’iniziativa (è chiaro, infatti, che anche una perquisizione eseguita ai sensi dell’art. 352 c.p.p. potrà comportare l’iscrizione della successiva comunicazione nel registro modello 45 laddove l’apparente flagranza di reato che aveva legittimato
- secondo un giudizio ex ante - l’attivazione dei poteri di iniziativa della polizia giudiziaria sia stata invece ricondotta ad una fattispecie non rilevante penalmente).
L’esito negativo della perquisizione di iniziativa dalla polizia giudiziaria potrà, quindi, indurre ad iscrivere la notizia nel registro modello 45, salvo che vengano rappresentate circostanze ulteriori che depongano per la possibile sussistenza di un fatto di rilievo penale (pur in mancanza del materiale rinvenimento di tracce del reato). L’esito positivo della perquisizione, invece, comporterà necessariamente l’iscrizione nel registro delle notizie di reato (modello 21 o modello 44, a seconda che si debba procedere nei confronti del perquisito o di terzi non identificati; così, ad esempio, nel caso non infrequente di rinvenimento e sequestro di sostanza stupefacente detenuta per uso personale, ceduta illecitamente al possessore da ignoti). In tali ipotesi, infatti, occorrerà assicurare il
controllo giurisdizionale sull’eventuale richiesta di archiviazione del procedimento, consentendo al giudice di adottare i provvedimenti di sua competenza in ordine alla restituzione, confisca o distruzione di quanto sequestrato.
Referti medici
Anche in questo caso sembra opportuno iscrivere la notizia nel registro modello 45 solo quando dalla documentazione trasmessa non emergano ipotesi di reato doloso o colposo suscettibili di ulteriori approfondimenti. Diversamente, la notizia sarà iscrivibile nei registri modello 21 o modello 44.
Attività diretta a prendere notizia dei reati
A norma dell’art. 330 c.p.p., il pubblico ministero prende notizia dei reati anche direttamente: ciò in esecuzione dei compiti attribuiti dall’art. 73, R.D. n. 12/1941, anche a seguito di attività dirette dallo stesso pubblico ministero a verificare l’esistenza di comportamenti illeciti. È evidente, peraltro, che in tale ultimo caso gli accertamenti devono necessariamente essere determinati da un motivo di sospetto in relazione ad un qualche fenomeno che induca l’organo inquirente ad attivare i suoi poteri di vigilanza sull’osservanza delle leggi (così, ad esempio, nel caso di richiesta preventiva di trasmissione alla Procura della Repubblica di tutte le notizie relative a malattie astrattamente riconducibili ad una possibile origine professionale). Fuori da queste ipotesi, infatti,
residuerebbero attività di cd. “monitoraggio”, che non appaiono di competenza del potere giudiziario, o mere conoscenze occasionali, estranee all’esercizio delle funzioni, di fatti potenzialmente rilevanti sotto il profilo penale, espressamente disciplinate dall’art. 70, comma 5, dell’Ordinamento giudiziario.
Sulla base di tali considerazioni, si ritiene che le iniziative prese ai sensi del citato art. 73 vadano adottate nell’ambito di un procedimento iscritto nel registro delle notizie di reato (modello 21 o modello 44) in relazione ai reati di cui viene ventilata la possibile sussistenza. In tal modo, infatti, non soltanto l’attivazione dei poteri investigativi sarà ricondotta nell’alveo naturale delle indagini preliminari, ma verrà, altresì, assicurato l’esercizio dei poteri di controllo del giudice sia in ordine alla rilevanza penale dei fatti accertati sia sull’eventuale necessità di altre indagini. Né si ravvisano ragioni contrarie rispetto ad una scelta che sotto il profilo procedurale appare la più trasparente e garantista.
Specificazione della notizia non sufficientemente circostanziata
Questa situazione si verifica in presenza di accadimenti non ancora suscettibili di un univoco inquadramento: si pensi ai casi della scomparsa di una persona o del suicidio.
In coerenza con l’impostazione sin qui adottata, si deve ritenere che, ove non ricorra alcun elemento da cui desumere la sussistenza di un reato, si possa ben procedere all’iscrizione nel registro degli atti non costituenti notizia di reato (modello 45), senza, peraltro, che venga successivamente posta in essere alcuna attività in ragione dell’irrilevanza penale del fatto, salvi, comunque, notizie e sviluppi comunicati successivamente, anche dietro richiesta del pubblico ministero.
In tutte le ipotesi in cui ricorra, invece, il sospetto che sia stato commesso un fatto criminoso si dovrà previamente iscrivere la notizia nel registro delle notizie di reato (modello 21 o modello 44) e procedere con le forme ordinarie delle indagini preliminari.
Anche in questo caso non si può fare a meno di rilevare come la linea interpretativa prospettata appaia la più aderente all’impianto normativo e alla sua ratio.
Si ritiene di dover esprimere, infine, la contrarietà rispetto a talune prassi e modalità operative invalse in alcuni uffici giudiziari, che si traducono in un utilizzo obiettivamente improprio e non consentito del registro modello 45.
Risulta, in primo luogo, evidente che non si possa iscrivere nel registro degli atti non costituenti reato (modello 45) un’informativa con la quale viene riferito un fatto che integra inequivocabilmente un reato, neppure nel caso in cui - con riguardo ai delitti indicati all’art. 51 c.p.p. - si intenda accentrare presso la sede distrettuale le notizie relative a fatti-reato non di competenza di quest’ultima sede, ma ritenute rilevanti ai fini dell’individuazione di fenomeni criminali.
Per assicurare il necessario coordinamento investigativo e l’utile flusso di informazioni, con riguardo sia ai reati comuni sia a quelli di criminalità organizzata, potrà farsi ricorso alle normali procedure previste dagli artt. 371 e 371-bis c.p.p., fatta salva la possibilità per ogni singolo ufficio di catalogare i documenti non collegati a procedimenti pendenti istituendo un registro sussidiario, a norma dell’art. 2 del Regolamento per l’esecuzione del codice di procedura penale approvato con D.M. n. 334/1989.
Parimenti non sembra conforme alla normativa vigente la pratica, talora invalsa, di impartire disposizioni alla polizia giudiziaria affinché non vengano trasmesse informative concernenti ipotesi di reato perseguibili a querela, ove questa non sia stata presentata (così, ad esempio, nel caso di referti medici attestanti lesioni personali originate dalla condotta dolosa o colposa di un terzo).
Premesso, infatti, che le forze di polizia hanno l’obbligo di riferire all’Autorità Giudiziaria ogni notizia di reato, indipendentemente dall’eventuale mancanza di una condizione di procedibilità, la prassi suindicata presenta il duplice effetto di impedire al pubblico ministero l’esercizio delle proprie prerogative in ordine alla qualificazione giuridica del fatto e di sottrarre al giudice il controllo sull’effettiva sussistenza dei presupposti per il mancato esercizio dell’azione penale - compresi quelli relativi alla mancanza di condizioni di procedibilità - controllo, altresì, non sempre agevole, potendo riguardare molti e complessi fattori (termini di proposizione della querela, determinazione delle circostanze aggravanti, ecc.).
Si pregano le SS.LL. di portare la presente circolare a conoscenza degli uffici inquirenti dei rispettivi distretti.
Il Direttore generale
Luigi Frunzio
c.p.p. art. 330
c.p.p. art. 371
c.p.p. art. 371-bis
D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 115
R.D. 23 dicembre 1865, n. 2701
R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 73
D.M. 30 settembre 1989, n. 334
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