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venerdì 16 settembre 2011

SPAGNA: ANONYMUS PUBBLICA DATI PERSONALI SCORTA ZAPATERO

SPAGNA: ANONYMUS PUBBLICA DATI PERSONALI SCORTA ZAPATERO

(ANSA) - MADRID, 16 SET - I ciber-ribelli di Anonymus sono
'penetrati' nei computer del ministero degli interni spagnolo e
hanno pubblicato su internet i dati personali di 30 uomini della
scorta del premier Jose' Luis Zapatero, riferisce la stampa di
Madrid.
Dopo la diffusione dei dati la polizia nazionale ieri ha
disattivato il proprio sito per verificare il dispositivo di
sicurezza. In un documento pubblicato in rete Anonymus,
considerato vicino al movimento degli indignados, afferma che
''fra breve'' rendera' pubblici anche i dati degli agenti del
Gruppo Speciale Operazioni (Geo), gli agenti cui sono affidate
le missioni piu' difficili e pericolose. La 'guerra' fra
Anonymus e la polizia spagnola e' stata innescata in giugno
dall'arresto di tre giovani descritti dal ministero degli
interni di Madrid come ''la cupola'' del movimento dei
ciber-ribelli. Una definizione che ha suscitato sarcasmi e
ilarita' in rete. Dieci giorni dopo il sito della polizia e'
stato attaccato e bloccato per un giorno.
Nel documento pubblicato con i nomi dei guardaspalle di
Zapatero, Anonymus attacca il candidato premier socialista alle
politiche anticipate Alfredo Rubalcaba, fino a due mesi fa
ministro degli interni, invitando a dire ''No a Rubalcaba'' (lo
slogan del candidato e' ''Si a Rubalcaba''), cita Paul Bourget,
''Se non vivi come pensi, finirai col pensare come vivi'', e
avverte: ''Siamo Anonymus, Anonymus e' un esercito, non
dimenticarci, non perdoniamo, aspettaci''.(ANSA).

CEF
16-SET-11 11:08 NNNN

"Nocs, ecco le foto degli abusi in caserma"



"TBC in Questura, poliziotti contagiati"



Roma: agente dei Nox denuncia violenze e vessazione in caserma. (Fonte Italia1)

Roma: agente dei Nox denuncia violenze e vessazione in caserma.

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giovedì 15 settembre 2011

POLIZIA: INTERROGAZIONE TURCO (RADICALI) SU VICENDA NOCS

POLIZIA: INTERROGAZIONE TURCO (RADICALI) SU VICENDA NOCS =

Roma, 15 set. (Adnkronos) - Il deputato radicale Maurizio Turco,
cofondatore del Partito per la tutela dei diritti di militari e forze
di polizia (Pdm), ha depositato una interrogazione indirizzata al
Presidente del Consiglio dei ministri per conoscere 'quali sono le
immediate azioni intraprese nei confronti di coloro che sono stati
indicati come gli autori delle presunte violenze denunciate
dall'appartenente al reparto Nocs e quelle per la tutela
dell'incolumita' e della salute del denunciante; se non ritenga
opportuno promuovere, con il supporto delle Organizzazioni Sindacali
delle Forze di polizia e con esperti del settore, ogni utile
iniziativa volta a contrastare il fenomeno del ''mobbing'' nell'ambito
delle Pubbliche Amministrazioni con particolare riferimento a quelle
della Difesa e dell'Interno'.

Turco ricorda che ''il Pdm, fin dalla sua costituzione, si e'
sempre distinto per l'impegno profuso nella lotta per contrastare
violenze e soprusi di ogni genere nell'ambito delle Forze armate e di
polizia, come dimostrano le numerose iniziative mediatiche e le 338
interrogazioni parlamentari, le numerose proposte di legge e gli
ordini del giorno accolti dal governo, reperibili sul sito
www.partitodirittimilitari.org''.

(Sin/Ct/Adnkronos)
15-SET-11 19:44

NNNN

Cassazione "...Come questa Corte ha  già  precisato (cfr.  Cass.  n. 3785/2009), per mobbing si intende una condotta  del datore  di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta bel  tempo,  tenuta  nei  confronti del lavoratore  nell'ambiente  di lavoro,  che  si  risolve  in sistematici e  reiterati  comportamenti ostili  che  finiscono  per assumere forme  di  prevaricazione  o  di persecuzione  psicologica, da cui può conseguire  la  mortificazione morale  e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del  suo equilibrio fisio - psichico e del complesso della sua  personalità...."


DANNI IN MATERIA CIVILE E PENALE - LAVORO (RAPPORTO DI)
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 31-05-2011, n. 12048
Fatto Diritto ####################Q.M.
Svolgimento del processo
####################  ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale  di San  Remo  la  ####################  sas esponendo  di  aver  lavorato  presso l'Agenzia di viaggi di quest'ultima come impiegata, rivestendo  anche il   ruolo  di  direttore  tecnico,  dapprima  con  un  contratto  di collaborazione  coordinata e continuativa e  successivamente  con  un contratto  di  lavoro  subordinato, in realtà prestando  la  propria attività lavorativa sempre alle dipendenze e sotto le direttive  del titolare  dell'impresa, e di avere subito nel corso del  rapporto  di lavoro,  a causa delle sue richieste di regolarizzazione del rapporto stesso,  una serie di comportamenti vessatori e ostili tendenti  alla sua  completa emarginazione professionale e al progressivo isolamento dai  colleghi, comportamenti per i quali aveva sofferto  di  disturbi sia fisici che psichici. Ha chiesto quindi la condanna del datore  di
lavoro  al risarcimento del danno biologico, del danno alla  vita  di relazione e del danno morale.
Il Tribunale ha respinto la domanda ritenendo che  non fosse emersa la prova   di   un   atteggiamento  persecutorio  nei  confronti   della dipendente.  Anche  l'appello  proposto  dalla       ####################  è   stato respinto  dalla Corte di Appello di Genova, che ha ritenuto  che  non fosse stata raggiunta la prova di un tale atteggiamento persecutorio.
Avverso  tale  sentenza  ricorre per cassazione                #################### affidandosi  a  cinque motivi di ricorso. L'intimata  non  ha  svolto attività difensiva.Motivi della decisione
1.-   Con il primo motivo la ricorrente deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il  giudizio, sull'assunto che la Corte territoriale avrebbe ritenuto come   circostanza  pacifica  che  nel  periodo  iniziale  si   fosse instaurato  tra le parti un rapporto di lavoro autonomo,  laddove  la ricorrente aveva dedotto di avere sempre svolto attività  di  lavoro dipendente,  come,  del  resto,  era  chiaramente  emerso   all'esito dell'attività istruttoria svolta nel giudizio di primo grado.
2.-  Con  il  secondo motivo la ricorrente lamenta omessa valutazione complessiva delle prove e relativo vizio di motivazione, sul  rilievo che  il  giudice  di  appello avrebbe omesso  di  valutare  nel  loro complesso  gli  episodi posti a fondamento della   domanda,  omettendo altresì di prendere in considerazione le risultanze della consulenza tecnica  d'ufficio  disposta  in primo grado,  che  aveva  confermato l'esistenza  dei  disturbi psichici denunciati dalla ricorrente,  pur negando  il  nesso causale tra tali disturbi e l'attività lavorativa svolta.
3.-  Con  il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art.  2087 c.c.,  formulando il seguente quesito di diritto:  "la responsabilità   del   datore  di  lavoro   per   violazione   della personalità   morale  del  lavoratore  può  sussistere   anche   in conseguenza di uno (o più) atti lesivi della dignità e  del  decoro personale  e professionale dello stesso pur in difetto di un  disegno persecutorio  finalizzato ad espellere il dipendente (fattispecie  di mobbing)?".  4.- Con il quarto e il quinto motivo di ricorso si denunciano omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla domanda di risarcimento   del   danno  per  violazione  dell'art.   2087   c.c.,  sottolineando  che l'esistenza della responsabilità  del  datore  di lavoro,  nel  caso in esame, era stata invocata e doveva riconoscersi anche  come fondata sulla violazione
dell'art. 2043 c.c.,  non potendo dubitarsi  che  i  fatti indicati dalla ricorrente costituissero,  al tempo  stesso, violazione di obblighi contrattualmente  gravanti  sul datore  di  lavoro, ex art. 2087 c.c.,  e violazione del precetto  del neminem  laedere gravante sulla generalità dei consociati,  ex  art. 3043 c.c. 5.-  Il  ricorso  è infondato. Come questa Corte ha  già  precisato (cfr.  Cass.  n. 3785/2009), per mobbing si intende una condotta  del datore  di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta bel  tempo,  tenuta  nei  confronti del lavoratore  nell'ambiente  di lavoro,  che  si  risolve  in sistematici e  reiterati  comportamenti ostili  che  finiscono  per assumere forme  di  prevaricazione  o  di persecuzione  psicologica, da cui può conseguire  la  mortificazione morale  e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del  suo equilibrio
fisio - psichico e del complesso della sua  personalità.
Ai  fini  della configurabilità della condotta lesiva del datore  di lavoro   sono,   pertanto,   rilevanti:  a)   la   molteplicità   di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche  leciti  se considerati  singolarmente, che siano stati posti in essere  in  modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità  del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore  o  del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico  -  fisica del   lavoratore;   d)  la  prova  dell'elemento  soggettivo,   cioè dell'intento  persecutorio.  La domanda  di  risarcimento  del  danno proposta dal lavoratore per il mobbing subito è soggetta a specifica allegazione  e  prova  in ordine agli specifici fatti  asseriti  come lesivi  (Cass.  n. 19053/2005). Cass. 6 marzo 2006, n.  4774
 ha  poi ritenuto  che  l'illecito  del datore di  lavoro  nei  confronti  del lavoratore consistente nell'osservanza di una condotta protratta  nel tempo   e  con  le  caratteristiche  della  persecuzione  finalizzata all'emarginazione del dipendente (c.d. mobbing) - che rappresenta una violazione  dell'obbligo di sicurezza posto  a  carico  dello  stesso datore  dall'art.  2087 c.c. - si può realizzare  con  comportamenti materiali   o   provvedimentali   dello  stesso   datore   di   lavoro indipendentemente    dall'inadempimento   di    specifici    obblighi contrattuali  previsti  dalla  disciplina  del  rapporto  di   lavoro subordinato. La sussistenza della lesione del bene protetto  e  delle sue   conseguenze   deve  essere  verificata  -   procedendosi   alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi -  considerando l'idoneità offensiva della
condotta  del  datore  di lavoro,  che può essere dimostrata, per la sistematicità  e  durata dell'azione  nel  tempo,  dalle  sue  caratteristiche  oggettive   di persecuzione  e  discriminazione, risultanti  specificamente  da  una connotazione   emulativa  e  pretestuosa,  anche  in  assenza   della violazione  di specifiche norme attinenti alla tutela del  lavoratore subordinato.
Nella  specie, la Corte territoriale ha preso in esame l'insieme  dei comportamenti  del  datore  di  lavoro  dedotti  come  lesivi   dalla ricorrente,  escludendone ogni intento persecutorio  o emulativo,  sia con   riferimento   agli   episodi  collegati,   secondo   l'assunto, all'insorgenza  delle  "prime  manifestazioni  patologiche   sia  con riferimento  agli  episodi successivi, osservando,  quanto  a  questi ultimi,  che  dalle risultanze istruttorie non era emersa l'esistenza di  comportamenti connotati da carattere persecutorio  nei  confronti della  dipendente  e  che gli unici episodi,  comunque  marginali  ed isolati,  rispetto  ai quali poteva essere espresso  un  giudizio  di biasimo   (lancio   dello  stipendio  sul  tavolo,   consegna   della retribuzione in un sacco di monetine) si erano verificati  "in  tempi di  molto successivi all'inizio della manifestazione delle
patologie, quando la      #################### non andava più a lavorare e si recava in agenzia solo  per  ritirare  lo stipendio ...", sì che,  valutate  tutte  le circostanze  sopra  indicate,  doveva  escludersi  che  fosse   stata raggiunta la prova di un atteggiamento emarginante, discriminatorio o persecutorio nei confronti della lavoratrice.
Si  tratta  di  una  valutazione di fatto, devoluta  al  giudice  del merito, non censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita  da  motivazione sufficiente e non  contraddittoria;  anche perchè la ricorrente non ha riportato in ricorso il contenuto  delle deposizioni testimoniali delle quali assume essere stato omesso  ogni esame  (tranne  quello di una deposizione, che   tuttavia  non  appare decisiva ai fini della collocazione temporale degli episodi di cui si discute)  e non ha neppure indicato quali sarebbero gli elementi  che la Corte territoriale avrebbe trascurato di esaminare (in conseguenza della erronea interpretazione degli atti di causa, denunciata con  il primo  motivo) e che avrebbero dovuto orientare la decisione in senso diverso, sicchè le censure espresse nei primi due motivi di  ricorso -  al  di  là della loro corretta impostazione in diritto
circa  la definizione  dei comportamenti che possono integrare in  astratto  la fattispecie  del  mobbing  -  rimangono poi  confinate  ad  una  mera contrapposizione  rispetto alla valutazione di merito  operata  dalla Corte   d'appello,  inidonea  a  radicare  un  deducibile  vizio   di motivazione di quest'ultima. Deve ribadirsi, al riguardo,  che,  come è  stato  più volte affermato da questa Corte, la deduzione  di  un vizio  di  motivazione  della  sentenza  impugnata  con  ricorso  per cassazione  conferisce al giudice  di legittimità non  il  potere  di riesaminare  il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta  al suo  esame,  bensì la sola facoltà di  controllo, sotto  il  profilo della  correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in  via esclusiva,   il   compito  di  individuare  le
fonti   del   proprio convincimento, di assumere e valutare le prove e di scegliere, tra le complessive  risultanze  del processo, quelle  ritenute  maggiormente idonee  a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi,  senza essere  tenuto  ad  un'esplicita confutazione  degli  altri  elementi probatori  non accolti, anche se allegati dalle parti.  Il  vizio  di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile  con ricorso  per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.####################c.,  n. 5, ricorre, dunque,  soltanto quando nel ragionamento del giudice di   merito  sia riscontrabile  il  mancato o insufficiente esame  di  punti  decisivi della  controversia, prospettati dalle parti o rilevabili  d'ufficio, ovvero  un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate,  tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto  a  base  della decisione,
mentre tale vizio non  si  configura allorchè  il  giudice di merito abbia semplicemente attribuito  agli elementi   valutati  un  valore  e  un  significato   diversi   dalle aspettative  e  dalle deduzioni di parte (cfr. ex plurimis  Cass.  n. 10657/2010,  Cass.  n.  9908/2010,  Cass.  n.  27162/2009,  Cass.  n. 16499/2009,  Cass.  n.  13157/2009,  Cass.  n.  6694/2009,  Cass.  n. 42/2009,   Cass.  n.  17477/2007,  Cass.  n.  15489/2007,  Cass.   n. 7065/2007,  Cass.  n.  1754/2007,  Cass.  n.  14972/2006,  Cass.   n. 17145/2006,  Cass.  n.  12362/2006, Cass.  n.  24589/2005,  Cass.  n. 16087/2003,  Cass.  n.  7058/2003,  Cass.  n.  5434/2003,  Cass.   n. 13045/97, Cass. n. 3205/95).
6.- Il primo ed il secondo motivo vanno, pertanto, rigettati.
7.- Anche il terzo motivo, con il quale, sostanzialmente, si contesta una  non corretta interpretazione delle domande formulate con  l'atto introduttivo  e  della  normativa in  esso   richiamata,  deve  essere respinto. Invero, anche a prescindere dalla pur di per sè assorbente considerazione che la ricorrente non riporta puntualmente nel ricorso per  cassazione  il  contenuto integrale dell'atto introduttivo  (non essendo  sufficiente il richiamo di alcuni passi del ricorso ex  art. 414  c.####################c.  o la riproduzione in forma indiretta dello  stesso  atto contenuta nelle premesse del ricorso per cassazione), nè gli  esatti termini in cui la domanda è stata riproposta in appello, va rilevato che  nel  ricorso non vengono neppure indicate le norme che la  Corte territoriale  avrebbe violato nell'interpretazione di una domanda  che pure,  anche  secondo  la  ricorrente, era  diretta  a
sostenere  la sussistenza del mobbing e che negli stessi termini, a quanto si legge nella  motivazione della sentenza impugnata, sarebbe stata riprodotta nel   grado   di   appello;   e  tutto  ciò  senza  considerare   che l'interpretazione della domanda e l'apprezzamento della sua ampiezza, oltre  che  del suo contenuto, costituiscono, anche nel  giudizio  di appello,  ai  fini  della  individuazione del  devolutum,  un  tipico apprezzamento di fatto  riservato al giudice del merito  e,  pertanto, insindacabile  in  sede  di legittimità, se  non  sotto  il  profilo dell'esistenza, sufficienza  e logicità della motivazione  (Cass.  n. 20373/2008, Cass. n. 19475/2005).
8.-  Al  rigetto del terzo motivo consegue logicamente l'assorbimento del  quarto e del quinto motivo, con i quali si deduce il difetto  di motivazione  in  ordine alla domanda di risarcimento  del  danno  con riferimento    alla    responsabilità    sia    contrattuale     che extracontrattuale,  trattandosi  di motivi  che  ripropongono,  sotto diverso  profilo,  le  stesse censure del  motivo  precedente  e  che incorrono, dunque, per come formulati, negli stessi rilievi.
9.- Il ricorso va quindi rigettato.
10.-  Stante il mancato svolgimento di attività difensiva  da  parte dell'intimata, non deve provvedersi in ordine alle spese del giudizio di legittimità.####################Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso; nulla sulle spese.



NOCS- Polizia e democrazia: il caso di Spinaceto

  NOCS-  Polizia e democrazia: il caso di Spinaceto
Radio Rai 3 - Tutta la città ne parla - Trasmissione del 15 settembre 2011 - Intervista a cura di Giorgio Zanchini


Giardullo: "La Roma criminale che fa gola alla mala"


La Roma criminale che fa gola alla mala Stampa E-mail

polizia-scenadelitto-SLIDERIl luogo dell'attentato a Flavio Simmi, nel quartiere romano di PratiLa capitale è una piazza importante, sopratutto per il traffico di droga e il riciclaggio di denaro sporco

ROMA - Criminale o no, la questione delle infiltrazioni malavitose nel tessuto sociale ed economico di Roma sembra davvero un “romanzo”. Da un lato le rassicurazioni del sindaco Alemanno e del sottosegretario agli Interni Mantovano, che non vogliono parlare di emergenza criminalità. Dall’altro gli omicidi irrisolti degli ultimi mesi e l’appello dello stesso primo cittadino al ministro Maroni: “Nella Capitale servono più poliziotti e carabinieri”. Nel mezzo, la realtà di 26 morti da gennaio ad oggi, le sparatorie in strada, le migliaia di imprenditori strozzati dall’usura o dal racket. E soprattutto la consapevolezza che la criminalità a Roma non è più un fenomeno delle periferie ma ha invaso anche i quartieri centrali, quelli tradizionalmente più tranquilli. Uno su tutti, Prati: a meno di due mesi dall’uccisione in strada di Flavio Simmi, una giovane donna viene scippata in pieno giorno e finisce in coma.
La Roma criminale è un’invenzione letteraria, l’evocazione di un passato diventato storia. “Ma non si può negare – sottolinea Claudio Giardullo, segretario generale della Silp Cgil – che la città eterna è anche un mercato da spartire, una torta che può far gola a molti”. E infatti oggi il sindaco incontrerà il ministro Maroni, grande assente alla riunione del comitato provinciale del 31 agosto, nell’ennesimo vertice sul tema sicurezza.
Gli affari, a Roma, si fanno con la droga o con infiltrazioni nel tessuto imprenditoriale usando denaro illecito. “Due fenomeni separati – spiega il presidente dell’associazione antiracket e antiusura di Confesercenti, Lino Busà – che si muovono seguendo logiche ben distinte: gli episodi di violenza sono legati a regolamenti di conti tra spacciatori, mentre chi vuole riciclare soldi sporchi attraverso attività commerciali ha interesse a una città non militarizzata e dunque meno pericolosa”.
Le estorsioni? A Roma e in generale nel Lazio sono poco frequenti. “C’è bisogno di un controllo del territorio e di una capacità di intimidazione che i clan attivi nella Capitale non hanno”, aggiunge Busà. L’usura, invece, “viaggia alla grande, gestita da cravattari classici, da professionisti in giacca e cravatta, da ciò che rimane della banda della Magliana e da alcune famiglie di nomadi”. Un giro d’affari che in tutto in Lazio, tra capitali prestati e interessi restituiti, viaggia sui tre miliardi di euro.
Secondo Alemanno e Mantovano Roma non è nel mezzo di una guerra tra bande criminali. I 26 omicidi, cifra record con cui la Capitale supera città notoriamente più violente come Napoli e Palermo? Un dato in linea con quello degli anni precedenti. E la facilità con cui i giovani prendono in mano pistole e coltelli? Una degenerazione dei fenomeni di bullismo, da tenere sott’occhio ma non ascrivibile alla mala organizzata. La vera emergenza di Roma sarebbero le manifestazioni in programma per il prossimo autunno. Una visione paradossale perché, come sottolinea Giardullo, “minimizzare i fatti di cronaca non serve, anzi è pericoloso. La presenza mafiosa a Roma è in aumento, mentre i tagli del governo hanno ridotto sia il personale che gli strumenti di lavoro”.
Per ripulire la Capitale, insomma, bisogna rivedere le priorità. Cominciare a capire se dalle ceneri dell’ “operazione Colosseo”, che nel 1993 tagliò la testa alla banda della Magliana, sta rinascendo come una fenice un’altra holding criminale, e se le gambizzazioni e gli omicidi degli ultimi mesi sono sintomi di una nuova guerra tra bande per la spartizione del territorio. “In una parola – conclude Giardullo – si deve cambiare l’obiettivo strategico e unire alla lotta all’immigrazione clandestina e alla prostituzione quella alla criminalità”. Sminuire la recrudescenza degli episodi delittuosi rischia invece di tenere nascosta una realtà che proprio sul sommerso fonda le proprie basi. E che di “romanzesco” ha assai poco.
(Federica Ionta)
  Fonte: Romacapitale.net

Giardullo: "Protocollo "Mille occhi", le finte novità"


Roma
Protocollo "Mille occhi", le finte novità Stampa E-mail

polizia-carabinieri-SLIDERLa collaborazione tra forze dell'ordine e vigilantes c'è sempre stata. Mancano investimenti
ROMA - Più che mille nuovi occhi, il protocollo che oggi firmano a Roma il ministro Maroni, il sottosegretario all'Interno Mantovano, l'Anci e i rappresentanti delle principali agenzie di vigilanza privata, sembra mettere in campo qualcosa di già visto.
L'intesa punta tutto sul "programma di collaborazione informativa" tra guardie giurate, polizia e carabinieri. In pratica, viene chiesto agli agenti privati di segnalare quello che avviene nell'area che stanno vigilando, dai comportamenti sospetti alle situazioni di degrado. "Questa cooperazione, di fatto preziosa, c'è sempre stata – conferma il segretario nazionale del sindacato di polizia Silp-Cgil, Claudio Giardullo – Il ruolo ausiliario delle guardie giurate non è una novità. Quello che cambia, e non in positivo, è la possibilità di segnalare anche le condizioni di disagio sociale". Qualcosa che rischia di intasare i flussi di richieste ai centralini delle forze dell'ordine. "Se non abbiamo i soldi per la benzina alle auto – spiega Giardullo – come possiamo far fronte, oltre alle situazioni di pericolo, anche a quelle di degrado urbano?".
Altro punto poco chiaro del "Mille occhi" è la dotazione finanziaria per realizzare lo scambio di informazioni e i corsi di formazione previsti per le guardie giurate. Sulla questione soldi, infatti, il protocollo non si sbilancia. L'attività di cooperazione, si legge, non deve comportare costi aggiuntivi né per gli istituti di vigilanza né per lo Stato. "Come si può pensare di risolvere un problema come la criminalità solo con interventi di facciata, senza neanche un investimento?", si chiede il segretario generale Silp.
Senza riforme né stanziamenti, l'accordo rischia addirittura di creare confusione tra le competenze di polizia, carabinieri e municipale. Il punto 1.4 stabilisce infatti che le informazioni raccolte dai vigilantes sul capoluogo di provincia vanno trasmesse al questore, mentre quelle sulle altre città ai carabinieri. "Ma il coordinamento tra le forze dell'ordine è già disciplinato dalla legge e non su base territoriale – conclude Giardullo – Idem per il 2.2, in base al quale il questore perderebbe la competenza sul monitoraggio degli istituti di vigilanza, che passa a prefetto e sindaco. La legge dice altro".
(Federica Ionta)