Le origini: dalla tutela della salute alla tutela assicurativa
Il problema della tutela dei lavoratori dagli infortuni e dalle malattie professionali cominciò a porsi all’attenzione dei politici italiani solo nella seconda metà dell’800 con l’intensificarsi del processo di industrializzazione del nostro Paese. Il passaggio di crescenti masse di lavoratori dall’agricoltura all’industria, soprattutto nei settori della metalmeccanica, della chimica e del tessile, nonché il lavoro nelle cave, nelle miniere e nell'edilizia, dove le condizioni di lavoro risultavano carenti sia dal punto di vista igienico che di sicurezza, portò infatti un aggravamento dei fenomeni infortunistici e l’insorgere di patologie legate alle lavorazioni nelle quali gli operai, non di rado fanciulli, venivano impiegati. La sempre più forte domanda di tutela da parte dei lavoratori, anche attraverso le nascenti organizzazioni sindacali, spinse quindi il legislatore ad avviare l’adozione di provvedimenti per la tutela della sicurezza sul lavoro.
Già con il R.D. 29 dicembre 1869 venne istituita una “Commissione Consultiva del Lavoro e della previdenza sociale” per definire i contenuti di quella che sarebbe stata la prima legge in materia di assicurazione degli infortuni sul lavoro: la Legge 17 marzo 1898, n. 80.
La prima legge diretta alla protezione dei fanciulli in opifici, miniere e cave è dell’11 febbraio 1886 [Legge 11.02.1886 - n. 3657 sul lavoro dei fanciulli, regolamentava il lavoro dei fanciulli negli opifici, cave e miniere] e introduceva, all'interno della regolamentazione ivi prevista, l'embrione di "un principio chiave nell'attuale assetto normativo, la massima sicurezza possibile" (Guariniello) laddove imponeva all'imprenditore l'obbligo di prendere e mantenere tutti i provvedimenti necessari per la maggiore sicurezza della vita o della salute. L'argomento di questa legge evidenzia come lo sfruttamento capitalistico del lavoro minorile fosse un argomento di tale rilievo da richiedere un intervento legislativo di contrasto e freno all'utilizzo incontrollato e dannoso dei bambini nelle miniere, nelle cave e nelle fabbriche.
Con la legge 12 marzo 1898 n. 30 venne istituita l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni (poi modificata dal Testo Unico del 31 gennaio 1904), con il conseguente esonero della responsabilità civile del datore di lavoro, ovvero dell'obbligo di risarcire i danni, che era invece di competenza dell'ente assicuratore. L'attenzione era tutta indirizzata a riparare le conseguenze, ad intervenire sui danni derivanti dall'infortunio.
Una concezione che ancora vedeva l'infortunio come tragica fatalità, e non invece come precisa conseguenza di una cattiva organizzazione del lavoro imposta da imprenditori la cui ricerca del massimo profitto prescindeva dal rispetto del bene più prezioso, che è la vita di chi lavora.
La convinzione diffusa era dunque quella che considerava il rischio come ineluttabile, legato al lavoro stesso e perciò ineliminabile, una sorta di fatalismo produttivo.
Oggi, dopo una lunga evoluzione storica, sociale e giuridica, che è anche e sopratutto il risultato di molte lotte e della crescita politica e culturale del movimento operaio, le leggi puntano piuttosto ad eliminare ogni rischio o quantomeno a controllare e ridurre al minimo il rischio residuo, e quindi a definire il lavoro come luogo dove i lavoratori possano evolversi e autorealizzarsi professionalmente e umanamente (ergonomia del lavoro e benessere del lavoratore diventano ora misure generali di sicurezza previste dall'art. 3 del celebre Decreto. Legislativo n. 626/94, ora art. 15 del D.Lgs. n. 81/2008), e non viverlo più come una condanna biblica. Se deve essere una catena “dorata”, che almeno sia la più leggera possibile!
Ma il primo intervento generalizzato di tutela della salute dei lavoratori, la prima "barriera legale" si ebbe con la delega contenuta nella Legge 17 marzo 1898 n. 80 (Prevenzione degli infortuni nelle imprese e nelle industrie, modificata con Legge 29 giugno 1903 n. 213, con successiva emanazione del testo unico coordinato con il Regio Decreto 31 gennaio 1904 n. 51), che sancì l’obbligo assicurativo per gli infortuni degli operai sul lavoro nelle industrie – anche se solo per alcune lavorazioni e con libera scelta da parte del datore di lavoro della compagnia o cassa assicurativa - e ad essa seguirono poi agli inizi del ‘900 ulteriori provvedimenti legislativi volti ad estendere la tutela sociale al lavoro agricolo, nonché al lavoro femminile e a quello dei minori. e successivamente si ebbero alcuni altri decreti.
In questa legge era previsto per il settore industriale e per i titolari delle imprese l'obbligo di assicurare i lavoratori contro gli infortuni e di applicare le misure di sicurezza prescritte dai regolamenti tecnici di prevenzione.
Tale regolamento per la prevenzione escludeva però le piccole aziende, i lavori nelle cave e miniere e le industrie di esplosivi, che non erano tutelati dalla legge (e questa tradizione di ricercare zone franche, dove le regole comuni di tutela non valgono, continua ancora oggi, anche nel D. Lgs. n. 81/08, dove l'applicazione delle regole di sicurezza viene esclusa o “poco inclusa” nella pubblica amministrazione, nelle scuole, ecc.).
E tuttavia, "fin d'allora, si manifestò un'ulteriore singolarità del modello italiano, la diffusa disapplicazione della legge, nei fatti l'impunità per il datore di lavoro" (Guariniello). Impunità tutt'ora garantita dalla voluta inefficienza e insufficienza qualitativa e quantitativa degli organi di vigilanza sull'intero territorio nazionale
I principali decreti in materia di prevenzione infortuni furono i seguenti:
- Regio Decreto 18 giugno 1899 n. 230, Approvazione del regolamento per la prevenzione degli infortuni nelle imprese e nelle industrie alle quali si applica la legge 17 maggio 1898 n. 80 (limitato alle industrie con un certo numero limite di addetti, che prevedevano sanzioni per i datori di lavoro inadempienti);
- Regio Decreto 18 giugno 1899 n. 231, Regolamento per la prevenzione degli infortuni nelle miniere e nelle cave;
- Regio Decreto 18 giugno 1899 n. 233, Regolamento per la prevenzione degli infortuni nelle industrie che trattano materie esplodenti;
- Regio Decreto 27 maggio 1900 n. 205, Regolamento per la prevenzione degli infortuni nelle imprese di costruzione.
La prima legge sul lavoro dei fanciulli nelle fabbriche e nelle miniere venne approvata nel 1886, ma ben presto si rivelò inadeguata. Nel 1893 il ministro Pietro Lacava, in base ai risultati di un'inchiesta sul lavoro minorile, presentò un disegno di legge che avrebbe dovuto migliorare ed ampliare la disciplina vigente in materia. Solo nel 1902, nel quadro della legislazione sociale promossa dal Governo Zanardelli-Giolitti e su sollecitazione del gruppo parlamentare socialista, il Ministro di Agricoltura, industria e commercio, Guido Baccelli, portò in approvazione dopo alcuni miglioramenti, un progetto elaborato dal predecessore Paolo Carcano [cfr. Legge 19 giugno 1902, n. 242. Sul lavoro delle donne e dei fanciulli e Legge 26 giugno 1913, n. 886. Requisiti di istruzione dei fanciulli per l'ammissione al lavoro negli stabilimenti industriali].
L’assicurazione contro gli infortuni del lavoro industriale fu la prima fra le assicurazioni sociali obbligatorie istituite in Italia.
Inizialmente disciplinata dalla legge 17 marzo 1898, n. 80 e dal T.U. 31 gennaio 1904, per il solo settore industriale, vide l’estensione della protezione assicurativa alle malattie professionali, sempre limitatamente al settore industriale, con la legge 17 marzo 1929, entrata in vigore solo nel 1935.
Il settore industriale fu il battistrada delle forme di tutela, e anche sotto il regime fascista, esigenze oggettive si imponevano in modo tale da costringere il regime ad adottare misure di tutela.
Il Testo Unico 31 gennaio 1904 n. 51 (con il relativo regolamento di attuazione approvato con R.D. 13 marzo 1904 n. 141) raggruppò e riordinò la normativa in materia di infortuni sul lavoro ed estese la tutela ad alcune lavorazioni agricole. Sempre in relazione al lavoro agricolo intervenne poi il D.L. Luogotenenziale 23 agosto 1917 n. 1450.
L’assicurazione contro gli infortuni dei lavoratori agricoli e forestali fu istituita con il D.Lg.Lgt. 23 agosto 1917, n. 1450 (provvedimenti per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura), che, insieme al Regolamento approvato con D.Lg. Lgt. 21 novembre 1918, n. 1889, disciplinò per decenni, in modo poco efficace, questa forma assicurativa.
Non bastò la fine della guerra, e la sconfitta del fascismo, per avere una tutela decente di quello che era all'epoca il settore produttivo che occupava il maggior numero di addetti: soltanto con la legge 21 marzo 1958, n. 313 e con il D.P.R. 28 aprile 1959, n. 471 fu disciplinata la tutela assicurativa delle malattie professionali in modo adeguato e generalizzato anche nell’agricoltura.
Dopo la Grande Guerra, la legislazione relativa alla protezione sociale venne comunque ulteriormente sviluppata e venne introdotta per la prima volta l’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali.
Con il Regio Decreto Legge 15 maggio 1919 n. 530 vengono emanate le “norme per la compilazione del regolamento generale e di quelli speciali circa l'igiene del lavoro" e penalità per la contravvenzione ai regolamenti. Una legge programmatica e scarsamente puntuale nell'imporre obblighi prevenzionistici dettagliati e pregnanti.
Con il R.D.L. 5 dicembre 1926 n. 2051, venne vietato alle compagnie private di stipulare polizze assicurative contro gli infortuni sul lavoro.
Solo nel 1927 sarà emanata una legge relativa all'igiene nel lavoro: è con il Regio Decreto Legge 14 aprile 1927 n. 530 che si ha l'Approvazione del regolamento generale per l'igiene del lavoro, ma il quadro complessivo della legislazione allora vigente e della sua concreta applicazione rimase comunque decisamente scarno e privo di efficacia concreta.
Come ha notato Guariniello, di fatto l'impunità del datore di lavoro, se non era assoluta, poco ci mancava.
Con il R.D. 13 maggio 1929 n. 928, entrato in vigore il 1° gennaio 1934, venne estesa la tutela dei lavoratori assicurati contro gli infortuni sul lavoro anche alle malattie professionali nell’industria. In particolare, vennero individuate sei malattie per le quali, in virtù della correlazione delle stesse a determinate lavorazioni, valeva la presunzione legale di origine professionale; era cioè sufficiente l’esistenza della malattia e l’insorgenza della stessa in un lavoratore addetto a determinate lavorazioni perché al lavoratore venisse riconosciuta la tutela, senza necessità alcuna per il medesimo di fornire la prova della diretta dipendenza della malattia dalla attività professionale svolta
Il R.D. 23 marzo 1933 n. 264 aveva affidato la tutela assicurativa degli infortuni sul lavoro in esclusiva ad un Ente pubblico: l’odierno INAIL.
A breve distanza dall’entrata in vigore del R.D. 928/29, venne adottato il R.D. 17 agosto 1935 n. 1765, “Disposizioni per l’assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali”, che attuò l’unificazione delle disposizioni relative all’assicurazione contro gli infortuni e contro le malattie professionali. Anche questa legge prevedeva la tutela per le originarie sei malattie, ma in più aggiungeva nella relativa tabella anche l’indicazione delle manifestazioni morbose di esse coperte dalla tutela assicurativa
Il R.D. 1765/35 prevedeva altresì l’obbligo di denuncia per ogni medico delle malattie indicate in un apposito elenco da approvarsi con decreto ministeriale (art. 68).
Il codice penale del 1930 (Codice Rocco, che in gran parte è ancora in vigore oggi) introdusse per la prima volta in Italia la sanzionabilità dell'inosservanza degli obblighi di prevenzione (artt. 437 e 451, tutt'ora vigenti), ma si trattò, e si tratta, di norme severe di facciata, in quanto quasi mai applicate durante il fascismo, e pochissimo applicate anche oggi, sebbene debba segnalarsi una parziale tendenza inversa, una maggiore attenzione a questi due preziosi articoli.
Nello stesso periodo l'OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) adottò delle "raccomandazioni" per la prevenzione degli infortuni, che nel nostro Paese rimarranno inascoltate, a causa di quel regime totalitario di massa che prosciugò democrazia, idealità, e cultura infliggendo danni gravissimi alla società italiana, trascinandola in una guerra catastrofica a fianco della Germania nazista.
Solo nel 1942, con l'emanazione del nuovo Codice Civile sarà introdotta una norma importantissima: l'articolo 2087, ma tale preziosa disposizione prevenzionistica è restata scritta, negli anni, solo sulla carta, e se ancora oggi è un punto di riferimento estremamente importante dal punto di vista dei principi, di fatto in mancanza di una organizzazione aziendale obbligatoria per la prevenzione degli infortuni e le malattie professionali (come è accaduto in Italia fino all'approvazione del decreto legislativo n. 626 del 1994) non ha mai potuto costituire il principio ispiratore di una effettiva generalizzazione delle migliori misure di sicurezza tecnica e organizzativa e procedurale, non ha mai avuto, quindi, una effettiva efficacia per ridurre morti sul lavoro e malattie professionali.
Con la Legge 12 aprile 1943 n. 455 venne introdotta l’assicurazione obbligatoria contro la silicosi e l’asbestosi.
Sarà finalmente la Carta costituzionale nel 1948, nata grazie all'impegno eroico degli uomini e delle donne che lottarono per la libertà di un intero popolo, durante la Resistenza, per dare a tutti una repubblica democratica fondata sul lavoro (art. 1 Costituzione) a definire i principi per una completa e compiuta tutela del lavoro.
A metà degli anni cinquanta si imporrà definitivamente la necessità sempre più fortemente avvertita di una moderna ed efficace normazione della sicurezza ed igiene del lavoro.
Successivamente, la Legge 15 novembre 1952 n. 1967 aumentò il numero delle lavorazioni morbigene nell’industria portandole da 6 a 40, estese il termine entro il quale la malattia doveva manifestarsi o insorgere dopo l’abbandono della lavorazione (c.d. periodo massimo di indennizzabilità) ed eliminò l’elencazione tassativa delle manifestazioni morbose coperte dalla tutela assicurativa prevista dal R.D. 17 agosto 1935 n. 1765.
Detta legge era basata sul principio del “rischio professionale”, per il quale, tenuto conto del carattere ineluttabile dell’infortunio sul lavoro, si poneva il risarcimento del danno derivante da quest’ultimo a carico dell’imprenditore, ossia di colui che, in definitiva, traeva vantaggio dall’esercizio dell’industria. Si trattava di una vera e propria assicurazione, ancorché obbligatoria, per la responsabilità civile del datore di lavoro, in virtù della quale il lavoratore infortunato non doveva più provare, per avere diritto alle prestazioni, che l’infortunio fosse derivato da colpa del datore di lavoro.
Con la legge 12 febbraio 1955 n. 51 il Governo riceveva la delega per emanare le nuove norme per la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro.
Le principali furono il D.p.r. 27 aprile 1955, e i decreti 19 marzo 1956 n. 303, sull'igiene del lavoro, e il decreto 7 gennaio 1956, sulla sicurezza nelle costruzioni.
Dunque nel corso degli anni '50 sono stati emanati, numerosi decreti prevenzionistici, che hanno definito i doveri generali dei datori di lavoro, dei dirigenti, dei preposti e dei lavoratori (doveri originari, iure proprio, che prescindono da formali incarichi aziendali) e hanno dettato numerose regole e disposizioni generali di protezione che affiancano al dovere di rendere edotti i lavoratori dei rischi cui sono esposti numerose altre disposizioni riguardanti i luoghi di lavoro, le attrezzature, la sicurezza elettrica, i mezzi di protezione affinché siano idonei ed adeguati durante lo svolgimento dell'attività lavorativa. Tutte tutt'ora vigenti in quanto recepite all'interno del Testo Unico di sicurezza del lavoro oggi vigente: il D.Lgs. n. 81/2008.
La legislazione di prevenzione e sicurezza sul lavoro nasce dunque nel periodo tra il 1955 e il 1965, e ha due pilastri storici nel D.P.R. n. 547/55 sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e nel D.P.R. 303/56 sull'igiene del lavoro.
Essa, in tutta evidenza, trae le sue fondamenta dalla Costituzione, che è tra le più avanzate d'Europa, che con l'articolo 32 pone al primo posto tra i diritti e i valori tutelati la salute, intesa come diritto individuale ed interesse della collettività. E con l’articolo 41 che pur riconoscendo come valore assoluto la libertà imprenditoriale, la subordina al rispetto della sicurezza, della dignità e della libertà umane.
Ma mentre questi decreti ponevano obblighi precisi a carico dei datori di lavoro, la giurisprudenza non riconosceva ancora, negli anni cinquanta, l'esistenza di un correlativo diritto soggettivo del lavoratore alla sicurezza. Ed inoltre l'applicazione dell'articolo 2087 del codice civile e dei decreti prevenzionistici citati avveniva solo ex-post, a seguito di infortunio o malattia professionale, mancando l'obbligo a carico del datore di lavoro di organizzare all'interno dell'azienda uno specifico sistema di gestione dell'attività di prevenzione e protezione (come invece avverrà a seguito dell'emanazione del D. Lgs. n. 626/94 e oggi col D.Lgs. n. 81/2008).
Successivamente abbiamo avuto diversi passaggi di sviluppo della legislazione di tutela dei lavoratori:
- dalla metà degli anni '60 ai primi anni '70 vi è stata una crescita di interesse per la tutela dell'integrità fisica, psicologica e morale dei lavoratori, con momenti interessanti di maggior elaborazione e nuove acquisizioni sul piano contrattuale e legislativo, dal D.P.R. n. 1124 del 1965 che ha rappresentato il culmine di un processo che ha progressivamente esteso le attività soggette alla tutela assicurativa includendovi anche le malattie professionali fino all'art. 9 dello Statuto dei lavoratori, la Legge n. 300/1970;
- la spinta ad un'espansione della tutela della sicurezza e salute dei lavoratori, nonostante la riforma sanitaria (attuata con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 ha posto le basi per ulteriori miglioramenti dei livelli di sicurezza individuando un nuovo metodo di intervento basato su una nuova visione prevenzionistica della tutela della salute dei cittadini negli ambienti di lavoro. La legge di riforma sanitaria, inoltre, conteneva una delega al Governo per l'emanazione di un testo unico delle norme di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, volto a riordinare il già complesso quadro normativo. La delega, tuttavia, non é stata esercitata in tempo utile, nonostante le proroghe concesse e, negli anni successivi, ulteriori disposizioni, emanate soprattutto in attuazione delle sempre più numerose direttive comunitarie in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro, si sono sovrapposte alle precedenti), è rimasta poi bloccata fino alla fine degli anni ottanta, grazie anche alla ricomparsa di nuove forme monetizzazione del rischio e al prevalere nei sindacati di un'impostazione che conferiva priorità assoluta ed esclusiva ai temi dell'occupazione e delle retribuzioni, con esclusione di altri importantissimi aspetti della condizione lavorativa; in tale contesto la tutela della salute del lavoro è dunque rimasta affidata all'azione anticipatrice di un buon numero di pretori sensibili, perché, come scriveva in quegli anni uno dei principali protagonisti di questo movimento giudiziario di tutela della salute dei lavoratori, "finchè la pubblica amministrazione non percorrerà la strada degli interventi coordinati e razionali, resterà salutare la verifica affidata al magistrato; e utile, anche se non da mitizzare, il suo ruolo di garante delle norme che tutelano l'uomo e l'ambiente" (Raffaele Guariniello);
- gli anni ’90 sono caratterizzati dal lento e ritardato ma infine inevitabile recepimento di molte importanti direttive comunitarie, e dalla inadeguata applicazione e generalizzazione delle strategie di organizzazione e gestione della sicurezza in esse previste, dovuta anche alla drammatica carenza di organici e di capacità accertativa degli organi di vigilanza in materia di salute e sicurezza dei lavoratori (a cominciare dai servizi ispettivi di Asl, direzione del lavoro, vigili del fuoco, ispettori Inail), alla impreparazione culturale e sottovalutazione del tema di una magistratura oramai silente dopo la fortunata epoca dei “pretori d'assalto” e non di rado dominata da una illegittima “pulsione all'archiviazione o all'assoluzione perché il fatto non sussiste” nei procedimenti penali in materia di infortuni del lavoro e malattie del lavoro, e alla sottovalutazione estrema da parte delle organizzazioni sindacali dell'importanza della tutela preventiva delle condizioni di lavoro, dimenticando così una battaglia decisiva per una nuova cultura del lavoro dignitoso e dei diritti inviolabili delle lavoratrici e dei lavoratori.
Le principali norme legislative in materia di igiene e sicurezza del lavoro, nell'ambito delle quali si colloca la nuova normativa stabilita dal Testo Unico di sicurezza e salute dei lavoratori - D. Lgs. n. 81/2008, sono:
a) gli articoli 1, 2, 3, 32, 35 e 41 della Costituzione;
b) l'art. 2087 del Codice Civile;
g) gli articoli 40, 43, 437, 451, 589 e 590 del Codice Penale.
Va poi ricordata la legge fondamentale in materia di assicurazione degli infortuni sul lavoro: il Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali contenuto nel D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 e successive modifiche ed integrazioni. La quasi totalità dei lavoratori per i quali la legge prevede l'obbligo della tutela è assicurata presso l'INAIL (Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) la quale riceve le denuncie di infortunio e di malattia professionale, e può disporre di molteplici informazioni per ciascun infortunato o tecnopatico.
Rolando Dubini, avvocato in Milano
Nessun commento:
Posta un commento